La pluralità religiosa è una delle caratteristiche fondamentali della nostra epoca. Aprirsi ad altre spiritualità testimoniando il proprio credo, rispettandosi e valorizzandosi reciprocamente, è la chiave per diventare persone migliori e collaborare per realizzare un mondo di pace, libertà e giustizia.
È questa la visione del nostro maestro, Daisaku Ikeda, del quale nelle prossime pagine riportiamo alcuni scritti particolarmente eloquenti, a cui si sono sempre ispirati i rapporti della Soka Gakkai italiana con le altre confessioni religiose. È con questo intento che in tutta Italia esponenti di fedi diverse dialogano e portano avanti progetti comuni. Uno spirito che le giovani generazioni hanno fatto proprio nel confrontarsi e ragionare insie- me sulle difficoltà e le speranze che riserva loro il futuro.

Dialogo interreligioso

«Quando saremo in grado di concepire e comprendere veramente i desideri e le azioni
per la felicità delle persone dei grandi precursori delle varie religioni, e di eliminare
nelle generazioni future il dogmatismo intollerante che ancora persiste, credo che
si spalancherà sconfinato davanti a noi l’orizzonte dell’amore universale per l’umanità»
 (Daisaku Ikeda)
<h2>La missione originale di ogni fede</h2>
È in apertura della Raccolta degli scritti di Nichiren Daishonin, la base dottrinale della Soka Gakkai, che il presidente Ikeda sottolinea l'importanza del dialogo interreligioso e la bontà intrinseca in ogni insegnamento spirituale

[…] Come infondere speranza nell’essere umano? Come dare valore alla vita?
Nelle risposte a queste domande si trova il senso della missione originale di ogni fede.
Una serenità spirituale forte e splendente come il diamante, la felicità di tutti gli esseri umani e la pace sono aspirazioni che troviamo alla radice di tutte le religioni le quali, in tal senso, dovrebbero mirare a diventare sempre più “religioni per l’essere umano”.
Sono convinto che il requisito essenziale di una religione, in un’epoca di globalizzazione come la nostra, sia quello di diventare sempre più capace di interpretare questi ideali comuni, e che in tali aspirazioni fondamentali si trovino le basi per la promozione del dialogo interreligioso, uno dei temi più importanti della nostra civiltà.
Naturalmente ogni religione presenta sue proprie caratteristiche e diversità. Se chiediamo, ad esempio, cosa si intende per “serenità spirituale” troveremo di sicuro molteplici risposte, differenti da una confessione all’altra: “l’amore verso Dio”, “sentire la presenza di una forza che non è visibile all’occhio umano”, “seguire la bontà del cuore”, “la pace del cuore”, “il controllo delle illusioni e dei desideri” e così via.
Le particolari connotazioni di ogni religione nascono da un complesso di influenze dovute alle diversità degli esseri umani, alle caratteristiche di ogni epoca, alle peculiarità di ogni luogo e alle diverse evoluzioni della storia. Nonostante tali differenze, ogni dottrina possiede al suo interno i princìpi e la saggezza necessari a realizzare la felicità delle persone.
Nel contesto del dialogo interreligioso moderno è necessario quindi accettare e valorizzare le molteplici caratteristiche di ogni singolo credo e, allo stesso tempo, afferrare la profonda verità e sapienza presente nelle sue dottrine.
Non vi è dubbio che, così facendo, ogni religione potrà esercitare un’influenza positiva sulle altre e diventare sempre più una religione dedicata alla felicità del genere umano. Inoltre, continuando a percorrere questo cammino di dialogo e reciproco miglioramento, ogni fede potrà manifestare il proprio valore intrinseco, contribuendo alla creazione di un sodalizio di “religioni per l’essere umano” in grado di trasformarsi nella forza più grande per la realizzazione della pace nel mondo.
Questo è il mio desiderio.
Dopo una riflessione seria e profonda, scaturita dalla tragedia delle due guerre mondiali, si è tornati a prendere coscienza del grande obiettivo originario di ogni religione: la felicità e la pace del genere umano. Il ventesimo secolo, quindi, può essere considerato l’epoca in cui le grandi religioni hanno iniziato a incontrarsi manifestando reciproca consapevolezza. Ora, il compito che le attende nel ventunesimo secolo è fare in modo che questa corrente si trasformi in una vera e propria marea. […]
Dalla prefazione all’edizione italiana della Raccolta degli scrittidi Nichiren Daishonin, 3 maggio 2008 (RSND, 1, xi-xii)
<h2>Il terreno fertile per una vitalità spirituale</h2>
Nel mondo di oggi nessuna comunità può esistere isolata, scollegata dalle altre: le interazioni quotidiane nella società a livello locale tra persone provenienti da diverse tradizioni religiose portano spontaneamente a conoscersi e dialogare

[…] Gli scambi in ambito culturale ed educativo hanno il meraviglioso potere di collegare le persone a un livello intimo e profondo e di elevare la loro esistenza verso sommità più alte, trascendendo il tempo e la distanza e persino le differenze etniche e religiose. L’anima gioisce quando scopre un mondo diverso dal proprio, lo comprende ed entra in risonanza con esso. […]
Proprio come ci mostra la storia del Rinascimento, io credo che quando sviluppiamo un dialogo con altre civiltà, traendone ispirazione e insegnamento, scaturiscano dalla nostra esistenza valori nuovi e dinamici.
Sin dall’antichità le religioni, ciascuna a suo modo, sono state l’humus di quella vitalità spirituale e intellettuale dalla quale sbocciano i fiori rigogliosi e variegati della cultura e dell’educazione.
Ho sempre creduto che gli scambi in ambito culturale ed educativo diano l’opportunità di creare forum di dialogo aperto e, nel contempo, possano eliminare quel tipo di dogmatismo moralista che conduce a infruttuosi conflitti faziosi. Io sono solo una delle innumerevoli persone che spinte da tale convinzione hanno continuato a intraprendere iniziative del genere.
Nel mondo di oggi nessuna comunità o società può esistere isolata, scollegata dalle altre. Credo che non sia esagerato affermare che non è più possibile costruire una vita individuale uniformandosi solo alle usanze della propria religione, come forse è successo in passato. Al contrario, le interazioni quotidiane nella società a livello locale tra persone provenienti da diverse tradizioni religiose portano spontaneamente a un dialogo interreligioso.
Come possiamo alimentare un dialogo interreligioso costruttivo? Ritengo che una chiave importante sia, per ogni religione, il ritorno allo spirito originario. […]
Josei Toda […] amava fantasticare che se i fondatori originari delle principali religioni come Shakyamuni, Gesù Cristo e Maometto si fossero riuniti in una stanza per una conferenza, avrebbero presto trovato un’intesa comune. In questa conversazione immaginaria, probabilmente i grandi maestri avrebbero discusso animatamente sui metodi con i quali condurre le persone alla felicità. Avrebbero trovato un immediato punto di incontro nel loro grande desiderio di liberare il genere umano dall’infelicità e indubbiamente si sarebbero uniti nel perseguire la felicità delle persone e la pace nel mondo.
Quando saremo in grado di concepire e comprendere veramente i desideri e le azioni per la felicità delle persone dei grandi precursori delle varie religioni, e di eliminare nelle generazioni future il dogmatismo intollerante che ancora persiste, credo che si spalancherà sconfinato davanti a noi l’orizzonte dell’amore universale per l’umanità.
In particolare, in quest’epoca di globalizzazione le religioni devono trascendere le loro differenze e trovare una base comune. E io credo che ciò sia possibile. Dico questo perché si tratta di una aspirazione originariamente innata nella saggezza di ogni religione mondiale.
[…] Le grandi religioni affermano la dignità interiore di ogni vita umana e la preziosità di ogni singolo individuo ed esprimono l’empatia verso gli altri come una verità universale, manifestandola in azioni per la salvezza del genere umano.
Nel nostro mondo contemporaneo l’umanità ha davanti a sé innumerevoli problematiche su scala globale. Solo agendo insieme possiamo affrontarle e sfidarle.
[…] La cosa più importante da ricordare è che non sono le persone a esistere per il bene della religione bensì è la religione che esiste per il bene delle persone.
Continuiamo a impegnarci nel dialogo con indomita perseveranza per costruire e rafforzare la nostra solidarietà di “religioni per il bene delle persone”.
Cosa dovrebbero fare ora i diversi credi religiosi per i giovani che vivranno nel futuro? Cosa possono fare le religioni? Dovremmo sinceramente condividere tra noi questi interrogativi mentre raccogliamo insieme la nostra compassione e la nostra saggezza e creiamo l’“unità nella diversità”. Questa è la mia profonda determinazione personale.
Dal messaggio inviato al Forum internazionale “Unity in Diversity”, organizzato dal Comune di Firenze nel novembre 2015, a cui parteciparono sindaci e premi Nobel da sessanta Paesi del mondo (NR, 571)

