«Una lampada per disperdere l'oscurità del nostro moralismo dogmatico». Così Daisaku Ikeda definisce il dialogo, la forma di relazione che predilige. In oltre mezzo secolo ha incontrato centinaia di illustri esponenti del mondo della cultura, della politica, della scienza e dell’arte – da Aurelio Peccei a Johan Galtung, da Michail Gorbaciov a Elise Boulding, da Arnold Toynbee a Bryan Wilson, David Krieger, Joseph Rotblat, Hazel Henderson. Il suo peculiare metodo dialogico presenta alcuni punti in comune con la maieutica socratica, coinvolgendo appieno l’interlocutore, l’interlocutrice, nella comune ricerca della verità. Proprio come Socrate, inoltre, Ikeda ama dialogare soprattutto con le persone comuni, e in particolare con i giovani che sono il futuro dell’umanità. «In nome della pace – afferma – spero anch’io di rimanere giovane. Voglio continuare a imparare, a impegnarmi nel dialogo e a lottare per eliminare la miseria dal mondo» (E. Boulding, D. Ikeda,
In piena fioritura, Centro Gandhi edizioni, p. 62).
La musica del cuore
Il dialogo, per Daisaku Ikeda, è una sorta di «musica che viene suonata dagli spiriti degli esseri umani che si impegnano in esso». Intraprendere un dialogo è come esplorare insieme uno spazio aperto, confrontando le rispettive visioni del mondo e punti di vista talvolta molto diversi.
Serve una fiducia profonda nelle potenzialità dell’essere umano, e per questo Ikeda inizia ogni dialogo con un’aspettativa positiva: «Sono eccitato all’idea di creare questa "musica del cuore" insieme ai miei amici Herbie Hancock e Wayne Shorter – dice rivolgendosi ai due musicisti di fama mondiale. […] Mi aspetto una lezione davvero speciale da parte vostra» (
Storie di vita, Jazz e Buddismo, Esperia, 2018, pp. 1-3).
Ma quali sono i punti di forza del suo metodo dialogico, le note da suonare per comporre un'armonia sempre nuova?
Curiosità, ascolto e attenzione
«Quel che io ho imparato dal presidente Ikeda è il suo mostrare un vero interesse nei confronti degli altri. Egli manifesta una curiosità per le persone che non è rivolta solo all’apparenza, ma è indirizzata alla parte più profonda dell’essere umano», rivela il cardiochirurgo Felix Unger, coautore del dialogo
Siamo umani (Esperia, 2019). Gli esempi sono moltissimi: ne
L’arte dell’abbraccio (Piemme, 2018), con Sarah Wider, Ikeda riferendosi al loro primo incontro dice alla sociologa americana: «So che il vestito che indossava era un ricordo di sua madre. […] Come vede ricordo benissimo tutto ciò che lei mi disse». Un ascolto e una cura rivolti ai dettagli: «In un’altra occasione lei mi regalò alcuni preziosi volumi che sua madre le aveva lasciato. Li ho affidati alle donne della Sgi che li conservano come un tesoro» (
Ibidem, p. 19).
Una relazione alla pari
Ikeda attribuisce grande importanza al dialogo alla pari tra le persone: si tratta di una relazione vera, che conduce le persone coinvolte ad aprire i loro cuori (J. Galtung, D. Ikeda,
Scegliere la pace, Esperia, 1995, p. 43).
In questa prospettiva, dialogare è ben diverso dal “dare consigli”: nel primo caso si tenta di convincere, nel secondo ci si pone sullo stesso piano, decidendo di immergersi insieme nell’oceano del linguaggio.
Io vinco, tu vinci
Il dialogo è molto diverso dal dibattito, dove ci sono vincitori e vinti e una parte trionfa sull’altra cogliendola in contraddizione. Per lo studioso norvegese Galtung «i dialoghi devono promuovere l’arricchimento reciproco, per cui ci possono essere solo vincitori. Entrambe le parti giocano tutte le loro carte, le loro convinzioni, sul tavolo, non tenendo niente in mano per tirarlo fuori solo alla fine» (
Ibidem, pp. 58-9).
Per Ikeda questo implica «un candido e sincero impegno», senza spazio per «la condiscendenza o la falsa familiarità». Anzi, i dialoghi più produttivi sono quelli «incandescenti», che mettono a confronto visioni talvolta anche diametralmente opposte, e si svolgono «da persona a persona», a differenza dei dibattiti che coinvolgono più partecipanti (
Ibidem).
Come sottolinea Prisca Giaiero nel suo
Daisaku Ikeda maestro di dialogo (La Meridiana, 2008), qualora le posizioni manifestate siano molto diverse tra loro «non c’è il tentativo di celarlo, ma lo si pone bene in evidenza, riprendendo la conversazione dall’ultimo punto di accordo comune» (p. 68).
Del resto, è lo stesso Ikeda a ricordare che «un’interazione spirituale intensa, che comprende anche il conflitto, è essenziale se vogliamo crescere, maturare e diventare veramente umani» (Proposta di pace 2002, BS, 93, 20).
