6 giugno 1871. Nasce Tsunesaburo Makiguchi, pedagogista e fondatore della Soka Gakkai. A distanza di 150 anni dedichiamo questo speciale al tema dell’educazione: perché è grazie alle sue pionieristiche intuizioni se oggi le menti più illuminate considerano il momento educativo come palestra dove imparare a creare valore per vivere la dimensione della felicità. Non come obiettivo da raggiungere nel futuro ma come condizione da sperimentare nel corso del processo stesso di apprendimento. (p. 18).

Anche secondo la filosofia dell’educazione umana di Daisaku Ikeda, un approccio educativo basato sulla creazione di valore non vuol dire indirizzare ai valori in senso morale, ma piuttosto far sì che gli studenti e le studentesse “imparino a imparare” e a trarre saggezza dalla conoscenza, per dare un contributo efficace e positivo in ogni situazione. (p. 22)

Al di là di queste pagine, l’appassionata avventura dell’educazione è raccontata anche nell’articolo sulla storia della fondazione dell’Università Soka (p. 4) e nell’omaggio alla pedagogista Anna Lorenzetto (p. 30), che testimoniano entrambi l’impegno rivoluzionario a costruire opportunità educative coinvolgendo l’intera società.

Per una crescita gioiosa

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Nel giugno del 2000 usciva in Italia L'educazione creativa di Tsunesaburo Makiguchi. Apriamo questo speciale con un ampio estratto di un articolo che abbiamo pubblicato qualche mese dopo,[ref] BS, 90, gennaio-febbraio 2001, testo integrale su buddismoesocieta.org.[/ref] dove si evidenzia il pensiero rivoluzionario e modernissimo del grande pedagogista, secondo il quale la formazione deve essere in sé un'esperienza felice qui e ora, non solo nell'attesa di un esito futuro.

Felicità. La parola stessa fa paura se applicata all’educazione e ai processi di istruzione e apprendimento. Più facile è parlare di “obiettivi cognitivi”, di “competenze professionali” o anche di “pieno sviluppo della personalità”,perché paiono mete più prossime o talmente astratte e generiche da risultare sicuramente condivisibili. Invece la felicità spaventa. Perché da una parte appare un obiettivo troppo grande, irraggiungibile se non addirittura illusorio, dall’altra mette in crisi la sua solare semplicità e concretezza. Non è forse questa la finalità di ogni esistenza, indipendentemente dal senso che ognuno attribuisce a questa parola? Perché mai allora i processi di formazione dell’individuo, formalizzati come la scuola o informali come la famiglia, il territorio, dovrebbero ignorare questa finalità ultima dell’azione umana? [...]

Makiguchi e il suo tempo

Eppure è proprio questa l’indicazione chiara che emerge dall’opera e dall’attività di un educatore e filosofo dell’educazione lontano nel tempo e nello spazio. Tsunesaburo Makiguchi visse in Giappone a cavallo fra Ottocento e Novecento. Si trovò a vivere il processo di rapida modernizzazione che avrebbe trasformato il suo paese da Stato feudale a potenza imperialista in circa cinquant’anni e assistette agli esiti disastrosi dell’ascesa al potere del militarismo nazionalista e della sua sciagurata alleanza con i nazifascismi europei. Ma soprattutto visse quelle profonde trasformazioni da uomo di scuola (prima maestro e poi direttore di scuola elementare) e da pedagogista che ha sempre accompagnato il proprio agire educativo con una costante attività autoriflessiva e critica. Le idee pedagogiche di Makiguchi [...] non sono isolabili dalla sua biografia. Egli si oppose fieramente e risolutamente alle politiche educative che produssero un sistema scolastico prima come strumento per accelerare la modernizzazione “dall’alto” durante l’era Meiji, e poi per creare il consenso intorno a un regime sempre più assolutista e per disseminare l’ideologia e la retorica militarista. [...] Makiguchi di fronte a tutto questo fu ribelle e intransigente, e pagò personalmente il prezzo di quelle scelte: fu spesso bersaglio di provvedimenti disciplinari, di trasferimenti e retrocessioni. Nel 1930, due anni dopo la sua conversione al Buddismo di Nichiren, fondò la Soka Kyoiku Gakkai, la “società educativa per la creazione di valore”, di cui l’attuale Soka Gakkai è la prosecuzione moderna, un’organizzazione di insegnanti che portava avanti il metodo educativo da lui teorizzato e reclamava a gran voce una riforma complessiva e radicale del sistema educativo. Fu allora che divenne sospetto al regime. Venne arrestato insieme al suo allievo Josei Toda, in nome della famigerata legge liberticida per il mantenimento dell’ordine pubblico, e morì nel 1944 per le conseguenze di un durissimo regime carcerario. [...]

Il fine dell’educazione

Il suo accento sulla felicità come fine dell’educazione va [quindi] letto all’interno di una pedagogia vissuta con militante spirito pacifista, con responsabilità etica e sociale, volta allo sviluppo delle potenzialità individuali in opposizione alla dogmatica tendenza omologante del regime. [...] Certo, è necessario chiarire quale felicità sia quella cui Makiguchi si riferisce. [...] Non si tratta ovviamente di piatto edonismo, ma di una felicità intesa come esito collaterale al processo di “creazione di valore”. Con l’espressione “creazione di valore” Makiguchi intende sostituire alla nozione di verità i processi di attribuzione intenzionale di senso, nella propria sfera individuale e in quella sociale. I contenuti dell’insegnamento e soprattutto le esperienze educative non interessano in quanto vere, universali, o moralmente coerenti con un sistema di valori oggettivi, ma sono educative nella misura in cui consentono di creare valore a partire da esse, sperimentando il significato che possono acquistare per determinati soggetti, sempre in un’ottica di bene comune e di vantaggio sociale. L’educazione è quindi quel processo che sviluppa nei soggetti la competenza della creazione di valore e, nel fare questo, i soggetti stessi trovano la felicità.
Diventa chiaro che l’idea di felicità che emerge, benché sia elaborata e sorga dall’interiorità del soggetto, non è in alcun modo egoistica. Il processo di creazione di valore non è mai un processo individuale compiuto da un singolo avulso dal suo contesto sociale. [...] Scrive Makiguchi: «Dove si trova, allora, la nostra felicità? Essa proviene unicamente dalla condivisione di gioie e dolori con gli altri e con la collettività intera. È essenziale, dunque, che ogni vera idea di felicità racchiuda un serio impegno a partecipare alla vita sociale».[ref]T. Makiguchi, L’educazione creativa, La Nuova Italia, Firenze, 2000, p. 10.[/ref] Non si può però comprendere il concetto di felicità di Makiguchi prescindendo dalla visione buddista all’interno della quale è affermato. Una visione in cui la felicità del singolo sorge dalla consapevolezza della rete di relazioni che legano fra loro tutti gli esseri umani e questi con l’ambiente naturale. [...]

