Per il Buddismo la vita e la morte sono il ritmo eterno dell'universo. Quando riusciamo a cogliere dentro di noi il sé più grande che è parte di questo ritmo e sentiamo nelle profondità del nostro essere che questa è la pulsazione fondamentale che sostiene la nostra vita, allora possiamo superare la sofferenza della morte e attraversare l'eternità liberamente e con gioia.
Daisaku Ikeda sottolinea che comprendere e condividere questa visione della vita e della morte è fondamentale per assicurare un futuro di pace e di felicità per tutto il genere umano.
A tale scopo sta scrivendo una serie di lezioni sul Gosho L'eredità della Legge fondamentale della vita, che cominceremo a pubblicare su questo giornale a partire dal prossimo numero.
Lo speciale che presentiamo qui è un invito alla lettura di queste lezioni ed è ispirato alla conferenza sul tema della vita e della morte tenuta da Katsuji Saito, responsabile del Dipartimento di studio della SGI, durante il Corso europeo dello scorso agosto.

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La vita e la morte

Il tema della morte è centrale nel Buddismo. È compito dei Bodhisattva della Terra diffondere la visione buddista dell'eternità della vita, affinché gli esseri umani possano liberarsi dal loro ristretto attaccamento all'io, fonte dell'illusione e della sofferenza riguardo alla morte

«Vita e morte sono i più grandi misteri su cui si concentra l'attenzione della religione. Da dove veniamo e dove andiamo? Perché nasciamo? La nostra vita è un mero evento casuale oppure ha uno scopo più grande? Qual è il significato della morte? Saremo semplicemente ridotti a un nulla insignificante, come tante persone più o meno credono nella nostra epoca moderna? O faremo ritorno a una luminosa "anima" immortale come sostengono molte tradizioni religiose sia orientali che occidentali? Oppure, come insegna il Budda Shakyamuni, non accadrà né l'una né l'altra cosa?».
Con queste parole Daisaku Ikeda dà inizio alla prima lezione sul Gosho L'eredità della Legge fondamentale della vita.
Per la realizzazione della pace nel mondo, sostiene Ikeda, è indispensabile condividere con le persone la visione buddista dell'eternità della vita. Ed è proprio quello che Sensei sta facendo in prima persona attraverso queste lezioni, per realizzare lo scopo di completare le fondamenta di kosen-rufu entro il suo ottantesimo compleanno, come aveva dichiarato nella prima puntata delle Riflessioni a margine della Nuova rivoluzione umana.
Il tema della morte è centrale nel Buddismo. Finché non ci si libera della sofferenza della morte non si può godere di vera felicità e a nulla valgono i ragionamenti e le teorie intellettuali. «Per sua stessa natura - scrive Ikeda - una visione della vita e della morte che prende in considerazione solo il periodo che va dalla nascita in poi fa sì che le persone si concentrino sul chiedersi se il loro sé attuale finirà con la morte. Il Daishonin afferma che la Legge mistica incarna le due fasi di vita e morte, e aggiunge che la vita e tutti i fenomeni sono soggetti alle due fasi di vita e morte e attraversano vita e morte come funzioni della Legge mistica. Spiega inoltre che nascita e morte fanno intrinsecamente parte della vita, cercando così di impedire alle persone di cadere nell'errore di aborrire la vita e la morte o di nutrire un forte attaccamento nei confronti dell'una o dell'altra».
Nichiren insegnò ai suoi discepoli a vivere dedicandosi al Buddismo con lo spirito di non risparmiare la propria vita. Così facendo intendeva aiutarli a spezzare il loro ristretto attaccamento all'io, fonte dell'illusione e della sofferenza riguardo alla morte. Recitando Daimoku con la profonda convinzione che siamo la materializzazione della Legge dell'universo e aiutando gli altri a fare la stessa cosa, dalla nostra vita emergeranno le qualità della saggezza e della compassione che ci permetteranno di sconfiggere illusioni e sofferenze, e conseguiremo uno stato vitale di felicità assoluta che non può essere distrutto da niente.
Costruire questa condizione vitale attimo dopo attimo, considerando ogni istante della vita come se fosse l'ultimo, significa concretizzare la filosofia della rivoluzione umana e metterla in pratica nella vita. «Rimanere saldi e corretti nella fede fino all'ultimo istante - continua Ikeda - rappresenta di per sé l'ottenimento della Buddità in questa esistenza. In quel momento la morte non segnerà la fine della vita, ma il suo completamento e l'inizio di una nuova e ancor più profonda esistenza. Una morte simile sarà del tutto libera da qualsiasi paura o angoscia. Così saremo veramente in grado di provare gioia sia nella vita che nella morte». Questo è l'obiettivo più importante dell'esistenza.
«A mio avviso - conclude Ikeda - il fatto che stia attualmente emergendo una grande rete globale di Bodhisattva della Terra condurrà a un profondo cambiamento nel modo di percepire la vita e la morte da parte dell'umanità. Farà sì che un'eredità di pace, umanesimo e felicità scorra veloce e potente per tutto il mondo dando vita a una trasformazione radicale della condizione vitale dell'umanità. Affido la realizzazione di questa nobile missione ai miei compagni di fede sparsi in tutto il mondo e soprattutto conto sui giovani».

