BS / 4 settembre 2025

Creare un'onda di cambiamento verso un secolo senza guerre

Dichiarazione di Minoru Harada, presidente della Soka Gakkai (Tokyo, 1 agosto 2025)

Lo scorso primo agosto il presidente della Soka Gakkai Minoru Harada ha presentato la seguente dichiarazione per commemorare l’ottantesimo anniversario della fine della seconda guerra mondiale, che per il Giappone avvenne il 15 agosto 1945

Quest’anno cade l’ottantesimo anniversario della fine della seconda guerra mondiale, un conflitto di portata globale che ha travolto i popoli di tantissime nazioni. Secondo una stima, le vittime – ben oltre 60 milioni di persone, in gran parte civili, fra cui donne e bambini – sono state superiori al 3 per cento della popolazione mondiale.
Desidero esprimere il mio più profondo cordoglio per tutti coloro che, in ogni nazione, hanno perso la loro preziosa vita in questa guerra e come praticante buddista prego sinceramente affinché riposino in pace.
Come cittadino giapponese vorrei riaffermare il mio impegno solenne di lavorare per costruire la pace non solo nella regione Asia-Pacifico, dove le azioni passate del Giappone hanno causato immensa devastazione e angoscia, ma in tutto il mondo, guidato da una profonda riflessione su questa parte della storia.
Mentre ci avviciniamo al 15 agosto, data che segna la fine della guerra per il Giappone, mi torna in mente la lunga poesia che il terzo presidente della Soka Gakkai Daisaku Ikeda scrisse nell’agosto 2001, dal titolo 15 agosto: l’alba di un nuovo giorno.
La guerra ebbe un impatto pesante sulla vita del presidente Ikeda, allora adolescente: la casa di famiglia fu distrutta per ben due volte e il maggiore dei suoi fratelli perse la vita sul campo di battaglia. Nella prima estate del ventunesimo secolo egli lasciò una testimonianza delle sue strazianti esperienze di allora in queste parole:

La nostra vita familiare distrutta.
La nostra famiglia gettata
nelle profondità della disperazione…
Ma non eravamo certo i soli,
infinite persone versavano lacrime
di pena angosciosa
e doloroso lutto.
Ogni anno saluto questo giorno, il 15 agosto,
con il cuore colmo d’indignazione.
1

In questa poesia il presidente Ikeda sottolineava come l’indicibile sofferenza patita dalle persone comuni si fosse diffusa in ogni angolo del pianeta. E i leader, diceva, non avrebbero mai dovuto dimenticare, per tutta l’eternità, ciò che i popoli del mondo avevano vissuto durante la guerra.
Le origini del movimento per la pace della Soka Gakkai si trovano nella lotta del nostro fondatore, il presidente Tsunesaburo Makiguchi, e del secondo presidente Josei Toda i quali, nonostante la repressione del regime militarista che portò alla loro incarcerazione nel luglio 1943, rimasero saldi nel loro impegno per la pace e il bene dell’umanità basato sul rispetto della dignità di ogni forma di vita, un principio fondamentale nel Buddismo di Nichiren.
Le esperienze della guerra hanno lasciato un segno indelebile anche su di me. Sono nato ad Asakusabashi, un quartiere centrale nella parte orientale di Tokyo, nel novembre del 1941, solo un mese prima che il Giappone entrasse nella guerra del Pacifico. Avevo tre anni quando, nel cuore della notte fra il 9 e il 10 marzo 1945, una pioggia di bombe incendiarie si abbatté sui quartieri densamente popolati della città, radendo al suolo intere aree e uccidendo 100.000 persone. L’orrore che provai mentre mia madre ed io fuggivamo tra le strade in fiamme rimane profondamente impresso nella mia memoria ancora oggi.
Dalla fine della guerra, pur avendo a malapena scampato la tragedia di un terzo conflitto mondiale, le atrocità hanno continuato a ripetersi incessantemente. Ancora oggi in varie parti del mondo perdurano conflitti armati e ostilità, fra cui le attuali situazioni catastrofiche in Ucraina e a Gaza. Il tributo di morti fra i civili, in continua crescita, e l’aggravamento delle crisi umanitarie sono profondamente preoccupanti.
Indipendentemente dalla nazionalità o dall’etnia, il dolore per la perdita di familiari e persone care è lo stesso per tutti. La guerra ha colpito le persone ovunque e, anche se in modi diversi, molti in tutto il mondo hanno provato un senso di perdita e vulnerabilità simile durante la pandemia di Covid-19 degli ultimi anni. Mi si stringe il cuore pensando a coloro che hanno perso la vita e alle famiglie rimaste a piangerli.
Le ostilità fra Israele e Iran, scoppiate a giugno suscitando grande allarme a livello internazionale, sembrano fortunatamente placate evitando così un’ulteriore escalation. Allo stesso modo, per quanto riguarda il prolungato conflitto in Ucraina e la situazione a Gaza, spero sinceramente che un continuo dialogo e sforzi diplomatici costanti da parte di tutte le parti coinvolte portino il prima possibile alla cessazione dei conflitti e all’apertura di una strada verso una soluzione duratura.
Il preambolo della Carta delle Nazioni Unite, istituita nel 1945 sulla base di una profonda riflessione sulle lezioni delle due guerre mondiali, contiene l’impegno di «salvare le future generazioni dal flagello della guerra, che per due volte nel corso di questa generazione ha portato indicibili afflizioni all’umanità». Eppure, quanti paesi sono rimasti davvero immuni dal flagello della guerra negli ultimi ottant’anni? In tal senso, il compito di costruire quel mondo pacifico prefigurato dalla Carta è ben lontano dall’essere concluso.