Questioni attuali

Come si è detto, il fatto stesso di porre il tema dell’educazione alla felicità apre una serie di stimolanti e attuali questioni. [...] Porre come fine la felicità dei soggetti in formazione significa escludere ogni tentativo di sottomettere il sistema educativo all’influenza di qualsivoglia finalità esteriore come finalità politiche, militari, economiche o ideologiche. Daisaku Ikeda ha evidenziato l’urgenza della necessità «di un cambiamento paradigmatico dall’idea di un’educazione per il bene della società alla costruzione di una società al servizio delle necessità essenziali dell’educazione».[ref]D. Ikeda, "Per una società a sostegno dell'educazione", BS, 86, 17.[/ref]
Questo comporta, richiede e presuppone l’autonomia e l’indipendenza (epistemologica oltre che politica) dell’educare, e richiede una pedagogia come scienza autonoma che produca al proprio interno quella riflessione sulle finalità educative che sinora ha delegato ad altre discipline e saperi.
In secondo luogo la formazione non è solo una preparazione alla vita adulta intesa come sforzo per acquisire ciò che manca, un passaggio dallo status di non-persona a quello di soggetto, ma deve essere in sé un momento significativo dal punto di vista esistenziale. Cioè un’esperienza felice, qui e ora, non soltanto nell’attesa di un esito futuro. Riccardo Massa, da materialista convinto, ha sostenuto il medesimo concetto, quando scriveva che «si devono creare le condizioni perché il bambino sia felice qui e ora» in quanto «sacrificare il suo presente al futuro è inutile e disumano».[ref]R. Massa, Cambiare la scuola. Educare o istruire?, Laterza, 1997, p. 110.[/ref]
In terzo luogo la ricerca della felicità scavalca le limitate e limitanti gabbie degli obiettivi educativi e didattici, che assegnano un’enfasi eccessiva al cognitivo, per aprire sterminati orizzonti, che mantengono il necessario rigore progettuale, ma in cui il senso dell’insegnamento/apprendimento si misura sul piano esistenziale, sulla capacità di produrre senso (di “creare valore”) per sé e per la comunità sociale a partire dall’esperienza significativamente vissuta e intenzionalmente orientata da educatori.
La dimensione esistenziale, la creazione di valore, dovrebbe trovare spazio a scuola, dove i bambini e gli adolescenti formano i propri vissuti, le proprie biografie, la propria memoria e le proprie aspirazioni.
Peraltro Makiguchi non riduce questo processo soltanto alle prime fasi della vita, ma lo estende a una formazione lungo tutto l’arco della vita. Insiste sulla necessità di una scuola a tempo parziale non per ragioni economiche o organizzative ma nella convinzione che la comunità sociale, la famiglia, le opportunità extrascolastiche e anche una certa forma di lavoro rappresentino una risorsa formativa da utilizzare sin dalle prime stagioni della vita. Alla riduzione del tempo scolastico quotidiano farebbe riscontro poi un’estensione del tempo della formazione per arrivare a una formazione lungo tutto l’arco della vita, un’idea decisamente attuale comprensibile solo nell’ottica di una formazione vissuta come esperienza in sé felice.
Infine, nella coincidenza delle finalità ultime umane con quelle del sistema educativo, si trova tutto l’entusiastico ottimismo di chi con la vita e con l’opera ha testimoniato la profonda convinzione che nell’educazione si possa trovare la risposta alla crisi di senso della contemporaneità. [...]

Massimiliano Tarozzi
autore dell'introduzione all'edizione italiana de L'educazione creativa, attualmente professore ordinario di Pedagogia generale e sociale presso l’Università di Bologna

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Valore della felicità e felicità del valore

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Jason Goulah è direttore dell’Istituto per gli studi Daisaku Ikeda sull’educazione e del corso di Educazione alla creazione di valore per una cittadinanza globale dell’Università DePaul, di Chicago negli Stati Uniti.



Nel 2014 l’Università DePaul ha fondato il primo centro negli Stati Uniti per la ricerca e la traduzione delle opere di Daisaku Ikeda, Tsunesaburo Makiguchi e Josei Toda. Living Buddhism (rivista della Sgi statunitense) ha intervistato Jason Goulah sullo sviluppo di questi studi. Presentiamo qui un ampio estratto dell'intervista dal titolo "La filosofia educativa di Daisaku Ikeda" <a href="https://wp-bs.buddismoesocieta.org/article/la-filosofia-educativa-di-Daisaku-Ikeda/">(versione integrale).</a>



Come definirebbe l’ambito sempre più in crescita degli studi Ikeda/Soka sull’educazione?