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La questione più importante

Annullamento di sé e immortalità dell'anima: sono le due principali concezioni elaborate nel corso della storia dalle diverse culture e religioni per rispondere allo sgomento di fronte all'idea della morte e all'incertezza di cosa vi sia dopo. Il Buddismo le definisce rispettivamente "annientamento" e "permanenza", e le considera entrambe errate

La morte è inevitabile e noi esseri umani ne siamo ben consapevoli, ma non sappiamo né quando moriremo né cosa accadrà dopo. Proprio questa incertezza, questa inafferrabilità, costituisce la causa principale dell'angoscia e della paura esistenziale, e rende l'idea della fine della vita un "covo" di incontrollabile insicurezza.
Nonostante gli sforzi che la maggior parte delle persone compie per condurre una vita seria e dignitosa, per costruire qualcosa di solido, non c'è mai la garanzia di acquisire la sicurezza necessaria per affrontare la morte senza paura.
Anche i progressi della medicina, che hanno prolungato la durata media della vita umana, non hanno cancellato l'insicurezza generata dalla morte, anzi hanno creato nuove incertezze, ad esempio riguardo alla questione della definizione della morte cerebrale e dell'eutanasia (per approfondire questi temi dal punto di vista buddista vedi Daisaku Ikeda e altri, L'essenza dell'uomo, Sperling &amp; Kupfer, e DuemilaUno, n. 74).
Non c'è dubbio che l'insicurezza e la paura della morte siano la causa fondamentale di molte visioni errate della vita, come l'edonismo e il nichilismo, e nelle sue Proposte di pace e nei suoi dialoghi Daisaku Ikeda ha più volte indicato la paura della morte come causa dell'instabilità della società moderna.
Nel corso della storia umana le diverse culture e religioni hanno elaborato svariate concezioni della morte e della vita dopo la morte, che sostanzialmente si possono ricondurre a due.
L'annullamento di sé con la morte.
L'immortalità dell'anima.
Nel Buddismo la prima viene chiamata "concezione dell'annientamento", l'altra "concezione della permanenza", ed entrambe sono ritenute errate. Il presidente Ikeda le commenta nella prima lezione sul Gosho L'eredità della Legge fondamentale della vita.
«Secondo il principio buddista di origine dipendente, una delle verità a cui Shakyamuni si era illuminato, le sofferenze di invecchiamento e morte sorgono dall'oscurità innata o ignoranza che esiste dentro ogni individuo. Il Budda insegna che estinguendo tale ottenebramento interiore queste sofferenze possono essere superate. La saggezza o comprensione profonda che permise a Shakyamuni di conseguire l'Illuminazione rappresenta la saggezza per vincere le illusioni e la sofferenza rispetto alla morte.
Basandosi su tale saggezza il Budda rifiutò le due visioni estreme della morte, più comuni e dominanti, ritenendole entrambe errate in quanto non consentivano alle persone di superare completamente la paura e l'incertezza della morte. La prima era la visione che considera la morte come annientamento o completa cessazione del sé (teoria dell'annientamento), mentre l'altra riteneva che dopo la morte il sé permane sotto forma di un'anima o spirito immortale e immutabile (teoria della permanenza). Entrambi questi punti di vista considerano la vita e la morte solo dal momento della nascita fino al momento della morte, per cui vita e morte sono considerate come realtà opposte. Dunque nessuna di queste due visioni possiede la saggezza per percepire correttamente la vera realtà di vita e morte. Non penso di spingermi troppo oltre nell'affermare che la maggior parte delle persone, consapevoli della propria mortalità, aderiscono in qualche forma a una di queste due visioni. Se la teoria dell'annientamento fa sorgere la paura e l'angoscia della morte, la teoria della permanenza è il prodotto dell'attaccamento all'io. Nichiren Daishonin spiega che questi due punti di vista non possono aiutare le persone a raggiungere la vera felicità».
La "concezione dell'annientamento" ci riconduce all'ansia e alla paura della morte, mentre la "concezione della permanenza" indica l'attaccamento alla propria vita e deriva dall'oscurità di voler rimanere eternamente come si è ora, dal desiderio di essere immortali. Dato che nessuna di queste due concezioni racchiude la saggezza per produrre una vera pace e una vera felicità, per entrambe le definizioni viene usato lo stesso ideogramma ken, che significa "concezione errata".
Nichiren Daishonin scrive, in Lettera da Sado, rivolgendosi ai discepoli che stavano subendo persecuzioni: «Le cose che gli uomini temono di più in questo mondo sono il dolore del fuoco, il balenare delle spade e l'ombra della morte. Persino i buoi e il bestiame hanno paura di essere uccisi, non c'è da meravigliarsi che gli esseri umani abbiano paura della morte; persino i lebbrosi sono attaccati alla vita, a maggior ragione le persone sane. [...] I pesci vogliono sopravvivere e, deplorando la scarsa profondità dello stagno in cui vivono, scavano buche sul fondo per nascondersi; eppure, ingannati dall'esca, abboccano all'amo. Gli uccelli sugli alberi temono che questi siano troppo bassi, si appollaiano sui rami più alti; eppure, abbagliati dall'esca, si fanno prendere nella rete. Gli esseri umani sono altrettanto vulnerabili. Danno la vita per superficiali cose mondane, ma raramente per i preziosi insegnamenti del Buddismo. Fa poca meraviglia che non ottengano la Buddità» (WND, 301; cfr. SND, 4, 73).
Il Daishonin paragona la paura della morte degli esseri umani alla stupidità dei pesci e degli uccelli, che per il troppo attaccamento a se stessi abboccano all'amo o cadono nelle trappole dei cacciatori.
Da qui si comprende come Nichiren rifiuti sia la visione dell'annientamento sia quella della permanenza. In entrambe, infatti, vi è alla base l'attaccamento a se stessi, che è fonte dell'illusione e della sofferenza riguardo alla morte. Con gli esempi citati, invece, Nichiren voleva insegnare ai suoi discepoli, che lottavano coraggiosamente in mezzo alle persecuzioni, che dedicarsi al Buddismo senza risparmiare la propria vita è la via che conduce alla Buddità. Vincendo l'illusione dell'attaccamento all'io e manifestando lo spirito di dedizione al Buddismo si può realizzare la massima espressione di se stessi in unicità con la Legge mistica.

