Un tempo che non finisce mai. E che comincia ogni volta che parliamo ad altri della nostra esperienza della pratica di Nam-myoho-renge-kyo, come ci ha spiegato Nichiren Daishonin. Diffondere l'insegnamento significa coltivare i tesori del cuore. La Soka Gakkai, raccogliendo l'eredità del Budda, sparge "semi di pace" in tutto il mondo

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Oggi, il tempo di kosen-rufu

Oggi, il tempo di kosen-rufu

Fare proprio il voto di kosen-rufu

di Maria Lucia De Luca

Nichiren Daishonin nel Gosho Lettera a Niike afferma: «Come siamo fortunati noi che siamo nati nell'Ultimo giorno della Legge al tempo di kosen-rufu!»1.
Abituati alle utopie, alle "città del sole", alle società ideali, certo ci è difficile riconoscere nel mondo di oggi i segni di quella pace e di quell'armonia evocati dal termine kosen-rufu, quando «il vento non spezzerà i rami o le fronde, né la pioggia cadrà così forte da rompere una zolla. [...] I disastri si allontaneranno dal paese e la gente sarà libera dalla sfortuna. Le persone impareranno anche l'arte di vivere esistenze lunghe e realizzate».2
Uno dei punti da chiarire è che kosen-rufu non è un evento che si realizzerà nel futuro, ma una decisione da perseguire, un progetto che si realizza mentre si costruisce. Spiega Tamotsu Nakajima, direttore generale dell'Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai, nelle pagine che seguono: «Noi spesso usiamo l'espressione kosen-rufu soltanto per indicare la fine di un'impresa. Invece nel Sutra del Loto e nel Gosho per kosen-rufu si intende il processo attraverso il quale si diffonde l'insegnamento buddista tra la popolazione di tutto il mondo».
Al processo di kosen-rufu diede inizio Nichiren Daishonin il 28 aprile del 1253, a mezzogiorno, quando per la prima volta pubblicamente recitò Nam-myoho-renge-kyo spiegando che nell'epoca malvagia dell'Ultimo giorno della Legge questa pratica era l'unica via per l'ottenimento dell'Illuminazione nella vita presente.
Qualche anno dopo, nel 1260, Nichiren inviò a un uomo politico tra i più influenti dell'epoca un trattato dal titolo Adottare la dottrina corretta per la pace nel paese dove spiegava dettagliatamente, con dovizia di esempi e citazioni dalle scritture, come i tragici eventi che straziavano il popolo giapponese - dalle faide politiche alle epidemie alle calamità naturali - erano l'effetto di credenze, filosofie e religioni errate. La cosa più grave, a suo avviso, era il rifiuto delle varie scuole buddiste di adottare, come insegnamento per l'ottenimento dell'Illuminazione, il Sutra del Loto. Per Nichiren questo equivaleva al rifiuto di seguire l'autentico insegnamento del Budda Shakyamuni, che proprio nel Sutra del Loto afferma: «Dopo la mia estinzione, nell'ultimo periodo di cinquecento anni, dovrai diffonderlo [questo sutra] in tutto Jambudvipa e non permettere mai che la sua diffusione sia interrotta»3.
Kosen-rufu, come spiegherà Nakajima nelle pagine successive, significa appunto propagare largamente - in tutto il mondo - e incessantemente il Sutra del Loto, secondo il desiderio del Budda. Nichiren Daishonin ha dedicato la sua intera vita alla realizzazione e alla perpetuazione di questo processo nei secoli a venire.
Scrive Daisaku Ikeda: «Il Daishonin afferma che coloro che si impegnano coraggiosamente per la realizzazione di kosen-rufu come il Budda insegna, senza temere le persecuzioni, riceveranno il beneficio di "ottenere l'Illuminazione nella propria forma presente" e "purificare i sei organi di senso". Noi riceviamo benefici e realizziamo la nostra rivoluzione umana solo nella misura in cui ci sfidiamo coraggiosamente per far progredire kosen-rufu»4.
«Come insegna il Budda», dice Ikeda. Ciò significa avere il Buddismo, e non le proprie opinioni, come punto di riferimento, come fondamento dell'esistenza. «Vivi in modo che tutte le persone di Kamakura lodino Shijo Kingo per la devozione al suo signore, al Buddismo e per la bontà d'animo verso gli altri. Più preziosi dei tesori di un forziere sono i tesori del corpo, e prima dei tesori del corpo vengono quelli del cuore. Dal momento in cui leggerai questa lettera sforzati di accumulare i tesori del cuore»5. Così Nichiren incoraggia il suo discepolo samurai ad acquisire le qualità che derivano dalla pratica e dalla propagazione della Legge.
I "tesori del cuore" sono i cambiamenti che operiamo nel nostro carattere, nel nostro modo di essere e di vivere cercando di applicare il Buddismo alla nostra esistenza.
Riferendo le parole del Gosho al mondo di oggi, Ikeda spiega che «"devozione al signore", "devozione al Buddismo", "bontà d'animo verso gli altri", si possono tradurre in termini attuali come dedizione "al lavoro", "a kosen-rufu" e "alla società", cioè alla totalità della fede e della vita quotidiana. Un cuore sempre rivolto verso il bene perché si basa sulla natura del Dharma (la Buddità presente nella nostra vita, n.d.r.) porta alla creazione di valore in qualsiasi impresa umana. Il Daishonin consiglia di guardarsi dall'egocentrismo e di comportarsi in modo da guadagnarsi l'apprezzamento e la fiducia degli altri. [...] Un cuore rivolto al bene si riflette nel comportamento e nel modo di vivere e non mancherà di essere capito e apprezzato nella società»6.
Invece di basarci su un cuore dominato dal karma, dice ancora Ikeda, è necessario accordare il nostro cuore con il cuore del Budda, mettendo in pratica il suo insegnamento. «Un Budda autentico è una persona che agisce per permettere a tutte le persone di intraprendere la via per la felicità da lui stesso percorsa»7.
«Per far sì che una società che sta colando a picco verso l'oscurità si diriga verso un mondo illuminato, caratterizzato dal rispetto per gli esseri umani, l'unica strada è che ognuno di noi dimostri di essere riuscito a vincere manifestando la natura di Budda nelle proprie azioni. Perciò il nostro combattimento interiore per credere fermamente nella Buddità propria e degli altri ha un'enorme importanza»8.
Attraverso questa lotta intima, sforzandoci di essere "buddisti il più possibile", riusciamo ad accumulare i "tesori del cuore". Non solo: riusciamo anche a trasmettere agli altri quanto sia infinitamente più ricca e più felice una vita basata sulla ricerca dei "tesori del cuore" di un'esistenza dedita esclusivamente all'accumulo dei "tesori del forziere" o dei "tesori del corpo", al contrario del messaggio principale della società di oggi che spinge a cercare la felicità nella ricchezza e nell'immortalità.
Scrive Ikeda: «L'affermazione: "Più preziosi dei tesori di un forziere sono i tesori del corpo, e prima dei tesori del corpo vengono quelli del cuore" esprime una maniera di pensare di importanza vitale e non vi è alcun dubbio che nel XXI secolo verrà rivalutata come una teoria di supremo valore.
Il "tesoro del cuore" per noi significa fare proprio il voto di kosen-rufu. Non esiste tesoro del cuore più grande. Accumulando i tesori del cuore che derivano dagli sforzi per condividere con gli altri gli insegnamenti del Daishonin possiamo condurre una vita d'immenso valore. Decine di milioni di persone hanno percorso questa strada, consolidandola per quelli che sarebbero venuti dopo di loro. [...] I benefici di essere i pionieri di questo movimento sono incommensurabili e saranno condivisi da tutti i membri che hanno lottato instancabilmente per kosen-rufu e dai loro figli e discendenti. Come scrive il Daishonin: "Un'azione invisibile produrrà un beneficio visibile"9»10.

Note

1) Gli scritti di Nichiren Daishonin, vol. 4, p. 243.
2) Ibidem, p. 12.
3) Il Sutra del Loto,
Esperia, p. 386.
4) Il mondo del Gosho, Esperia, vol. 2, p. 138.
5) Gli scritti di Nichiren
Daishonin, vol. 4, p. 177.
6) Il mondo del Gosho,
vol. 2, p. 155.
7) Ibidem, vol. 1, p. 269.
8) Ibidem, vol. 2, p. 156.
9) Gli scritti di Nichiren Daishonin, vol. 4, p. 172.
10) Il mondo del Gosho,
vol. 2, pp. 156-157.