Amicizia fra paesi confinanti

Nel dicembre del 1964 il presidente Ikeda mi consegnò una serie di manoscritti: erano le prime tredici puntate del romanzo La rivoluzione umana da pubblicare sul Seikyo Shimbun, il quotidiano della Soka Gakkai, dove lavoravo come giornalista. In quel periodo la guerra nel Vietnam, uno dei conflitti più sanguinosi dopo la seconda guerra mondiale, si andava aggravando.
«Nulla è più barbaro della guerra. Nulla è più crudele». Quando lessi queste parole di apertura, che il presidente Ikeda aveva scritto a Okinawa, il più atroce campo di battaglia in Giappone durante la guerra, fui colpito dalla sua profonda indignazione.
Il giornale iniziò a pubblicare le puntate del romanzo il primo gennaio 1965 e mi fu affidato il compito di coordinarmi con l’illustratore. Ogni giorno, in quel periodo, avvertivo intensamente fra le righe di quegli scritti la profonda determinazione del presidente Ikeda a costruire una solidarietà indissolubile per aprire la strada a un mondo senza guerre, indipendentemente dagli ostacoli.
Il mio coinvolgimento nel progetto durò solo per i primi tre volumi ma, poco prima che iniziasse la pubblicazione delle puntate del capitolo “Guerra e pace” del volume 5 nell’aprile del 1969, il presidente Ikeda scrisse in un articolo su una rivista le seguenti parole: «Tra le numerose fotografie che documentano l’incubo della guerra nel Vietnam, nessuna è più straziante e toccante dell’immagine di una madre con il suo bambino che fuggono per evitare gli spari […]. Se non fosse stato per la guerra, probabilmente avrebbero vissuto una vita felice. Allora perché, per quale ragione, dovevano essere privati di quella felicità?».2
Ho un vivo ricordo di quelle parole perché l’immagine della mamma e del bambino nella fotografia mi ricordava quello che io stesso avevo vissuto e di cui ero stato testimone durante la guerra.
A quel tempo il presidente Ikeda chiese ripetutamente la cessazione immediata delle ostilità in Vietnam e la negoziazione di un accordo di pace, esortando la comunità internazionale ad accelerare le iniziative diplomatiche per la risoluzione del conflitto. I suoi sforzi instancabili per una rapida fine di quella tragedia derivavano dalla sua profonda consapevolezza e preoccupazione di essere umano nei confronti di altri esseri umani per la sofferenza che le persone stavano sopportando.
Nel corso delle sue visite in paesi ai quali il Giappone aveva inflitto sofferenze e atrocità inimmaginabili durante la seconda guerra mondiale, il presidente Ikeda offriva preghiere per le vittime della guerra, come in Birmania (l’attuale Myanmar), Tailandia, Cambogia e India, che visitò nel 1961, l’anno dopo la sua nomina a terzo presidente, e anche in Cina, Corea del Sud, Filippine, Singapore, Malesia e Australia. Dedicò la vita a promuovere l’amicizia con queste nazioni.
Attraverso dialoghi con persone di questi paesi, e anche del Vietnam, Indonesia e altre nazioni nella regione del Pacifico, egli raccolse le testimonianze delle atrocità commesse dal Giappone durante la guerra e si impegnò affinché ogni parola fosse preservata per i posteri, pubblicandole sul Seikyo Shimbun e nei suoi libri di dialoghi.
Io ebbi in varie occasioni il privilegio di assistere ai suoi incontri e l’onore di accompagnarlo nella sua prima visita in Cina, da maggio a giugno del 1974. Mentre mi preparavo per il viaggio nel ruolo di segretario capo della delegazione, il presidente Ikeda mi insegnò che, se non riflettiamo profondamente e continuamente sulla storia passata e non ci impegniamo costantemente a coltivare l’amicizia con i paesi vicini, la strada per la pace mondiale non potrà essere aperta. Mantenendo nel cuore questa convinzione viaggiammo via Hong Kong fino a Pechino dove, durante una riunione con i rappresentanti dell’Associazione per l’amicizia fra Cina e Giappone, egli propose piani concreti per promuovere gli scambi fra i giovani e le donne dei due paesi.
Durante la sua seconda visita in Cina, nel dicembre dello stesso anno, il presidente Ikeda incontrò il premier Zhou Enlai il quale, pur gravemente ammalato, espresse con forza il desiderio di costruire un’amicizia sino-giapponese che potesse durare per generazioni. Fece notare inoltre che il presidente Ikeda aveva ripetutamente evidenziato l’importanza cruciale di promuovere l’amicizia fra i popoli di Cina e Giappone e che questo lo rendeva davvero felice. Queste due visite in Cina gettarono le basi per gli scambi giovanili, culturali ed educativi fra i due paesi che proseguono ancora oggi.