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Una realtà inafferrabile

Secondo il Gosho L'eredità della Legge fondamentale della vita, vita e morte non sono realtà opposte ma rappresentano il ritmo intrinseco della Legge mistica. Vedere le cose in questo modo equivale a vivere il ciclo di nascita e morte nello stato di Buddità

«Myo significa morte, ho vita. Gli esseri viventi che attraversano le due fasi di vita e morte sono le entità dei dieci mondi o le entità di Myoho-renge-kyo [lett.: "loto dell'entità"].
T'ien-t'ai disse: "Sappiate che tutte le cause e gli effetti degli esseri viventi e dei loro ambienti manifestano la Legge del loto (renge)". In questa spiegazione "esseri viventi e i loro ambienti" designano i fenomeni di vita e morte. Dunque dove c'è vita e morte è chiaro che sussiste anche causa ed effetto, cioè la Legge del loto.
Il Gran Maestro Dengyo disse: "Le due fasi di vita e morte sono le funzioni mistiche di un'unica mente. Le due modalità di esistenza e non esistenza sono le vere funzioni dell'Illuminazione intrinseca". Nessun fenomeno - cielo o terra, yin o yang, il sole o la luna, i cinque pianeti o i vari mondi da Inferno a Buddità - è esente dalle due fasi di vita e morte. Vita e morte sono semplicemente le due funzioni di Myoho-renge-kyo. T'ien-t'ai scrisse in Grande concentrazione e visione profonda: "L'apparizione è l'apparizione della natura essenziale della Legge e l'estinzione è l'estinzione di tale natura". Anche Shakyamuni e Molti Tesori, i due Budda, sono le due fasi di vita e morte» (Buddismo e società, n. 113, p. 5; cfr. SND, 4, 221).