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I tesori del cuore

«La rivoluzione umana di un singolo individuo contribuirà al cambiamento del destino di una nazione e condurrà infine a un cambiamento nel destino di tutta l'umanità...». Con queste parole Daisaku Ikeda termina la prefazione al suo romanzo La rivoluzione umana, la storia del movimento di kosen-rufu attraverso l'impegno dei membri della Soka Gakkai. 
Abbiamo rivolto alcune domande a Tamotsu Nakajima sull'origine e sul significato dell'espressione kosen-rufu sia dal punto di vista letterale che filosofico, per capire bene la relazione che lega il cambiamento individuale alla realizzazione della felicità di tutti gli esseri umani



L'origine e il significato dell'espressione kosen-rufu







Nel Sutra del Loto c'è scritto: «Diffondete questo sutra in tutto il mondo». Nel Gosho questa frase viene resa con il termine kosen-rufu. Cosa significa esattamente kosen-rufu? 
Kosen-rufu è un'espressione che compare nella traduzione in cinese del Sutra del Loto fatta da Kumarajiva (344-413). Il brano del Sutra del Loto: «Dopo la mia estinzione, nell'ultimo periodo di cinquecento anni, dovrai diffonderlo in tutto Jambudvipa e non permettere mai che la sua diffusione sia interrotta» (Il Sutra del Loto, Esperia, p. 386) equivale nel Gosho alla frase: «Realizzate kosen-rufu in tutto il mondo e non permettete mai che il suo flusso si interrompa» (La profezia del Budda, in Gli scritti di Nichiren Daishonin, vol. 4, p. 21). 
Dal punto di vista letterale, l'ideogramma ko equivale a hiroi, cioè largo, e di conseguenza aperto. È il contrario di semai, stretto. 
Per quanto riguarda sen, fa parte dell'antica espressione senji, che vuol dire "parole dette" (dall'imperatore). Sen attualmente significa "dire". 
Quindi kosen significa "dire largamente". O diffondere. 
Ru è la corrente dell'acqua, equivale a nagareru che indica un fiume che scorre secondo la corrente. Fu equivale a nuno, la stoffa, costituita dalla trama e dall'ordito.



Quando si realizzerà kosen-rufu? 
Noi spesso usiamo l'espressione kosen-rufu soltanto per indicare la fine di un'impresa. Per secoli e secoli lavoriamo, e alla fine si realizza kosen-rufu. Dimentichiamo di dare importanza a tutte le azioni che facciamo per costruire questo risultato. Invece nel Sutra del Loto e nel Gosho per kosen-rufu si intende il processo attraverso il quale si diffonde l'insegnamento buddista tra la popolazione di tutto il mondo. È un flusso continuo che non si deve mai interrompere. 
Il Buddismo di Nichiren Daishonin, in sintesi, è recitare Daimoku - curare la propria pratica personale, anche attraverso lo studio - e insegnarlo agli altri. Contribuire a kosen-rufu dunque è proprio l'azione di diffondere l'insegnamento del Daishonin per realizzare la pace eterna in tutto il mondo: questo è ciò che indica l'ideogramma ru, un fiume, una corrente che non si ferma mai. 
Oggi i membri della Soka Gakkai stanno realizzando kosen-rufu perché diffondono Nam-myoho-renge-kyo e il Gohonzon condividendo l'intenzione del Daishonin di rendere felici tutte le persone del mondo.



Perché si dice che kosen-rufu è la pace nel mondo? Talvolta li usiamo come sinonimi. 
Quasi tutti pensano che la pace nel mondo sia l'assenza di guerra. Invece noi non pensiamo così. La nostra intenzione è creare una condizione di indistruttibile armonia e pace in tutto il pianeta, che chiamiamo kosen-rufu. Kosen-rufu si basa sull'importanza della vita, sul valore della vita. 
Ogni vita ha il diritto di essere felice: quindi non solo non si può togliere la vita, ma bisogna anche vivere bene. Per noi la pace nel mondo è il cambiamento di ogni singola persona, un cambiamento che avviene attraverso il continuo sforzo di avvicinare la propria intenzione e le proprie azioni a quelle del Budda. Questa è la via per la rivoluzione umana, attraverso la quale possiamo costruire la pace e la felicità. 
Perciò la prima azione è migliorare se stessi, la seconda è star bene insieme con gli altri. Questi sono i due pilastri, se ne manca uno la "casa" non regge. 
Per noi la cosa importante è l'azione che compie ogni singola persona quotidianamente. Tutte le nostre azioni dovrebbero essere indirizzate a kosen-rufu, cioè dovrebbero contribuire a portare avanti la propria rivoluzione umana e nello stesso momento contribuire ad aiutare gli altri per stare bene insieme.



Allora consideriamo una giornata. Una persona si alza e recita Nam-myoho-renge-kyo. 
Come dovremmo vivere ogni giorno, in ogni momento? Prima di tutto pensando che la vita è fonte di gioia, una gioia che non ci dà nessuno, che dobbiamo creare noi. In ogni attimo dobbiamo tirare fuori gioia dalla situazione che stiamo vivendo. In questo modo costruiamo una felicità che non ci toglie nessuno, che riusciamo a mantenere sempre. 
Il Buddismo dice che essere vivi è fonte di gioia perché si ha la possibilità di realizzare tante cose. La vita serve per essere utilizzata. Tutto dipende da come una persona ha deciso di vivere, di usare la sua vita e le infinite possibilità che questa offre in ogni attimo. Noi che pratichiamo il Buddismo di Nichiren Daishonin cerchiamo di usare la vita per realizzare la felicità nostra e di tutti gli altri, perché la felicità è lo scopo della vita. Penso che la maggiore difficoltà che ci impedisce di praticare veramente bene il Buddismo siano le azioni per gli altri. Comunque la cosa importante è fare giorno dopo giorno, attimo dopo attimo, uno sforzo per migliorarci: dopo una giornata di sforzi sicuramente saremo migliori di prima. Dopo due, tre giorni di sforzi, saremo ancora migliori. La propria tendenza karmica non cambia facilmente, ma a causa del mutuo possesso dei dieci mondi lo stato vitale si può cambiare sempre, attimo dopo attimo. Semplicemente, come diceva ultimamente il professor Saito, il karma non si estingue, ma la Buddità è così forte da "nasconderlo", così come il sole che fa scomparire la luce delle stelle. 
Immaginiamo una linea retta che rappresenti la corretta pratica buddista insegnata dal Daishonin: noi dovremmo sempre aderire a quella linea. Se facciamo una piccola deviazione possiamo tornare subito sulla linea, ma se ce ne discostiamo troppo è difficile ritornarvi. Meno ci si allontana, più facile è rientrare.



Per questo è importante praticare tutti i giorni? 
Sì, attraverso Nam-myoho-renge-kyo ogni giorno cerchiamo di rimanere aderenti alla "linea". Possiamo deviare, ma cerchiamo di rimetterci in "linea" con il Budda prima possibile. L'importante è avere il mezzo per riprendersi. Quindi non dipende da Nam-myoho-renge-kyo, dipende da noi, se lasciarsi andare o riprendersi subito. 
Ogni giorno, in ogni attimo, dobbiamo ragionare in base al Buddismo. E comportarci coerentemente con l'insegnamento buddista. Se non facciamo così, in realtà non stiamo praticando il Buddismo ma siamo dominati dalla nostra mente. Quindi in tutto ciò che ci accade nella vita quotidiana dovremmo pensare e agire in base al Buddismo. Qualsiasi azione deve essere basata sul ragionamento buddista.



Cosa vuol dire ragionare in modo buddista? Cosa vuol dire essere buddisti tutto il giorno? 
Poiché viviamo in mezzo alle persone, essere buddisti tutto il giorno dipende da come ci comportiamo in ogni momento. È importantissimo avere rispetto verso tutte le persone, perché ogni momento che viviamo lo stiamo vivendo insieme a tutte le persone del mondo. 
Il nostro scopo è in ogni attimo essere utili a tutte le persone, non soltanto a noi stessi, alla nostra famiglia, a chi ci sta vicino. Per noi è difficilissimo, perché riusciamo a sentire e a capire chi ci sta vicino ma non sentiamo chi è lontano. Però noi viviamo secondo il principio di engi (origine dipendente), quindi ragionando in base al Buddismo dovremmo provare gratitudine per tutta l'esistenza, per ogni forma di vita.