Tutelare il diritto internazionale umanitario

La determinazione del presidente Ikeda di costruire un mondo libero dalle tragedie della guerra, dove ogni persona possa vivere in pace, delineata chiaramente ne La rivoluzione umana, egli la ereditò dal secondo presidente Josei Toda.
Ero tra i presenti quando il presidente Toda presentò la sua Dichiarazione per l’abolizione delle armi nucleari allo Stadio Mitsuzawa di Yokohama, l’8 settembre 1957. Avevo appena iniziato le scuole superiori. La maggior parte delle 50.000 persone riunite quel giorno erano giovani ma, guardandomi intorno, vedevo rappresentate tutte le generazioni, persino bambini accompagnati dalle mamme. Il presidente Toda dichiarò che l’uso delle armi nucleari doveva essere assolutamente condannato in qualsiasi circostanza, allo scopo di proteggere l’inviolabile diritto alla vita delle persone del mondo.
Ogni volta che rileggo la Dichiarazione ho sempre in mente la ferma convinzione che la catastrofe causata dalle armi nucleari a Hiroshima e Nagasaki non si dovrà mai più ripetere in nessun luogo del pianeta. La missione sociale della Soka Gakkai è adoperarsi tenacemente per un mondo libero da queste armi.
Guardando il mondo di oggi sono profondamente preoccupato per la continua erosione della dignità della vita individuale nel contesto dei conflitti e delle guerre civili in corso, aggravata dalla minaccia delle armi nucleari che si sta ulteriormente intensificando.
Il diritto internazionale umanitario nacque da un forte riconoscimento condiviso, dopo l’immensa devastazione causata dalla seconda guerra mondiale, della necessità di proteggere i civili dai danni della guerra. Nella sua Proposta di pace del 2019 il presidente Ikeda faceva riferimento al contesto che condusse all’adozione delle Convenzioni di Ginevra con queste parole: «Le Convenzioni – che sono alla base del successivo diritto internazionale umanitario – manifestarono questa forte determinazione proprio perché i partecipanti ai negoziati avevano vissuto direttamente la crudeltà e la tragedia della guerra. Se non rivisitiamo costantemente le origini delle Convenzioni di Ginevra, rimarremo prigionieri di posizioni che giustificano come accettabile qualsiasi azione che non violi esplicitamente la legge nella sua interpretazione puramente letterale».3
È stato ribadito più volte come oggi il diritto internazionale umanitario venga violato nei conflitti che infuriano in varie parti del mondo. Questo è inaccettabile. Pur riconoscendo che una immediata e totale eliminazione della guerra può non essere fattibile, desidero appellarmi a tutte le parti in causa affinché considerino l’ottantesimo anniversario della fine della seconda guerra mondiale come un’opportunità per riaffermare il loro impegno a rispettare il diritto internazionale umanitario. Dovremmo in particolare ricordare che gli aggiornamenti postbellici delle Convenzioni di Ginevra furono motivati dagli appelli a istituire zone di sicurezza per bambini, donne, anziani, malati e feriti.

