Mai come oggi il vivere comune sembra incanalato in un solco di indifferenza nei confronti delle aspettative e delle speranze delle persone. Frustrazione, sfiducia e senso di impotenza portano rabbia e rassegnazione, nonché a delegare all'esterno sia la responsabilità sia la soluzione di ciò che accade.
Ma il Buddismo insegna che l'azione individuale, nel presente, può fare la differenza. Un'azione che comprende pensieri, parole e atti concreti. Secondo il principio della trasformazione del karma, infatti, tutto dipende dalla direzione del nostro cuore oggi, che può cambiare non solo il panorama sotto i nostri occhi, ma anche quello futuro. Agendo qui e ora, e assumendoci la responsabilità di farlo, possiamo imprimere un nuovo slancio alla nostra vita e dare una nuova direzione alla società.
Nelle pagine seguenti dedichiamo ampio spazio alla trattazione del principio della trasformazione del karma nel Buddismo di Nichiren e all'analisi di alcuni punti in particolare: l'importanza di affrontare le difficoltà; la coerenza tra ciò che si fa e ciò che si professa, in base ai princìpi secondo cui la fede è uguale alla vita quotidiana e il Buddismo si manifesta nella società; l'esempio del bodhisattva Mai Sprezzante come modello di comportamento; la relazione di non dualità di maestro e discepolo per imparare a vivere in prima persona l'insegnamento del Budda.

L'azione come rivoluzione

<strong>Il karma non è un fardello che dobbiamo trascinarci dietro per tutta la vita, ma un'occasione per manifestare la nostra natura incontaminata. Quando questa potente condizione vitale emerge in noi neutralizza gli effetti del nostro karma negativo, rendendoli inoffensivi. Questa è la dottrina della trasformazione del karma secondo Nichiren Daishonin, così come è stata spiegata dal presidente Ikeda ne <em>Il mondo del Gosho</em> (p. 432 e seguenti) e successivamente in ulteriori approfondimenti a cura del Dipartimento di studio della Sgi, che abbiamo pubblicato su <em>Buddismo e società</em>. Ne presentiamo qui alcuni punti di particolare interesse</strong>
<h2></h2>
<h2></h2>
<h2><strong>Per non subire la realtà</strong></h2>
<h3>La trasformazione del karma</h3>
<strong><em>Poter trasformare il destino è un anelito universale da sempre condiviso dagli esseri umani.</em></strong>
<strong><em>In qualche misura, tutte le costruzioni filosofiche e religiose si possono considerare un tentativo di risolvere questo problema. Il Buddismo di Nichiren parla del karma per insegnarci a trasformarlo (vedi MDG, 432-442)</em></strong>

Il principio della trasformazione del karma è uno degli insegnamenti che mettono maggiormente in luce l’umanesimo del Buddismo di Nichiren. In esso è contenuto il presupposto per realizzare la trasformazione interiore della nostra vita. Il Daishonin lo espose all’epoca dell’esilio di Sado perché tantissimi discepoli stavano affrontando una dura repressione; così si concentrò sulla spiegazione del concetto di karma in quanto origine della sofferenza.
Ma qual è l’esatto significato della parola karma?
Il termine deriva dal sanscrito e significa “atto” o “azione”. Il concetto compare per la prima volta nel pensiero indiano antico. Quando il Buddismo fu trasmesso in Cina il termine venne tradotto con il carattere cinese <em>ye</em> (giapponese <em>go</em>) che significa azioni intese come acquisizioni o risultati. Originariamente comprendeva sia il karma positivo sia quello negativo, ma nel tempo ha acquisito il significato primario di karma negativo.
Il Sutra del Loto insegna che, senza alcun dubbio, si può trasformare il proprio karma. È per questa precisa ragione che il Daishonin affronta l’argomento.

&nbsp;
<h2><strong>Un tuffo dove l’acqua è</strong> (da sempre) <strong>più blu</strong></h2>
<h3>La causalità generale e la causalità più grande</h3>
<em><strong>Secondo la legge generale di causa ed effetto precedente al Sutra del Loto a ogni retribuzione in questa vita corrisponde una causa posta in passato. L’insegnamento del Daishonin si basa su una legge causale più grande che consente di trasformare immediatamente tutto il karma negativo, se viene avvolto dal mondo di Buddità (vedi MDG, 453-458)</strong></em>