Adesso parliamo del rispetto. Ma cosa significa? 
Cosa facciamo per rispettare gli altri? C'è un rispetto attivo e un rispetto passivo, l'indifferenza non è un vero rispetto. 
Quando non c'è relazione non c'è valore, e se non si dà valore, non si ha rispetto. 
Sono io che devo vedere il valore di qualcosa e apprezzarlo. Rispettare ogni cosa significa usarla nel modo più giusto, penso anche al linguaggio. Il Buddismo, la Buddità, sta nel comportamento verso ogni persona che incontri, con cui parli, nel modo di usare le cose. Sta nello sforzo di migliorare ogni giorno. 
Allora come posso rispettare gli altri? Credo fortemente in quello che dice Ikeda, cioè lodare gli altri, apprezzare gli altri in ogni momento, avere l'attenzione di apprezzare ogni cosa che esiste.



Ma comportarsi da buddisti non significa anche lodare la Legge? Secondo il Sutra del Loto tutti sono Budda, quindi lodare la Legge è riconoscere la propria Buddità e quella altrui. Come si collega il fatto di riconoscere la propria Buddità con il rispetto di tutte le persone? 
La Legge universale è alla radice di tutto ciò che esiste: ogni fenomeno, ogni cosa deriva dalla Legge, che si nasca come persona, o come animale, o non si nasca affatto. Il Buddismo vede la Buddità in ogni forma di vita, non soltanto negli esseri umani, anche negli esseri non senzienti come i sassi. 
Perché vede la Buddità in ogni cosa? Perché ogni cosa deriva dalla Legge dell'universo. Cosa vuol dire allora lodare la Legge? Rispettare ogni fenomeno che esiste. Ma cosa vuol dire rispettare ogni fenomeno? Nel Gosho La pratica dell'insegnamento del Budda Nichiren scrive: «In quell'epoca, poiché tutte le persone reciteranno Nam-myoho-renge-kyo, il vento non spezzerà i rami o le fronde, né la pioggia cadrà così forte da rompere una zolla» (Gli scritti di Nichiren Daishonin, vol. 4, p. 12). 
Io penso semplicemente che tutto dipenda da come sto usando la Legge. Sto cercando di rispettare la Legge? Cerco di ritornare alla Legge, di armonizzarmi con la Legge? 
Credo che rispettare gli altri sia shakubuku, cioè dare anche agli altri la mia stessa possibilità di lodare e utilizzare la Legge. Ma se non riesco a utilizzare io per primo questa Legge, Nam-myoho-renge-kyo, cosa posso dire agli altri? Perciò prima di tutto io devo cercare di usarla bene, e in questo modo - sperimentandola nella mia vita - riuscirò a dimostrare agli altri quanto grande è il suo valore.



Come facciamo a capire bene il Buddismo e ad applicarlo ogni giorno alla nostra vita? 
Per ogni persona è fondamentale il rapporto diretto e individuale con il Gohonzon e con il maestro. Ma per capire bene il Buddismo è necessario il confronto, altrimenti ciascuno rimane chiuso nel suo punto di vista e non va avanti. Segue solo la sua tendenza. Per questo motivo esiste la Soka Gakkai. Quindi è importantissima la relazione con i compagni e le compagne di fede, cui va tributato il massimo rispetto. Ognuno ha il suo valore, che va usato per kosen-rufu.



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Diffondere l'insegnamento per realizzare la pace

Oggi, il tempo di kosen-rufu

Lo sviluppo del movimento di kosen-rufu, dalla Soka Kyoiku Gakkai fondata in Giappone negli anni Trenta alla Soka Gakkai internazionale nata nel 1975, attraverso l'opera dei tre presidenti Tsunesaburo Makiguchi, Josei Toda e Daisaku Ikeda

Lo sviluppo della Soka Gakkai dagli anni '30 a oggi

di Anna Conti

«Dapprima solo Nichiren recitò Nam-myoho-renge-kyo, ma poi due, tre, cento lo seguirono, recitando e insegnando agli altri. Questo accadrà anche in futuro. Non vuol dire ciò "emergere dalla terra"? Infine al tempo di kosen-rufu l'intera nazione giapponese reciterà Nam-myoho-renge-kyo, questo è certo come una freccia che, puntata verso terra, colpirà sicuramente il suo bersaglio» (Gli scritti di Nichiren Daishonin, vol. 4, p. 233).

Tsunesaburo Makiguchi, la fondazione

Il 18 novembre del 1930 Tsunesaburo Makiguchi, direttore di una scuola elementare, fondò la Soka Kyoiku Gakkai (Società educativa per la creazione di valore) insieme a Josei Toda, maestro elementare. Due anni prima si erano convertiti al Buddismo di Nichiren Daishonin, aderendo alla scuola Nichiren Shoshu. All'inizio l'organizzazione era impegnata principalmente nella ricerca educativa e ne facevano parte soprattutto educatori, con l'obiettivo di promuovere una riforma del sistema pedagogico. Ben presto però Makiguchi e Toda spostarono l'attenzione sullo studio e sulla propagazione dell'insegnamento di Nichiren Daishonin. Con l'inizio della seconda guerra mondiale il governo militarista giapponese incominciò a reprimere la libertà nel paese e in nome della pace e della sicurezza pubblica cercò di unificare tutti i gruppi religiosi sotto l'egida dello Shintoismo, che divenne religione di stato. La Nichiren Shoshu accettò di fondersi con le altre scuole Nichiren e di esporre i talismani shintoisti accanto al proprio oggetto di culto, mentre Makiguchi e Toda si opposero con fermezza. Così la polizia speciale iniziò nel 1943 a sorvegliare ogni riunione della Soka Kyoiku Gakkai. Makiguchi fu arrestato il 6 luglio con l'accusa di aver violato la legge per la preservazione della pace e di non aver rispettato i santuari shintoisti. Con lui furono arrestate altre persone; molte, per paura di morire, si dissociarono da Makiguchi e furono liberate. Alla fine abbandorano tutti la fede. Eccetto Toda. Anche lui fu arrestato e imprigionato nello stesso carcere, ma non potè mai comunicare con il suo maestro in alcun modo.
Makiguchi morì in carcere il 18 novembre del 1944. Toda fu rilasciato il 3 luglio del 1945. La città di Tokyo era un cumulo di rovine a causa dei bombardamenti e l'intero paese era stremato dalla guerra.

Josei Toda, la ricostruzione

Benché malato e denutrito per la lunga permanenza in carcere, dedicò tutte le sue energie a riorganizzare le attività della Soka Kyoiku Gakkai, con il desiderio di realizzare i progetti del suo maestro.
«Solo il Budda poteva comprendere l'indignazione che provai quando fui liberato: la Soka Gakkai era completamente distrutta e tutti i membri che incontravo nutrivano seri dubbi sul Gohonzon. Provavano risentimento verso Makiguchi e mi odiavano. [...] Tutti i responsabili avevano abbandonato il Gohonzon. Io avevo fatto la solenne promessa di realizzare kosen-rufu, ma ero da solo, in un Giappone devastato dalla guerra. [...] Verso il febbraio 1946 a uno a uno cominciarono ad apparire i primi membri della Gakkai. [...] Nell'autunno del 1946 la ricostruzione della Soka Gakkai era in pieno svolgimento...», così scrive Toda nei Princìpi ispiratori (DuemilaUno n. 50, p. 45).
Quello stesso anno cambiò il nome dell'organizzazione in Soka Gakkai (Società per la creazione di valore): i suoi orizzonti si allargarono oltre i confini dell'educazione e divenne una vera e propria organizzazione religiosa, basata sull'insegnamento di Nichiren Daishonin.
In soli tre anni il numero dei membri arrivò a tremila. Il 24 agosto 1947 a una riunione di discussione Toda incontrò Daisaku Ikeda, che partecipava per la prima volta a una riunione buddista; da quel momento il giovane è sempre al suo fianco, pronto a realizzare i desideri del maestro.
Nei dieci anni che seguirono l'organizzazione ebbe una grande espansione: durante una riunione con migliaia di giovani Toda condannò fermamente le armi nucleari e il 2 aprile del 1958 morì dopo aver realizzato l'obiettivo di 750.000 famiglie nella Soka Gakkai.