 
<h2>Siamo tutti esseri umani ed è questa la chiave per unirci</h2>
Ottobre 1961. Daisaku Ikeda, nominato l'anno prima terzo presidente della Soka Gakkai, è al suo secondo viaggio in occidente. Ha promesso al suo maestro, Josei Toda, di diffondere il Buddismo di Nichiren in tutto il mondo. Vuole conoscere i luoghi che finora ha studiato sui libri, creare legami di amicizia, condividere lo spirito del Sutra del Loto con persone di altre culture. Il 19 ottobre atterra a Roma. La visita alla Cappella Sistina e alle Catacombe di San Callisto gli danno lo spunto per riflettere sul Cristianesimo e sulla figura di Gesù come esempio massimo di umanità, e per raccontare il coraggio dei primi cristiani, persone comuni con un grande ideale che non si piegarono alle persecuzioni del potere di Roma, ma anzi diffusero il loro credo in tutto il mondo.
A più di sessant’anni di distanza da quei giorni passati in Italia le sue riflessioni sono ancora attualissime e in grado di restituire il senso più pieno dell’importanza del dialogo interreligioso e di quali siano i presupposti e le modalità di relazione con le altre fedi

Dopo aver visitato la Basilica [di San Pietro] camminarono nella piazza, scambiandosi le proprie impressioni. Uno dei giovani osservò: «L’Europa ha una civiltà essenzialmente cristiana e il Medio Oriente è islamico. Queste due civiltà hanno una lunga e tragica storia di guerre religiose. Non incontreremo conflitto e attrito nel propagare attivamente il Buddismo di Nichiren Daishonin nel mondo? Una delle maggiori difficoltà che dovremo affrontare sarà come interagire con le altre religioni di portata mondiale».
«Tutti i nostri membri che si avventurano oltreoceano sembrano preoccupati di questo» confermò Shin’ichi. «Quando visitai l’India, uno dei responsabili che mi accompagnava mi fece la stessa domanda. Per prima cosa, la causa delle guerre di religione è un capovolgimento dei ruoli della religione e delle persone: le persone vengono forzate a servire la religione, invece del contrario. L’oppressione o l’eliminazione dei seguaci di altre religioni significa che vi è una perversione di base nella religione stessa.
La religione esiste solamente ed esclusivamente per il bene degli esseri umani. La sacralità e la dignità della vita dovrebbero essere le sue priorità. La discriminazione degli altri a causa di differenze di religione è completamente sbagliata. Lo spirito fondamentale del Buddismo, e la regola eternamente presente nella Soka Gakkai, è che ogni individuo, al di là del proprio credo religioso, è degno di rispetto. Perché? Perché lo scopo del Buddismo e del vero umanesimo è raggiungere la pace e rendere capace ogni individuo di diventare felice.
«Che tipo di comportamento dovrebbe avere la Soka Gakkai in Europa e altrove verso il Cristianesimo e le altre religioni?» chiese il responsabile del Gruppo giovani. «La cosa più importante – rispose Shin’ichi – è iniziare un dialogo. Rifiutarsi di dialogare con le altre religioni perché non condividono il nostro credo sarebbe codardia. Sebbene i loro princìpi possano essere diversi dai nostri, se sono persone che si dedicano veramente alla religione, desidereranno anche loro la pace nel mondo e penseranno seriamente alla felicità dell’umanità. Questo spirito ha moltissimo in comune con il Buddismo. Il nostro compito è far emergere la bontà che risiede nel cuore delle persone e, prendendo come punto di riferimento le preoccupazioni che condividiamo come esseri umani, lavorare insieme con le nostre capacità per la pace e la felicità di tutti. [...]
Da un certo punto di vista, sicuramente la storia umana è stata una storia di guerre di religione. Ecco perché c’è una grande necessità di dialogo tra i membri di differenti gruppi religiosi allo scopo di assicurare una nuova era di pace. Questo sarà estremamente importante, soprattutto in futuro.
Dobbiamo iniziare uno scambio tra Buddismo e Cristianesimo, Buddismo ed Ebraismo, Buddismo e Islam. Nonostante le nostre visioni possano essere diverse, tutti noi condividiamo gli ideali di pace e felicità. Per dirlo più semplicemente, siamo tutti esseri umani, ed è proprio questa umanità la chiave per unire la razza umana. Invece di intraprendere guerre sante, penso che le religioni dovrebbero competere tra loro nel cercare di compiere il bene».
[…] Uno dei giovani uomini chiese: «Ammettiamo che la Soka Gakkai desideri iniziare un dialogo, pensa che le altre religioni risponderanno?». «Credo che ciascun leader religioso che pensi seriamente al futuro della razza umana sarà felice di parlare con noi» rispose Shin’ichi.
[…] Kiyoshi Jujo disse, con un po’ di esitazione: «Comprendo l’approccio alla propagazione conosciuta come shoju e ciò che lei ha appena detto, presidente Yamamoto, ma in qualche modo sembra che noi si cerchi un compromesso con le altre religioni. Non dovremmo iniziare con il chiarire quale sia l’insegnamento valido e quale quello falso, anche quando ci troviamo oltreoceano? Se le persone rifiutano di accettare il Buddismo, non dovremmo biasimarle poiché calunniano la Legge?». Shin’ichi fece un sorriso amaro. L’opinione del signor Jujo rifletteva un sentimento che era condiviso, in quel periodo, da molti altri responsabili della Soka Gakkai.
«Credo che questo sia un modo di pensare molto limitato. [...] Inevitabilmente porterebbe a fraintendimenti inutili e a conflitti; in alcuni casi, potrebbe addirittura portare a un conflitto religioso. È importante parlare della nostra convinzione religiosa come buddisti basandoci sul buon senso, ma la visione del signor Jujo è essenzialmente ipocrita; distruggerà ogni possibilità di amicizia e produrrà solo un reciproco antagonismo. [...]
In questo nostro mondo così complicato, l’unico modo per armonizzare e unire l’umanità è impegnarsi in un dialogo con grande determinazione e pazienza, per costruire e far crescere forti legami di amicizia.
Penso che dobbiamo abbandonare la tendenza a giudicare le persone basandoci sulla loro religione. […] Il Buddismo è un insegnamento che si basa su una grande compassione; vasto e profondo proprio come il mare, abbraccia tutto il mondo. È una filosofia universale che insegna la dignità umana, la libertà e l’uguaglianza. Un vero buddista rispetta sempre l’umanità degli altri, anche nel caso in cui la religione, la filosofia e i princìpi possano essere diversi. Questo, a parer mio, è il modo più umano di comportarsi».
[...] Quando Shin’ichi pensava al futuro, si sentiva un po’ preoccupato al pensiero dei responsabili della Soka Gakkai, che consideravano la correzione dell’errore religioso come essenza del Buddismo e avevano perso di vista quale fosse il vero dovere di un leader religioso verso la società.
Da La nuova rivoluzione umana, Esperia, vol. 5, capitolo “Gioia”, pp. 91-120

Un laboratorio di umanità

Dai primi incontri negli anni ottanta all'Intesa con lo Stato italiano. Un cammino non privo di ostacoli che attraverso l'incontro, lo scambio di idee, l'amicizia e la collaborazione ha portato alla costruzione di relazioni profonde e realizzazioni significative 

Come si è sviluppato il dialogo interreligioso portato avanti dall’Istituto fin dai primi passi?
I primi passi si riferiscono temporalmente a fine anni settanta e inizi anni ottanta: eravamo giovani membri di un'allora associazione culturale, che venivano dagli ambiti sociali più diversi: musicisti, rivoluzionari, femministe, intellettuali, operai, professori, studenti... Vite che erano tutte da costruire o ri-costruire intorno all'insegnamento buddista di Nichiren Daishonin: circolava tra noi la grande passione collettiva di realizzare la pace mondiale. Cominciando dalle nostre famiglie e dai nostri quartieri.

