Lezioni di destrutturazione

immagine di copertina

La prima lezione me la diede una bambina di nove anni durante un colloquio, fissandomi negli occhi. A muso duro mi disse: «Per me sei un baule». Rimasi attonita, mi percepivo sovrappeso e mi sembrò poco garbato da parte sua. Poi il dubbio: «Mi puoi spiegare meglio?», e lei cristallina: «Io ti dico le mie cose, i miei segreti, e tu li custodisci come un baule chiuso». «Ah, ecco», respirai profondamente.
Eccola la prima lezione, i bambini non pensano come gli adulti, quindi non vanno ascoltati attraverso le nostre categorie. Destrutturare il pensiero che in automatico usiamo per interpretare le cose non è semplice, bisogna volerlo, essere pronti al disorientamento e alla sorpresa, a uscire dagli schemi e ad ascoltare. Le domande sono nostre alleate, ma anche quelle hanno bisogno di essere poste in modo aperto, con curiosità sincera, altrimenti saranno solo utili a confermare ciò che già pensavamo.
Da quel giorno feci maggiormente attenzione e guardando con occhi diversi mi resi conto che viviamo in un mondo “adultocentrico”, dove tutto è pensato a misura di adulto. Più osservavo con sguardo destrutturato, più era chiaro: i bambini e le bambine sono la “categoria” più discriminata nel mondo. Forse penserete che non è così, che spesso sono piccoli despoti e che si fa tutto per loro, ma non è questo il punto. La questione è che li “leggiamo” con i nostri criteri adulti, coi nostri occhiali, spesso adultizzandoli, attribuendo loro modi di pensare o di essere che non possono avere, ma che impareranno presto ad appiccicarsi addosso per essere apprezzati.
È facile che le discriminazioni avvengano quando c’è una diseguaglianza di potere, e certamente gli adulti in questa società ne sono detentori. È necessario essere attenti per non cadere nella tentazione del comando, farsi domande sulle proprie reazioni emotive e cercare di tenere il timone sulla propria disponibilità a cambiare per accogliere la novità dell’altro.
La seconda grande lezione me la diede un gruppo di adolescenti che avevo in terapia. Si parlava di comunicazione e io fieramente feci la mia dichiarazione sulle spunte blu di whatsapp: «Io non le toglierò mai, voglio poter leggere e rispondere o meno senza che nessuno abbia nulla da dire». Loro mi guardavano come si guarda un’aliena, poi cominciarono a spiegarmi: «Vedi noi siamo nati controllati, geolocalizzati, rintracciati ovunque a ogni ora, pubblicati sui social da quando siamo nati senza il minimo pudore e tantomeno consenso, i nostri voti li sanno prima i genitori, quindi cerchiamo di ricavarci zone d’ombra per sopravvivere al controllo. Perciò niente spunte blu, perché già mi puoi scrivere in ogni momento, almeno non saprai se ho letto. Voi uscendo chiudevate la porta di casa e da lì in poi “ciao”, c’era la vostra vita, non potete capire cosa sia vivere costantemente sotto controllo a 16 anni».
Non avevo mai guardato da questo punto di vista e ora che lo facevo era davvero inquietante. «Non ci avevo pensato, sono due panorami tanto diversi ma veri entrambi, grazie davvero».
Le domande e l’ascolto sono nemici dell’arroganza e della presunzione, ci fanno scoprire mondi nuovi, contattare realtà per noi inarrivabili, aprire varchi dove sembra regni l’incomunicabilità, soprattutto se siamo disposti a cedere il nostro potere di adulti in cambio di collaborazione, dialogo, sincerità e rischio. Sì, il rischio di scoprire che la nostra realtà non è l’unica possibile, che il mondo non è degli adulti, ma di tutti. E che la libertà è una strada a doppio senso che rende felici. (Vanessa Donaggio, psicologa)

Contenuto riservato agli abbonati


buddismoesocieta.org