In <em>Lettera da Sado</em> il Daishonin esprime il principio della trasformazione del karma. E lo fa in due fasi: prima descrive come questo principio viene esposto negli insegnamenti buddisti precedenti al Sutra del Loto, poi rivela come viene spiegato nel Sutra del Loto e nella propria dottrina.
«Chi scala un’alta montagna, alla fine deve discenderne. Chi non rispetta gli altri sarà a sua volta disprezzato. Chi critica quelli che hanno un bell’aspetto nascerà brutto. Chi ruba il cibo e le vesti altrui cadrà sicuramente nel mondo degli spiriti affamati. Chi deride una persona che osserva i precetti ed è degna di rispetto nascerà in una famiglia povera e di umile condizione sociale. Chi calunnia una famiglia che abbraccia l’insegnamento corretto nascerà in una famiglia che nutre opinioni errate. Chi ride di coloro che osservano fedelmente i precetti nascerà plebeo e sarà perseguitato dal sovrano. Questa è la legge generale di causa ed effetto» (<em>Lettera da Sado</em>, RSND, 1, 270).
Quella qui descritta dal Daishonin è la legge “generale” di causa ed effetto per cui a ogni retribuzione che si riceve nella vita presente corrisponde una causa specifica posta in questa o in una vita passata. È un principio piuttosto chiaro, ma difficile da applicare nella realtà. Se per ciascuna cattiva azione compiuta in passato si ricevesse una retribuzione specifica, occorrerebbe un tempo incalcolabile per espiare tutti i singoli casi di karma negativo. Inoltre c’è il rischio nel frattempo di accumularne altro. In definitiva, finché si parte dalla legge generale di causa ed effetto, il modo per trasformare il karma continuerà a sfuggirci. Il Daishonin afferma chiaramente che il suo insegnamento non si basa su questo tipo di causalità.
Infatti continua: «Tuttavia le mie sofferenze non sono ascrivibili a questa legge causale. Nel passato ho disprezzato i devoti del Sutra del Loto, ho anche messo in ridicolo, ora esaltandolo ora denigrandolo, il Sutra del Loto, un sutra splendido come due lune una accanto all’altra, come due stelle congiunte, come due monti Hua uno sull’altro, come due gemme unite. È per questo che ho sperimentato le otto sofferenze citate» (<em>Ibidem</em>). In sostanza, dichiara che la causa negativa fondamentale è l’offesa nei confronti del Sutra del Loto.
Ma cosa significa? Cosa significa offendere la Legge? Significa non credere, dubitare dell’esistenza della natura di Budda in noi e negli altri. Questo dubbio è la causa fondamentale che impedisce al mondo di Buddità di emergere e che genera vari tipi di karma negativo. Sradicare questo dubbio e far emergere il mondo di Buddità è la legge causale più importante che ci rende possibile trasformare il karma. In questo modo il karma negativo viene avvolto dal mondo di Buddità e purificato attraverso il suo potere.
Per fare un’analogia, l’apparizione del mondo di Buddità è come il sorgere del sole. Quando il sole sorge, le stelle che brillavano nel cielo notturno svaniscono immediatamente, come se non esistessero più. In realtà non sono sparite, sono soltanto diventate invisibili. Così come la luce delle stelle e della luna sembra svanire quando sorge il sole, quando facciamo emergere lo stato di Buddità nella nostra vita cessiamo di soffrire per gli effetti negativi di ogni singola offesa passata. Questo non nega né contraddice la legge generale di causa ed effetto, che rimane una delle premesse fondamentali del Buddismo. Essa viene però inclusa in una “legge causale più grande”, la legge causale del conseguimento della Buddità, il principio causale del Sutra del Loto e della Legge mistica.
Il presidente Toda definiva una persona comune che vive basandosi su questa causalità più grande "un comune mortale illuminato sin dal tempo senza inizio", cioè una persona risvegliata all’essenza fondamentale della sua vita, capace di andare oltre alle cause e agli effetti passati e di manifestare nella sua vita la simultaneità di causa ed effetto facendo ritorno al lontano passato del tempo senza inizio.
Dice il Daishonin: "Tempo senza inizio significa non creato e privo di ornamenti, che rimane nel proprio stato originale" (cfr. <em>La raccolta degli insegnamenti orali</em>, BS, 117, 54). Sembra un concetto estremamente difficile, ma “tempo senza inizio” si riferisce semplicemente alla nostra condizione originaria, libera da ogni influenza esterna. Poiché il Budda è la vita stessa, quando ci risvegliamo alla condizione originale della nostra vita tutte le cause e gli effetti intermedi spariscono e il Budda di Myoho-renge, la simultaneità di causa ed effetto, diviene manifesto.
Per “un comune mortale illuminato dal tempo senza inizio” l’esistenza del karma non è la preoccupazione principale, visto che i suoi effetti possono venire assorbiti dalla luce della Buddità. Tutt’altra cosa è cercare di evitare il proprio karma, perché ciò non fa che ritardarne la trasformazione.