Daisaku Ikeda, la diffusione

Il 3 maggio 1960 Ikeda diventò terzo presidente della Soka Gakkai, a soli trentadue anni. Insieme a Toda aveva fatto della Gakkai una delle organizzazioni religiose più importanti del Giappone. Ora voleva realizzare tutto quello che il suo maestro aveva sognato: far conoscere l'insegnamento del Daishonin in occidente, creare istituti culturali e artistici per il dialogo tra i popoli, realizzare scuole e strutture educative che basino le loro attività sulla pedagogia di Makiguchi, fondare centri di ricerca sulla pace. Poco tempo dopo, il 2 ottobre, partì per la prima volta per un viaggio fuori dal Giappone con una forte convinzione nel cuore: realizzare la pace in tutto il mondo.
«Erano passati solo cinque mesi da quando era stato nominato terzo presidente della Soka Gakkai. Nella tasca interna del soprabito custodiva una fotografia del suo maestro. Non aveva dimenticato il giorno in cui Toda, gravemente ammalato, nel letto del suo alloggio al tempio principale, poco prima di morire, gli aveva confidato di aver fatto un sogno: lo aveva visto partire per il Messico. [...] "Voglio che tu ti metta in viaggio; voglio che tu vada intorno al mondo per kosen-rufu. L'intero pianeta sarà il tuo proscenio, e, credimi, è davvero immenso. Sarà la sfida della tua vita!". [...] Le parole che Toda gli aveva rivolto non erano altro che il pressante appello di un leader buddista, ben conscio delle condizioni in cui versava il pianeta, che si preoccupava per il bene dell'umanità. Lo scopo della vita è la felicità e la pace è un desiderio comune alla gente di tutto il mondo. [...] Quella traversata avrebbe creato le premesse per la nascita dell'odierna Soka Gakkai internazionale (SGI)»: così si legge nella Nuova rivoluzione umana (vol. 1, p. 1).
Da allora Ikeda ha viaggiato attraverso tutti i continenti, da est a ovest, da nord a sud, creando una rete di amicizie e dialoghi con persone di paesi diversi, superando ogni differenza culturale o ideologica: accanto a lui sua moglie Kaneko, che lo sostiene costantemente nei viaggi e nelle attività per la pace.
Nel corso della sua intensa attività in tutto il mondo Ikeda ha sempre affermato di aver semplicemente realizzato ciò che Toda aveva pensato e sognato.

La Soka Gakkai internazionale

Il 26 gennaio del 1975, sull'isola di Guam, nell'Oceano Pacifico, nasceva la Soka Gakkai internazionale.
Erano presenti 158 rappresentanti di cinquantuno paesi del mondo. Dall'Europa intervennero i rappresentanti di tredici paesi: Gran Bretagna, Germania occidentale, Italia, Olanda, Belgio, Spagna, Danimarca, Svezia, Svizzera, Austria, Grecia, Francia e Norvegia.
Per l'Italia parteciparono Mitsuhiro Kaneda e Amalia Miglionico, conosciuta da tutti come Dadina (su questo storico evento vedi intervista a p. 16).
«Il 26 gennaio 1975 è una data che brilla negli annali del Buddismo» afferma Ikeda nel suo messaggio per il nuovo anno. «Quel giorno i pionieri di kosen-rufu di cinquantuno paesi si riunirono a Guam, teatro di aspri combattimenti durante la seconda guerra mondiale. E io mi rivolsi a loro, con mille emozioni nel cuore: "Dedicate la vostra vita intera a diffondere i semi della Legge mistica per realizzare la pace in tutto il mondo: io farò lo stesso". Da allora sono passati trent'anni nei quali tutti voi avete tenuto fede al voto di realizzare kosen-rufu in tutto il mondo, lavorando insieme senza sosta per piantare i semi della Legge mistica e affrontando al tempo stesso infinite tempeste di ostacoli. [...] Dove prima non esisteva niente, ognuno di voi ha aperto una strada per kosen-rufu, che si snoderà per tutto l'infinito futuro dell'Ultimo giorno della Legge e i benefici che state accumulando sono immensi, come un oceano infinitamente vasto, come un'imponente montagna, indistruttibile ed eterna» (cfr. Il Nuovo rinascimento n. 319, p. 7).
Quel giorno fu pronunciata una Dichiarazione di pace, firmata da tutti i partecipanti, in cui si afferma: «Come possiamo contribuire alla pace tra le persone? Poiché la felicità degli esseri umani è necessaria per una pace stabile, ci impegneremo al massimo per contribuire alla gioia di vivere per assicurare la sopravvivenza dell'umanità. E faremo della compassione fra le persone di tutto il mondo il credo della nostra epoca» (Ibidem, n. 320, p. 22).
Oggi la Soka Gakkai internazionale si è estesa in 190 paesi e conta milioni di membri, impegnati nella costruzione di una società pacifica, con la convinzione che «la pace non è un concetto astratto e lontano da noi. La pace dipende dagli sforzi di ognuno di noi di piantare e coltivare i semi della pace nella realtà della nostra vita quotidiana, nella profondità del nostro essere, per tutta la vita» (D. Ikeda, Proposta di pace 2004, in Buddismo e società n. 103, p. 37).

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L'eredità del Budda

A trent'anni dall'incontro di Guam, abbiamo chiesto a chi ha vissuto in prima persona quelle giornate di ricordare con noi i momenti salienti della storica riunione che vide la nascita della Soka Gakkai internazionale







Nel 1975 a Guam c'erano rappresentanti di cinquantuno paesi. Dall'Italia lei e Dadina. Come vi siete preparati all'evento? 
In realtà non capivamo l'importanza di quell'incontro, non ne avevamo consapevolezza. Sì, sapevamo che era una riunione importantissima e che il presidente Ikeda aveva scelto quel luogo perché durante la seconda guerra mondiale c'era stata una battaglia decisiva. L'isola di Guam rappresentava un punto cruciale tra il Giappone e l'America, per questo il nostro maestro voleva ripartire da lì, per costruire le basi di kosen-rufu nel mondo.



In quel momento Guam risentiva ancora delle conseguenze della guerra? 
No, ormai era diventata un'isola turistica, tropicale. In quei cinque giorni ci siamo divertiti molto. C'erano responsabili di ogni paese, giovani e anziani nella fede. A quell'epoca in Italia eravamo meno di cento, io ero responsabile di capitolo e praticavo da dieci anni. Il dipartimento oltreoceano della Soka Gakkai aveva invitato rappresentanti da ogni paese in cui erano presenti membri.



Oltre a divertirvi come era il vostro stato d'animo in quel momento? 
Eravamo animati da sensazioni di ansia e di speranza, anche se il nostro atteggiamento era abbastanza superficiale. Solo con il passare del tempo è nata in noi una grande consapevolezza. Ci siamo resi conto di quanto è stata importante quella riunione, quale grande significato ha avuto. 
Da quel momento in poi il Buddismo di Nichiren Daishonin si è, infatti, sviluppato in 190 paesi, grazie unicamente allo sforzo del nostro maestro che si è impegnato intensamente fino a oggi. In quell'occasione ci incoraggiò a mettere semi, anche piccoli, ma costanti nel tempo. Sono passati ormai trent'anni, ma dentro di me è rimasta incisa profondamente questa frase del discorso del presidente Ikeda, rivolta a noi pionieri di kosen-rufu nel mondo: «Piuttosto che cercare di far fiorire le vostre vite, dedicatevi a piantare i semi della pace in tutto il mondo. Io lo farò per primo» (cfr. Proposta di pace 2004 in Buddismo e società n. 203, p. 37).



Cos'altro ricorda del discorso del presidente Ikeda? 
Ha invitato tutti i partecipanti a fare shakubuku, che è la cosa fondamentale nel Buddismo di Nichiren Daishonin. Ha inoltre detto che i responsabili dovrebbero pensare principalmente a come far ricevere benefici ai membri.