Avevate testi su cui studiare?
Non c'erano libri buddisti o scritti del maestro Daisaku Ikeda che in particolare potessero indirizzarci verso il dialogo interreligioso, quindi il percorso ce lo siamo inventato svestendo i “panni religiosi” e indossando invece quelli di esseri umani che condividono, pur differenti, una comune umanità. Sentivamo che la religione non doveva essere oggetto di discriminazione o di conflitto, come la Storia ci riporta; semmai il nucleo di ogni religione doveva indirizzarsi verso l'umanesimo.

Come eravate giudicati nella società?
Malgrado tutte le buone intenzioni, non eravamo ben visti nella società di allora: qualcuno ci considerava una setta, qualcuno una “nuova religione”; nella migliore delle ipotesi eravamo “quelli di Baggio che recitano Nam-myoho-renge-kyo”. Per questo motivo, dopo esserci consultati col direttore generale Mitsuhiro Kaneda, decidemmo di stringere più amicizie possibili. Eravamo convinti che, se le persone potevano conoscerci e “sentire” che il nostro desiderio di amicizia era genuino, avremmo potuto costruire un nostro spazio religioso nella società italiana. In quel periodo non esisteva un vero e proprio dipartimento di relazioni esterne, per cui il signor Kaneda affidò questo incarico non ufficiale alla redazione romana di DuemilaUno, il bimestrale che aveva iniziato a intervistare personaggi di spicco della cultura italiana.
Andammo a trovare a casa Vincenzo Piga, l'anziano presidente dell'Unione Buddhista Italiana: passavamo piacevoli pomeriggi a fargli conoscere il Buddismo del Daishonin e a conoscere le altre tradizioni presenti in Italia. Così come diventammo amici della professoressa Maria Angelà Falà, della Fondazione Maitreya, che partecipò in seguito a nostre conferenze e scrisse articoli su DuemilaUno. Sempre in quel periodo abbiamo conosciuto alcune persone della Comunità di Sant'Egidio e, in special modo con Claudio B., ci vedevamo un paio di volte alla settimana a Trastevere per fare colazione insieme e parlare. Col cornetto in mano si dialogava di valori religiosi e soprattutto di cosa si poteva realizzare insieme. In questo modo il cerchio delle amicizie e dei dialoghi si è allargato a macchia d'olio. Poi, nel 1996, in occasione di un corso a Tokyo specifico per le Relazioni esterne, il maestro Ikeda ci confermò che prima di tutto è necessario costruire e mantenere amicizie sincere. Questo stesso atteggiamento vive nelle nostre riunioni mensili che si tengono in ogni città italiana.
Negli anni ottanta e novanta si sono quindi costruite le fondamenta di un percorso che ha portato l'Istituto a stipulare l'Intesa con lo Stato italiano e a partecipare alle principali iniziative religiose italiane.

Quali sono le attività più importanti realizzate con le altre confessioni religiose?
Ogni iniziativa è importante, piccola o grande che sia! Abbiamo costruito nel tempo un'ottima rete di collaborazioni religiose a livello locale, in ogni regione e in ogni città. Grazie ai nostri membri siamo presenti nei Tavoli interreligiosi di tutta la penisola dove portiamo avanti progetti per la pace, il disarmo nucleare, l'inclusione, la lotta alla povertà, l'educazione.
Se invece parliamo di iniziative a livello nazionale, la prima è stata la raccolta di firme per la Moratoria della pena di morte promossa dalla Comunità di Sant'Egidio: i nostri giovani hanno allestito banchetti in tutta Italia dove raccoglievano le firme e dialogavano con tutti, specialmente con quanti erano favorevoli alla pena di morte. Alla fine siamo arrivati a consegnare alla Comunità una grande quantità di scatole che contenevano oltre 700.000 firme.

Poi ha avuto qualche seguito?
Certo: questa iniziativa, che è partita dal “cornetto mattutino”, ha attraversato l'oceano portando poi negli anni 2000 al coinvolgimento della nostra Casa madre, la Soka Gakkai giapponese, che insieme alla Comunità di Sant'Egidio ha presentato mozioni presso la Dieta giapponese. Non dimentichiamo che in Giappone vige la pena di morte.
È difficile citare tutte le conferenze alle quali hanno partecipato rappresentanti cattolici, buddisti, islamici, ortodossi, bah'ai, ebrei. Il maestro Ikeda ci ha costantemente incoraggiato a proseguire sulla strada del dialogo per la particolare importanza che oggi rivestono le religioni: «Se si vogliono superare i numerosi tragici conflitti legati alla religione che infuriano nel mondo attuale – scrive – è essenziale sforzarsi maggiormente nel dialogo interreligioso. Abbiamo bisogno di religioni assolutamente umanistiche in grado di stimolarsi e incoraggiarsi a vicenda nel contribuire alla pace» (BS, 153).
Sono anni ormai che l'Istituto promuove la lotta per l'eliminazione totale delle armi nucleari attraverso la Campagna Senzatomica che nel sottotitolo recita: “Trasformare lo spirito umano”; questo è il profondo messaggio religioso del Buddismo di Nichiren Daishonin e della Soka Gakkai. Nata in sordina, Senzatomica ha toccato nel tempo le coscienze di centinaia di migliaia di visitatori di ogni età e di ogni religione. Sono convinto che il premio Nobel conferito a Ican sia stato sostenuto dalle iniziative di Senzatomica.

Quanto le nostre riviste hanno contribuito e contribuiscono alla promozione del dialogo interreligioso?
Direi moltissimo! A parte che, come ho già detto, all'inizio era la redazione a occuparsi di creare occasioni di dialogo con l'esterno e di incontro con le altre religioni, le riviste hanno soprattutto diffuso il pensiero umanistico del maestro Ikeda contribuendo in maniera fondamentale a costruire una vera e propria coscienza dialogica al nostro interno e a suscitare interesse negli studiosi di religione verso Ikeda, davvero poco conosciuto in Italia. Il sociologo della Luiss Antonio La Spina ha pubblicato nel 2013 Daisaku Ikeda: idee per il futuro dell'umanità, una ricerca che coglie lo spirito religioso innovativo della Soka Gakkai.  Il fatto poi di intervistare rappresentanti di altre religioni, mettendone in luce gli aspetti umanistici, credo che abbia contribuito a formare la nostra capacità di dialogo.