&nbsp;
<h2><strong>Guardare il karma bene in faccia</strong></h2>
<h3>Sfidando le difficoltà cambiamo il ruolo del destino</h3>
<em><strong>Nel Buddismo del Daishonin possiamo rivelare la Buddità recitando Daimoku e mettendo la nostra vita in contatto con il Gohonzon. </strong><strong>Ma c’è una grande differenza fra saperlo in teoria e sperimentarlo nel concreto. Affrontando direttamente le difficoltà trasformiamo il karma in missione e cambiamo il ruolo del destino </strong><strong>(vedi MDG, 442-462)</strong></em>

L’essenza del Buddismo di Nichiren è considerare il “destino” una propria responsabilità. Questo insegnamento ci insegna a riflettere molto attentamente sulle nostre azioni usando come motore della trasformazione il potere della Legge che la nostra vita possiede. In sostanza, per trasformare il karma dobbiamo guardarlo bene in faccia, fronteggiandolo direttamente; affrontandolo a testa alta, possiamo far sgorgare lo stato vitale della Buddità. Immergendoci nelle profondità della nostra vita costruiamo il «palazzo della nona coscienza, l’immutabile realtà che regna su tutte le funzioni della vita» (<em>Il reale aspetto del Gohonzon</em>, RSND, 1, 738). “L’immutabile realtà” indica la verità fondamentale libera da tutte le illusioni, lo stato vitale che Nichiren ha conseguito come devoto del Sutra del Loto, e che è identico alla realtà immutabile. Solo così si realizza la propria rivoluzione umana, cioè si affina la propria umanità.
La nostra epoca è caratterizzata da una spiritualità superficiale e priva di radici. Il messaggio del Daishonin è di considerare difficoltà e persecuzioni come un’opportunità per crescere e diventare persone di maggiore profondità. Più difficoltà si incontrano più possiamo migliorarci come esseri umani. Così dovrebbe vivere chi pratica il Buddismo del Daishonin. Questo non vale soltanto per le difficoltà e le persecuzioni che si incontrano per amore del Buddismo, ma anche per qualsiasi difficoltà ci si trovi di fronte nella vita. In genere ci sono due modi di affrontare i problemi. C’è chi di fronte alla difficoltà prova risentimento e rabbia nei confronti del mondo che lo circonda e chi invece usa la situazione per elevarsi spiritualmente.
I momenti di maggiore sofferenza sono quelli in cui possiamo arricchire di più la nostra umanità. «Una bella spada si ottiene battendo il ferro incandescente» (<em>Lettera da Sado</em>, RSND, 1, 269): questo è uno dei concetti essenziali del principio della trasformazione del karma secondo Nichiren.
Per questo le grandi difficoltà sono occasioni senza pari, perché mentre le affrontiamo possiamo manifestare l’immenso stato vitale della Buddità, che come il sole ha il potere di inglobare qualsiasi altra fonte di luce. Mentre affrontiamo la vita cercando di far emergere la nostra Buddità non solo ripaghiamo il nostro debito karmico, ma lo convertiamo da negativo a positivo. Ciò è possibile unicamente perché la natura di Budda esiste nella vita di ogni persona: non ci sarebbe trasformazione del karma senza la fede nella nostra natura illuminata (e illuminante!).
Chi pratica il Buddismo del Daishonin sa che si può rivelare la Buddità recitando Daimoku e mettendo la propria vita in contatto con il Gohonzon. Ma c’è una grande differenza fra saperlo teoricamente e sperimentarne il potere personalmente.
È come guidare: quando riceviamo la patente possiamo in teoria guidare, ma solo con la pratica impariamo a farlo bene. Lo stesso vale nel Buddismo: è affrontando concretamente il nostro karma che possiamo acquisire la forza per superarlo. È venendovi direttamente in contatto che possiamo sviluppare un’impareggiabile capacità di tenere testa a qualsiasi problema.
Inoltre, le azioni che compiamo per affrontare il nostro karma possono diventare una fonte d’ispirazione per innumerevoli altre persone, acquistando le sembianze di una missione.
Chi continua ad avanzare considerando qualsiasi cosa come parte della propria missione sta procedendo verso la trasformazione del proprio destino (passato, presente e futuro) e di quello di chi ci prende ad esempio.