Fare il primo passo
Certo, per dialogare è necessario che le parti in conflitto siano disposte a incontrarsi. Che fare quando una di esse rifiuta lo scambio? Come insegna Gandhi, bisogna fare il primo passo, e poi procedere ancora, con perseveranza, per avvicinamenti progressivi. Questo è anche l’esempio che ci ha dato Ikeda, negli anni ‘70, iniziando la sua politica di dialogo con Zhou Enlai e Kosygin, per colmare le distanze tra il Giappone e la Cina e poi con l’Unione Sovietica.
Grazie a questo tipo di scambio, anche persone con tradizioni culturali e filosofiche differenti possono scoprire gli elementi comuni prima delle dissonanze, spiega Ikeda, infaticabile promotore del dialogo interreligioso (cfr.
Siamo umani,
op. cit., p. 68).
Autocontrollo e introspezione
Per Ikeda il dialogo è uno strumento di pace, che richiede capacità di autocontrollo e introspezione. Occorre una mente aperta per dialogare: è necessario un paziente lavoro per mettere in discussione noi stessi, con i nostri pregiudizi e gli atteggiamenti dati per scontati (cfr. "Sette sentieri per l’armonia globale", BS, 91).
Inizia così, da questo dialogo spirituale interiore, anche la possibilità di riconoscere l’umanità dell’altro, dell’altra: ed è proprio la coscienza dell’“altro interiorizzato” che costituisce la premessa necessaria di ogni tentativo di scambio esterno.
«Credo che il valore del dialogo risieda nei suoi processi, forse ancor più che nei suoi risultati concreti», afferma Ikeda. «Perché il processo vitale e reciprocamente stimolante del dialogo fra individui e fra intere civiltà è un esempio dinamico di competizione umanitaria, di gara di autocontrollo» (Proposta di pace 2002,
op. cit., 28).
Una relazione intima, faccia a faccia
Il nostro maestro, insomma, ci chiede di farci portatori e portatrici di un cambiamento sociale a partire dal cambiamento interiore, utilizzando il dialogo come strumento per rimuovere la paura e il sospetto tra le persone, per sconfiggere le barriere di avversione, discriminazione, esclusione. «Tutto ha inizio quando un solo essere umano parla con un altro; di solito si pensa al colloquio tra civiltà, ma il punto di partenza è il rapporto interpersonale. […] Dobbiamo fare una breccia nel tipo di relazione amico contro nemico e discutere in modo aperto e onesto sul terreno comune dell’umanità. A tutti noi oggi si richiede di prendere in considerazione le convinzioni della controparte e di essere pronti a imparare da questa» (D. Ikeda, M. Tehranian,
Civiltà globale, Sperling&Kupfer, 2004, pp. 14-15).
E sempre nella Proposta di pace 2002 sostiene: «Senza dialogo gli esseri umani sono destinati a camminare nell’oscurità del loro stesso moralismo dogmatico. Il dialogo è la lampada con la quale disperdiamo quell’oscurità illuminando e rendendo reciprocamente visibili i nostri passi e il cammino innanzi a noi» (
op. cit., 28).
"Amo dialogare con i giovani"
Così come il suo maestro Josei Toda invitava le giovani generazioni a sviluppare un forte spirito critico, Daisaku Ikeda ha sempre chiesto ai giovani uomini e alle giovani donne di porsi alla guida del cambiamento, sviluppando nuove idee e nuove visioni per il futuro.
Rivolgendosi alle persone più giovani del nostro movimento, recentemente ha scritto: «Mai le aspettative nei vostri confronti, membri del Gruppo futuro, sono state più alte» (BS, 210, 4), perché «in un momento in cui l’umanità sta affrontando la sfida di una pandemia globale, la vostra presenza e la vostra vigorosa crescita infondono ovunque una rinnovata speranza alle persone» (BS, 211, 4). E le invita a studiare insieme a lui il Buddismo da pari a pari, «come se stessimo conversando piacevolmente all’ombra di un albero» (Ibidem, 5).
Concludendo la serie di dialoghi con i ragazzi e le ragazze della Soka Gakkai, che ha svolto a cavallo del millennio, scrive: «Amo dialogare con i giovani. Quando li vedo sfidarsi con energia, provo grande fiducia nel futuro e una grande gioia sgorga dal profondo del mio cuore. Quando invece incontro gli occhi cupi di un giovane in cui si è spento lo spirito giovanile non posso far altro che preoccuparmi e mi viene naturale rivolgergli la parola. Credo che attraverso il dialogo si possa cambiare ogni cosa.
Sono nato nel 1928. Ovviamente il mio modo di sentire potrà essere distante dal vostro, così come il mio modo di pensare. Nonostante ciò ho voluto parlare sinceramente, partendo dalla mia esperienza, dei miei successi e fallimenti, degli esami di coscienza e delle mie convinzioni. […] Siete voi che dovete decidere come volete vivere la vostra vita. Nulla mi renderebbe più felice di sapere che anche una sola parola contenuta in questo libro sia riuscita a toccare le corde del vostro cuore» (I protagonisti del XXI secolo, Esperia, Epilogo).
(a cura di Maria Lucia De Luca e Silvia Sperandio)