Questo campo di studi si occupa dei numerosi contributi di Daisaku Ikeda in ambito educativo, delle idee e degli ideali di Tsunesaburo Makiguchi e Josei Toda che egli ha ereditato, abbracciato, sviluppato e diffuso a livello globale sotto l’ampio concetto di “Soka”, un neologismo giapponese che significa “creazione di valore”. [...] 
Ciò che forse accomuna di più Makiguchi, Toda e Ikeda è il loro impegno per un’etica e una prassi della cittadinanza globale, della creazione di valore, della crescita permanente e della felicità di ogni individuo, anche se ognuno di loro ha impiegato e sviluppato questi concetti in maniera differente. Condividono anche un profondo anelito a rispettare la dignità di tutta la vita umana in accordo con i princìpi dell’umanesimo buddista. 
Sono questi impegni condivisi, da cui derivano gli ideali in base ai quali Ikeda ha fondato le scuole e le università Soka, che caratterizzano sempre più le filosofie e i metodi di migliaia di educatori che operano in contesti multiculturali, multirazziali e multilinguistici in tutto il mondo. Le idee di questi tre pensatori sono sempre più oggetto di ricerca, anche se la comunità accademica internazionale si sta occupando in maniera più consistente dei vasti contributi di Ikeda non solo nel campo dell’educazione ma anche dell’arte e della letteratura, della religione, della pace, dei diritti umani, dell’impegno civile, dell’abolizione delle armi nucleari, della giustizia climatica e in molti altri ambiti.



Qual è la filosofia educativa di Daisaku Ikeda?



La filosofia di vita di Ikeda è l’umanesimo buddista. Il suo approccio all’educazione trae origine da questo nucleo filosofico, del quale è la manifestazione secolare. Ikeda chiama la sua filosofia dell’educazione e i suoi metodi ningen kyoiku, ovvero “educazione umana”. Per lui «l’educazione umana e il Buddismo sono come le due facce di una medaglia»[ref]SSDL, 1, 129.[/ref] in quanto entrambi cercano di elevare la nostra umanità. «Le persone diventano umane solo se compiono sforzi tenaci per vivere come esseri umani. Non è la nascita che ci rende tali. [...] Per questo l’educazione è così importante. Per diventare esseri umani occorre un’educazione umana».



[ref]Cfr. Ibidem, 2, 293 e 318[/ref]




L’educazione umana ha due aspetti. Da un lato mira a incoraggiare la persona che abbiamo di fronte a credere nel suo potenziale unico e illimitato. [...] Ma al tempo stesso necessita di un risveglio all’immensa ricchezza e alle infinite possibilità della nostra personale umanitàdella nostra “natura umana”. Per Ikeda essere umano è un atto, un processo continuo in cui si è e si diventa sempre più pienamente umani. È significativo che egli auspichi un cambiamento di prospettiva da “educazione”, che in giapponese si scrive con il carattere sino-giapponese che significa “insegnamento”, all’omofono kyoiku che si scrive invece con una combinazione di caratteri unica che significa “crescita reciproca”, a indicare che l’educazione vera è un processo che coinvolge tanto l’insegnante quanto lo studente, il sé e l’altro, che crescono insieme. A tal fine Ikeda elenca quattro tipi di ideali o impegni legati fra loro:







&gt; impegno a dialogare; 
&gt; impegno per la cittadinanza globale; 
&gt; impegno per la creazione di valore; 
&gt; impegno per la coesistenza creativa.



Può spiegarceli in dettaglio?



Per Ikeda l’impegno a dialogare è il punto di partenza per diventare veramente umani, la chiave di volta per quella trasformazione interiore che chiama “rivoluzione umana” . Egli afferma: «Noi siamo nati “umani” solo in senso biologico e possiamo imparare a conoscere noi stessi e gli altri soltanto “allenandoci” a comportarci da esseri umani. Lo facciamo immergendoci nell’oceano del linguaggio e del dialogo».



[ref]D. Ikeda, A New Way Forward, Middleway Press, 2020, p. 32.[/ref]



[...] Perciò Ikeda raccomanda il dialogo in tutte le sue forme, da quello con la natura, con i capolavori della letteratura e dell’arte, al dialogo con le altre persone. Ma esso deve cominciare da un aperto e sincero “dialogo interiore” attraverso il quale esaminiamo con cura e onestà i nostri atteggiamenti e credenze. [...] 
Come autore di più di ottanta dialoghi pubblicati con importanti studiosi, Ikeda dice che il dialogo è un’arte, paragonabile al jazz, in cui ognuno si arricchisce grazie all’altro. «Queste vivaci sessioni – che siano di jazz o di dialogo – si sviluppano man mano che i partecipanti danno voce a ciò che sgorga spontaneamente dalla loro vita, rispettandosi a vicenda e facendo emergere il meglio di sé. I partecipanti riescono persino a dare nuova vita a quelli che apparentemente possono sembrare gli errori o i fallimenti degli altri. L'effetto è che tutte le persone coinvolte si arricchiscono in maniera dinamica e così si raggiungono vette di creatività mai toccate prima. [...] Nel dialogo è necessario superare le divisioni presenti nel nostro cuore che ci fanno classificare inconsciamente le persone e misurarne il valore di conseguenza, etichettandole in maniera semplicistica secondo le dicotomie di buono e cattivo, noi e loro, amici e nemici. Un simile atteggiamento è uno dei più profondi elementi di conflitto».



[ref]D. Ikeda, “Foreword,” Peacebuilding through dialogue: Education, human transformation and conflict resolution, a c. di Peter Stearns,Fairfax, Virginia, George Mason University Press, pp. vii–xi.[/ref]



[...] Se l’idea dell’“altro” è assente dalla nozione di “sé” non può esserci un vero dialogo. La fonte dell’educazione è un impegno a dialogare avendo profondamente interiorizzato l’altro; questa è la suprema speranza che può ridare vita a un’educazione umana nel vero senso della parola.







Come descriverebbe “l’impegno per la cittadinanza globale”?



[...] Secondo Ikeda sono tre le caratteristiche fondamentali per la cittadinanza globale: la saggezza di percepire l’interconnessione di tutta la vita e degli esseri viventi; il coraggio di non temere o negare le differenze, ma rispettare le persone di culture diverse, impegnarsi a capirle e a crescere dall’incontro con loro; la compassione di mantenere un’immaginazione empatica che vada oltre l'ambiente immediato e si estenda a coloro che soffrono in luoghi lontani. 
Anche altre filosofie di cittadinanza globale parlano di saggezza e compassione, ma l’aggiunta del coraggio da parte di Ikeda è un aspetto importante e unico. Per lui saggezza e compassione sono qualità potenzialmente inerenti a tutti gli esseri umani, ma la paura del diverso, dell’“altro”, ne impedisce la realizzazione e produce quella «psicologia di fondo caratterizzata da un egoismo collettivo che assume le sue forme più distruttive nelle frange virulente dell’etnocentrismo e del nazionalismo».