&nbsp;
<h2><strong>Per afferrare la Legge con la vita</strong></h2>
<h3>La relazione di non dualità di maestro e discepolo</h3>
<em><strong>Come facciamo a vivere in accordo con la Legge mistica? Se entriamo in sintonia con il modo </strong><strong>di vivere del maestro, che conduce un’esistenza basata su un’immensa missione, possiamo arrivare ad afferrare la Legge dentro di noi (vedi MDG, 461)</strong></em>

Come abbiamo visto, la causalità più grande, quella capace di trasformare immediatamente tutto il karma che provoca sofferenza, si innesca nel momento in cui accendiamo il sole della Buddità, ovvero viviamo in accordo con la Legge mistica del Sutra del Loto. Anche per questo motivo la relazione tra maestro e discepolo nel Buddismo è così cruciale. Il maestro, nel Buddismo, è qualcuno che agisce in maniera esemplare e conduce una vita basata su un’immensa missione. Il discepolo impara sinceramente da lui e si sforza di entrare in sintonia con la sua maniera di vivere. È così che può giungere ad afferrare la Legge con la sua stessa vita. Anche per ciò questa relazione è al cuore stesso del Buddismo (su quest'ultimo argomanto vedi anche l'articolo <em>Ogni cosa è illuminata</em>).
(a cura di Marina Marrazzi)

Quell'attimo di eterno che cambia la vita

«Per un buddista la sconfitta non consiste nell’avere difficoltà ma piuttosto nel non affrontarle. Se fuggiamo dalle difficoltà senza lottare, esse diventano veramente il nostro karma» (<em>Cos’è la rivoluzione umana</em>, Esperia, p. 81). Quando ho letto questa frase di Daisaku Ikeda, mi sono fermata. L’ho riletta, e poi ancora una volta. Ho preso subito una matita, l’ho sottolineata e mi sono sentita profondamente sollevata. Ho cercato di sviscerare quel sentimento e alla fine ho capito da cosa mi alleggeriva: dal pensiero che per vincere sia indispensabile raggiungere risultati sensazionali. Ma non è necessariamente così, perché la decisione di affrontare le circostanze che viviamo è di per sé la nostra grande risoluzione.
Ci sono momenti in cui il dubbio ci assale, tanto da pensare di non aver deciso affatto. In quel momento il “grande gesto” che possiamo fare verso la nostra vita è aprire il Gohonzon e iniziare a recitare Daimoku. Quella sola azione permette al karma di non consolidarsi, a quella sofferenza di non diventare il mio destino, perché subito, anche se in quel momento non lo vedo, ho inciso la causa per bloccarla; non solo per me, ma per chi mi sta intorno, i miei futuri figli, i nuovi amici che incontrerò. Metto un punto a quella dinamica della vita. Decido che quella sofferenza non mi definisce.
Ma come faccio a capire se in questo momento sono passiva rispetto a quello che mi sta capitando, bello o brutto che sia, o sono la vera regista del mio karma? Anche se non ne sono consapevole, quella “piccola” azione di recitare il primo Nam-myoho-renge-kyo sta creando un circolo virtuoso intorno a me, anche mentre soffro per grandi dolori o gioisco per immense vittorie, perché sicuramente sceglierò un pensiero, una parola e un’azione più calorosa, più giusta, più altruista nei confronti di chi mi sta intorno. Continuando nella pratica buddista, nonostante tutto, mi alleno a mettere a tacere il mio piccolo io a favore dell’amore per l’altro, per la vita, per il mondo intero.
È così che scrivo la mia personale storia di vita, cambio le tendenze che mi immobilizzano, le trasformo e le rendo luminose. Ma questa rivoluzione avviene una volta per tutte? Possiamo incidere la parola “fine” nel percorso verso la trasformazione del karma? Personalmente l’espressione “cambiare il karma” la collego immediatamente a un’immagine ben definita: la fine, la vittoria, il traguardo. Invece di collegarla allo stato vitale. Questo meccanismo mi porta a rimandare, pensando: «Quando avrò raggiunto quell’obiettivo starò bene». Ma nel frattempo che succede?
«Nella frase “coerenza dall’inizio alla fine”, “inizio” indica la radice del male e la radice del bene, mentre “fine” indica l’effetto del male e l’effetto del bene. Una persona che si è completamente risvegliata alla natura del bene e del male dalle radici ai rami e alle foglie è chiamata un Budda» (RSND, 1, 993).
Questa frase è come se mi avesse risposto, dicendomi che quel “nel frattempo” è la coerenza, è quella la meta, la fine, è quella la lotta per trasformare il karma.
È lo stato vitale che mi permette di rimanere coerente con la strada che ho deciso di percorrere, senza cambiare rotta a causa delle interferenze dell’ambiente o della mia mente spaventata. È proprio lo stato vitale che alimenta la nostra convinzione, che grazie a esso torna a essere più nitida ai nostri occhi, tanto da farci godere dell’intero percorso verso la continua trasformazione del karma, un Daimoku alla volta. (Rossella Maci)