In quel momento sentivate di poter rispondere alle attese del presidente Ikeda? 
Quell'incontro ci ha dato una grande determinazione, una spinta potente. Una volta tornati in Italia, infatti, con Dadina abbiamo analizzato seriamente la situazione. Per esempio ci siamo domandati per quale motivo il numero dei membri non aumentava di anno in anno e perché molti italiani smettevano dopo due, tre anni di pratica. Abbiamo deciso di diffondere ancora di più l'insegnamento del Daishonin tra i giovani italiani (fino ad allora i praticanti erano soprattutto adulti) e di trasmettere bene le basi fondamentali della pratica buddista. Di lì a poco hanno iniziato a partecipare alle nostre riunioni tanti giovani. Ma mai ci saremmo aspettati i 34.000 membri attuali. 
Quella riunione a Guam ha fatto nascere in noi, senza che ce ne accorgessimo, la consapevolezza e la determinazione di realizzare kosen-rufu nel mondo. È stata una nuova partenza per la Soka Gakkai a livello internazionale.



:IMM:Come fare per sviluppare ancora di più il movimento di kosen-rufu oggi nel nostro paese? 
Bisogna insegnare continuamente le basi fondamentali della pratica buddista: Gongyo, Daimoku, fare shakubuku trasmettendo la Legge mistica agli altri e partecipare allo zadankai. Occorre fare in modo che ciascun praticante buddista riceva benefici, questo è fondamentale, altrimenti non si può portare avanti un impegno come questo per tutta la vita. I membri italiani fanno seriamente Gongyo e Daimoku, si dedicano sinceramente alla pratica buddista. Questo secondo me è il motivo per cui siamo cresciuti così tanto in un tempo relativamente breve.



C'è qualcosa da migliorare? 
C'è sempre qualcosa da migliorare. Soprattutto si deve sviluppare la qualità della fede di ogni singola persona attraverso la prova concreta. Per questo motivo continuo a insegnare le basi fondamentali della pratica buddista, evitando un eccesso di teoria. Il presidente Ikeda dice che «le basi fondamentali sono importanti e metterle in pratica ogni giorno ci permette di sviluppare ulteriori capacità». La difficoltà sta soprattutto nel compiere azioni concrete ogni giorno, sforzandosi continuamente. Il risultato che otterremo dipende dalla costanza del nostro sforzo.



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Semi di pace nel mondo

Oggi, il tempo di kosen-rufu

«Lo scopo dell'SGI e dei suoi centri culturali è quello di aiutare i membri a costruire dentro di sé il palazzo dell'eterna felicità, cioè a raggiungere la Buddità in questa vita. Sono strutture per lo sviluppo interiore, per la crescita umana» (Daisaku Ikeda)

I centri culturali della SGI nel mondo

Tokyo, Makiguchi memorial Hall 
«Ogni anno nel Giardino Makiguchi sbocciano fragranti più di 500 albicocchi. [...] Ogni volta che lo rivedo penso che sia un luogo meraviglioso e quanto sarebbe piaciuto a Makiguchi e a Toda. Oggi vorrei proporre che questi splendidi albicocchi siano dedicati alle donne e alle giovani donne e vorrei proporvi anche di dare un nome a ciascuno albero [un albero è stato dedicato anche alle donne e alle giovani donne italiane, n.d.r.]»
(D. Ikeda, Tokyo, 5 febbraio 2004)

Kansai, Centro culturale (Giappone) 
«Desidero che voi, membri di Osaka, preghiate davanti a questo Gohonzon e riempiate le vostre vite di benefici. Recuperate la vostra salute se siete malati. Guadagnate abbastanza denaro per vivere confortevolmente se siete poveri. Portate avanti la vostra fede in modo perfetto e diventate felici»
(J. Toda, discorso di inaugurazione del primo Centro culturale del Kansai, 4 gennaio 1956)

Zambia, Centro culturale 
«L'Africa è il luogo di nascita della specie umana. È stato un continente di speranza che, sin dai tempi antichi, ha dato i natali a una moltitudine di civiltà diverse che hanno arricchito l'umanità in vari campi, fra cui la filosofia e la scienza. Da diverso tempo penso che il XXI secolo deve essere il secolo dell'Africa»
(D. Ikeda, Proposta di pace 2001)

Hiroshima, monumento per la pace mondiale (Giappone)
All'interno del monumento dedicato alla pace mondiale, lo scorso anno è stato inaugurato uno spazio dedicato a tutti i pionieri di kosen-rufu nel mondo. «Ricorderemo i loro nomi per sempre» ha detto Ikeda. Tra le tante targhe di bronzo anche quelle con il nome di Amalia Miglionico (Dadina) e Kimiko Kaneda

Aliso Viejo, Università Soka (Stati Uniti) 
«Ciò di cui il nostro mondo ha bisogno ora è un tipo di educazione che susciti amore per l'umanità, sviluppi il carattere, fornisca le basi intellettuali per la realizzazione della pace e renda gli studenti capaci di contribuire al miglioramento della società»
(D. Ikeda, 21 ottobre 1997)

Malesia, Centro culturale
«Oggi l'Asia e la regione del Pacifico sono oggetto di attenta considerazione da parte di tutto il resto del mondo. [...] Il riconoscimento del vigore e della vitalità delle nazioni asiatiche e del loro potenziale latente ha reso attuale l'idea di una prossima era dell'Asia e del Pacifico e il concetto di una cooperazione panpacifica»
(D. Ikeda, Proposta di pace 1985)

Nuova Delhi, Centro culturale (India)
«"Liquidare qualcosa definendola impossibile soltanto perché nessuno l'ha mai fatta prima è segno di mancanza di fede nella dignità dell'essere umano". Queste parole di Gandhi mostrano quanto credeva nella gente e quanta fiducia riponeva in essa. In pieno accordo con questa convinzione condusse l'India all'indipendenza. Anche il tentativo di realizzare kosen-rufu è una lotta senza precedenti per il trionfo della gente comune. Una lotta nonviolenta intesa a liberare la gente dalle catene del proprio destino e aiutarla a conquistare la libertà e l'indipendenza dello spirito»
(D. Ikeda, La nuova rivoluzione umana, vol. 3, pp. 84-85)

Trets, Centro culturale europeo (Francia)
«La regione dove è situata Trets è descritta nel romanzo di Alexandre Dumas Il conte di Montecristo. Prego affinché voi seguiate il cammino della fede e di kosen-rufu con la stessa tenacia del conte di Montecristo e sviluppiate un gran numero di individui capaci, con una determinazione inamovibile come la sua e come il monte Saint Victoire. Questo è l'obiettivo del centro culturale europeo»
(D. Ikeda, Trets, 7 giugno 1981)

Taplow Court, Centro culturale della Gran Bretagna
«Qui, sulle colline di Taplow, che si specchiano nel Tamigi con i loro due millenni di storia, si erge un maestoso castello di filosofia e di cultura. [...] I vostri amici di tutto il mondo ammirano Taplow Court, questo luogo bello e glorioso dove oggi celebriamo il ventottesimo anniversario dell'inizio del movimento di kosen-rufu nel Regno Unito»
(D. Ikeda, Taplow Court, 24 maggio 1989)

Trattare la pace con azioni concrete
26 gennaio 1975 - 26 gennaio 2005
di Daisaku Ikeda

