«In omaggio alla cultura della vostra grande nazione, mi concentrerò sulla massima espressione del genio prodotto dall'Italia nel Rinascimento, Leonardo da Vinci». Primo giugno 1994, Aula magna dell'Università di Bologna. Nella sua Lectio magistralis Daisaku Ikeda parla di come «lo sguardo universale» di quel maestro della «padronanza di sé» – di cui oggi abbiamo bisogno più che mai – lo elevasse al di sopra delle divisive dinamiche mondane dell’epoca per scoprire l’«universale nel particolare», seguendo e riproducendo nelle sue opere il movimento stesso della vita e della realtà che si forma, si sviluppa e si trasforma. Un «volo continuo della creatività», così lo definisce Ikeda, con un’espressione talmente ispiratrice da accendere in un gruppo di giovani di allora l’idea di chiamare così la loro pubblicazione, che ancora esiste con lo stesso nome. A distanza di trent’anni le analisi delineate da Ikeda sulla figura di Leonardo restano più che mai attuali e feconde, come testimoniano la vivacità e la freschezza delle riflessioni dei giovani chiamati oggi a dibatterne nella tavola rotonda che pubblichiamo di seguito alla conferenza, di cui riproponiamo un ampio estratto. Giovane dottorando era all'epoca anche Massimiliano Tarozzi, tra i principali promotori di quella conferenza e attualmente titolare della cattedra UNESCO di educazione alla cittadinanza globale proprio all'Università di Bologna: «Guardando indietro – ci dice nell'intervista che presentiamo a conclusione dello speciale – quel primo giugno 1994 è stato un punto di svolta decisivo per la mia carriera: allora non lo sapevo, ma ora sì». E aggiunge: «La speranza, un tema che ricorre nel discorso di Bologna come una virtù politica, è una dimensione ineliminabile da ogni idea educativa sulla cittadinanza globale: se non c’è quella, non si riescono a sviluppare gli strumenti per pensare a un futuro diverso».

Lo sguardo universale di Leonardo

Abbiamo bisogno del suo punto di vista

Siamo a cavallo tra il 1400 e il 1500, il Rinascimento è fiorito in Italia annunciando una nuova età per l’essere umano. Tra le colline cammina un uomo canuto, i suoi occhi scrutano il cielo con la stessa intensità con cui osserva i fili d’erba sotto i piedi: è Leonardo da Vinci, uno dei più grandi artisti di tutti i tempi, definito un genio universale capace di vedere l’invisibile e di catturare e rivelare l’anima umana. Nato il 15 aprile 1452, figlio illegittimo di un notaio e di una contadina, non poté accedere a un’educazione formale, riservata ai figli legittimi delle famiglie benestanti. Fu affidato al padre ma, per via dei troppi impegni di lavoro, questi chiese ai nonni di occuparsi della sua crescita. Tali difficoltà e limitazioni incisero sul carattere schivo di Leonardo, ma si rivelarono anche un’opportunità per godere di un’educazione non convenzionale che gli permise di esplorare liberamente una vasta gamma di interessi, dalla botanica all’ingegneria, dall’anatomia all’arte. A quattordici anni fu mandato a Firenze, dove iniziò il suo apprendistato presso la bottega di Andrea del Verrocchio. Si applicava con fervore, cercando di catturare ogni dettaglio degli edifici, dei paesaggi e delle persone che osservava. Il suo impegno non era volto solamente ad affinare le sue abilità artistiche: voleva sviluppare un modo di vedere il mondo che combinasse l’arte con la scienza. Dipingendo, scolpendo e studiando Leonardo non vedeva solo forme e colori, ma indagava l’essenza della natura. Innumerevoli gli studiosi appassionati alla sua vita e alle sue opere; tra loro lo storico dell’arte Carlo Pedretti, considerato uno dei massimi esperti, descrive così uno degli aspetti che più lo hanno reso celebre e affascinante: «Leonardo era un uomo del suo tempo, ma anche un visionario che guardava al futuro. Le sue idee spaziavano dai progetti di macchine volanti ai dettagli anatomici più minuti. La sua capacità di immaginare e progettare andava ben oltre le conoscenze tecnologiche dell’epoca, rendendolo una figura straordinariamente moderna e anticipatrice».