[ref]D. Ikeda, A New Way Forward, op. cit., p. 91.[/ref]



Vale a dire che la nostra capacità di autorealizzazione – e di essere cittadini globali – è fondamentalmente ostacolata dalla paura. Per questo coltivare il coraggio è così importante: «L’impegno attivo» egli afferma «richiede coraggio».[ref]Ibidem, p. 91.[/ref][...] Va osservato che, nella cornice di Ikeda, saggezza, coraggio e compassione sono anche le caratteristiche fondamentali del bodhisattva e del Budda. E in questo vediamo un esempio di qualcosa che Ikeda fa regolarmente, cioè travalicare i confini semantici fra il religioso e il mondano, portando le idee e la terminologia del Buddismo nelle questioni secolari e trovando esempi nel mondo secolare per chiarire princìpi e concetti buddisti. Ciò non vuol dire che Ikeda voglia insegnare il Buddismo nelle scuole o fare proseliti in questo ambito. Anzi si dichiara esplicitamente contrario a farlo, avendo sperimentato direttamente le conseguenze di un'educazione religiosa obbligatoria, prima e durante la seconda guerra mondiale. Quello che sostiene invece è «il bisogno di coltivare un senso di appartenenza all’umanità nel suo complesso», ponendo l’accento su una spiritualità umanistica, una totalità interdipendente, e sulle virtù della saggezza, del coraggio e della compassione, perché esse «aiuteranno gli studenti a realizzare una crescita personale e a contribuire alla società».



[ref]D. Ikeda, Soka Education: For the Happiness of the Individual, Middleway Press, 2010, p. 63.[/ref]



 [...] Questa ricerca cosmopolita della nostra umanità condivisa ci sprona, nelle parole di Ikeda, a «non temere o negare le differenze, bensì rispettare le persone di culture diverse, impegnarsi a capirle e a crescere dall’incontro con loro». In questo senso la cittadinanza globale è la pratica di parlare con l’essere umano complesso che si ha di fronte, rifiutandosi di incasellare sommariamente le persone – oppressori e oppressi – in gruppi monolitici. 
L’approccio di Ikeda si manifesta nel coltivare la compassione coraggiosa di comprendere che, come egli afferma, «anche le persone che non ci piacciono hanno qualità che possono contribuire alla nostra vita e offrirci un’opportunità di accrescere la nostra umanità».



[ref]A New Way Forward, op. cit., pp. 88-89.[/ref]



Cosa puoi dirci del terzo ideale, “l’impegno per la creazione di valore”?



Come accennavo prima, questo concetto è la traduzione del neologismo giapponese soka, che deriva dalle parole sozo (creazione) e kachi (valore). La creazione di valore è un principio importante e unico che pervade e accomuna le filosofie di Makiguchi, Toda e Ikeda; viene considerata la fonte di una felicità autentica, quasi esistenziale. [...] Un approccio educativo basato sulla creazione di valore non significa, come spesso si pensa erroneamente, creare, prescrivere o promuovere “valori” morali, sociali, legali o religiosi; non corrisponde a ciò che tradizionalmente si chiama “educazione ai valori” o “educazione morale”. I metodi per la creazione di valore mirano piuttosto a far sì che gli studenti “imparino a imparare” e a trarre saggezza dalla conoscenza per riuscire a dare un contributo efficace e positivo in ogni situazione e a partire da ogni situazione. Ikeda afferma: «In parole povere, la creazione di valore è la capacità di trovare significato, di migliorare la propria esistenza e contribuire al benessere degli altri in qualsiasi circostanza».



[ref]Ibidem.[/ref]




Infine “valore” qui non indica qualcosa di preconfezionato che aspetta solo di essere applicato nella situazione particolare. Ha un significato nuovo, legato al contesto del momento, che nasce dalla nostra creatività, dal nostro impegno con gli altri e dalle nostre circostanze oggettive. La creazione di valore è intrinsecamente dialogica e non si può creare alcun valore se le azioni che una persona ritiene valide violano sostanzialmente la dignità o l’umanità di un’altra persona.







Infine, ci può spiegare il significato di “impegno per la coesistenza creativa”? 
 
Ikeda propugna una consapevolezza profonda e proattiva della nostra interdipendenza, che chiama kyosei, cioè “coesistenza creativa”. Coerentemente con l’insegnamento buddista dell’origine dipendente, kyosei è il principio dell’interconnessione attiva e intenzionale. [...] Ikeda definisce kyosei come «un atteggiamento etico che cerca di creare armonia dal conflitto e unità dalla separazione, che si basa più sul “noi” che sul “me”. [...] Sono convinto che se questa etica di coesistenza diventerà un atteggiamento condiviso, riusciremo a trovare i mezzi per “colmare il divario fra potere e regole morali di comportamento”».



[ref]Living Buddhism, aprile 2003, p. 12.[/ref]



Kyosei può essere tradotto in diversi modi, “simbiosi”, “coesistenza”, “coesistenza armoniosa” e “coesistenza creativa”. Quest’ultima espressione è quella che meglio racchiude il significato del termine per come è impiegato da Ikeda, in quanto coglie la sua visione dell’interdipendenza come un processo conscio e volontario basato sulla creatività e la creazione di valore. [...]