Il 18 gennaio 1975, una settimana prima della fondazione della Soka Gakkai Internazionale (SGI), l'Associated Press inviò in tutto il mondo un articolo che presentava la Soka Gakkai e me. Si citavano i miei incontri con Kissinger, Kosygin, Zhou Enlai e si riferiva che a giorni nell'isola di Guam sarebbe stata fondata la Soka Gakkai internazionale. L'articolo, rifacendosi al grande sviluppo economico che aveva raggiunto il Giappone, affermava: «Il Giappone, nazione di rivenditori di transistor, ha dato vita a un super rivenditore di un prodotto poco diffuso ma molto prezioso: la pace. Questa persona è Daisaku Ikeda, presidente della Soka Gakkai che conta in Giappone dieci milioni di aderenti e 414mila nel resto del mondo. Ikeda promuove un movimento per l'abolizione delle armi nucleari e contro la guerra, e a lungo termine desidera realizzare fra le varie nazioni scambi di natura educativa e culturale per raggiungere la pace. Contemporaneamente sottolinea che il Giappone, unica nazione la cui Costituzione vieta di prendere parte alle guerre, dovrebbe partecipare in modo più incisivo al movimento per la realizzazione della pace. Ikeda, oltre a tenere riunioni di ventimila partecipanti a volta, si occupa anche della gestione della Soka Gakkai nonché delle attività religiose e culturali. Egli sembra non conoscere la parola stanchezza».
Dunque, già trenta anni fa un'agenzia di stampa di livello mondiale raccoglieva informazioni sugli obiettivi, la storia e le azioni prestando attenzione a questo movimento della gente comune che costruisce la pace. L'articolo concludeva citando la prefazione di Arnold Toynbee alla versione inglese del romanzo La rivoluzione umana: «In una società caratterizzata dalla disperazione e dalla delusione, la Soka Gakkai, che era una piccola organizzazione con una nobile filosofia, aveva la ferma convinzione di realizzarla. Per avvalorare ciò, in trenta anni dalla fine della guerra, la Soka Gakkai si è sviluppata nella grande organizzazione che è oggi».
La SGI venne fondata dopo trenta anni dalla fine della seconda guerra mondiale. E da quel giorno sono trascorsi altri trenta anni. In questo lasso di tempo il movimento solidale Soka per la pace, la cultura e l'educazione si è espanso in tutto il mondo. Come ha sottolineato Toynbee, l'SGI si è potuta sviluppare grazie alla sua nobile filosofia e alla ferma convinzione di realizzarla.
Quando nacque l'SGI eravamo nel pieno della guerra fredda. All'epoca i membri che avevano abbracciato il Buddismo di Nichiren Daishonin erano persone che vivevano nella parte occidentale del blocco. Però, senza un legame di amicizia con l'ex URSS e la Cina, con la parte orientale, anche inneggiando alla pace rimaneva tutto irrealizzabile. In particolare le relazioni tra la Cina e il Giappone erano allora cruciali. Perciò, prima di ogni altra cosa, proposi la normalizzazione dei rapporti sino-giapponesi e con ancora più insistenza la creazione di un trattato di pace e d'amicizia sino-giapponese.
Nel romanzo La rivoluzione umana scrissi: «Esiste per il Giappone una sola via d'uscita, tale da non comprometterne la sovranità: concludere al più presto un trattato di pace con tutte le nazioni della terra. Prima di tutto sarebbe necessario firmare un trattato di pace con la Repubblica popolare cinese» (vol. 5, pag. 129). Ma non era sufficiente proporre semplicemente la fine dello stato di guerra: per mantenere relazioni amichevoli nel futuro era necessaria la stipulazione di un trattato.
Nel maggio del '74 visitai per la prima volta la Cina, a settembre volai nella ex URSS ed ebbi un incontro con Kosygin. Infine nel dicembre dello stesso anno, un mese prima della creazione della SGI, mi incontrai con Zhou Enlai.
Il 13 gennaio del 1975 a Washington incontrai il segretario di stato Kissinger. Durante il nostro colloquio anch'egli espresse il suo consenso sulla conclusione del trattato di pace e d'amicizia sino-giapponese. Lo stesso giorno ebbi un colloquio anche con l'ex primo ministro giapponese al quale riportai le stesse cose e anch'egli mi espresse il suo consenso. Nel mese di aprile a Pechino ebbi un incontro con l'allora vice primo ministro cinese e ci scambiammo le opinioni riguardo a questo trattato e in quell'occasione mi fu affidato anche il compito di trasmettere un messaggio da parte del primo ministro giapponese. Tre anni dopo, nell'agosto del 1978 si concluse il trattato di pace e d'amicizia sino-giapponese.
Realizzai uno dopo l'altro questi incontri con i leader del Giappone, degli Stati Uniti, della Cina e dell'ex URSS. Nel susseguirsi di queste azioni concrete è nata la SGI. Non erano solo parole o ideali. In quanto singolo essere umano che desidera fortemente la pace, che tipo di azioni concrete potevo realizzare? Cosa potevo fare? Il dialogo è l'anima della SGI. Basandomi solo su questa convinzione ho continuato a lottare.

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I luoghi di kosen-rufu

di Marina Marrazzi



Nato in Palestina nel 1952, ha vissuto i primi anni d'infanzia nella tenda di un campo profughi. Poi, all'età di tredici anni, è stato messo in carcere, dove ha trascorso quindici anni come prigioniero politico. Lì si è convertito al pacifismo, proseguendo poi una volta libero la sua formazione sui temi della nonviolenza e della riconciliazione. Iniziando dalla scuola preparatoria UNRWA nel campo profughi di Dheisha a Betlemme, ha frequentato in seguito l'Università di Betlemme e ha ricevuto un Master in Studi internazionali sulla pace all'Università di Notre Dame e un PhD in Risoluzione dei conflitti alla George Mason University, Virginia, USA. 
Salameh ha promosso centinaia di riunioni fra israeliani e palestinesi, cercando di costruire la pace partendo dagli individui. Come coordinatore del programma di Risoluzione dei conflitti nel Centro per la nonviolenza a Gerusalemme, ha tenuto seminari per gli studenti palestinesi, gli attivisti, gli insegnanti, le rappresentanze sindacali, gli addetti alla sicurezza e gli operatori sociali. 
Fondatore del poliambulatorio nel campo profughi di Dheisha, ha messo in pratica le idee di giustizia sociale, contribuendo a migliorare la condizione della moltitudine dei rifugiati palestinesi. Nello stesso campo ha anche fondato una biblioteca per bambini. 
Fra il 1996 e il 2000 è stato membro del comitato di assegnazione della prestigiosa Borsa di Studio Internazionale sulla Riconciliazione (International Fellowship of Reconciliation, IFOR) assegnata in Olanda. 
Attualmente è direttore del Centro per la risoluzione del conflitto e la riconciliazione (CCRR) a Betlemme da lui fondato nel 1999, una ONG impegnata a «far prosperare una Palestina nonviolenta sostenendo i gruppi emarginati», attraverso un metodo alternativo per la trasformazione dei conflitti, che coltiva i valori della pace, della riconciliazione, del perdono, del rispetto e della speranza.



È una Liguria primaverile che mi accoglie, il 10 di dicembre. Oggi questa terra luminosissima, stretta tra il mare e le montagne, morbida, sempre sobria e seria, appare più bella che mai. Quale migliore accoglienza per l'ospite d'onore, il professor Noah Salameh, che incontrerò nel pomeriggio, prima della cerimonia che lo vedrà protagonista: il conferimento da parte dell'Assessorato all'Istruzione Cultura e Pace del Comune di Castelnuovo Magra (insieme al Centro Interdipartimentale di Scienze per la Pace dell'Università di Pisa e all'Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai) del premio Costruttori di pace. Ho letto di lui in questi giorni per prepararmi all'incontro: prigioniero politico per quindici anni dall'età di tredici, conoscitore di Dante, dei grandi autori russi, di Camus, Sartre. Che scrive in modo semplice e diretto quanto si deve imparare a dialogare con se stessi prima di parlare di pace con gli altri. Che è nato e vissuto in un campo profughi e ora in quello stesso accampamento ha aperto una biblioteca per ragazzi perché «leggendo ci si sente più vicino a chi è diverso da noi, e così si può fare la pace». Non vedo l'ora di conoscerlo. 
Ci sediamo nel salotto del suo albergo e cominciamo, aiutati da Emilio per la traduzione. Dopo poco più di un'ora ho la sensazione di avere davvero "incontrato" qualcuno, con una vita così diversa dalla mia e di tutti quelli che conosco, eppure così vicino, proprio come quando durante un viaggio si incontrano luoghi e persone e si fanno esperienze dell'anima. 
Noah Salameh ha parlato di sé con generosità, trasmettendoci la sua vitalità e il suo ottimismo. Noi che eravamo intorno a lui alla fine ne siamo stati contagiati.



Come è diventato esperto di risoluzione nonviolenta dei conflitti? 
Prima di essere esperti di risoluzione di conflitti bisogna credere nella pace. 
Io ho preso un master in Risoluzione dei conflitti, e attualmente un PhD, per avere più capacità tecniche e conoscenze in questa materia, ma la cosa essenziale è in che cosa si crede. Prima viene il valore, poi la tecnica. La risoluzione dei conflitti è una scienza, la pace è un valore. 
La pace vera nasce dall'interno, si ottiene attraverso un cambiamento personale, purificando il cuore e raggiungendo sicurezza e tranquillità interiore. Le tecniche e i modelli vengono dopo. 
 