Tutto accade nel frattempo

Da una parte un grande corpus di testi, dal Sutra del Loto ai Gosho scritti da Nichiren Daishonin ai suoi discepoli, ai volumi e agli articoli del presidente Ikeda. Dall’altra la vita. Da un lato una scelta spirituale, l’adesione a un elevato profilo etico, dall’altro le asperità e la dispersione del quotidiano.
Uno degli aspetti fondamentali di questa pratica buddista però si trova nel suo non essere consegnata a un’esistenza teorica con generali agganci alla realtà, bensì nel suo ramificarsi e fiorire in mezzo alle cose. La parola buddista si fa immediatamente concreta e il praticante è invitato, dalle scritture e dalle esperienze, a trasformarla in azione, a dare ai princìpi una funzione attiva.
Tra le parole e le azioni si colloca, come un tessuto connettivo fertile e vibrante, il comportamento.
Il nostro comportamento è in buona parte lavorato e levigato nel tempo dalla consuetudine e dalla adesione al pensiero buddista, dalla recitazione quotidiana, dall’appuntamento con Gongyo, in apertura e chiusura delle nostre giornate. Quelli che chiamiamo benefici invisibili si manifestano silenziosamente in un agire che attraverso la pratica trova una nuova definizione. Cambiamo, senza rendercene conto, ognuno a suo modo, secondo il punto dal quale è partito, più o meno buio, più o meno chiuso dalla sofferenza, irrigidito in quella che sembrava l’unica posizione possibile.
Nel momento in cui accogliamo le parole buddiste e le facciamo agire nella nostra vita le gabbie cominciano a scricchiolare, muoviamo passi diversi, ci relazioniamo in un modo nuovo.
È il nostro comportamento, così orientato, che ci permette di praticare «il Sutra del Loto ventiquattro ore al giorno», come Nichiren Daishonin invitava a fare Shijo Kingo nel Gosho dove affermava che «nessuna cosa che riguardi la vita o il lavoro contrasta in alcun modo con la vera realtà» <em>Risposta a un credente</em>, RSND, 1, 804).
La rivoluzione umana, del resto, non è frutto di una meditazione appartata, piuttosto una magnifica combinazione di esperienza e fede, dove la luce dell’evoluzione personale è prodotta proprio dall’attrito creativo tra la dimensione spirituale e tutto ciò che è qui e adesso: il luogo dove viviamo, le persone con cui interagiamo, le attività che svolgiamo.
La nostra preghiera arriva ovunque e si mescola a tutto, come i dieci mondi sono ognuno nell’altro, in un azzeramento della distanza tra l’inferno e il cielo. Possiamo accendere la Buddità ovunque ci troviamo: la trasformazione personale diventa così trasformazione della realtà, la ricerca individuale si riverbera nella compagine sociale, in un gioco di specchi che si fa regime di scambio.
Il Budda Shakyamuni ha indicato per primo la strada quando ha attraversato il mondo come un essere umano, dissolvendo il confine dei confini e immergendosi nella straordinaria moltitudine del tutto. (Simona Caleo)