[ref]Citato in Leonardo: Arte e scienza, Giunti, 1998, p. 85.[/ref]



Nel 1482 Leonardo si trasferì a Milano al servizio di Ludovico Sforza. Dipinse capolavori come La vergine delle rocce e L’ultima cena, che esprimono l’estetica del Rinascimento e la profondità dell’osservazione umana che scava alle radici per rendere visibile ciò che visibile non è. Nel 1499, con la caduta degli Sforza, lasciò Milano e iniziò un periodo di peregrinazioni tra Mantova, Venezia e Firenze. Fu qui che dipinse la Monna Lisa, o Gioconda, il cui sorriso enigmatico è universalmente noto. Come libero cittadino del mondo, dal 1506 viaggiò ancora con il desiderio di contribuire al progresso dell’arte, della scienza e dell’ingegneria: in Italia (Milano e Roma) e in Francia, presso il Castello di Clos Lucé, vicino ad Amboise, dove morì il 2 maggio 1519. Leonardo amava dire: «Non esiste un talento perfetto senza una grande sofferenza».



[ref]Citato in Karl Jaspers, Leonardo, Descartes, Max Weber, Routledge and Keagan Paul, Londra, 1964, p. 39.[/ref]



&nbsp;Descrivendo la profondità del suo vissuto e la portata delle sue opere, Daisaku Ikeda scrive, rivolgendosi ai bambini e alle bambine: «La vita di Leonardo fu costellata di problemi e sfide. […] Questo genio dai molteplici talenti, che sviluppò le sue capacità in così tanti campi, era di fatto un genio del lavoro duro. Era bravissimo a imparare da cose diverse e aveva il dono di saper fare scoperte e di riuscire a studiare instancabilmente. […] Spero che anche voi coltiviate lo stesso desiderio di conoscenza, rivolgendo la vostra attenzione a tante cose, ai libri e alla natura. Oggi, di nuovo, provate a osservare il mondo che vi circonda con attenzione e gioite per ciò che imparate. In questo modo inizierete a intravedere il futuro radioso che vi aspetta» (BS, 182).

Leonardo da Vinci

La ricchezza di parlarne insieme: una fucina di pensieri ed esperienze

Il magazine Il Volo Continuo è la rivista digitale dell’Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai dedicata ai giovani italiani. La redazione, composta da ragazze e ragazzi, si impegna a trattare temi di attualità e cultura portando in superficie i punti di contatto con i princìpi della dottrina buddista.



PERCHÉ IL VOLO CONTINUO



Era il 1 giugno del 1994 quando una larga rappresentanza di giovani italiani, membri della Soka Gakkai partecipò, presso l’Università di Bologna, alla cerimonia di conferimento dell’Anello Dottorale a Daisaku Ikeda, presidente della SGI, che tenne una lectio magistralis incentrata sulla figura di Leonardo da Vinci. In quella primaverile giornata di sole il nostro maestro Ikeda sottolineò l’interrelazione tra lo sviluppo del singolo individuo e quello della rispettiva comunità, e di come lo sguardo universale di Leonardo si concretizzasse proprio grazie al suo impegno verso una continua crescita come essere umano. Affermò, inoltre, che vi erano due caratteristiche particolari che emergevano dalla personalità di Leonardo da Vinci, ovvero: “la volontà di essere padroni di se stessi” e il “volo continuo”, la ricerca costante, cioè, “di una nuova compiutezza”.



COME REDATTORI DEL MAGAZINE ilvolocontinuo.it DESIDERIAMO METTERE LA RICERCA DI SEMPRE NUOVI EQUILIBRI ALLA BASE DELLA NOSTRA CRESCITA E, ISPIRATI DA QUESTO SPIRITO, MANTENERE VIVE PER SEMPRE QUESTE QUATTRO DETERMINAZIONI:



1 - Come giovani della Soka Gakkai difendiamo i diritti fondamentali dell’essere umano, combattendo ogni discriminazione, rispettando e proteggendo la dignità della vita.