In questo brano del Gosho L'eredità della Legge fondamentale della vita Nichiren spiega dettagliatamente la profonda relazione tra la vita, la morte e la Legge mistica sintetizzandola nell'espressione: «Myo significa morte, ho vita». Secondo il Daishonin nascita e morte sono il ritmo innato della Legge mistica, chiamato anche "vita e morte originariamente presente" oppure "vita e morte parte intrinseca dell'eterna Legge mistica". Ciò significa che nascita e morte sono fin dall'origine inerenti alla Legge mistica eterna. Per fare un esempio, se noi raffiguriamo la Legge mistica come un grande oceano, le singole esistenze di nascita e morte, o i vari fenomeni che si manifestano, possono essere paragonate alle grandi e piccole onde che si formano nell'oceano stesso.
Daisaku Ikeda scrive: «La relazione tra la vita, la morte e la Legge mistica può essere descritta come un'onda che appare sulla superficie dell'oceano e poi si inabissa nuovamente. L'oceano rappresenta la Legge mistica, l'onda sta a indicare una singola vita o fenomeno. Il movimento delle onde che emergono dall'oceano e poi vi ritornano corrisponde al ciclo di nascita e morte. Tuttavia, quando muoiono, le singole vite non scompaiono inghiottite dall'oceano della Legge mistica, come accade normalmente alle onde marine.
Così come in fondo all'oceano fluiscono numerose correnti invisibili dalla superficie, si può affermare che la differenza fra vita e morte è simile a quella fra le onde che appaiono in superficie e le correnti che scorrono nelle profondità dell'oceano. L'essenza vitale di un individuo non si estingue con la morte; vita e morte non sono altro che le fluttuazioni della Legge mistica.
Le correnti che scorrono nelle profondità dell'oceano emergono in superficie sotto forma di onde, poi si inabissano nuovamente, tornando a essere invisibili. Similmente, un'onda di vita che emerge sulla superficie dell'oceano della Legge mistica, nel morire si fonderà nuovamente con quell'oceano e continuerà le sue fluttuazioni invisibili. Quando le condizioni saranno appropriate, quell'essenza vitale apparirà un'altra volta sotto forma di una nuova onda» (dalla terza lezione su L'eredità della Legge fondamentale della vita).
Il Daishonin nel Gosho prosegue spiegando che sebbene le vite degli esseri dei dieci mondi creino svariate attività e fenomeni, la vera natura di tali manifestazioni non è altro che la Legge mistica, cioè le due fasi di nascita e morte. Per tornare all'esempio precedente, le grandi e piccole onde dell'oceano non sono diverse né distinte dall'oceano stesso. Queste attività vitali che nascono dalla Legge mistica sono definite entità di Myoho-renge-kyo o "loto incarnato", nel senso che ciascuna, incarnando l'essenza del Sutra del Loto, ha di per sé valore innato.
Poiché qualsiasi fenomeno nasce dall'entità della Legge mistica e l'entità della Legge mistica ha intrinseci i due fenomeni di nascita e morte, di conseguenza il vero aspetto delle singole nascite e morti è la "nascita e morte di Myoho-renge-kyo", che Nichiren definisce con l'espressione: «Vita e morte sono semplicemente le due funzioni di Myoho-renge-kyo».
Anche il Budda non è esente dal ritmo di vita e morte, per questo il Daishonin scrive: «Anche Shakyamuni e Molti Tesori, i due Budda, sono le due fasi di vita e morte». Il Budda non trascende la vita e la morte.
In conclusione, la vita e la morte sono le funzioni intrinseche della Legge mistica e le singole vite - nascite e morti - sono la manifestazione della vita e della morte inerenti a Myoho-renge-kyo. Chi si risveglia a questo concetto originale di vita e morte viene chiamato Budda. Il Budda che si è risvegliato a questa verità trascende la vita piena di sofferenza del comune mortale dei nove mondi che si basa sulle visioni illusorie di vita e morte come quelle dell'annientamento e della permanenza, e vive in accordo con le funzioni di vita e morte intrinseche a Myoho-renge-kyo. Questo si chiama attraversare il ciclo di nascita e morte nello stato di Buddità.
Quindi nel Buddismo per vita eterna non si intende l'eliminazione del ciclo della vita e della morte. Concretizzare l'eternità della vita significa vivere il ciclo di vita e morte nello stato di Buddità.

L'IMPERMANENZA E IL VERO ASPETTO
di Daisaku Ikeda

I Budda [...] sanno che i fenomeni
non hanno una natura fissa e costante [...]
ma che questi fenomeni
siano parte di una Legge immutabile,
che le caratteristiche del mondo
siano costanti e immutabili,
tutto ciò hanno compreso (SDL, 51-52).

Le "caratteristiche del mondo", sinonimo di tutti i fenomeni, sono le manifestazioni del vero aspetto dell'immutabile Legge mistica.
Nella Raccolta degli insegnamenti orali Nichiren dice: «Le innumerevoli entità dei tremila mondi, sottoposte al processo di nascita, durata, trasformazione ed estinzione, sono tutte manifestazioni dei poteri sovrannaturali [del Tathagata]» (cfr. Buddismo e società, n. 117, p. 43). Infatti le cose dell'universo cambiano incessantemente ma in realtà esistono sempre, sono la Via di mezzo, la vera entità, il Tataghata. «In definitiva - commentò Josei Toda - ogni istante dell'esistenza può essere chiamato Tathagata. Non solo le nostre vite, ma tutte le cose dell'universo non cessano mai di cambiare. Esse si trasformano e si ritrasformano in continuazione, istante dopo istante. Poiché ogni singola cosa cambia continuamente la sua forma, perfino una casa è sempre diversa. Il tempo passa ed essa si riduce in macerie. Le macerie a loro volta si riducono in polvere e la polvere stessa continua a disintegrarsi. Il fatto di vedere le cose per quello che sono corrisponde alla verità dell'esistenza temporanea. Ma poiché questi fenomeni sono temporanei, non sono reali e, in questo senso, essi non hanno sostanza propria; questa è la verità della non sostanzialità. Considerare ogni momento in quanto esistente così com'è è la verità della Via di mezzo. Così l'aspetto e la natura di tutte le cose, nella loro esistenza di momento in momento, sono il vero aspetto o la vera entità. Anche le nostre esistenze, istante per istante, sono la vera entità, e nella vera entità di quell'istante è compresa tutta la vita dal passato senza inizio all'infinito futuro. Questo singolo istante di vita contiene gli effetti di tutte le nostre vite passate e le cause di tutte le nostre vite future. Questa è la Legge del loto, la Legge di causa ed effetto.
In questo singolo istante di vita l'attività dell'universo si manifesta in una varietà di fenomeni i quali cambiano di momento in momento. Questo è il significato dell'espressione "poteri sovrannaturali", cioè che l'incessante trasformazione di tutti i fenomeni universali in relazione a tutte le altre attività dell'universo rappresenta il vero aspetto, o realtà, dell'universo».
Nel brano appena citato si può notare che Toda tratta la materia e i fenomeni della vita nello stesso modo. Solitamente pensiamo alla materia e alla vita come a due cose molto diverse. Tuttavia, come indica il termine "tutti i fenomeni", per il Buddismo la materia non è fissa e immutabile ma un fenomeno che attraversa un ciclo di creazione e disintegrazione. In altre parole, il Buddismo considera la materia da un punto di vista fenomenico e non puramente materiale. Anche la vita è un fenomeno dinamico sottoposto al ciclo di nascita e morte.
Tutte le cose appartengono al mondo dei fenomeni, sono soggette al ciclo di nascita, durata, trasformazione ed estinzione. Ciò che chiamiamo materia è semplicemente un fenomeno che si trova nello stadio temporaneo di stabilità o durata. [...]