Il voto di porre fine ad ogni sofferenza
Noi membri della Soka Gakkai chiediamo energicamente che attraverso la solidarietà fra le persone si rafforzino i “baluardi contro la guerra”, mediante i quali si impedisce a divisioni e conflitti di degenerare in scontri militari su vasta scala. Questo è ciò che il presidente Ikeda ha costantemente sostenuto nelle Proposte di pace annuali pubblicate nei quarant’anni che vanno dal 1983 al 2022.
Nella sua seconda Proposta di pace, del 1984, affermava che «deve diffondersi più ampiamente e più energicamente che mai non solo l’impegno per il disarmo ma anche la decisione di arrivare a un mondo senza guerre».4 
Fu il cambiamento in entrambe queste dimensioni – il crescente impegno diplomatico verso il disarmo e la voce sempre più forte delle persone della società civile che chiedevano la pace – che contribuì ad accelerare la fine della guerra fredda.
Oggi stiamo assistendo in tutto il mondo a una “normalizzazione” dell’uso della forza militare e della conseguenza delle vittime civili; ciò che occorre in questo momento è raddoppiare ancora una volta gli sforzi nelle due dimensioni cruciali evidenziate prima.
Nel 2015, in occasione del settantesimo anniversario della fine della guerra, il presidente Ikeda presentò ai giovani della Soka Gakkai una proposta memorabile sul significato della rinuncia alla guerra. Chiese che l’annuale Summit per la pace, da tempo organizzato dal Gruppo giovani di Hiroshima, Nagasaki e Okinawa, venisse rilanciato con il nome di “Summit dei giovani per la rinuncia alla guerra”.
Perché scelse l’espressione “rinuncia alla guerra” invece della semplice parola “pace”? La sua vera intenzione era stata espressa nella Proposta di pace di quell’anno: «Nessuno giudicherebbe accettabile la violenza o l’oppressione sulla base di un pregiudizio verso qualche persona o la sua famiglia. Ma quando sono dirette verso altre etnie o popolazioni, non è insolito che le persone le considerino giustificate in base a qualche difetto o mancanza da parte delle vittime. Per evitare che situazioni del genere si aggravino, il primo passo è sviluppare modalità per incontrarsi faccia a faccia con l’altro, liberi da simili psicologie collettive. […] Senza questi sforzi, in particolare in periodi di elevate tensioni, è fin troppo facile che le nostre idee personali di cosa sia la pace o la giustizia diventino una minaccia per la vita e la dignità di altre persone».5 
Nel mondo di oggi la parola “pace” è spesso scissa dal suo significato originale e usata invece come pretesto per legittimare l’aggressione e la violenza. Il messaggio del presidente Ikeda qui è che, invece di permettere questa distorsione, dobbiamo impegnarci ancora di più per la pace formulando un voto esplicito di rinuncia alla guerra fondato sulla convinzione che nessuno su questo pianeta debba mai più subirne gli orrori.
Poiché sembra che la minaccia delle armi nucleari sia diventata oggi una cosa normale, penso che un compito urgente che l’umanità deve affrontare sia quello di sensibilizzare l’opinione pubblica affinché ne chieda il “non uso”, rafforzando così l’impeto verso la loro proibizione e abolizione, e adottare misure collettive per far sì che questo diventi il secolo della rinuncia alla guerra.
Alla luce di ciò noi membri della Soka Gakkai dichiariamo qui il nostro impegno a continuare ad affrontare pienamente le sfide che abbiamo davanti in tre aree chiave.
La prima sono gli scambi fra giovani. Poiché sono gli esseri umani a dare inizio alle guerre, essi sono anche capaci di superare le divisioni e gli scontri per prevenire i conflitti. Per questo è essenziale costruire una società resiliente rispetto alla psicologia collettiva e all’agitazione violenta.
Da tempo promuoviamo scambi a livello di base, specialmente fra giovani, con i nostri vicini asiatici fra cui Cina e Corea del Sud. Crediamo fermamente che l’amicizia fra i giovani della prossima generazione sarà il fondamento più solido per costruire un baluardo contro la guerra. Garantire che ogni nuova generazione sperimenti tali scambi è essenziale per creare una società che rifiuta la guerra.