2 - Trattando argomenti di attualità nell’ottica buddista desideriamo che le persone trovino ispirazione e coraggio nel mettere la propria crescita personale al servizio degli altri e dello sviluppo delle loro comunità rompendo lo schema egoistico che porta a ricercare il benessere anche a discapito del prossimo.&nbsp;



3 - Attraverso una forte convinzione, sostenuta da una quotidiana riforma interiore, vogliamo dialogare con tutti i giovani italiani con l’intento di far conoscere la visione buddista della vita, creando un legame profondo con ciascun lettore.&nbsp;



4 - A partire dall’esperienza dei tre maestri fondatori, vogliamo raccontare come la Soka Gakkai contribuisce alla pace, alla cultura e all’educazione nel mondo.&nbsp;

Manifesto de Il Volo Continuo

Professore ordinario presso l'Università di Bologna, titolare della Cattedra UNESCO di Global Citizenship Education in Higher Education



Educare alla cittadinanza globale significa formare competenze e comportamenti per comprendere e affrontare le sfide della globalizzazione, conoscerne le opportunità e sfruttarle. È un’educazione ad assumere un nuovo sguardo che fa vedere le connessioni fra i fenomeni, un approccio che mira a cambiare il modo in cui siamo abituati a dare senso al mondo e ad agirvi, con l’ambizione di renderci agenti di cambiamento della realtà.



Da esperto del tema, e soprattutto appassionato, puoi darci la tua definizione di “cittadinanza globale”, espressione che usiamo spesso ma che proprio per questo può aver perso parte del suo significato?L’idea di cittadinanza globale, chiariamolo subito, da un punto di vista giuridico o politico è un ossimoro privo di senso, perché le cittadinanze per definizione sono nazionali, segnate dal fatto di possedere un passaporto. Se parlare di cittadinanza globale è una contraddizione in termini, è però una contraddizione ricca di implicazioni perché definisce un senso di appartenenza al pianeta Terra nei suoi aspetti ambientali e sociali di dimensione più ampia rispetto alla limitatezza della nazione. Consente di vedere la profonda interconnessione fra i vari fenomeni e mette in grado di assumersi responsabilità e di agire per affrontare le sfide che la dimensione globalizzata in cui tutti siamo collocati ci impone. Quindi è un’idea priva di significato giuridico ma con un forte potenziale dal punto di vista sociale e politico e soprattutto, per quel che mi riguarda, educativo.



In cosa consiste l’educazione alla cittadinanza globale?L’educazione alla cittadinanza globale è un approccio che mira a formare conoscenze, competenze, abilità, comportamenti che mettano in grado gli studenti di comprendere e affrontare le sfide della globalizzazione e di conoscerne e sfruttarne le opportunità. Non si tratta di un nuovo contenuto educativo ma è principalmente un’educazione allo sguardo, a un punto di vista che consente di vedere le connessioni fra i fenomeni. È un approccio trasformativo che mira a cambiare il modo con cui le persone danno senso al mondo e al modo in cui vi agiscono, un apprendimento che ha l’ambizione di rendere i discenti agenti di cambiamento per trasformare la realtà in cui vivono. Negli ultimi vent’anni la comunità internazionale sta fortemente spingendo in questa direzione. Per trovare una data d’inizio di tale ondata di interesse, nel 2012 l’allora Segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki Moon lanciò la Global Education First Initiative, una proposta in cui identificava tre priorità: mirare alla qualità dell’educazione, garantire l’educazione primaria per tutti e promuovere la cittadinanza globale. Da quel momento le organizzazioni internazionali prima e gli Stati nazionali poi hanno cominciato a misurarsi con l’argomento, cercando di trasformare questa indicazione in politiche e pratiche educative.&nbsp;



È un approccio interdisciplinare? Lo è per definizione, perché quelle conoscenze, quelle competenze, quelle abilità a cui facevo riferimento devono venire da una connessione fra le varie discipline, da un approccio integrato tra i saperi.&nbsp;



