BS 178 / 1 settembre 2016

Julieta

P. Almodóvar, Julieta

Guardandolo non possono che tornare alla mente gli incoraggiamenti di Nichiren Daishonin; nel Gosho di Capodanno si legge: «L'Inferno è nel cuore di chi interiormente disprezza suo padre e trascura sua madre» (RSND, 1, 1008). Non è forse questa la condizione di Antía, la figlia di Julieta, che rinnega il legame materno per dodici lunghi anni?

immagine di copertina

Di Julieta, l'ultimo film di Pedro Almodóvar tratto dai racconti di Alice Munro, si è parlato tanto negli ultimi mesi. C'è chi lo ha definito un fallimento rispetto alla produzione cinematografica precedente, chi invece ha colto una novità entusiasmante, diversa da quella a cui il regista spagnolo ci aveva abituati. Al di là del gusto personale, che fortunatamente cambia di spettatore in spettatore, Julieta mette in scena l'essenza dei legami familiari e - come ogni aspetto della realtà - si presta a una lettura buddista delle vicende umane rappresentate. Guardandolo non possono che tornare alla mente gli incoraggiamenti di Nichiren Daishonin; nel Gosho di Capodanno si legge: «L'Inferno è nel cuore di chi interiormente disprezza suo padre e trascura sua madre» (RSND, 1, 1008).
Non è forse questa la condizione di Antía, la figlia di Julieta, che rinnega il legame materno per dodici lunghi anni? Spera di sopravvivere al dolore che la menzogna le ha arrecato ripudiando chi l'ha generata, afferma la sua autonomia costruendosi una vita lontana da quegli affetti indissolubili che - come spesso accade - possono anche riservare incomprensione e dispiaceri. Eppure, in quell'impeto di rinascita che recide i fili, taglia i cordoni, disconosce le origini, carico di dolore e disperazione, non può che celarsi un'ulteriore disfatta. Antía prova a negare "l'origine dipendente", ce la mette tutta pur di vendicarsi e dimenticare. Ma in quell'oblio in cui ha trascinato sua madre, anch'ella diversamente immemore dei suoi affetti, non c'è posto per la felicità. E allora vaga Julieta nei luoghi della memoria, relega la verità a una missiva, prova a vivere "senza", a lasciarsi alle spalle il senso di colpa, a costruire un nuovo amore su fondamenta tutt'altro che stabili. E poi, inevitabilmente, crolla Julieta e i fili che sembravano recisi iniziano nuovamente a tendersi. Si tendono a tal punto che, anche dall'altra parte della voragine, qualcosa si muove: il karma familiare si ripete.
«Tu potresti chiederti come il Budda possa risiedere dentro di noi se il nostro corpo, generato dallo sperma e dal sangue dei genitori, è la fonte dei tre veleni e la sede dei desideri carnali» - scrive Nichiren alla signora Omosu e continua - «Ma dopo ripetute riflessioni si comprende quanto ciò sia vero. Il puro fiore di loto sboccia dalla melma [...]» (Ibidem). Anche per Antía e Julieta giunge il tempo di specchiarsi e di cogliere nel fango l'essenza della vita. Quando l'una riesce a compenetrarsi nell'altra, perché in preda al medesimo dolore, allora quel macchinoso macigno di cause ed effetti laceranti si alleggerisce, perché - pur nel dramma, finalmente - è tempo di trasformare: anche nel loro caso, «la fortuna viene dal cuore e fa [loro] onore».
(Maria Cristina Fraddosio)

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