Se consideriamo gli ultimi quarant'anni di diffusione della Soka Gakkai nel nostro Paese, possiamo dire che il modo in cui la cultura italiana guarda a noi buddisti sia cambiato? Se sì, in quale direzione?
Difficile dirlo: il Buddismo, in generale, è stimato nella società italiana. Per quanto ci riguarda penso che siamo ancora in una fase di costruzione. Abbiamo già buddisti Soka di seconda generazione e piccolissimi di terza, ma la trasformazione culturale necessita ancora di tempo. In generale devo riconoscere che, nelle parti più vive del Paese, la Soka Gakkai è stimata. Ci sono comunque i semi per realizzare una diffusa cultura di pace nel senso più vero e profondo del termine: noi ci stiamo battendo per questo. Vedo che tutte le tradizioni buddiste dell'Ubi vanno in questa direzione e che il magistero di Papa Francesco ogni giorno non fa altro che testimoniare il Vangelo. Avverto che stanno nascendo valori comuni. Oggi non esistono più comunità umane separate e lontane come un tempo: in tali situazioni di isolamento era facile configurare e vivere la propria religione e la propria cultura come unica ed esclusiva. L'integrazione dell'umanità in collettività sempre più grandi e interrelate sta facendo diventare la pluralità religiosa una delle caratteristiche fondamentali della nostra epoca. Anzi dirò di più: probabilmente dal basso sta nascendo qualcosa di così nuovo – e mi riferisco semplicemente ai contatti tra religioni e culture che si stanno creando nelle nostre scuole, nei quartieri, nei condomini – che inevitabilmente spingerà i vertici di ogni religione verso un vero e profondo dialogo interreligioso.
Incontrarsi e dialogare non significa recintare un terreno neutro nel quale ognuno si spoglia di ciò in cui crede, ma al contrario trovarsi di fronte a qualcuno che procede verso l'altro testimoniando la sua fede: integrità personale e apertura all'altro da sé possono diventare le due ruote di un carro che ci trasporta.
La diversità religiosa non deve farci paura perché – come ha scritto un teologo – «la paura dell'altro è parte integrante soltanto degli spiriti mediocri, che non sanno vedere al di là del proprio naso».

Ci sono dei comportamenti all’interno della nostra organizzazione che non hanno facilitato un vero dialogo, profondo e aperto con le altre confessioni e in generale con la cultura italiana in senso lato? Che non hanno mostrato “la parte migliore di noi”?
No, non credo proprio. Il bene e il male comunque sono connaturati alla natura umana e presenti quindi in ogni religione. Nessuna fede è esente dal rischio di intolleranza: la storia lo insegna e lo ricorda. La Soka Gakkai, basta leggere l'insegnamento del maestro Ikeda, è aperta al dialogo e il suo motto “Buddismo per la pace, la cultura e l'educazione” non ammette interpretazioni negative.
Certamente dopo la morte in un carcere di Tokyo del fondatore Makiguchi, imprigionato con il suo discepolo Toda per essersi opposto alla guerra dei nazionalisti nipponici, la ricostruzione in Giappone della Soka Gakkai ha incontrato tantissimi ostacoli e soprattutto una società che ha visto la proliferazione di miriadi di nuove e improbabili pseudoreligioni create a scopi economici. Per tutti gli anni cinquanta e sessanta il movimento Soka giapponese si è concentrato principalmente nella diffusione della religione umanistica del Daishonin. In quel periodo sono nate le varie e false accuse di proselitismo, di aggressività, di chiusura riportate dai tabloid giapponesi, notizie arrivate poi in Italia. Noi, ai nostri esordi, abbiamo dovuto fare i conti con questa immagine di setta che i giornali nostrani mutuavano dal Giappone.

Daisaku Ikeda afferma molto chiaramente che esiste una sostanziale convergenza di finalità delle diverse religioni, auspicando un «sodalizio di “religioni per l’essere umano” per la realizzazione della pace nel mondo». Cosa potrebbero fare i fedeli concretamente per essere in linea con questa visione lungimirante e rivoluzionaria del nostro maestro soprattutto negli zadankai, attraverso i quali la società viene di fatto a conoscenza e a contatto con noi?
Mi sembra che oggi i luoghi di aggregazione stiano diminuendo a vista d'occhio,  contemporaneamente allo sviluppo di tragedie mondiali terrificanti: la pandemia, una guerra dietro casa, una terribile siccità, la madre Terra gravemente malata, la povertà. E mi fermo qui. L'isolamento dagli altri non permette l'elaborazione e la trasformazione della sofferenza, con la conseguente perdita di speranza: e non bastano le reti sociali per stare bene.
La vera soluzione è nelle comunità locali, che potrebbero restituire il vero benessere che nasce dall'affrontare insieme le difficoltà e vedere con i propri occhi quali esiti positivi possono essere riscontrati.
Insomma la parola chiave dovrebbe essere “insieme” o “noi”, più che io. La Soka Gakkai, fin dalla sua fondazione nel 1930, ha privilegiato l'incontro e il dialogo sulla vita e sulla religione: queste riunioni si chiamavano in giapponese zadankai, che significa “sedersi e parlare”.
Ancora oggi questo spirito è intatto: in ogni quartiere delle città italiane ci sono zadankai ai quali tutti possono partecipare: le comunità buddiste locali hanno il potenziale per creare ondate di speranza e cambiamento. Non saranno tutte riunioni perfette, ma di sicuro ci sarà sempre qualcuno che ascolta le sofferenze degli altri o qualcuno che raccontando la propria storia stimola alla lotta chi si stava arrendendo. Credo che sia proprio questo il senso profondo di una religione nella nostra epoca.

All'insegna dell'amicizia

«Continuando a percorrere questo cammino di dialogo e reciproco
miglioramento ogni fede potrà manifestare il proprio valore intrinseco,
contribuendo alla creazione di un sodalizio di “religioni per l’essere umano”
in grado di trasformarsi nella forza più grande per la realizzazione
della pace nel mondo» 
(Daisaku Ikeda)
<h2>Per dare valore al nostro passaggio nel mondo</h2>
La Consulta delle Religioni di Genova

Nel 2006 nasce la Consulta delle Religioni di Genova, un organo ufficiale dell’amministrazione comunale per promuovere il dialogo interreligioso.
Espressione del pluralismo etnico, culturale e religioso genovese, vi aderivano oltre al nostro Istituto 17 comunità di fede, fra cui la Comunità Islamica, la Chiesa Cattolica, la Chiesa Ortodossa, la Comunità Ebraica, l’Unione Induista e altre.
Scopo della Consulta genovese era «favorire il rispetto e la reciproca convivenza fra le religioni sviluppando nuove forme di dialogo e collaborazione cittadine».
La Consulta è rimasta attiva fino al 2012; poi, con alcuni dei principali gruppi religiosi, abbiamo continuato fino a oggi ad autoconvocarci e organizzare innumerevoli attività ed eventi condivisi.
Lavorando a stretto contatto e approfondendo l’amicizia, ci siamo resi conto dell'importanza del lavoro che possiamo fare uniti, per creare la pace e trasmettere valori positivi nella società come dice il nostro maestro.
Il tempo di emergenza Covid ci ha obbligato a riflettere più profondamente sull’impermanenza e sul significato della nostra vita e della morte. Come gruppo interreligioso abbiamo deciso di unirci e cercare di trasmettere insieme un messaggio di incoraggiamento alle persone; con questa intenzione è nata l’idea di creare un video dal titolo: “La Cura. Oltre la pandemia, un nuovo senso per vivere” (Centro Banchi di Genova. https://www.facebook.com/events/951519905442508/).
Nelle seguenti parole lo spirito che ha motivato l’iniziativa: «Questo tempo di pandemia ha messo in risalto la percezione diffusa di una crisi di senso profondo, che accomuna donne e uomini del nostro tempo. Per questi motivi, come credenti di varie tradizioni religiose ci siamo sentiti interpellati a incontrarci e creare tra noi una rete solidale, per riscoprire insieme l'essenziale da cui ripartire, per dare valore al nostro passaggio nel mondo, al servizio della vita e della felicità delle persone che ci circondano».
Un dialogo interreligioso messo in pratica, direi in modo meno intellettuale ma più concreto, per dare speranza, cercare un senso più profondo per la nostra esistenza e diffondere il rispetto nei confronti della dignità della vita, è stato e continuerà a essere una grande ricchezza personale per noi stessi, per il nostro movimento e per la società intera.
Concludo con le parole di Daisaku Ikeda: «Quando l'uomo cerca una risposta alle domande: chi sono? […] E dove vado in questo spazio infinito? Si è già messo in cammino per trovare la Religione» (M. Gorbaciov e D. Ikeda, Le nostre vie si incontrano all’orizzonte, Sperling&amp;Kupfer, 2000).
(Elisabetta Lodoli, coordinatrice delle Relazioni Esterne dell’Ibisg per la Liguria)
<h2>Una città al servizio delle diverse spiritualità</h2>
Il Comitato Interfedi di Torino