(Tradotto da Living Buddhism, novembre 2020)

Per diventare umani occorre un'educazione umana

La filosofia educativa di Daisaku Ikeda

«Oggi è evidente che molti aspetti della vita vanno al di là dei limiti di quello che un tempo era considerato il buon senso; ne consegue che il buon senso non è una fonte molto attendibile di informazioni riguardo al vero principio della vita» (D. Ikeda, La vita mistero prezioso, p. 14).
Il pensiero pedagogico di Tsunesaburo Makiguchi, così come la filosofia educativa di Maria Montessori, elaborati all’inizio del secolo scorso, hanno rotto l’idea di “buon senso” nella sua accezione di ciò che già è conosciuto e accettato, mandando avanti intuizioni sull’età evolutiva e sullo sviluppo che solo dopo tempo hanno trovato riscontro scientifico nelle neuroscienze. La felicità e la pace, considerati da entrambi come valori ispiratori dell’educazione, e lo sguardo diretto all’autonomia dei bambini e delle bambine così come alle loro capacità di svilupparsi e autodeterminarsi come persone uniche e irripetibili, erano al tempo assolutamente contrari al “buon senso” comune, che guardava all’educazione come acquisizione di obbedienza, omologazione e sottomissione alle regole sociali. Ancora oggi li possiamo considerare come fari che indicano un sentiero per nulla scontato nel sistema educativo attuale.
L’odierna situazione di pandemia, che ha obbligato a stravolgere la scuola, soprattutto quella degli adolescenti e dei giovani, potrebbe essere una crisi trasformata in opportunità, invece che un mero pericolo. Come psicoterapeuta, mai prima di adesso ho avuto tanti pazienti giovani e giovanissimi che cercano di attingere a nuove risorse, pensieri, energie per affrontare gli infiniti limiti esterni e interiori che l’emergenza sanitaria ha imposto, rivedendo completamente le loro relazioni, punti di vista, la loro intera crescita come persone. Costringere, proprio in questo momento, l’educazione nei confini del “buon senso”, cercando di applicare il vecchio al nuovo o deformandolo per farlo restare simile, senza cogliere l’opportunità di fare un salto qualitativo nel contesto scolastico – non esclusivamente didattico ma educativo nel senso più ampio – vorrebbe dire perdere l’occasione di partecipare all’inevitabile cambiamento del presente, a una costruzione diversa del futuro che ne modifica il “senso” e lo modella su valori e paradigmi più aderenti al benessere umano, alla convivenza pacifica con l’ambiente e con gli abitanti del pianeta, a una visione strategica e moderna dell’educazione, integrata con le nuove scoperte scientifiche così vicine all’umanesimo buddista.
Potremmo essere protagonisti e protagoniste di uno scatto evolutivo, costretti da un virus a sprigionare sinergie e a uscire dai nostri schemi per accedere a nuove possibilità, mai immaginate prima, sulla scia del sentiero tracciato proprio da Makiguchi e Montessori.

(Vanessa Donaggio, psicoterapeuta)

Rompere il buon senso

Un’insegnante, oltre a dedicarsi agli studenti e alle studentesse, studia per aggiornarsi, per migliorarsi e migliorare il lavoro che svolge, lavoro così delicato, importante, decisivo per il futuro della società. Per farlo frequenta corsi di aggiornamento, s’informa, legge e sperimenta. Perché il processo di insegnamento/apprendimento cambia negli anni. Chi insegna nella scuola primaria troverà difficoltà nel quinquennio successivo a riproporre attività e percorsi intrapresi cinque anni prima, perché i bambini e le bambine sono diversi, la società in cui vivono è diversa, le aspettative sono diverse.
Noi insegnanti non sappiamo quali lavori saranno chiamati a fare i ragazzi e le ragazze che in questo momento storico entrano nella scuola. Forse riguarderanno la bioedilizia, le intelligenze artificiali, il riciclo dei materiali, la produzione ed efficienza energetica, chissà. Sicuramente il nostro compito è prepararli per il futuro. E quali saranno le competenze necessarie? Un modo di pensare sistemico, che consenta di avere una visione globale sui fenomeni, individuando relazioni, interconnessioni e analogie. Una competenza collaborativa, che permetta di ascoltare e rispettare le altre persone, in grado di sviluppare empatia e gestire i conflitti. Un pensiero critico, una consapevolezza di sé e saper risolvere i problemi. Queste, per citarne alcune.[ref]Cfr. Education for Sustainable Development Goals, Unesco 2017.[/ref]
E l’insegnante? Ha una funzione facilitatrice, cioè propone, dispone, organizza percorsi che consentono a ogni studente e studentessa di prepararsi per «condurre la migliore vita possibile».[ref]Daisaku Ikeda, BS, 207, 39.[/ref] Com’è entusiasmante assistere allo sviluppo della loro autonomia, quando diventano artefici del proprio percorso scolastico!
In fondo, scopo dell’educazione dovrebbe essere condurre le persone alla felicità, intesa come realizzazione personale, apertura verso gli altri, comprensione di ciò che è bene non solo per sé, creazione di una vita di valore.
Non era questo lo scopo del maestro e direttore di scuola Tsunesaburo Makiguchi? Entrava in classe, osservava gli studenti e prendeva nota dei comportamenti, delle attitudini e caratteristiche. Non ha aspettato decreti imperiali, ma coraggiosamente ha agito nella sua classe, nella sua scuola. Quel maestro “con un abito solo” ogni giorno aprendo la porta dell’aula era determinato a prodigarsi per formare individui felici. Sperimentava nuove metodologie che permettessero a ciascun alunno di far emergere tutto il proprio potenziale peculiare. Riteneva importante mettere in piedi un nuovo sistema pedagogico a cui gli insegnanti avrebbero potuto rifarsi.
Negli anni ’30 Makiguchi parlava di interconnessione: di quanto le persone fossero unite tra loro da legami invisibili, ma profondi, e di quanto fossero interconnesse all’ambiente. Aveva intuito quanto stretto fosse il legame tra gli individui e il territorio in cui vivono. Le persone infelici vivono in ambienti degradati, e ambienti degradati attirano persone infelici. Al contrario, persone felici hanno a cuore i luoghi in cui vivono e rispettano gli esseri viventi che li abitano.
Tutti concetti che risuonano con gli intenti della Carta della Terra, di cui sono stata nominata "educatrice", in cui si legge che siamo «un'unica famiglia umana» e si invita a «trasformare la mente e il cuore» per vivere con «un rinnovato senso di interdipendenza globale e di responsabilità universale». In sintonia con l'Agenda 2030 e i documenti e le leggi, nazionali e internazionali, promulgati per il miglioramento dell'"essere scuola". Un maestro ha tracciato la strada del cambiamento. Oggi entro a scuola, felice di percorrerla.