Dalle parole ai fatti

Il Buddismo è azione. Vive nel nostro comportamento, nel modo in cui ci rapportiamo a noi stessi, agli altri e alla vita quotidiana. Il Daishonin scrive: «Il cuore di tutti gli insegnamenti della vita del Budda è il Sutra del Loto e il cuore della pratica del Sutra del Loto si trova nel capitolo <em>Mai Sprezzante</em>. Cosa significa il profondo rispetto del bodhisattva Mai Sprezzante per la gente? Il vero significato dell’apparizione in questo mondo del Budda Shakyamuni, signore degli insegnamenti, sta nel suo comportamento da essere umano» (<em>I tre tipi di tesori</em>, RSND, 1, 756). L’esempio di comportamento da essere umano indicato sia da Nichiren Daishonin sia da Shakyamuni è quello del bodhisattva Mai Sprezzante, nelle cui azioni si trova il cuore della pratica del Sutra del Loto. Il bodhisattva Mai Sprezzante diceva alle persone che incontrava: «Nutro per voi un profondo rispetto; non oserei mai trattarvi con disprezzo o arroganza. Perché? Perché voi tutti praticherete la via del bodhisattva e sarete allora in grado di conseguire la Buddità» (SDLPE, 365).
Questo passo è noto come “Sutra del Loto in ventiquattro caratteri”: sono ventiquattro caratteri che esprimono il principio filosofico fondamentale del Sutra del Loto, cioè che tutte le persone posseggono la natura di Budda. Il bodhisattva mai Sprezzante non smise mai di rispettare gli altri, anche quando veniva insultato e umiliato, perché agiva sulla base della convinzione che grazie alla pratica buddista tutte le persone possono far emergere la preziosità della loro vita e vincere sulla sofferenza.
Liberare le persone dalla sofferenza, senza abbandonarne nemmeno una, corrisponde al comportamento del Budda. È un comportamento che vive negli sforzi di sostenere le persone a noi care e incoraggiare i compagni e le compagne di fede. Questo comportamento vive anche nella nostra azione di parlare del Buddismo agli altri per risvegliarli alla Legge mistica: è la pratica di <em>shakubuku</em>, la manifestazione concreta della nostra fede nella natura di Budda che esiste in noi e negli altri. Un’azione umanistica che esprime il massimo rispetto per ogni persona. L’azione fondamentale per trasformare la società.

<strong>Chi si inchina agli altri finirà per esserne riverito</strong>
Come sottolinea il presidente Ikeda ne <em>La saggezza del Sutra del Loto</em> (SSDL, 3, 76-77), le persone che avevano contrastato il bodhisattva Mai Sprezzante finirono per seguirlo. Ma ciò avvenne solo dopo che questi si era buttato nella mischia, pur senza mettersi in pericolo. Fino a quel momento non era stato un oratore eloquente, aveva semplicemente ripetuto il Sutra del Loto in ventiquattro caratteri e si era inchinato alle persone, alla loro natura illuminata nascosta dalle ingiurie, incurante di essere considerato dai sedicenti saggi un ignorante.
Purtroppo «viviamo in un mondo dove la sola menzione della carità e della compassione talvolta suscita una cinica derisione» (Daisaku Ikeda, <em>Cos’è la felicità</em>, p. 102). Ma è lì che avviene la trasformazione, la rivoluzione umana del bodhisattva e – citando il Sutra del Loto – «i laici e le laiche che lo avevano deriso e lo avevano soprannominato Mai Sprezzante, videro che egli aveva ottenuto grandi poteri sovrannaturali, il potere di predicare in modo gradevole ed eloquente, il potere di una profonda bontà e serenità» (SDLPE, 366).
Come il corpo e l’ombra, al suo inchino finisce per corrispondere l’inchino della società in cui vive. Accade così, frequentemente: prima c’è l’attenzione per gli altri e poi l’attenzione degli altri.
Nelle questioni lavorative come anche in quelle interpersonali, quasi sempre il focus è incentrato su di sé e sulla lamentazione delle proprie mancanze e bisogni. Ma spesso pensare agli altri è la soluzione. Come scrive lo psichiatra americano Aaron Beck, il teorico della psicoterapia cognitiva morto qualche mese fa, anche nelle relazioni amorose «ci sono qualità speciali come l’impegno, la sensibilità, la generosità, la considerazione, la lealtà, la responsabilità, l’affidabilità, che sono determinanti per una relazione felice» (<em>Love is never enough</em>, Harper Paperbacks, New York). Come è evidente sono qualità verso gli altri più che verso di sé, pur se possono essere lette come speculari: non un elenco di desideri o bisogni ma una lista di “<em>to do</em>”. Cambiare le circostanze che ci si presentano di volta in volta davanti, come anche il proprio destino, passa per un diverso atteggiamento personale, un comportamento. Anche la vicenda di Mai Sprezzante racconta che, presto o tardi, chi si inchina agli altri finirà per esserne riverito.
Chi vive all'interno della società, del gruppo, della famiglia e della coppia in maniera contributiva presto o tardi vedrà l’effetto delle sue azioni generose, se sincere, fragranti.
Il pensiero di Daisaku Ikeda è intriso dell’importanza della figura dei Bodhisattva della Terra e della loro «lotta per aiutare gli altri» come «attacco frontale contro il proprio egoismo» e a favore del bene generale, perché essi «comprendono anche la società in cui vivono e le tendenze dei tempi» (<em>La vita mistero prezioso</em>, Bompiani, p. 144 e seguenti).