Perché è così importante in questo momento? Nel rapporto UNESCO del 2021 intitolato “Re-immaginare i nostri futuri insieme: un nuovo contratto sociale per l’educazione”, che aspira a dare le linee guida a livello mondiale, si evidenziano i limiti dell’educazione del ‘900 e la necessità di attrezzare i cittadini per confrontarsi con i problemi che il secolo scorso ha lasciato e che non possono essere risolti soltanto con scelte politiche ed economiche. Sostanzialmente questo documento dice che l’educazione può costituire quel sapere trasformativo in grado di far fronte a tali sfide a patto che sia capace di superare le proprie deficienze. In analoga direzione va la revisione di un documento molto importante del 1974, approvato dall’Assemblea generale dell’UNESCO lo scorso novembre, intitolato “Raccomandazione sull’educazione alla pace e ai diritti umani, alla comprensione internazionale, alla cooperazione, alle libertà fondamentali, alla cittadinanza globale e allo sviluppo sostenibile”. Quindi l’UNESCO, come organizzazione sovranazionale delle Nazioni Unite responsabile di educazione, cultura e scienza, ha dato indicazioni forti sulla necessità di ampliare la prospettiva educativa in questo senso. Per far fronte a sfide che sono necessariamente globali e che richiedono risposte di tipo globale è fondamentale attrezzarsi con una prospettiva di educazione globale. Pensiamo ai cambiamenti climatici e a tutti quei problemi che rientrano in una “comunità di destino” non soltanto nazionale,  e che ci rendono responsabili di ciò che avviene nel pianeta. Ma anche le diseguaglianze globali, le migrazioni globali, i diritti umani, le diseguaglianze di genere, le guerre, le paci, i conflitti, le tensioni internazionali non possono essere comprese da un punto di vista unicamente nazionale. Sono tutte questioni strettamente interconnesse, e l’educazione alla cittadinanza globale sposta lo sguardo a questa interconnessione dei fenomeni cercando di vederli nella loro globalità.



L’interesse per questo argomento è nato allora, quando fosti tra i promotori della Lectio magistralis di Ikeda all’università di Bologna? O avevi già una passione per questo tema? All’epoca, nel 1994, avevo appena vinto il dottorato di ricerca, ero uno studente confuso e per quanto riguarda i miei interessi non sapevo bene che cosa avrei voluto fare, quali piste avrei voluto sviluppare. Ora se guardo indietro vedo che tutti i puntini si sono uniti in una forma armonica. L’idea della cittadinanza globale di cui parlava il presidente Ikeda mi risuonava familiare, ma mai avrei pensato che l’itinerario professionale di ricerca e accademico che poi avrei seguito mi avrebbe portato dopo tutti questi anni a ritrovare in questo tema quella cornice di senso che unisce perfettamente i miei interessi professionali. Al punto che adesso, da qualche anno, ho la cattedra di Educazione alla cittadinanza globale, la prima che l’UNESCO ha assegnato su questo tema, proprio all’Università di Bologna. Guardando indietro, quel primo giugno 1994 è stato un punto di svolta decisivo per la mia carriera: allora non lo sapevo, ma ora sì.



Lo scorso giugno, nel celebrare i trent’anni di quel discorso, hai sottolineato come le tre conferenze tenute da Ikeda nel 1993 ad Harvard, nel 1994 a Bologna e nel 1996 alla Columbia University siano strettamente legate. Nella proposta di Daisaku Ikeda sull’educazione alla cittadinanza globale credo che quei tre discorsi vadano pensati insieme, come un continuum. Forse è stato proprio un disegno, l’intenzione di comunicare alla comunità accademica e al mondo occidentale quale potesse essere il contributo della tradizione buddista nell’affrontare le crisi del ‘900, un secolo attraversato da tragedie inenarrabili, per evitare che si ripetessero. Questi tre discorsi, letti adesso, hanno una piena linearità perché il primo, Il Buddismo mahayana e la civiltà del XXI secolo, illustra il contributo filosofico del Buddismo affinché un pubblico occidentale possa comprenderlo, in particolare il concetto mahayana dell’origine dipendente, una chiave di lettura importantissima per vedere la profonda interconnessione fra i fenomeni. Nel discorso di Bologna Ikeda introduce il tema della cittadinanza globale e, prendendo a esempio Leonardo, declina quei princìpi che ad Harvard aveva enunciato come strumenti interpretativi nella prospettiva di qualità personali e virtù educative da sviluppare per poter affrontare quelle sfide. Il tema dell’interconnessione torna poi nella conferenza alla Columbia, tenuta al Teachers College quindi in un dipartimento di pedagogia, dove spiega in maniera più precisa e sistematica la sua proposta di educazione alla cittadinanza globale.&nbsp;