Torino è una delle città più multireligiose d'Italia, storicamente è sempre stato così, con una forte comunità protestante (la Chiesa valdese nasce in Piemonte), una nutrita presenza musulmana, una notevole comunità induista...
Il Comitato Interfedi, che ne è piena espressione, nasce nel 2006 in occasione delle Olimpiadi invernali, per permettere agli atleti provenienti da tutte le parti del mondo, di diverse confessioni religiose, di svolgere il loro culto durante la manifestazione. Il Comune di Torino, conscio della splendida esperienza fatta, decide di prolungarne i lavori anche dopo, per utilizzarlo come organo consultivo della città.
Inizialmente l’Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai non era stato chiamato a farne parte, poi dal gennaio 2016 vi ha partecipato come uditore e infine nel 2021 vi è entrato ufficialmente, quando la giunta comunale ha deciso di dare un nuovo corso al Comitato.
Grazie alla collaborazione con l’amministrazione della città, negli anni ci sono state importanti realizzazioni, come la prima sala del silenzio italiana all'aeroporto di Caselle e la prima sala del silenzio in un ospedale europeo nella Città della Salute e della Scienza (all’ospedale Molinette). In seguito è stato firmato un protocollo con la Regione per estendere l'esperimento a tutti gli ospedali del Piemonte.
Presso la Città della Salute il Comitato sta lavorando a un progetto, “Le cure dello spirito”, che abbraccia varie esigenze relative alle tradizioni religiose di appartenenza dei pazienti e che prevede due tipi di cura: l'assistenza ai degenti qualora ne facciano richiesta e l’attenzione alle diete alimentari adatte a pazienti di fedi diverse. Il Comitato si sta poi occupando dell'adeguamento dei regolamenti cimiteriali al fine di realizzare una sala del commiato per consentire agli appartenenti a qualsiasi confessione religiosa di ottemperare ai dettami della propria fede.
Il Comitato si sta adoperando attivamente anche per la realizzazione della prima Casa delle religioni in Italia, che ospiterà la più grande biblioteca d'Europa su temi religiosi.
Recentemente è stato rinnovato il Patto di condivisione tra i Centri islamici e la città di Torino, firmato da tutte le comunità islamiche presenti sul territorio, che hanno un tavolo di coordinamento comune con il quale il Comitato Interfedi collabora attivamente.
Insomma a Torino stiamo portando avanti un bel lavoro e speriamo che faccia scuola anche all'estero. L’esperienza davvero interessante che sto facendo è ritrovare nella dottrina di ciascuna confessione religiosa i temi della dignità della vita, l'idea che non possa esserci pace sociale se non c'è il rispetto dei diritti, se non c’è giustizia. Su tutte queste cose siamo in perfetta sintonia, c'è una collaborazione strettissima, si colmano distanze che all'inizio potevano sembrare enormi, siamo tutti veramente molto amici.
(Walter Nuzzo, coordinatore delle Relazioni Esterne dell’Ibisg per il Piemonte e vicepresidente del Comitato Interfedi della città di Torino)
<h2>Dalla lettura di un libro è nato uno scambio fecondo</h2>
Un'esperienza di dialogo con la Chiesa Battista di Cagliari

La lettura del libro Il maestro buddista di un pastore battista di Lawrence Edward Carter (Esperia, 2020), in cui l’autore racconta come Daisaku Ikeda sia diventato il suo terzo maestro spirituale, mi ha spinto a studiare la vita di Gandhi e di Martin Luther King in modo da potermi preparare agli incontri di dialogo con la Chiesa Battista di Cagliari. Insieme alla Pastora battista della città Elizabeth Green, con la quale è nato subito un bel legame di amicizia, abbiamo approfondito la lettura del saggio di Carter e riflettuto sulla visione della casa mondiale di M. L. King: «Una società completamente integrata, un mondo in cui gli individui riescono a sviluppare al massimo le loro potenzialità e dove tutti possono vivere in armonia e prosperare, raggiungendo il più elevato potenziale innato» (p. 75).
In seguito, nell’ottobre del 2021, abbiamo incontrato il presidente dell'Ucebi (Unione Cristiana Evangelica Battista d’Italia) Giovanni Arcidiacono e la moglie Marisa con i quali, in un colloquio cordiale e amichevole, abbiamo condiviso le nostre esperienze spirituali e le difficoltà di portare avanti la missione indicata dai nostri maestri per creare un mondo di pace e felicità. In questo e nell’incontro successivo dell’ottobre 2022, in occasione dell’insediamento della nuova Pastora di Cagliari Francesca Litigio, Giovanni Arcidiacono ci ha proposto di sviluppare un progetto comune legato al bene delle persone in difficoltà e si è reso disponibile a organizzare un evento in merito ai contenuti del libro di Carter, grazie al quale abbiamo potuto creare un profondo legame di amicizia.
Da questa esperienza è nato l’incontro, avvenuto il 25 gennaio 2023 al Centro culturale di Roma, tra il presidente dell’Ibisg Alberto Aprea e Giovanni Arcidiacono.
(Corrado Lacava, coordinatore delle Relazioni Esterne dell’Ibisg per la Sardegna)

Incontrarsi  per migliorarsi

«I valori fondamentali condivisi dalle fedi, che toccano l’essenza stessa dell’essere uomini e donne, possono essere la base per sviluppare il dialogo e vedere nelle differenze una ricchezza e non una fonte di paura e discriminazione». Sono parole di Maria Angela Falà, presidente del Tavolo Interreligioso di Roma, che esprimono pienamente lo spirito di questo organismo, istituito nel 1998 dal Comune di Roma e poi nel 2011 diventato Associazione.
Abbiamo rivolto alcune domande agli attuali componenti del Tavolo: ne presentiamo qui le risposte, in una sorta di tavola rotonda virtuale nella quale, oltre a Maria Angela Falà (Fondazione Maitreya), intervengono: Anna Di Segni Coen (Comunità Ebraica di Roma), Francesca Evangelisti (Chiese Cristiane Avventiste del Settimo Giorno), Shivaraja (Unione Induista Italiana), Massimo Abdullah Cozzolino (Confederazione Islamica Italiana), Riccardo Plati (Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai)