<strong>La causalità più grande in azione</strong>
Potremmo dire che il bodhisattva Mai Sprezzante attraverso il suo comportamento mette in pratica il principio della causalità più grande (vedi pp. 19-20). Oggi il comportamento di Mai Sprezzante corrisponde al comportamento dei Bodhisattva della Terra, che si impegnano nella propagazione del “Sutra del Loto in sette caratteri” (Nam-myoho-renge-kyo), la pratica fondamentale in accordo al nostro tempo per far emergere e consolidare la Buddità nella nostra vita. Un'azione che va nella direzione della “causalità più grande”, la “causalità della Legge mistica” che permette di affrontare e trasformare qualsiasi tipo di karma. In merito a ciò il presidente Ikeda sottolinea: «La base di tutto è fondersi con lo spirito del Budda, del Sutra del Loto. Quando diventiamo una cosa sola con esso e armonizziamo la nostra vita con la Legge mistica non c’è difficoltà impossibile da superare. Il cuore del Budda è nel suo desiderio pieno di immensa compassione e nella sua solenne promessa di condurre tutte le persone all’Illuminazione. Nello sforzo di far nostro questo voto e di realizzarlo, possiamo sviluppare e temprare la nostra vita» (MDG, 529). Far proprio il voto del Budda, il voto del maestro, e agire per realizzarlo è la chiave per compiere un passo in avanti nella propria rivoluzione umana, che rivoluziona la società. Con coraggio, per arrivare a fare nostro il «desiderio pieno di immensa compassione» della felicità di tutte le persone. (Roberto Carvelli, Mirko Lugli)

L'azione fondamentale per cambiare la società

La compassione è la condizione “naturale” dell’universo, il suo stato fondamentale; ogni forma che esiste è compassione incarnata. Quando il Daishonin dice che il vero significato dell’apparizione in questo mondo del Budda Shakyamuni sta nel suo comportamento da essere umano è come se volesse indicarci di tornare proprio qui, a chi siamo davvero, senza orpelli, sovrastrutture o quant’altro. Come una molla, che dopo aver subìto una tensione ritorna alla posizione di riposo, o come un atomo, che dopo essere stato eccitato torna naturalmente nel suo stato fondamentale.
Cosa c’entra questo con la relazione di non dualità di maestro e discepolo? E perché è tramite questo rapporto che si trasforma il karma personale? Torniamo all’inizio: la prima maestra è la Legge, la Legge dell’universo, che come abbiamo visto è infinita compassione. Il Budda, il maestro, la scopre dentro di sé e la incarna. E vivendo da essere umano un’esistenza basata su questa Legge mostra agli altri come farlo, mettendoli in grado di scoprire questa stessa Legge nella profondità della loro vita e di manifestarla nelle loro azioni. Lo stesso Shakyamuni, scrive Daisaku Ikeda nella Proposta di pace del 2021, «cercava di offrire a coloro con cui entrava in contatto parole che potessero contribuire a rivelare la forza e il potenziale insito nella loro stessa vita» (BS, 208, allegato, 7). Questa è la funzione del maestro, ed è il nodo centrale per noi discepoli: solo quando ci risvegliamo alla forza e al potenziale insiti nella nostra
vita, e li mettiamo in azione, passiamo da uno stato “innaturale” di esseri comuni governati dal karma a uno stato naturale di persone illuminate, libere dal karma, che vivono da “esseri umani” nel senso che intende il Daishonin.
Per questo il maestro non è né un essere sovrannaturale che ci salva né un semplice libretto di istruzioni alle quali attenersi, ma è una persona in carne e ossa. Pensiamo a Nichiren Daishonin mentre lo stavano per decapitare a Tatsunokuchi: lui dice che il vero miracolo di quella notte non fu la cometa che abbagliò i soldati e li distolse dal loro compito, ma la “scoperta” del suo stato vitale che resistette al demone della paura della morte. Uno stato vitale che abbiamo tutti e tutte, ma che non sappiamo di avere se qualcuno non ce lo indica e poi ci mostra come funziona. Non è un caso che Nichiren inizi a rappresentare questo stato vitale illuminato nel Gohonzon dopo la persecuzione di Tatsunokuchi: lo fa dopo averlo incarnato, sperimentato in prima persona.
Scrive a riguardo il presidente Ikeda ne <em>Il mondo del Gosho</em>: «Egli poteva aiutare coloro che soffrono soltanto condividendo i loro stessi dolori e avversità e dimostrando, da essere umano come loro, come superarli. [...] Con il suo comportamento durante l’esilio di Sado, il Daishonin diede un esempio di come si trasforma il karma ai suoi discepoli e alle generazioni future. Il suo è un grande risultato spirituale che ci ispira a fare lo stesso» (MDG, 461).
<div class="page" title="Page 27">
<div class="layoutArea">
<div class="column">

Cominciando da Shakyamuni, tutti i Budda si risvegliano a partire da un desiderio: cercare il mezzo affinché ogni essere umano riesca a vivere “felice e a proprio agio”. Grazie a questa spinta scoprono una condizione vitale libera dalla sofferenza in quanto libera dal karma, che porta con sé il desiderio di condividerla con gli altri attraverso il proprio comportamento, le proprie azioni: un desiderio che diventa una missione.