Trasformazioni e relazioni: cosa dice la scienza
Toda diceva spesso che il progresso della scienza avrebbe dimostrato sempre più la validità degli insegnamenti buddisti. Naturalmente scienza e religione appartengono a due dimensioni diverse e anche i loro approcci sono diversi. Non sto dicendo che gli insegnamenti buddisti sono corretti perché vengono convalidati dalla scienza; la conoscenza scientifica si trasforma e si evolve quotidianamente mentre le verità assolute del Buddismo non ne vengono in alcun modo influenzate. Tuttavia possiamo constatare che la scienza tende ormai ad assumere posizioni sempre più in sintonia con il Buddismo. [...]
La fisica moderna ha scoperto l'impossibilità di misurare con precisione allo stesso tempo la posizione e la quantità di moto delle particelle subatomiche. Lo stesso tentativo di misurarle entrambe contemporaneamente esercita un'influenza sul comportamento di queste particelle. Quello che opera qui è il principio di indeterminazione di Heisenberg che di fatto annulla la distinzione tra soggetto e oggetto. In altri termini, soggetto e oggetto sono inseparabili; i risultati dell'osservazione scientifica sono determinati dalla relazione tra chi osserva e ciò che viene osservato.
Nella sua ricerca dei mattoni costitutivi fondamentali dell'universo [...] la scienza moderna si è scontrata con un altro paradosso: le particelle elementari fondamentali hanno una duplice natura, non sono soltanto particelle ma anche onde elettromagnetiche. Questa scoperta ha costretto gli scienziati a correggere il loro modo di considerare la materia, che fino ad allora era vista come statica e immutabile, e a prendere in considerazione gli aspetti mutevoli delle cose stesse e le loro interrelazioni. In altre parole essi hanno dovuto assumere un punto di vista fenomenico oltre a dover tenere conto della relazione tra osservatore e oggetto osservato.
L'immagine del mondo ha così subito un cambiamento radicale: da un agglomerato di materia infinita a un arazzo di infinite relazioni; e quest'ultima visione ha molto in comune con le intuizioni e le percezioni del Buddismo mahayana.
Albert Einstein rivelò che la materia è energia in uno stato temporaneamente stabile. Secondo questa teoria, materia ed energia assumono temporaneamente l'una o l'altra forma, ovvero sono una cosa sola ma si manifestano temporaneamente come due cose separate.
Il grande scienziato scoprì che l'energia è uguale alla massa per il quadrato della velocità della luce. Si tratta della famosa equazione E=mc2. La luce viaggia a circa trecentomila chilometri al secondo, di conseguenza una minuscola massa che si muove a tale velocità è in grado di produrre un'enorme quantità di energia.
Questa scoperta fu usata in seguito per costruire la bomba atomica, una tragedia avvenuta perché la teoria di Einstein assunse vita propria, e fu usata da persone che non avevano compreso il significato della visione del mondo che essa suggeriva: una rete intricata di infinite relazioni. Quando applichiamo questa visione alla materia e a tutte le cose viventi, possiamo vedere il mondo come la grande entità vitale di cui parlava Toda e percepire che questa è anche la vera entità della nostra stessa esistenza. [...]
Ad ogni modo la rivoluzione del pensiero scientifico ha scosso le fondamenta di tutto il pensiero umano. Potremmo dire che questo processo [...] ci ha permesso di intravedere un immenso regno che la visione del mondo statica e parziale del mondo non aveva potuto considerare. Fu proprio avendo compreso questo che Einstein, Heisenberg e altri giunsero a contemplare l'esistenza di un tutto più grande, una realtà ultima della quale le verità della fisica sono solo una parte.