In quest'ultima, intitolata Riflessioni sull'educazione alla cittadinanza globale, Ikeda ha evidenziato gli elementi essenziali per la cittadinanza globale: la saggezza di percepire l’interconnessione di ogni forma di vita; il coraggio di non negare la differenza ma di rispettare e comprendere le persone provenienti da culture diverse crescendo grazie a tali incontri; la compassione che permette di mantenere un’empatia ricca di immaginazione, che vada oltre l'ambiente immediato e si estenda a coloro che soffrono in luoghi distanti. Cosa ne pensi? Sono presenti questi punti nei corsi di laurea sulla cittadinanza globale? Concordo nell’identificare l’enunciazione di questi elementi come il punto centrale di quel discorso. Non a caso sono le tre virtù del bodhisattva e Ikeda dichiara testualmente che il bodhisattva è un predecessore del cittadino globale le cui caratteristiche, saggezza, coraggio e compassione, sono qui declinate secondo delle virtù moderne che rispondono alle priorità della contemporaneità. L’obiettivo dei processi educativi dovrebbe essere quello di formare quel tipo di virtù. E questo risuona con l’obiettivo UNESCO del carattere trasformativo dell’educazione alla cittadinanza globale. È anche interessante notare che pochi anni dopo (2002) la filosofa Martha Nussbaum, nel saggio Education Citizenship in an Era of Global Connection, dice che per formare i cittadini in un’era di connessione globale sono necessarie tre capacità che sostanzialmente riprendono quelle nominate dal presidente Ikeda. La prima è la capacità di giudicare criticamente le proprie tradizioni, che richiede il coraggio di saper distaccarsene e di accettare la diversità. La seconda è imparare a concepirsi come esseri umani, e qui Nussbaum identifica l’importanza della saggezza per riuscirci. Come terzo elemento lei parla di dotarsi di un’immaginazione narrativa per mettersi nei panni degli altri, per provare compassione. È interessante come ci sia una sostanziale continuità tra le tre idee di Ikeda e quelle di Martha Nussbaum. Quanto queste sono presenti nei curricula scolastici, nei programmi di insegnamento? Credo che molto si debba ancora fare, perché nei contesti educativi formali si ha un certo timore a promuovere tipi di insegnamento con una forte componente trasformativa. C’è sempre la paura di rischiare di indottrinare, di influenzare. Sono invece profondamente convinto che sia importante sviluppare nei discenti una presa di distanza dalla propria condizione attuale affinché attraverso virtù nuove, modi diversi di interpretare il proprio stare nel mondo, possano assumere un apparato critico per modificare le realtà in cui siamo ora. La saggezza, il coraggio e la compassione sono obiettivi educativi che rimangono estremamente importanti.



L’educazione alla cittadinanza globale permette di sviluppare uno spirito autenticamente nonviolento, che cerca di approfondire la complessità dei problemi, dei conflitti, andando oltre gli schieramenti e le dicotomie? Decisamente sì. È uno dei suoi scopi principali e oggi, nel 2024, quello che emerge con più forza drammatica. L’educazione alla cittadinanza globale è una sorta di termine ombrello che ricomprende diversi approcci, tra cui l’educazione interculturale, ambientale, di genere, l’educazione alla giustizia sociale, ai diritti umani, tutti temi fortemente interconnessi fra loro. Anche l’educazione alla nonviolenza e alla pace, che oggi rappresenta una priorità assoluta, per essere concreta ha bisogno di misurarsi con quegli altri ambiti. Troppo spesso invece nella scuola questi temi si affrontano in modo separato, con esperti che insegnano l’una o l’altra cosa in modo indipendente. Credo che la sfida della cittadinanza globale, quello sguardo di cui parlavo all’inizio estremamente evidente nella proposta di Ikeda nel discorso di Bologna, vada in questa direzione olistica e interconnessa.