La seconda area è il dialogo interreligioso. Non c’è dubbio che nel corso della storia le differenze di religione spesso abbiano generato gravi conflitti. Allo stesso tempo molte religioni hanno fornito un sostegno spirituale vitale a coloro che cercavano pace e dignità. Tenendo in mente entrambi questi fattori, le persone di fede devono agire concretamente per costruire un mondo migliore ed espandere il dialogo, per approfondire quella comprensione reciproca che garantirà di non ripetere in futuro gli errori che più volte hanno condotto alla discordia.
Nel maggio 2024 sono stato in Vaticano per incontrare Papa Francesco e discutere dell’urgente necessità di realizzare un mondo senza guerre e libero dalle armi nucleari. Nel giugno scorso ho avuto uno scambio di opinioni con il professor Datuk Dr. Abdelaziz Berghout, decano dell’Istituto internazionale islamico del pensiero e della civiltà presso l’Università internazionale islamica della Malesia, sul tema delle filosofie di pace del Buddismo e dell’Islam.
Sia la Soka Gakkai sia la Soka Gakkai Internazionale si sono impegnate nel dialogo con altre organizzazioni basate sulla fede (FBO) in vari forum e riunioni presso le Nazioni Unite che hanno portato a dichiarazioni congiunte su temi di comune preoccupazione. Negli anni a venire continueremo a perseguire attivamente il dialogo interreligioso.
La terza area è l’espansione di una solidarietà globale realizzata da persone che lavorano insieme per risolvere le sfide che il mondo ha di fronte. L’impegno collaborativo per questi scopi comuni fornirà la base più solida per stabilire una fiducia che trascende le differenze nazionali ed etniche. Questa idea si è profondamente rafforzata attraverso il nostro lavoro a sostegno delle iniziative delle Nazioni Unite per affrontare questioni globali come i diritti umani e il cambiamento climatico.
Ora più che mai la comunità internazionale deve abbandonare l’epoca della sfiducia reciproca, che ha portato all’accumulo di arsenali militari, per entrare in una nuova fase in cui le nazioni lavorino insieme per affrontare le minacce e le sfide comuni che riguardano l’umanità. Man mano che progrediamo verso questa transizione, il cammino verso un secolo caratterizzato dalla rinuncia alla guerra diventerà sempre più chiaro.
Una volta il presidente Ikeda citò le parole di Shakyamuni: «Mettendosi al posto di un altro, non si dovrebbe uccidere o indurre qualcuno a farlo»6 e sottolineò: «In quanto esseri umani siamo dotati degli strumenti che servono a questo scopo: il diapason dell’autoriflessione grazie al quale immaginare il dolore degli altri come se fosse il nostro; il ponte del dialogo per arrivare a ogni persona, in ogni luogo; la vanga e la zappa dell’amicizia con cui coltivare le terre più aride e desolate».7
Fedeli a questo spirito, in occasione dell’ottantesimo anniversario della fine della guerra, insieme ai compagni e alle compagne di fede di 192 paesi e territori del mondo riaffermiamo la nostra incrollabile determinazione di continuare ad agire per costruire un secolo in cui si rinunci alla guerra e che tutte le persone possano vivere in pace e dignità.

NOTE
  1. 1. Daisaku Ikeda, Journey of Life: Selected Poems of Daisaku Ikeda, I.B. Tauris, New York, 2014, p. 348.
  2. 2. Daisaku Ikeda, “Haha to naru koto” (Diventare una madre), Josei Sebun, 28 aprile 1969.
  3. 3. Daisaku Ikeda, “Verso una nuova era di pace e disarmo: un approccio centrato sulle persone”, Proposta di pace 2019, BS, 194.
  4. 4. Daisaku Ikeda, “Costituzione di un movimento unitario per un mondo senza guerre”, Proposta di pace 1984, https://www.sgi-italia.org/wp-content/uploads/2021/01/Proposta-Pace-Anno-1984-Daisaku-Ikeda.pdf.
  5. 5. Daisaku Ikeda, “Eliminare l’infelicità dalla Terra. Un impegno condiviso per un futuro più umano”, Proposta di pace 2015, BS, 170.
  6. 6. Acharya Buddharakkhita, trad., The Dhammapada: The Buddha Path of Wisdom, Kandy Buddhist Publication Society, 1996, p. 53.
  7. 7. Daisaku Ikeda, “Compassione, saggezza e coraggio”, Proposta di pace 2013, BS, 158. 

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