Ma come può nascere la pace interiore quando si vive in una situazione conflittuale? 
Riflettendo sulla logica del conflitto - come io ho cominciato a fare all'età di diciassette anni, all'inizio della mia prigionia durata quindici anni - domandandosi perché ci si deve odiare e combattere. Personalmente, attraverso questo dialogo interno, ho potuto costruire i miei criteri di giudizio e i miei valori. Per me è stata fondamentale anche la conoscenza di altre culture, altre filosofie. Io sono un buon lettore, e in prigione ho letto la maggior parte dei classici mondiali: Dante, Dostoevskij, Tolstoj, Hemingway, Dickens, Balzac, Sartre, Camus, e filosofi come Heiddegger, Kierkegaard, Kant... In quegli anni i miei contatti umani erano soprattutto con gli autori dei libri che leggevo e con i loro personaggi. Ho scoperto che ci sono tante buone idee nel mondo, e che gli esseri umani sono ovunque gli stessi: amano, hanno relazioni, fanno figli. Abbiamo sufficiente spazio e cibo per tutti: perché ci combattiamo? Perché arriviamo a volerci distruggere?



Dunque è diventato pacifista in prigione... 
Proprio così. A volte mi mettevano in isolamento, dentro una cella di due metri per due e io, camminando avanti e indietro, guardavo il soldato fuori della porta pensando: cosa ha di diverso da me? Chi ci ha messo in questa situazione? Chi ha deciso che io fossi palestinese e lui ebreo, e che io dovessi stare dentro e lui fuori a controllarmi? Pensavo e ripensavo, e questo mi ha cambiato: ho scelto di non odiare, di essere nonviolento. Quando sono uscito di prigione, a trentatré anni, ho fondato insieme ad altri una clinica (aiutare le persone che soffrono fa parte della pace) e una biblioteca per bambini, perché sono convinto che leggere sia fondamentale per trasformare se stessi e allo stesso tempo per capire e conoscere gli altri. Infatti, attraverso la letteratura mondiale si entra in contatto con altre idee e culture, e ci si sente più vicino a chi è diverso da noi. Così si può fare la pace. Questa è la cosa più importante che ho imparato in prigione. 
 
Ho letto che vive con la sua famiglia in un campo profughi. Che vita conducete? 
In realtà io sono nato e cresciuto nel campo profughi di Dheisha, a Betlemme, ma adesso vivo nella città. Dopo la guerra, nel '48, mio padre, intellettuale e pacifista, è fuggito per nascondersi tra le montagne. Dopo una settimana voleva ritornare a casa insieme a mia madre, ma quella non era più la sua terra. Era Israele e non più Palestina. In pochi giorni l'esercito israeliano ha deciso della vita della mia famiglia, e così siamo diventati rifugiati. 
Tutto quello che io allora sapevo del campo profughi è che c'era una tenda. Lì sono nato, senza acqua, senza elettricità, con pochissimo cibo. Sono stati tempi molto difficili. Non solo per la fame e la povertà, ma soprattutto per la condizione "speciale" di rifugiati. Da ragazzo mi chiedevo: perché proprio io devo essere rifugiato? E perché continuo ad esserlo anche se la guerra è finita? 
Non è facile da immaginare: undicimila persone relegate in un chilometro quadrato senza strutture, molte vivendo di elemosina, sognando prima o poi di poter tornare a casa. Sono passati più di cinquanta anni ed è ancora un sogno. 
Campo profughi vuol dire non sentirsi mai a casa, essere sempre di passaggio. Pensare ogni giorno: le prossime elezioni americane, la nascita del parlamento europeo, la prossima riunione dell'Assemblea generale delle Nazioni unite porterà la soluzione. Vuol dire essere ogni volta delusi eppure continuare a sperare. Io ho cinquantatré anni, sono nato sotto l'occupazione, sono vissuto sotto l'occupazione e ancora spero che prima di morire potrò vivere libero nella mia terra. Questo è il potere della speranza, e gli esseri umani ne hanno bisogno per vivere.



Esiste una filosofia, religione, o sistema di valori che le persone che credono e si impegnano nella lotta nonviolenta devono condividere? 
Penso che il termine più appropriato sia "valori". Bisogna trovarsi d'accordo sui valori in cui credere - della giustizia, dei diritti uguali per tutti senza discriminazioni, nel rispetto della persona umana e nella convivenza democratica - un accordo che non sia solo verbale ma un modo di comportarsi, di praticare e agire. Prendiamo la Carta delle Nazioni Unite sui diritti umani, oppure l'analoga Carta europea, o quella africana, o degli Stati Uniti, o anche della Lega araba... Le potremmo esporre in una mostra e farcene vanto. Ma mettiamo in pratica quello che c'è scritto? Chiedo alle religioni, alle filosofie, a ognuno di noi di prendere posizione di fronte alle ingiustizie del mondo, tutte le volte che i diritti umani vengono calpestati. Ho una responsabilità come essere umano, come educatore, come attivista per la pace. Se ho dei valori devo rispettarli e farli rispettare, non tenerli solo come etichette. 
 
Ma come si costruisce concretamente una comunità fondata sui principi della nonviolenza? 
La violenza è diffusa nel mondo. Anche chi vuole la "pace" usa la violenza per raggiungere il suo obiettivo, ma io credo che voler ottenere la pace attraverso la guerra sia inaccettabile. Secondo Machiavelli «il fine giustifica i mezzi», per lui la cosa più importante è il fine, mentre io credo che la cosa più importante sia il mezzo. Se uso buoni mezzi arriverò a un buon fine. Se mi sono comportato bene, a prescindere dall'avere perseguito un particolare obiettivo, otterrò sicuramente buoni risultati. Dunque, se voglio raggiungere la pace devo usare la nonviolenza, e mezzi moralmente accettabili. Il mondo attuale vive invece una perenne contraddizione: molti governi dicono di volere la pace e producono armi nucleari. Ma se si vuole la pace bisogna distruggere le armi e costruire strade, combattere le malattie, produrre più cibo, saponi, vestiti... I mezzi ce li abbiamo: dovremmo usare la scienza a questo scopo. 
In quanto attivisti di pace e persone nonviolente dobbiamo educare gli altri, come stiamo facendo attualmente nel nostro centro. Abbiamo creato programmi per la scuola. Molti, tra studenti e insegnanti, non sanno neppure cosa sia la nonviolenza, non sanno che nella letteratura islamica, ebraica, buddista ci sono moltissimi testi che parlano chiaramente della nonviolenza. Perché non insegniamo questo, non traiamo da questi testi elementi per costruire un nuovo tipo di educazione per i giovani? Abbiamo istituito anche un corso di formazione per poliziotti in Palestina, su come trattare il pubblico senza essere aggressivi. Ci sono tante cose che si possono fare, e che già si fanno, anche se molte volte ciò non viene visto.



Dunque l'educazione ha un ruolo importante? 
Importantissimo. Educazione non è solo leggere libri, è come ci si comporta. Se si vuole costruire una società fondata su valori diversi bisogna cominciare dalla famiglia. Se i genitori sono violenti, o hanno conflitti, e strillano tutto il tempo tra loro, ciò si rifletterà sui ragazzi. Gli scienziati dicono che il carattere di una persona si forma nei primi quattro anni di vita. Quindi l'educazione deve cominciare in età molto precoce, facendo attenzione a come si parla ai bambini e a come li si ascolta. Se li ascolti impareranno ad ascoltare gli altri. Dobbiamo essere con loro come vorremmo che loro fossero con gli altri, diventare un esempio e un simbolo.



Lei ha scritto che la pace con gli altri comincia dalla pace con se stessi. Cosa significa? 
Se non ho il valore della pace dentro di me non posso fare la pace con gli altri. 
La pace è un valore, non è un accordo politico tra leader. Abbiamo tante esperienze nel mondo di leader che raggiungono accordi di pace mai messi in pratica. Il fatto è che non provengono dalla base, mentre è fondamentale che le persone condividano quei valori e prendano parte agli accordi. Bisogna educarsi alla pace trasformando se stessi, poi trasmettere le proprie idee a un piccolo gruppo di attivisti o leader all'interno della comunità, e infine diffondere questa convinzione all'intera comunità. È un lavoro che procede dall'interno verso l'esterno.