Come se la cittadinanza globale fornisse degli strumenti fondamentali all’educazione alla nonviolenza… Proprio su questo tema la lezione di Bologna oggi mi dice cose diverse rispetto a quelle che pensavo negli anni ‘90 o nei primi anni 2000, quando non eravamo direttamente coinvolti in conflitti belligeranti. Fare educazione alla nonviolenza sotto le bombe è diverso dal farlo in un momento in cui si parla della pace come qualcosa da mantenere e preservare, è un cambio di paradigma notevole. Rileggendo quel discorso nell’ottica attuale emergono con grande forza quei princìpi della tradizione buddista che offrono una solida base filosofica al pensiero dell’educazione alla cittadinanza globale. L’interconnessione e il superamento del pensiero dicotomico sono una solidissima base teoretica, filosofica, pedagogica per costruire un discorso sull’educazione alla cittadinanza globale ben fondato che non sia soltanto una dichiarazione vuota di princìpi astratti.&nbsp;



C'è qualcos'altro che ti ha particolarmente colpito nella conferenza di Bologna?&nbsp; Ho sempre fatto fatica a capire perché Ikeda avesse voluto concludere il suo discorso con quella terzina della Divina commedia apparentemente fuori contesto, dove Dante si risveglia terrorizzato dal sonno che l’aveva portato in Purgatorio e Virgilio, il suo maestro, lo rassicura dicendogli di guardare al futuro con occhi positivi. Un richiamo alla speranza come modalità per superare la paura. Questa terzina oggi, nel 2024, è estremamente potente; penso ai miei studenti, a come l'attuale generazione si senta legittimamente schiacciata da una profonda paura e sfiducia nel futuro e nella possibilità di cambiarlo. Noi avevamo la capacità di immaginarci un futuro, pensavamo che finita l’università, con sforzo e impegno saremmo riusciti a costruire qualche cosa. Questa possibilità di immaginazione oggi ai giovani non è data, vedo sempre più un senso di rassegnazione, di pessimismo, un vivere alla giornata per l’incapacità di vedere il futuro. Ecco allora che quel messaggio di speranza in chiusura l’ho trovato estremamente potente. Mi ricorda quello che l’antropologo Arjun Appadurai, uno degli esperti che ha partecipato alla definizione del rapporto dell’UNESCO sui futuri dell’educazione, dice dell’importanza di formare la capacità di aspirare, cioè di facilitare quei modi di pensare, sentire, agire che accrescono gli orizzonti della speranza, che espandono il campo dell’immaginazione, che producono una maggiore equità. La speranza, la capacità di aspirare, è un tema che ricorre nel discorso di Bologna non solo come una propensione superficiale e un po’ illusoria, ma come una virtù politica che invita a immaginare un modo diverso di vivere e a trovare la forza di lottare per costruirlo. Un messaggio potentissimo connesso con la visione di educazione alla cittadinanza globale come sapere trasformativo, come qualcosa che possa effettivamente portare a cambiare. La dimensione della speranza è ineliminabile da ogni idea educativa sulla cittadinanza globale: se non c’è quella, non si riescono a sviluppare gli strumenti per pensare a un futuro diverso. (Maria Lucia De Luca)



[box] MASSIMILIANO TAROZZI è professore ordinario e titolare della Cattedra UNESCO di Global Citizenship Education in Higher Education istituita nel 2021 presso l'Università di Bologna. È inoltre docente di Pedagogia Generale nel Corso di laurea in Filosofia e insegna Competenze di Cittadinanza Globale in un corso trasversale per tutti gli studenti magistrali dell’ateneo bolognese. È coordinatore dell’Advisory Board dell’Academic Network of Global Education and Learning (ANGEL) nonché Visiting Professor presso l'Institute of Education dell'University College London. Presso l’Università di Bologna ha fondato e dirige l'International Research Centre on Global Citizenship Education.[/box]

Un’educazione che ti cambia lo sguardo

1 giugno 1994, Università di Bologna. Nella sua Lectio magistralis Daisaku Ikeda parla di come «lo sguardo universale» di quel maestro della «padronanza di sé» lo elevasse al di sopra delle divisive dinamiche mondane dell’epoca per scoprire l’«universale nel particolare», riproducendo nelle sue opere il movimento stesso della vita e della realtà che si forma, si sviluppa e si trasforma.

Lo sguardo universale di Leonardo

Contenuto riservato agli abbonati