<strong>Persone che risplendono di umanità</strong>

Si dice che quando Shakyamuni incontrava le persone, queste si illuminavano semplicemente entrando in contatto con lui.
Nichiren Daishonin, pur essendo un semplice “figlio del popolo”, attraverso il suo comportamento portò un decimo della popolazione del Giappone a recitare Nam-myoho-renge-kyo. Anche noi qui, ora, siamo il frutto della sua grandiosa dichiarazione: «Se la compassione di Nichiren è veramente grande...» (RSND, 1, 658).
Daisaku Ikeda, da giovane, cercando “il modo corretto di vivere” iniziò a praticare colpito dalla personalità di colui che poi divenne il suo maestro: «Josei Toda passò due anni in prigione a causa della sua opposizione al militarismo, durante la seconda guerra mondiale. Questo fu il motivo che mi ispirò ad aderire alla Soka Gakkai e mi fece decidere che avrei potuto fidarmi di lui. Non sapevo nulla del Buddismo, credevo in Toda come essere umano. E percorrere il sentiero della non dualità di maestro e discepolo con lui è stato il mio cammino di rivoluzione umana» (BS, 172, 13). Scoprire, scegliere il proprio maestro: anche questo è un processo naturale, che non può essere in alcun modo imposto. In realtà corrisponde a scoprire, a scegliere la propria missione. E ad allenarsi a realizzarla confrontandosi con il grande desiderio del maestro, provando a farlo proprio con le proprie forze, la propria personalità, le proprie azioni.

</div>
<div class="column">

<strong>Agire</strong>

Ora più che mai. Torna alla mente l’espressione <em>niji</em>, “a quel tempo”, di cui è disseminato il Sutra del Loto, che il presidente Ikeda rilegge come «l’istante in cui decidiamo dal profondo del cuore: “Ora mi alzo e combatto!”» (<em>I capitoli Hoben e Juryo</em>, Esperia, p. 20).
Termine che riecheggia la parola biblica <em>Kum</em>!, “Alzati!”, di cui ha recentemente scritto lo psicanalista Massimo Recalcati: «<em>Kum</em>! è la parola imperativa che invita a riprendere il cammino, a ritornare in vita. Così Gesù si rivolge a Lazzaro sepolto nella tomba. È questo, infatti, il tempo di rialzarsi, di ricominciare, il tempo per un nuovo inizio. E iniziare è già rendere di nuovo possibile l’orizzonte del futuro che sembrava invece compromesso drammaticamente dal trauma violento del virus. [...] Non la risposta demoralizzata o rabbiosa, ma la messa in opera di un lavoro collettivo che in questo tempo, ancora dominato dall’incertezza, sappia offrire nuove idee, pensieri lunghi, possibilità inedite» (<em>la Repubblica</em>, 13 ottobre 2021).
Come spiegava recentemente Masaaki Morinaka, il responsabile del Dipartimento di studio della Sgi, la nostra è una religione in cui i discepoli, proprio come il loro maestro, compiono con risolutezza e convinzione il primo passo lungo la grande via della compassione e della rivitalizzazione. L’incoraggiamento è la prima, inestimabile azione che ci permette, con costanza e fermezza, di aprire la strada al futuro.
Incoraggiare le persone a reagire all’impotenza e alla sfiducia facendo sì che si risveglino alla bellezza della vita, alle infinite possibilità che contiene. Affinché ricomincino ad agire.
Per questo la nostra missione, come discepoli, è incoraggiare, incoraggiare senza sosta... È l’azione rivoluzionaria, in controtendenza, per trasformare il karma di questo momento. (Maria Lucia De Luca)

</div>
</div>
</div>

Ogni cosa è illuminata

Oggi il nostro vivere sembra caratterizzato da frustrazione, sfiducia e senso di impotenza, che portano a delegare all'esterno sia la responsabilità sia la soluzione di ciò che accade. Ma il Buddismo insegna che l'azione individuale, nel presente, può fare la differenza. Un'azione che comprende pensieri, parole e atti concreti.

L'azione come rivoluzione

Contenuto riservato agli abbonati