Carla Celani,
insegnante di inglese nelle scuole secondarie superiori

"Essere scuola" un'evoluzione continua

«Insegnare qualcosa a un altro è come oliare le ruote di un pesante carro così che possano girare, o come far galleggiare una barca sull’acqua, così che possa procedere senza difficoltà» (Il ricco Sudatta, RSND, I, 963).
In questa frase di Nichiren è riposta la difficoltà e la meraviglia di ogni processo educativo: di un genitore nei confronti di un figlio o di una figlia, di un insegnante nei confronti di allievi e allieve, di un/a terapeuta verso chi si affida alla sua cura, ma anche di chiunque si trovi per un momento a sperimentare quell’aspetto fondamentale dell’esistenza che è il tentativo di aiutare un’altra persona a fare un passo vitale verso la realizzazione di sé e la felicità.
Riuscire a “oliare le ruote” evitando la duplice tentazione di spingere il carro o, viceversa, di non curarsene nell’accidiosa speranza che si muova senza aiuto, richiede a chiunque educhi una grande forza interiore. Richiede fiducia nell’altro/a, nelle sue risorse nascoste, nella sua libertà e creatività. Ma richiede al contempo – e le due cose sono inseparabili – fiducia in sé: quella che consente di non aver bisogno di mostrare il proprio sapere, e di (per così dire) limitarsi a offrire stimoli che possano attivare la saggezza e il coraggio altrui.
Educare è stare “dietro le quinte” – un’espressione non a caso molto cara al presidente Ikeda – ed è quindi agli antipodi del narcisismo, sebbene a volte anche un pizzico di istrionismo ben calibrato possa servire alla causa dell’insegnamento. Ogni anno, quando parlo alle mie terze liceo della maieutica socratica, mi rendo conto di quanto ancora debba imparare a fare come Socrate, a “fingere” ignoranza per stimolare il dialogo. E allora, ogni volta, mi ritrovo a farlo lì per lì: invece di “spiegare” il pensiero del maestro ateniese, mi metto soprattutto a rivolgere domande ai ragazzi e alle ragazze. È il minimo. Ma da lì ricominciano a emergere sorprese feconde, perfino in questi tempi di didattica a distanza. E quando, magari in una quinta, la cosiddetta “classe capovolta” nasce quasi spontaneamente dall’interesse che in qualche modo sono riuscito a suscitare, e la lezione se la fanno da soli, la gioia è grande.
I danni speculari dell’iper o dell’ipoprotezione sono ben visibili ovunque: nella sofferenza psichica diffusa che spesso scivola in violenza, nella paura di vivere che attanaglia il cuore/ mente, nell’“orribile varietà” delle superbie di cui cantava De André... E allora, per quanto sia difficile, dovremmo sforzarci costantemente di stare sulla linea di confine dell’educare: esercitare quel controllo che ha l’unico scopo di rendersi il prima possibile superfluo generando nel discente una felice incontrollabilità.
Quest’anno riflettevo con una classe su come il daimon di Socrate – la voce divina interiore che lo dissuade quando sta per compiere qualcosa di ingiusto – sia maieuta nei confronti del maestro, come lui lo è verso i discepoli. Il daimon non gli dice cosa fare: si limita a dargli una scossa che lo costringe a esercitare saggezza e creatività. Un po’ come il Budda che è in noi; un po’ come la vita.

Donato Ferdori, insegnante di filosofia nelle scuole secondarie superiori

Come oliare le ruote di un pesante carro

La prima volta che ho sentito nel cuore di voler fare l'insegnante è stato a 17 anni, periodo in cui già sperimentavo la potenza dei sogni davanti al Gohonzon, sostenuta dagli incoraggiamenti del presidente Ikeda per il Gruppo giovani. Non ho avuto un percorso universitario lineare, tuttavia una convinzione forte l'avevo maturata: l’infinita fiducia che Sensei ripone in noi giovani e nella nostra missione, e la grandezza del nostro movimento. E il 16 marzo 2008 decisi che qualsiasi cosa avessi fatto nella vita sarebbe stato per cambiare il mondo, per kosen-rufu.
Così, influenzata da diversi fattori tra cui la preoccupazione della mia famiglia riguardo alla precarietà del mestiere dell'insegnante, mi iscrissi a Ingegneria energetica. Durante gli studi compresi sempre di più quanto l'educazione fosse importante, per Ikeda, nella formazione di persone capaci di realizzare la propria felicità e di contribuire al miglioramento della società in cui vivono. Mi ispirava la relazione che aveva con il suo maestro e la totale dedizione alla realizzazione dei suoi sogni, compresa la fondazione delle scuole Soka: «Io continuai a realizzare tutti i sogni di Toda. E mentre lo facevo, incredibilmente anche tutti i miei sogni, che nutrivo da quando avevo l’età che avete voi oggi, si realizzavano. Ora ho un nuovo sogno: che anche tutti i vostri sogni si realizzino. I vostri sogni sostengono il mio sogno: ogni passo che fate verso la realizzazione dei vostri sogni è un passo per me verso la realizzazione del mio» (Protagonisti della nuova era, p. 48).
Più avanzavo nel percorso universitario più aumentavano i dubbi: il mio vero sogno, la mia missione qual era? Allora decisi di impegnarmi ancora di più nello studio, per verificare fino in fondo la mia scelta, e nel condividere il Buddismo e il pensiero di Ikeda con chiunque mi stesse vicino, sforzandomi di essere sincera e onesta con me stessa. Preso coraggio mi guardai nel cuore e capii che volevo lavorare nella formazione del futuro dell'umanità e sentivo che fino a quel momento avevo vissuto come se volessi incastrare una formina in uno stampo diverso. Fu così che dopo quattro anni lasciai Ingegneria e cominciai un nuovo percorso in Scienze della formazione. Dopo tanto tempo sentivo di nuovo entusiasmo e gioia per il mio futuro, e ogni materia, ogni esame era animato da un profondo senso di soddisfazione perché avevo trovato la strada giusta, perché io mi sentivo giusta, fedele a me stessa, capace di manifestare il mio vero potenziale. In facoltà parlavo di Makiguchi, Toda e Ikeda a ogni insegnante, aumentando la conoscenza del metodo Soka, e ho avuto la fortuna di poter scegliere liberamente il relatore e il correlatore che mi hanno appoggiata con fiducia ed entusiasmo nell'idea della tesi triennale, “Il metodo di Tsunesaburo Makiguchi per la cittadinanza globale”, e poi magistrale, “L'educazione alla cittadinanza globale capace di costruire società inclusive”, tesi di ricerca svolta nel Colégio Soka a Sao Paulo in Brasile.
Al momento sono insegnante nella scuola d'infanzia e collaboro con diverse scuole secondarie di primo e secondo grado. Ogni giorno torno all'origine: alla mia missione, a Sensei e kosen-rufu. Ed è in quest'anno così difficile che vedo il valore di tutti gli sforzi fatti nel riscoprire la mia missione, nell'aver forgiato un cuore che non si arrende, che si rinnova e crea.
E più che mai è evidente il ruolo degli insegnanti adesso, «alfieri dell'educazione umanistica» (NRU, 24, 183), capaci di rimettersi in discussione, di affinare il proprio carattere, di sviluppare un'ottima personalità capace di accompagnare studenti e studentesse a fare la propria rivoluzione umana; di trovare sempre nuove strade, di rivitalizzare l'istruzione e di individuare la formula giusta per la «medicina efficace per i mali della società» (T. Makiguchi, L'educazione creativa, p. 82).