(Da La saggezza del Sutra del Loto, Mondadori, vol. 1, pp. 112-119)

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Come le onde nell'oceano

Il Budda, che percepisce l'eternità della vita, cambia insieme all'universo e gioisce di questo cambiamento. Attraversa le fasi di vita e morte spinto dalla compassione, in una condizione di libertà e assenza di impedimenti che abbraccia tutto 

L'essenza della visione della vita e della morte elaborata da Daisaku Ikeda è rappresentata dall'espressione "sia la vita che la morte sono gioia", concetto che trae origine da un'affermazione di Nichiren contenuta nel Gosho Inferno e Buddità: «Finché era in vita egli era un Budda e ora è un Budda defunto. Si è Budda sia in vita che dopo la morte. Questa è la profonda dottrina di sokushin-jobutsu (ottenere la Buddità nella forma presente). Il quarto volume del Sutra del Loto afferma: "Abbracciare questo sutra equivale ad abbracciare la Buddità"» (SND, 5, 195).
In questo brano il Daishonin sostiene che chi abbraccia il Sutra del Loto è un Budda vivente e dopo la morte sarà un Budda defunto. Quando si è Budda, entrambe le fasi di vita e morte sono fonte di gioia.
Abbracciare il Sutra del Loto - la scrittura che rivela la possibilità della Buddità per tutti gli esseri e contiene il voto compiuto dal Budda Shakyamuni di far sì che ogni persona possa manifestare questa condizione vitale - non significa altro che fare proprio questo principio e questo voto del Budda, e su tale base condurre la vita migliore possibile. Ciò vuol dire, in parole semplici, vivere per la felicità propria e degli altri.
L'espressione di Ikeda "sia la vita che la morte sono gioia" non è quindi in alcun modo un inno alla morte bensì una filosofia per vivere nel modo migliore, ed è proprio grazie a questo modo di vivere che possiamo accogliere la morte con la massima serenità.

Vita e morte nel mondo di Buddità: il Picco dell'Aquila
Di norma nelle religioni si tende a separare il mondo reale dal mondo dopo la morte. Ad esempio nella concezione cristiana dopo la morte si va in paradiso o all'inferno in modo definitivo, e anche all'interno del Buddismo vi sono scuole, come quella della Pura terra, che ipotizzano una netta separazione tra la vita nel mondo di saha, un luogo quotidiano contaminato e impuro, e quella dopo la morte, la Pura terra del Budda Amida.
Nel Buddismo di Nichiren Daishonin il mondo eterno non è in alcun modo separato e distinto dal mondo reale. Non c'è interruzione tra vita e morte, perché nel mondo di Buddità la vita è eterna.
Il Sutra del Loto, e Nichiren in molti suoi scritti, parlano di un luogo metaforico dove questo si realizza, la cosiddetta Pura terra del Picco dell'Aquila.
La Pura terra del Picco dell'Aquila rappresenta infatti il luogo, grande come l'intero cosmo, dove si va dopo la morte (nel Gosho La pratica dell'insegnamento del Budda Nichiren afferma per esempio: «Allora, se recitiamo fino al momento della morte, Shakyamuni, Taho e tutti gli altri Budda dell'universo verranno da noi immediatamente [...]. Prendendoci per mano e portandoci sulle spalle ci condurranno sul Picco dell'Aquila», SND, 4, 18). Allo stesso tempo è il luogo fisico di predicazione del Sutra del Loto dove avvenne la Cerimonia nell'aria con la materializzazione della Torre preziosa - che rappresenta simbolicamente l'universo nella sua totalità - e infine è il luogo dove, nel mondo reale, si manifesta il regno del Budda, quando con la cerimonia di Gongyo riviviamo quella grandiosa rappresentazione facendo sorgere il potere della Buddità innata per affrontare la vita di tutti i giorni.
Spiega infatti il presidente Ikeda: «Il luogo in cui sosteniamo e pratichiamo la Legge mistica diventa la Pura terra del Picco dell'Aquila automaticamente e senza che muoviamo un passo. E quando moriremo, dopo aver continuato a praticare il Buddismo e aver stabilito fermamente un forte nucleo di fede corretta e costante, la nostra vita sarà colma di gioia e otterremo un illimitato stato vitale che abbraccia tutto l'universo. Toda chiamava questo "fondersi con la Buddità dell'universo". Credo che questa sia la vera essenza del concetto di "Pura terra del Picco dell'Aquila"» (Il Nuovo Rinascimento, n. 369, p. 6. Per una trattazione più approfondita vedi box nella pagina seguente).
Dunque, quando siamo in vita, nel mondo reale, la Pura terra del Picco dell'Aquila non è altro che il nostro corpo. Dopo la morte, anche se il corpo fisico scompare, la condizione di Buddità permane e si fonde con la Pura terra del Picco dell'Aquila che è l'universo stesso. Il nostro corpo diventa l'universo e possiamo percepire il mondo di Buddità come illimitato.
Il Daishonin, per indicare la condizione vitale di chi raggiunge la Buddità perché ha abbracciato i cinque caratteri di Myoho-renge-kyo, cita le parole di Miao-lo: «Quando raggiungiamo la Buddità la nostra vita pervade l'intero universo sia fisicamente che spiritualmente» (Il vero Oggetto di culto, SND, 1, 234).
«Questa condizione vitale continua eternamente - scrive Ikeda - la nostra vita si fonde con l'universo e, in una condizione vasta e senza limiti, continua ad andare avanti con libertà, gioia e piacere. È uno stato in cui sia la vita che la morte sono piene di gioia. Essere capaci di conseguire questo stato vitale è lo scopo della nostra fede e della nostra pratica» (Il Nuovo Rinascimento, n. 369, p. 5).
La determinazione di mantenere costantemente una fede forte, ferma, incrollabile, e la perseveranza nel dedicarsi anima e corpo, sino alla fine dei nostri giorni, alla pratica buddista, si riassumono nel concetto espresso dal Daishonin come rinju shonen ("una mente risoluta e corretta al momento della morte"), che significa non lasciarsi turbare di fronte alla morte mantenendo una forte convinzione nella capacità di conseguire la Buddità. Ciò rappresenta la suprema vittoria, il perfetto compimento della pratica buddista. Questo immenso stato vitale della Buddità conseguita in una sola esistenza può essere espresso come "la Pura terra del Picco dell'Aquila".
Dedicare tutta la vita, fino all'ultimo istante, per la propria e altrui Illuminazione significa vivere la vita reale facendo del mondo di Buddità la propria vera natura; allora lo stato di Buddità diventa il nostro vero io e continua a esistere eternamente.

