Ma qual è il meglio per mio figlio?

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Quando ero figlia pensavo che un giorno come madre avrei fatto il contrario di quello che facevano i miei genitori con me, perché me li sentivo addosso come un macigno.
Volevano il meglio per me, ma secondo la loro visione, e io mi sentivo in prigione e facevo il contrario di quello che mi suggerivano, cercando il mio posto nel mondo.
Oggi sono madre e ho capito, grazie a una recente esperienza, che non si tratta tanto di avere una “giusta visione” a priori, che si sgretola subito al manifestarsi di comportamenti che riteniamo non corretti, quanto piuttosto uno “stato vitale giusto”, permeato dal Daimoku, dai princìpi buddisti, dal legame con il mio maestro, che mi permette di avere uno sguardo e un cuore pulito rispetto all’evolversi della vita dei miei figli.
Uno di loro ha svolto una funzione necessaria per questo sottile cambiamento della mia mente. Subito dopo il periodo del Covid ha avuto difficoltà a scuola perché ha incontrato docenti che, cercando di spronarlo al meglio, gli provocavano una forte ansia. È entrato in confusione fino a implodere, arrivando a sparire da casa per giorni… Da lì il vuoto, il caos, una palla di cannone mi ha attraversato lo stomaco, la mente in preda a pensieri oscuri... sentivo il mio fallimento come madre.
Il meglio per i figli: ma qual è questo meglio, quello che penso io? In un percorso a tappe che costruisce la loro felicità senza soffrire? Ma in realtà si tratta della mia visione di felicità.
E allora rispetto per ogni singola persona? La dignità della vita? La Buddità mia e degli altri? Avevo perso completamente la direzione.
Grazie al Daimoku e all’attività ho compreso che avevo deviato da ciò che ogni giorno ci trasmettono i nostri maestri: sentire la Buddità di chi ho intorno, innanzitutto dei miei figli, sviluppare fiducia in loro. Sensei non indica ai giovani tappe da raggiungere e superare, ma li loda e li incoraggia a sfidarsi e vincere!
C’è stato un attimo in cui ho letteralmente invertito l’atteggiamento nella preghiera, determinando che mio figlio si sentisse felice così come era, e ho cercato di mantenere la fiducia in lui anche quando mi assalivano tanti dubbi. L’aiuto di un esperto è stato prezioso e ha sostenuto il sentiero che stavamo percorrendo insieme.
Non è stato per niente facile, ma il periodo duro è passato: ora mio figlio ha ritrovato la sua serenità, studia all’università e lavora. La nostra famiglia ha affrontato insieme questo momento difficile e ha costruito una nuova unità basata su una rinnovata fiducia reciproca e su un legame ancora più forte con il Buddismo e con Sensei.
(Francesca Rinaldi)

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