In questo momento storico quanto pensa sia importante portare avanti progetti comuni tra le varie tradizioni spirituali?
Falà: In una situazione instabile e in via di rapida evoluzione come quella in cui viviamo l’apporto delle comunità di fede può essere estremamente importante, soprattutto se le fedi stesse riusciranno a superare, con uno sguardo ampio e accogliente, le divergenze e le contrapposizioni che nel corso della storia si sono sedimentate.
Parlare di pace significa agire per la pace! È importante che le religioni dialoghino a livelli apicali, ma se un seme vuole mettere radici va inserito profondamente nella terra e ciò può accadere se le comunità condividono progetti comuni in cui ogni singolo fedele può impegnarsi in prima persona per il cambiamento.
Siamo quindi particolarmente convinti che creare delle occasioni di lavoro in comune, dei percorsi “dal basso”, sia una pratica importante per influenzare la società. In questo è fondamentale l’educazione delle nuove generazioni, per superare gli stretti limiti dei propri interessi personali e aprirsi alla conoscenza dell’altro ritrovandovi un altro “me stesso”.
Coen: Credo che sia sempre importante portare avanti iniziative che ci vedano stare insieme in momenti di conoscenza reciproca, scambio, condivisione, discussione, nella ricerca costante di azioni condivise di pace e comunanza, e quindi realizzare progetti comuni che ci aiutino a migliorare l’esistenza di tutti gli uomini, le donne, gli esseri viventi, il creato tutto di cui godiamo. In questo momento particolare, che vede nell’individualismo e nel pragmatismo, nella competizione e spesso nella prevaricazione i principi basilari dell’esistenza, penso che la comunanza tra le varie tradizioni spirituali sia essenziale.
Evangelisti: In una società sempre più “colorata” credo sia molto importante prima di tutto la conoscenza reciproca: guardarsi negli occhi, sorridere insieme per scoprire che siamo tutte persone, ognuna con la sua storia, i suoi sogni, i suoi fallimenti, indipendentemente dalla singola appartenenza religiosa. Poste queste basi, ben vengano i progetti comuni tra le varie fedi che si uniscono, ad esempio, per la salvaguardia dell’ambiente o per lanciare messaggi di pace.
Cozzolino: Portare avanti progetti comuni tra le diverse tradizioni spirituali permette di raggiungere una maggiore consapevolezza e conoscenza dell’alterità. I processi di globalizzazione estenuano l’autonomia delle culture diffondendo modelli di convivenza, di società, di economia sempre più omologanti. Si manifesta allora come ineludibile l’urgenza di un dialogo concreto su progetti comuni, tanto più in un tempo, quale è il nostro, che assiste alla crisi generale della convivenza in senso culturale e religioso. Il Mediterraneo, da area di coesistenza, da regione di scambio, da spazio di ibridazioni e incontri si è trasformato in un muro che separa popoli e culture. Un progetto comune diventa quindi una chiave di garanzia per l’accesso a valori multiculturali che possono essere condivisi a livello universale.

Quali sono le principali realizzazioni del Tavolo Interreligioso di Roma e quali sono i programmi per il futuro? 
Falà: Il Tavolo, nel suo lungo cammino iniziato 25 anni fa, si è impegnato in diversi campi: dall’educazione e la scuola, ai diritti civili, alla divulgazione per favorire il superamento dei pregiudizi legati alle “fake news” sulle religioni.
La presenza a Roma delle realtà nazionali delle diverse religioni ha permesso al Tavolo di avere rapporti con le istituzioni locali e nazionali in un proficuo scambio di “buone pratiche”. In questi ultimi tempi ci siamo molto occupati in ambito sanitario del diritto a poter essere seguiti dal conforto del proprio credo nei momenti in cui si è più fragili. È stato organizzato un concorso di idee per architetti e ingegneri per progettare spazi di preghiera, meditazione e silenzio nei presidi sanitari capace di accogliere le diverse esperienze di fede. È stato elaborato con il sostegno della Asl Roma 1 e del Gemelli Medical Center un Manifesto Interreligioso dei diritti nei percorsi di fine vita e le conseguenti Linee operative di indirizzo per gli operatori sanitari, che hanno avuto riconoscimenti a livello internazionale come la Medaglia d’argento 2019 per la Settimana dell’Armonia tra le Fedi delle Nazioni Unite.
In campo educativo, oltre a una decennale esperienza di divulgazione nelle scuole, sono stati organizzati corsi per i docenti, anello di congiunzione fondamentale per trasferire lo spirito “dialogante” che caratterizza il Tavolo all'interno di un dialogo effettivo sul campo tra le giovani generazioni. Sono state allestite mostre di artisti di fedi diverse ospitate in luoghi emblematici come lo Spazio espositivo della Grande Moschea di Roma, concerti nelle Chiese protestanti con musicisti di diversa provenienza, che attraverso il linguaggio universale della musica hanno “dialogato” con la voce dei loro strumenti.
Un cammino che ci auguriamo possa continuare e rinnovarsi per il tempo che verrà.
Shivaraja: A nostro avviso la principale realizzazione del Tavolo è aver dimostrato, ormai da moltissimi anni, che le religioni possono davvero convivere e realizzare iniziative comuni. Altro aspetto rilevante è la conoscenza reciproca, sia da un punto di vista religioso sia da quello personale e umano.
Il lavoro comune, nelle nostre aspirazioni, dovrebbe anche contribuire a restituire una prospettiva spirituale a una vita ordinaria che in generale privilegia la dimensione materiale. È un percorso di lungo termine, non facile da realizzare, che tuttavia mette in campo i reciproci valori e le criticità. 

Scrive Daisaku Ikeda: «Nel contesto del dialogo interreligioso moderno è necessario accettare e valorizzare le molteplici caratteristiche di ogni singolo credo e, allo stesso tempo, afferrare la profonda verità e sapienza presente nelle sue dottrine». Ritiene che questa frase possa esprimere lo spirito dell’esperienza del Tavolo Interreligioso di Roma?
Shivaraja: Sì, può esprimere il percorso che abbiamo maturato e anche quello che ancora dobbiamo realizzare. C’è ancora molto da fare per superare mancanza di informazioni corrette, diffidenze, superficialità e difficoltà.
Coen: Penso fermamente di sì e credo che grazie alla conoscenza reciproca delle persone con le quali siamo stati a contatto per tanti anni, costruendo insieme progetti piccoli e grandi, anche nel periodo più difficile della recente pandemia, abbiamo potuto toccare con mano quanto ogni esperienza spirituale sia profondamente importante per ognuno e per tutti e quanto dalla frequentazione e dalla collaborazione reciproca si possa creare un pieno rispetto e affetto per tutti gli esseri viventi.
Falà: Vedere la diversità e la peculiarità dei vari credi ci permette di camminare insieme e arricchirci reciprocamente, rendendoci “uomini e donne di dialogo”. I cammini sono diversi, ma come è illustrato da una similitudine cara al pensiero orientale, quando si vuole salire fino alla cima della montagna, man mano che ci si avvicina si possono vedere altri che salgono da sentieri differenti. Talvolta ci troviamo ai piedi della montagna, distanti, chi a Nord, chi a Sud, a Est o a Ovest, e vediamo la luce in modo diverso, ma se ci alziamo verso la vetta la luce è più ampia e così il nostro sguardo.
Evangelisti: Il clima che caratterizza i nostri incontri è estremamente rispettoso delle peculiarità, molto diverse tra loro, delle singole religioni rappresentate. Questo rispetto, così sentito da ogni membro, veicola uno scambio di opinioni costruttivo e arricchente. Tant’è che alla fine siamo diventati amici! Personalmente ritengo che per portare avanti in maniera proficua il dialogo interreligioso sia necessario un “passo indietro” da parte di ogni fede; faccio un esempio: siamo come un coro dove ognuno canta la sua parte (soprano, contralto, basso, eccetera), nessuno è solista, tutti insieme uniamo (e limitiamo) le nostre diversità per produrre una bellissima melodia.
Plati: Entrammo a far parte del Tavolo Interreligioso di Roma con la convinzione che ogni dottrina, con le proprie connotazioni e differenze, possiede al suo interno la saggezza necessaria a realizzare la felicità delle persone.
A livello personale venire a contatto con queste diversità, toccare con mano le difficoltà che alcune tradizioni spirituali incontrano nel portare avanti il proprio credo e i relativi riti spirituali, mi ha permesso di strappare il velo di indifferenza e superficialità con cui mi approcciavo a esse. Ciò mi ha consentito di crescere come essere umano e di avvicinarmi alle tematiche che di volta in volta si affrontano in modo aperto e privo di pregiudizi.
Poi ci sono i rapporti umani, di sincera amicizia, che nel tempo si sono consolidati realizzando nel nostro piccolo quello che il maestro Daisaku Ikeda definisce un sodalizio di “religioni per l’essere umano”.
Operando localmente e intervenendo su progetti concreti ognuno e ognuna di noi esercita, di fatto, un’influenza positiva sugli altri senza perdere la propria identità, e in questo cammino di confronto e reciproco miglioramento manifesta il proprio valore intrinseco.
Cozzolino: Il Tavolo Interreligioso di Roma, tra mille difficoltà, ha puntato alla creazione di un universale capace di ospitare le differenze, in cui ricevere non è riempire un vuoto ma consentire all’altro di partecipare a una certa pienezza. Proponendo un dialogo che mettesse in gioco tutte le potenzialità del prefisso dia-, terra di mezzo, dove soggiorna la discorde armonia tra le fedi e tra i cittadini. Una terra di mezzo che disfando la muraglia identitaria dell’amico e del nemico, del mio e del tuo, ci ospita come uni e distinti esseri umani.