Rinascere: la spinta irrefrenabile della compassione
Parlare di un'esistenza eterna dello stato di Buddità non significa però che si permarrà tranquillamente per l'eternità nell'universo infinito, perché se non si facesse ritorno alla vita reale la Pura terra del Picco dell'Aquila diverrebbe un luogo separato da tutto il resto e finiremmo per credere, come in altre religioni, in paradisi separati dalla realtà.
Il Daishonin asserisce che la vita che ha ottenuto l'Illuminazione in questa esistenza dopo la morte andrà nella Pura terra - in altre parole si fonderà con il mondo di Buddità dell'universo - ma immediatamente dopo farà ritorno nel mondo reale, e con la forza della compassione donerà ai comuni mortali illimitati benefici.
«Poi, senza che passi neanche un istante di tempo, tornerà al regno dei sogni dei nove mondi, il regno di nascita e morte, porterà il proprio corpo a pervadere le terre dell'intero regno dei fenomeni delle dieci direzioni e porterà la propria mente a entrare nei corpi di tutti gli esseri senzienti, incoraggiandoli dall'interno e guidandoli dall'esterno, [in una condizione in cui] l'interno e l'esterno si completano a vicenda e le cause e le condizioni funzionano in armonia, e in questo modo utilizzerà la pietà e la compassione dei propri poteri trascendenti esercitati liberamente per donare illimitati benefici agli esseri viventi» (L'unanime dichiarazione dei Budda delle tre esistenze riguardante la classificazione degli insegnamenti tra quelli da abbandonare e quelli da sostenere, WND, 2, 860).
Nello stato vitale di Buddità la compassione è la forza motrice che sostiene il ciclo di nascita e morte. Perciò non accadrà mai che dopo la morte si rimanga a vivere serenamente nel mondo di Buddità. Toda affermava: «In primo luogo, l'universo nella sua interezza è la sostanza del Budda e tutti i fenomeni sono funzioni della compassione. La compassione è la natura intrinseca dell'universo» (Raccolta completa delle opere di Josei Toda, vol. 3).
Quando la nostra vita risiede nel mondo di Buddità e dopo la morte è un tutt'uno con l'universo, noi diventiamo le funzioni stesse della compassione. Quando sentiamo tutta questa compassione proviamo un desiderio irrefrenabile di tornare nella realtà concreta dei nove mondi per aiutare coloro che soffrono. Perciò nel Gosho troviamo scritto: «Senza che passi neanche un istante di tempo, tornerà al regno dei sogni dei nove mondi, il regno di nascita e morte».
Dal punto di vista temporale dei nove mondi il lasso di tempo che passa tra la morte, lo stato vitale di Buddità e la nuova vita è brevissimo, ma nonostante sia così breve si riesce ad assaporare pienamente la gioia dell'eternità, proprio perché la Buddità è un mondo eterno senza né inizio né fine.

Oltre le visioni dell'annientamento e della permanenza
La nascita e la morte nel mondo del Budda sono un passare dai nove mondi al mondo di Buddità e viceversa. E poiché la vita nel mondo di Buddità permane, è sempre presente in eterno, non c'è interruzione tra vita e morte. È una concezione completamente diversa da quella dell'annientamento.
Inoltre "vita e morte nel mondo di Buddità" vuol dire attraversare il ciclo di nascita e morte nello stato eterno della Buddità e non nell'illusione di rimanere così come si è adesso, nei nove mondi, in eterno, desiderio basato sull'attaccamento al sé. Quindi è una concezione completamente diversa anche dall'idea della permanenza.
Cambiare insieme all'universo e gioire di questo cambiamento. Questo è lo stato vitale del Budda sia nella vita che nella morte, una condizione di libertà e assenza di impedimenti che dura per l'eternità e abbraccia l'universo intero.