Paloma Messina, insegnante nella scuola dell'infanzia

Il mio risveglio educativo

Mi sono sempre chiesta, nella mia carriera di insegnante, che cosa avessi potuto fare per cambiare la situazione intorno a me: non solo i problemi strutturali della scuola – edilizia, graduatorie –, ma anche il discredito sociale che grava sulla classe docente, per non parlare della realtà di un mondo giovanile sempre più distante dalla mia idea di educazione.
La pandemia ha materializzato i miei peggiori incubi, perché ha mostrato con un’evidenza indiscutibile tutte le crepe che stavano minando alla radice la relazione educativa tra docente e adolescenti. La distanza è diventata reale; la comunicazione ha mostrato le sue falle; ho dovuto fare i conti con quell’illusione che mi aveva lasciata, tutto sommato, comoda nella mia comfort zone, fatta di convinzioni – didattiche e personali – relative al mio ruolo, alla mia funzione. Ora che è passato un anno mi guardo indietro e mi chiedo cosa sia cambiato: ho notato le cose che non sono andate, ho criticato aspramente il governo, le famiglie, il ministero, gli italiani. Ho cercato di cambiare la situazione intervenendo nelle mie classi con discorsi appassionati, provando ad accorciare le distanze, ho seguito milioni di corsi di formazione per adeguarmi al momento.
E, ancora, l’illusione è lì: è fuori che deve cambiare. Dice Nichiren che le illusioni possono essere veicolo di Illuminazione, ed è vero. Ho capito, in un istante, che ero io quella che doveva cambiare. E come, se siamo costretti, classi e docenti e famiglie, in una morsa che impedisce il cambiamento? Nessuna preghiera del devoto del Sutra del Loto rimarrà senza risposta. Credo o no nella Buddità di ogni studente, di ogni studentessa? E allora parlerò a ciascuno e ciascuna con questa coscienza: una faticaccia, perché richiede, da parte mia, di guardare ognuno e ognuna di loro con altri occhi.
Concretamente, ho cominciato a commentare i loro compiti scritti riservando una buona parte delle mie parole a una sorta di dialogo intimo. Prima che studenti e studentesse sono giovani Budda.
Non so dove mi porterà questo metodo, ma so che un piccolo spostamento interiore ha spostato l’asse della mia didattica.

Giulietta Stirati, insegnante di lettere nelle scuole secondarie superiori

Così si è spostato l'asse della mia didattica

«Ma la gente non capisce, questo tempo ferisce.
La mia amica è depressa anche se è sempre connessa
vorrei portarla fuori a respirare aria fresca.
E andare al mare, suonare, ballare».

È una strofa del Rap d’a quarantena, video clip scritto e realizzato lo scorso giugno dagli studenti dell’IC Porchiano Bordiga della periferia est di Napoli, insieme ai Maestri di Strada. È solo uno degli esempi del progetto “I CoroNauti” ideato da questa vulcanica associazione per i suoi ragazzi delle periferie difficili napoletane. Si tratta di un contenitore virtuale pieno di iniziative e sfide nato per combattere creativamente, “navigando” contro l’inattività e lo scoraggiamento del lockdown. Poiché non tutti avevano modo di collegarsi a Internet, i Maestri di Strada si sono inventati i “Pacchi viveri per la mente”: il loro furgoncino girava nello spettrale silenzio della città per consegnare speranza in scatole. All’interno, oltre a tablet, penne, quaderni e libri, anche lettere, scritte per ognuno/a di loro. Per non lasciarli soli. Perché l’elemento centrale per i Maestri di Strada sono le relazioni, quelle di tutti i partecipanti al processo educativo: da loro stessi agli insegnanti, dai ragazzi ai genitori fino a enti e realtà del territorio. Non a caso il nome dell’associazione ricorda la centralità della figura del maestro, dell’atto di educare oltre le quattro pareti di un edificio, che si apre alla realtà, al territorio, alla strada da percorrere insieme.
Figlia del fortunato progetto “Chance”, nato nel 1998 contro la dispersione scolastica con il sostegno del Ministero dell’Istruzione, poi interrotto bruscamente nel 2009, questa associazione onlus ha ritrovato nuova vita con il contributo dei privati. Grazie alla tenacia del suo fondatore Cesare Moreno, detto il “maestro con i sandali” calzati per protesta contro le spese futili per la scuola, oggi sono attivi progetti in 25 scuole periferiche napoletane. Questi coinvolgono 250 ragazzi, 50 docenti e 45 maestri di strada che comprendono, oltre agli educatori, anche psicologi e “genitori sociali”, già partecipi di attività formative per i loro figli, oggi attivi sostenitori che aiutano come professionisti nelle attività socio educative.
Non si tratta di una dimensione parallela alla scuola ma di un supporto integrato che vive all’interno della struttura scolastica anche nelle ore di lezione, per riattivare l’entusiasmo di fare e andare a scuola in maniera attiva e partecipativa anche in chi, per vicissitudini diverse, “scalda solo il banco”. Attraverso percorsi di Arteducazione, laboratori di musica, arte visiva, trucco, teatro i ragazzi piano piano si sentono coinvolti, emozionati, protagonisti. Nel “mostrarsi” scoprono di avere un valore, sentono la bellezza della vita. Il processo non si basa sulla trasmissione verticistica di nozioni ma sull’ascolto di sé e degli altri, su sperimentazioni comuni.
L’idea base del metodo dei Maestri di Strada è che per prendersi cura degli altri ci si deve prendere cura di sé, delle proprie difficoltà e conflittualità. Per questo tutti i soggetti del processo educativo ogni settimana si siedono in cerchio, si raccontano e si confrontano. Per costruire insieme, in unità. Un po’ come accade nel concreto con Cubo, “Cantiere Urbano Beni Comuni a Napoli Orientale”, un luogo in cui CUra, Bellezza, sognO prendono vita in una ex scuola affittata nel quartiere periferico di Ponticelli, che pezzo per pezzo viene restaurata insieme a famiglie e quartiere. Un grande centro educativo polifunzionale dedicato a Ciro Colonna, vittima innocente della camorra, già attivo con laboratori tenuti in sicurezza, con un teatro costruito insieme, con un appezzamento di terreno coltivato nel Laboratorio “Terra terra”, con la “Dad solidale”, un modo per frequentare la scuola da lontano ma non in isolamento.