Un arcobaleno di visioni a confronto

Testimoniare la propria fede nel mondo di oggi in risposta ai conflitti, alla solitudine, alle paure del momento. Ne discutono, in una vera e propria pratica di dialogo interreligioso, Marco Paris (Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni), Daniele Amodeo (Chiesa Cristiana Avventista del Settimo Giorno), Alessandro Natali (Comunità di Sant’Egidio), Ioel Arturo Roccas (Unione Giovani Ebrei d’Italia – Ugei), Jasmina Cipriani (Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai), Tommaso Manzon (Unione Cristiana Evangelica Battista d’Italia) 

Prima la pandemia, poi le guerre, l’incertezza economica, il cambiamento climatico. Stiamo vivendo un tempo complesso, in cui i giovani risultano particolarmente colpiti. Il futuro appare una chimera e il presente si mostra duro.
In che modo la vostra fede vi incoraggia a confrontarvi con tutto questo?

Marco: Nella mia Chiesa ci poniamo spesso questi interrogativi. Come disse l’apostolo Bednar, alcune volte erroneamente crediamo che la felicità sia assenza di problemi o di fardelli, mentre invece questi ci aiutano a sviluppare una più salda aderenza spirituale alla fede e a metterne in pratica gli insegnamenti, nel mio caso il Vangelo di Gesù Cristo. Ogni persona ha le capacità di affrontare le proprie difficoltà e il mondo che la circonda e soprattutto, dal punto di vista della mia fede, può farlo guardando al Signore, che ci dà gli strumenti per superare queste prove.
Alessandro: In un momento come questo credo che ciò che possiamo fare nel concreto è stare vicino ai giovani. Come Giovani per la Pace della Comunità di Sant’Egidio portiamo avanti da anni alcune attività con i ragazzi delle scuole medie, sostenendoli nello studio o coinvolgendoli in laboratori musicali. Dal punto di vista della fede aiutare questi giovani fa bene in primis a me, perché mi permette di spendere bene il mio tempo ed essere più felice.
Ho visto tanti giovani uscire da situazioni difficili. Per esempio un ragazzo rom durante il lockdown ha preso il diploma di terza media pur vivendo in una baracca con sette fratelli. Sembrava impossibile.
Come dice papa Francesco, siamo tutti sulla stessa barca. Ma quando si fa parte di una rete, le difficoltà si vivono meglio perché non si è da soli. E si ottengono bei risultati.
Daniele: Riflettendo sulla mia fede in questa nuova realtà post-Covid, mi è quasi automatico pensare a una risposta che per un cristiano suona come un mantra: la speranza verso il futuro corrisponde alla fede nella promessa che ci fa il Signore di una vita senza dolore, senza malattie, senza violenza. Però questa risposta non mi completa, perché non sarei onesto con me stesso se dicessi che non esistono attimi di sconforto e di dolore.
In questi anni ho vissuto momenti molto intensi, agli antipodi tra loro. Durante il lockdown ho conseguito la laurea magistrale, ma purtroppo ho anche vissuto la morte di mio padre, un uomo di grande fede. Mi ha trasmesso la certezza di un Dio che mi ama e mi accompagna sempre, che io lo cerchi o meno. Questa certezza, forse l’unica che ho, mi aiuta ad affrontare le difficoltà della vita.
Ioel: Dal punto di vista dell’Ebraismo, non essendoci dogmi, non c’è una giusta interpretazione degli insegnamenti e ognuno può trarne le proprie conclusioni. Durante la pandemia, e anche in questo momento di guerra e incertezza, come Ugei ci siamo impegnati a riunire le persone e a fare associazionismo, per rinnovare insieme la speranza. All’ultimo evento hanno partecipato 400 persone, un numero esorbitante per noi. Nell’Ebraismo c’è il principio di Zedaqah, cioè il credere nell’altro e aiutarlo come si può. Ma viviamo in un mondo complicato, in cui si osserva sempre di più come pochi abbiano troppo e tantissimi abbiano poco. Poiché non vogliamo perdere il bello di aiutare l’altro, attraverso i nostri incontri proviamo a dare la possibilità a tutti di farlo.
Jasmina: Nel Buddismo c’è il concetto di “rivoluzione umana”, strettamente legato al principio di inseparabilità tra il sé e l’ambiente, secondo cui il cambiamento del singolo individuo porta al cambiamento del mondo che lo circonda. La pratica buddista aiuta a sviluppare una speranza infinita in questa trasformazione.
Riprendendo il discorso di Ioel, essendo inseriti in una comunità religiosa, ognuno e ognuna di noi sicuramente è una fonte preziosa di sostegno reciproco. Ma questo è valido sempre, grazie al potere dell’amicizia, che non si limita all’ambito religioso, ma si espande ovunque.
Tommaso: Il futuro può apparire incerto e caotico, ma dal punto di vista della fede cristiana non è una chimera perché ad attenderci c’è il Regno di Dio. Il problema è quando perdiamo di vista questa prospettiva.
Da cristiani pensiamo che questo regno possa realizzarsi nel presente e manifestarsi in gesti pratici. Negli ultimi anni questo ha significato per me scoprire la bellezza della routine, della preghiera, dello studio delle Scritture, della frequenza alle riunioni domenicali. Erano cose che facevo già prima del Covid, ma mi sono accorto di quanto mi mancassero nel momento in cui mi sono state sottratte.
Ho fatto esperienza di quello che dice l’apostolo Paolo, ossia che la forza di Dio si libera nella nostra debolezza, anche quando siamo esausti e pensiamo di non avere più risorse, o non riusciamo ad avere un orizzonte che vada oltre la colazione del giorno dopo.

Anche alla luce degli insegnamenti che sostengono la vostra vita, quali sono gli obiettivi che dovremmo realizzare nel prossimo futuro? E quali sono le priorità che, in questa direzione, dovremmo curare ora?