Come si riconquista la speranza e la fiducia negli esseri umani una volta che si è perduta? 
La speranza è una cosa essenziale: se perdi la speranza perdi la vita. Esiste un'energia dentro di noi che crea la speranza, ma esistono anche elementi esterni che possono contribuire, per esempio il fatto che io sia qui a ricevere questo premio per la pace fa sorgere la speranza che proviene dal fatto di avere amici, persone che lavorano nella tua stessa direzione, e di poter contare su un movimento per la pace diffuso nel mondo. 
Io personalmente ogni mattina mi creo una nuova speranza. Ogni piccolo risultato raggiunto è fonte di speranza, e da ogni giornata si può trarre qualcosa di buono. Vorrei dire a tutti di cercare sempre di usare anche gli eventi più difficili per creare qualcosa di nuovo e di buono. Se in prigione mi fossi sentito disperato avrei perso. Invece ho imparato a sorridere e a essere ottimista anche nelle situazioni in cui sembrava impossibile mantenere la fiducia nella natura umana. Non dobbiamo mai dimenticare che siamo tutti esseri umani, senza grandi differenze. Spesso si sottolineano le differenze tra le culture, ma ci sono moltissime cose che ci accomunano. A tutti ci piace sorridere, amare, avere relazioni, avere una famiglia. Le differenze ci sono e vanno rispettate, ma bisogna parlare anche delle somiglianze, e imparare ad ascoltare gli altri per scoprire non solo le differenze ma soprattutto le loro somiglianze con noi, la loro umanità.



(Ha collaborato Emilio Mariella. Grazie a Enza Perazzo e Daniela Ferrari)



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La prigione, i libri, il sogno della pace

Oggi, il tempo di kosen-rufu

INGEBORG BACHMAN (1926-1973)

Salvacondotto

In compagnia di insonnoliti uccelli
e alberi perforati dal vento
sorge il giorno, e il mare
gli versa addosso una coppa schiumante.

I fiumi fluttuano verso l'oceano,
e la campagna mette promesse d'amore
in bocca all'aria pura
con nuovi fiori.

La terra non vuole reggere funghi di fumo,
né sputare al cielo creature,
abolire con pioggia e lampi d'ira
le inaudite voci di perdizione.
Con noi vuole assistere al risveglio
dei variopinti fratelli e bigie sorelle;
il pesce regale, sua altezza l'usignolo,
e la salamandra, principessa del fuoco.

Per noi pianta coralli dentro il mare,
alle foreste comanda la quiete,
al marmo d'inturgidire la vena leggiadra,
alla rugiada di soverchiare ancora la cenere.

La terra vuole dalla notte
ogni giorno un salvacondotto per l'universo,
che per mille e un mattino ancora sorgano
giovani grazie dalla bellezza antica.

FRANCO FORTINI (1917-1994)
da Una volta per sempre

Traducendo Brecht

Un grande temporale
per tutto il pomeriggio si è attorcigliato
sui tetti prima di rompere in lampi, acqua.
Fissavo versi di cemento e di vetro
dov'erano grida e piaghe murate e membra
anche di me, cui sopravvivo. Con cautela, guardando
ora i tegoli battagliati ora la pagina secca
ascoltavo morire
la parola d'un poeta o mutarsi
in altra, non per noi più, voce. Gli oppressi
sono oppressi e tranquilli, gli oppressori tranquilli
parlano nei telefoni, l'odio è cortese, io stesso
credo di non sapere più di chi è la colpa.

Scrivi mi dico, odia
chi con dolcezza guida al niente
gli uomini e le donne che con te si accompagnano
e credono di non sapere. Fra quelli dei nemici
scrivi anche il tuo nome. Il temporale
è sparito con enfasi. La natura
per imitare le battaglie è troppo debole. La poesia
non muta nulla. Nulla è sicuro, ma scrivi

RAINER MARIA RILKE (1875-1926)
da I sonetti di Orfeo (seconda parte)

XXI

Canta i giardini che non sai, mio cuore,
come nel vetro fusi, limpidi, inaccessibili.
Acque e rose di Ispanah o Shiraz
tu esaltale, beate, cantale impareggiabili;

Mostra che mai ti mancano, mio cuore,
che i loro fichi per te si maturano.
Che per te spirano, dense come visioni,
le aure in mezzo ai loro rami in fiore.

Guardati dall'errore di non credere possibile
la scelta che già facesti: di essere.
Filo di seta fosti, tessuto nella trama.

Sappi, a qualunque sua immagine tu sia unito
(anche se fosse un momento del dolore di vivere),
sappi che essa appartiene al Tutto, al disegno radioso.

PAUL ELUARD (1895-1952)
Da Cors naturel

Parole dipinte

Per comprendere tutto
Anche l'albero sguardo di prua
L'albero che liane e lucertole adorano
Anche il fuoco anche il cieco

Per riunire ala e rugiada
Cuore e nube giorno e notte
Finestra e veduta di ovunque

Per abolire
La smorfia dello zero
Che domani sull'oro filerà

Per farla breve
Coi complimenti
Dei giganti ingrassati di sé

Per vedere ogni sguardo rispecchiato
In ogni sguardo

Per vedere ogni sguardo bello come
Quello che vede
Mare che inghiotte

Perché si rida leggermente
D'avere avuto caldo d'aver avuto freddo
D'aver avuto fame d'aver avuto sete

Perché parlare sia
Generoso come
Baciare

Per confondere bagnante e fiume
Cristallo e tempesta di danza
Aurora e stagione dei seni
Voglie e saggezza d'infanzia

Per dare a quella donna
Meditativa e sola
La forma delle carezze
Che aveva immaginate

Perché i deserti siano nell'ombra
Invece che essere nella
Mia
Ombra

Dare
Il mio
Bene
Dare
Il mio
Diritto.

ANNA MARIA ORTESE (1914-1998)

Tratto da Bandiera del Soccorso

...
Guarda, i mondi si rischiarano, elevano a luce celeste,
nel petto degli astri il cuore batte più chiaro,
un vento tranquillo scosta con mano fiorita
continente da continente, via lattea da un'altra,
e quelle epoche di materia che sprofondano,
come violette che qualcuno aveva scagliato nel lago,
riporta ridenti a riva. Tutto vive!
Tutto si libera! Non è più materia la materia -
pur rimanendo materia - è che tu l'hai vista,
hai visto come pativa. Né più impera la notte,
per l'inesauribile cosmo sonoro di catastrofi,
ma lievi melodie come memorie
di tutto il bene che fu e ora si ridesta,
sollevano i dolori senza fine e li annullano -
risvegliando da essi tutto quanto soffrì,
tutto lo Spirito Amato che è uno, uno solo -
la cui bellezza e bontà sono incommensurabili,
e che da te solo, fanciullo, dal Soccorso
attendeva che la magia fosse vinta
e a libero e soave respiro tornasse il suo cuore.

Scrivo (e piango) queste cose credendole possibili!
Io credo nella Natura prigioniera!
Credo nella Natura derelitta, dimenticata in fondo all'Orrore,
per qualche reato che non comprendiamo
per qualche colpa o generosità che la vinse,
ma credo anche alla sua liberazione!
Credo che il dolore non debba più essere
- poiché tu lo hai visto, fanciullo, e sai che è intollerabile -
perché tu non sopporti più di vivere fra il dolore dei mondi
perché tu sai cos'è l'altra faccia del dolore
- la gioia che rende benevoli e lievi! -
e cosa il respiro aperto di fronte al mare di maggio
- in vesti turchesi senza tempo errare svanire!
credo e piango nel mio cuore di gioia,
perché so che interverrai,
che da te inizierà l'auspicata liberazione,
- da te, perchè avrai pietà che la natura non può avere.
Madre senza libertà, figlia che piange in catene
- delirante, abbandonata - tu l'aiuterai, non è vero?
Senza aspettarti nulla dagli Angeli,
nulla dagli Astri, nessun compenso dal Sole -

...

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Oggi, il tempo di kosen-rufu

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