Ilaria Varriano

Le lezioni dei maestri di strada

«Makiguchi paragonava il dinamismo della creazione di valore a “un fiore di loto nel fango”, che sboccia fragrante, non contaminato dall’acqua fangosa da cui trae nutrimento».[ref]Cfr. D. Ikeda, Proposta di pace 2021, allegato a BS, 208, 34[/ref] Così, nel fango di una pandemia, educatori, insegnanti e genitori si sono trovati a reinventarsi la possibilità di alimentare i legami educativi e di veicolare valore attraverso schermi, registrazioni vocali e video. Succede allora che un piccolo ma agguerrito ateneo italiano, l'Università della Tuscia, realizza un progetto che viene finanziato dall’Europa per l’inclusione degli studenti dislessici. Il progetto nasce dalla volontà di un professore di Ingegneria, Giuseppe Calabrò, che scopre, grazie al percorso del figlio, di essere lui stesso un dislessico non riconosciuto. Come sostiene la filosofa Elena Pulcini, recentemente scomparsa: «La vulnerabilità è una risorsa che consente al soggetto di tornare a pensarsi in modo relazionale». Il fango del fiore di loto come occasione di nutrimento per tutti. Nella Proposta di pace 2019 il presidente Ikeda sostiene con forza l’iniziativa onu di rendere le università mondiali centri nevralgici per la realizzazione degli Obiettivi per lo sviluppo sostenibile, «porti di speranza e sicurezza nella società».[ref]Cfr. allegato a BS, 194, 32-33.[/ref] Parole che risuonano nel cuore di Marcella Barone, una collaboratrice dell’Università della Tuscia, aderente alla sgi, a cui viene proposto di occuparsi del progetto. L’obiettivo, dichiara, è rendere visibili gli invisibili fornendo strumenti di inclusione che rendano il mondo accademico accessibile a tutti: «Sviluppare una serie di strumenti e servizi che permettano agli studenti dislessici di essere nelle stesse condizioni dei loro colleghi e che si adattino alle esigenze del singolo studente». Scatta il primo lockdown e Marcella si trova a gestire il lavoro con due bambine in casa da seguire insieme a suo marito. La notte la dedica alla stesura del progetto – di cui è diventata la project manager – perché la scadenza incombe. Intorno alla sua pianificazione si incontrano professionalità interdisciplinari che danno alla luce VRAILEXIA,[ref]VRAILEXIA: acronimo per Virtual Reality, Artificial Inteligence, dysLEXIA (Realtà virtuale e Intelligenza artificiale a supporto di studenti universitari con dislessia)[/ref] un insieme di strumenti di supporto allo studio basati sull’intelligenza artificiale per studenti con difficoltà specifiche di apprendimento. Non solo il progetto viene presentato entro i termini, ma vince il finanziamento con un altissimo voto ottenendo riconoscimenti in tutto il mondo. «Il nostro rettore punta a far diventare l’ateneo un centro nevralgico per la realizzazione degli Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile – ha dichiarato Calabrò, responsabile scientifico del progetto – dove ogni studente trova le condizioni per esprimere al meglio il proprio potenziale. È in questa ottica che abbiamo deciso [...] di intraprendere iniziative come VRAILEXIA dove in maniera innovativa vogliamo rompere gli schemi ed essere promotori di una rete di Campus sostenibili» (Ansa). Parole in perfetta sintonia con quelle del nostro maestro.
Ora altri atenei si stanno organizzando per fare rete intorno al progetto, sottoscrivendo un protocollo di intesa in cui verranno identificate strategie inclusive per mettere gli studenti con disturbi specifici dell’apprendimento nelle stesse condizioni dei loro colleghi.
E Marcella, nel corso di questa impresa, ha trasformato una posizione lavorativa collaterale in una condizione di assoluta centralità professionale e umana, dentro un movimento che «mantiene viva la fiamma dell’educazione» come ci ispirano i nostri maestri della Soka Gakkai.

Giovanna Gobattoni


VRAILEXIA, la concretezza dell'inclusione

150 anni fa nasceva Tsunesaburo Makiguchi, pedagogista e fondatore della Soka Gakkai. Grazie alle sue pionieristiche intuizioni oggi le menti più illuminate considerano il momento educativo come palestra dove imparare a creare valore per vivere la dimensione della felicità. Una condizione da sperimentare proprio nel corso del processo stesso di apprendimento.

Per una crescita gioiosa

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