Tommaso: Io lavoro in una scuola con ragazzi delle medie e delle superiori, e mia moglie è impiegata in un altro istituto come insegnante di sostegno: la nostra comune preoccupazione riguarda la crescita dei ragazzi, visto il contesto di confusione e mediocrità in cui sono immersi, con input molto dannosi. È un problema enorme, perché significa che poi dovremo fare i conti con adulti privi degli strumenti necessari a confrontarsi con i problemi che saranno chiamati ad affrontare. Penso quindi che l’educazione sia il perno di tutto e la vera priorità. Se si affrontano i problemi a quel livello, si risolveranno a cascata tante questioni in vari ambiti.
Da questo punto di vista le comunità di fede hanno qualcosa da offrire, perché ognuna a proprio modo può trasmettere messaggi e prospettive di valore. Una comunità di fede, inoltre, è inserita in un mondo più grande e, se questo non funziona, anche chi appartiene alla comunità soffre. In quello che noi cristiani chiamiamo Antico Testamento c’è un passo in cui Dio dice alle persone del suo popolo, deportate a Babilonia, di cercare il bene della città in cui vivranno, perché il bene di quella città è anche il loro.
Jasmina: Anche io credo che la priorità sia l’educazione, prendersi cura dei più giovani responsabilizzandoli. Forse quello che manca, di cui i giovani spesso si lamentano, è che la loro voce non viene ascoltata. Finché non ascoltiamo i giovani, non diamo loro responsabilità, non possiamo aspettarci che possano sviluppare le capacità per diventare leader nella società e nelle rispettive comunità religiose.
Ioel: I giovani sono il futuro, ma poi diventeranno anziani, quindi in realtà sono il presente del nostro mondo. Forse il momento di riflessione dovrebbe riguardare l’oggi, perché domani sarà forse già troppo tardi.
Riguardo al dare loro responsabilità, recentemente abbiamo vinto un bando per un progetto sociale che riguarda l’orto terapia nelle case di riposo ebraiche. Abbiamo coinvolto giovani ebrei dai sei ai diciotto anni appartenenti ai movimenti di Roma per responsabilizzarli su diversi piani: sia includendo le nuove generazioni nel sostegno agli anziani e alle persone che si trovano più in difficoltà, spesso abbandonate dalla nostra società, sia nell’occuparsi della Terra e trattarla nel modo migliore. Credo che ora la nostra priorità sia mantenere unita la società attraverso le sue generazioni e le sue componenti, ma allo stesso tempo non dimenticare da dove veniamo e che cosa significa per noi l’appartenenza al pianeta.
Daniele: Anch'io vedo il tema dell’ambiente come una priorità. Come Chiesa Avventista abbiamo un programma scout (Aisa, Associazione Italiana Scout Avventisti) per i giovani dai sei ai sedici anni. Lo scopo è aiutare i ragazzi a formarsi e a crescere attraverso varie attività all’aperto.
Robert Baden-Powell, il padre dello scoutismo, nell’ultimo messaggio agli esploratori disse: «Cercate di lasciare questo mondo un po’ migliore di quanto non l’avete trovato». Non si tratta solo di non peggiorare lo stato del mondo, ma di migliorarlo. Questa frase è sufficiente per capire come dovremmo comportarci nei confronti del pianeta e della società.
All’interno del mondo cristiano c’è chi pensa che poiché siamo destinati ad andarcene da questo pianeta, il nostro impegno può essere minimo perché tanto non staremo qui per sempre. Io credo invece che il Signore ci chiami a rispettare una creazione che lui ha realizzato. E allora, da cristiano, sento che devo cercare di impegnarmi il più possibile.
Marco: Credo che l’obiettivo che dobbiamo realizzare insieme è continuare a intensificare il dialogo che stiamo sviluppando. Questa mediazione interreligiosa sta puntando a una maggiore collaborazione e allo sviluppo di progetti che, specialmente in ambito umanitario, ci vedono coesi, uniti. Un ulteriore passo sarà quello di allargare questa mediazione, che già da tempo i nostri leader spirituali hanno intrapreso, a sempre più fedeli, perché ritengo che attualmente vi sia poca conoscenza e consapevolezza di questa apertura. A volte localmente vediamo contrasti tra credenti di diverse confessioni, invece io spero che questa apertura al dialogo possa estendersi a tutti i livelli, nel rispetto dei tempi di ogni singola religione e dei suoi appartenenti. Così, insieme, potremo sviluppare progetti che ci vedano coprotagonisti nella creazione di un mondo migliore.
Alessandro: Ognuno di noi grazie alla propria confessione ha ricevuto tanto. Siamo fortunati e penso che sia nostro compito restituire questo con urgenza, in particolare ai giovani. Tanti ragazzi, trovando una guida, possono diventare importanti per il loro quartiere e per la società. Dobbiamo dar loro voce e renderli protagonisti, creando luoghi e occasioni in cui stare insieme. Come Comunità di Sant’Egidio cerchiamo di appassionarli e coinvolgerli nelle grandi battaglie, come ad esempio stare vicino agli anziani o dalla parte dei più poveri, o lottare per un mondo meno inquinato.

Qual è la vostra fonte di speranza, che vi ispira ad agire per un mondo migliore? Cosa direste a un amico per incoraggiarlo a coltivare la speranza?

Daniele: Nei Vangeli troviamo la regola d’oro: «Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro». Possiamo trasmettere questi valori attraverso le nostre comunità di riferimento, cristiane e non, diffondendo il rispetto verso il prossimo e l’ambiente per creare una società più giusta e pacifica. Il rispetto degli altri parte dalla cerchia più prossima. Per avere una società più giusta e pacifica è necessario conoscere, comprendere, rispettare e accogliere chi abbiamo intorno.
C’è una frase di Francesco d’Assisi che mi piace molto: «Predicate sempre il Vangelo e se fosse necessario usate anche le parole». Per me è la sintesi perfetta della vita di un cristiano, Dio ci chiama a vivere un’esistenza che sia da esempio, a usarla come modello di fede. Allora credo che più di tante parole posso trasmettere la mia fede attraverso la pratica del Vangelo cercando di vivere da cristiano in un mondo complesso e difficile, tenendo sempre accesa la speranza.
Tommaso: Sposo in toto questa affermazione. Potrei aggiungere che le comunità di fede hanno una grossa difficoltà, comune a tutta la società, che è la distanza tra le generazioni. Allo stesso tempo però noi, ognuno dalla propria prospettiva, facendo parte di comunità antichissime abbiamo un vantaggio, in un certo senso possiamo dire che siamo la memoria vivente di una storia antica e possiamo trasmetterla. Attraverso la pratica pastorale e l’attività religiosa possiamo far sì che i ragazzi, nella comunità, possano crescere, costruire la loro personalità per poi agire nel mondo.
Alessandro: Credo che per ogni confessione la fonte della speranza sia la preghiera, che porta a pensare agli altri, a come difenderli, e a stare in contatto con il Signore. La preghiera ci dà forza. È importante dare a tutti questa speranza, soprattutto a chi non ha una fede.
Marco: Nei momenti di difficoltà ciò che mi ha spinto a pregare è stato il fatto di possedere una testimonianza personale e quindi di credere, avere la certezza in qualcosa che esiste anche se non è tangibile. A un amico che soffre direi di non scordarsi che ha un potenziale divino; e che se ha la forza di inginocchiarsi e chiedere aiuto può riceverlo dal Signore e superare la sua prova. Un aiuto che può essere un maggior discernimento oppure un’amica o un amico che lo sostiene. Non dobbiamo sentirci soli nell’affrontare le difficoltà.
Jasmina: Anche per me la fonte di speranza è la preghiera, e ciò che consiglierei a un amico o a un’amica è di sperimentarla in prima persona. E mi viene in mente un messaggio che il nostro maestro, il presidente della Sgi Daisaku Ikeda, scrisse in occasione dello tsunami e del terremoto di Fukushima nel 2011, in cui alle persone che avevano perso i parenti e la casa indirizzò queste parole: «I tesori del cuore non saranno mai distrutti». È un messaggio universale, che ci incoraggia a valorizzare ciò che è più importante, quello che veramente nessuno può toglierci, neanche un disastro di queste proporzioni, neanche la morte.
Ioel: Rispetto a temi come il cambiamento climatico, l’incertezza economica, le guerre, la pandemia, possiamo iniziare a pensare in maniera diversa, e quindi ad agire in maniera diversa, facendo in modo che il cambiamento inizi dal piccolo e poi cresca e abbracci il mondo.
La mia fonte di speranza è una frase di Golda Meir, la prima ministra israeliana della nostra storia, che dice: «Il pessimismo è un lusso che un ebreo non può mai permettersi». Credo che questa frase sia valida per qualsiasi essere umano.

Giovani di fede in dialogo sul futuro

La pluralità religiosa è una delle caratteristiche fondamentali della nostra epoca. Aprirsi ad altre spiritualità testimoniando il proprio credo, rispettandosi e valorizzandosi reciprocamente, è la chiave per diventare persone migliori e collaborare per realizzare un mondo di pace, libertà e giustizia. 

Dialogo interreligioso

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