Come possiamo vincere il disperato senso di impotenza che proviamo riguardo alle guerre in corso e in particolare rispetto allo sterminio delle popolazioni coinvolte?
Come sentire che, al di là delle macro decisioni ai vertici, la vera chiave è la costruzione della pace attraverso i legami che si stringono nella comunità in cui si vive?
Ribaltando il motto degli antichi romani “Se vuoi la pace, prepara la guerra”, noi buddisti sosteniamo a tutti i costi il principio secondo cui è solo con azioni di pace che si prepara la pace.
È questo il punto centrale della Dichiarazione presentata dal presidente della Soka Gakkai Minoru Harada lo scorso primo agosto, in occasione dell’ottantesimo anniversario della fine della seconda guerra mondiale, dal titolo “Creare un’onda di cambiamento verso un secolo senza guerre” con cui apriamo questo speciale.
Harada scrive: «Nel mondo di oggi la parola “pace” è spesso scissa dal suo significato originale e usata invece come pretesto per legittimare l’aggressione e la violenza. […] Invece di permettere questa distorsione, dobbiamo impegnarci ancora di più per la pace formulando un voto esplicito di rinuncia alla guerra fondato sulla convinzione che nessuno su questo pianeta debba mai più subirne gli orrori».
Generalmente chi è impegnato nella trasformazione dei conflitti opera per facilitare l’incontro tra singoli individui appartenenti a paesi in guerra facendoli convivere fianco a fianco, studiare e dialogare insieme, perché sperimentare una vita in comune rende umano il nemico e sposta il piano d’azione da una disumanità astratta alla concretezza di un rapporto interpersonale. In questo senso tutti e tutte possiamo imparare a costruire relazioni di pace, in un allenamento che ci rende più felici mentre trasforma il tessuto della società in cui viviamo.
Ma riusciamo davvero a credere che questo difficile sforzo di dialogo, uno scambio su uno stretto crinale – come lo chiama Daisaku Ikeda, citando Martin Buber, nella selezione delle Proposte di pace che presentiamo a seguire – sia davvero efficace e non un’azione per tacitare i nostri rimorsi di coscienza?
La Soka Gakkai, che il 2 ottobre di ogni anno celebra il suo “Giorno della pace nel mondo” proprio a partire da quel giorno del 1960 in cui il presidente Ikeda partì per il primo viaggio al di fuori del Giappone, considera le piccole riunioni di zadankai come occasioni per vivere la comunità locale costruendo legami di pace. Il sangha, la comunità buddista, diventa allora non più solo il luogo in cui prendere riparo dalle difficoltà della vita, ma una piazza aperta alla società dove sperimentare e affinare la nostra capacità di incontro con persone di ogni provenienza, spesso molto diverse da noi. E dare così il nostro prezioso contributo a “preparare la pace”.