Vita dopo vita
Per concludere, dopo la morte quello che rimane è la condizione vitale che il singolo individuo è riuscito a manifestare quando era in vita. Quando si muore con la condizione vitale di Buddità la singola vita si fonde con tutto l'universo, e poiché la vera natura dell'universo è la compassione, si desidera rinascere subito per aiutare gli altri.
Quindi il vero scopo e significato dell'esistenza presente è elevare la condizione vitale al mondo di Buddità, cioè fare la propria rivoluzione umana.

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Quando la vita e la morte sono gioia

Vivere con lo spirito che adesso è l'ultimo momento significa vivere ogni attimo e ogni giorno con pienezza e senza rimpianto. Allora, al sopraggiungere della morte, possiamo dirigerci verso il Picco dell'Aquila in pace, con soddisfazione e serenità, pronti ad una nuova partenza

Per morire bene è necessario vivere bene: il momento della morte è fondamentale, perché è il tempo dell'ultimo e definitivo bilancio dei risultati ottenuti in questa esistenza e il punto di partenza per la prossima vita.
Secondo il Buddismo, per arrivare a morire bene noi esseri umani dovremmo valorizzare ogni attimo della nostra esistenza, vivere cioè come se ogni istante fosse l'ultimo.
Scrive Daisaku Ikeda nella sesta lezione del Gosho L'eredità della Legge fondamentale della vita: «L'attimo della morte rappresenta il momento del bilancio finale di questa esistenza, il cui esito dipende rigorosamente da come abbiamo vissuto. Saremo in grado di andare incontro a questo ultimo momento pieni di immensa soddisfazione, di apprezzamento e liberi da rimpianti? O chiuderemo il sipario su questa esistenza carichi di rammarico e rimorsi?
L'intera esistenza di un individuo è condensata in quest'ultimo istante, senza alcuna possibilità di inganno e sotterfugio.
Per questo motivo è cruciale vivere ogni momento in maniera piena, specialmente se vogliamo poter dire: "Se dovessi morire proprio adesso non avrei rimpianti e insoddisfazione alcuna. Il mio cuore è sereno e tranquillo come il cielo azzurro senza nuvole". Impegnarsi nella fede con lo spirito che adesso è l'ultimo istante significa dare tutti noi stessi nel presente, determinati a non avere alcun rimpianto anche se questo dovesse essere veramente l'ultimo istante».
Continua ancora Ikeda: «Secondo la prospettiva buddista di vita e morte, l'ultimo istante, oltre a essere il momento del bilancio finale della propria vita, è anche il punto di partenza verso la prossima esistenza. [...] Per noi che sperimentiamo nascita e morte nella condizione vitale della Buddità per tutta l'eternità, il momento di passaggio dalla vita alla morte rappresenta davvero una brillante partenza per la prossima esistenza» (Ibidem).

Una mente salda e corretta
Il nostro ultimo istante è il momento in cui è concentrata tutta l'esperienza di questa vita; lo stato della nostra mente al momento della morte è il risultato di come abbiamo vissuto ed è la causa della vita futura.
Con quale stato mentale andremo incontro al nostro ultimo momento? Il Buddismo ci assicura che vivendo ogni istante come se fosse l'ultimo possiamo costruire una mente che sia salda e corretta al momento della morte. Cosa significa tutto ciò?
"Una mente risoluta e corretta al momento della morte" (giapp. rinju shonen) indica "una mente non turbata dalla paura e dalla sofferenza della morte quando si avvicina il momento di morire", e si riferisce in particolare a una mente salda che crede nella Legge meravigliosa. È grazie a questo tipo di fede che una persona è in grado di far emergere la Buddità nella sua vita.
Per "mente che crede" si intende quella forte fede necessaria per continuare senza alcun cedimento sul rigoroso sentiero della pratica buddista fino alla fine della vita. È questa mente che crede che ci assicura "una mente risoluta e corretta al momento della morte", uno stato sereno e imperturbabile con la convinzione assoluta che si conseguirà la Buddità. «Più specificamente - continua Ikeda - indica una mente che nell'avvicinarsi alla morte prova una soddisfazione profonda per aver vissuto una vita senza rimpianti e una grande gioia per aver potuto abbracciare la Legge mistica» (Ibidem).

Adesso è l'ultimo istante
«Ora vorrei chiarire - continua Ikeda nella sesta lezione - la relazione che intercorre fra lo spirito che adesso è l'ultimo istante e una mente corretta e salda nel momento della morte, e cosa ciò significhi.
Innanzitutto, vivere con lo spirito che adesso è l'ultimo istante significa vivere ogni momento e ogni giorno con pienezza e senza rimpianto [...]. Coloro che si impegnano nella fede con questo spirito sviluppano caratteristiche come la saggezza e la capacità di comprendere profondamente la vita, qualità che infondono in loro fiducia e determinazione e sono alimento di vibrante speranza e instancabile azione.
Avere una mente corretta e salda nel momento della morte è la naturale conseguenza del nostro serio impegno profuso nella fede giorno dopo giorno, mese dopo mese, anno dopo anno, animati dallo spirito che adesso è l'ultimo istante di vita. Così facendo possiamo forgiare e lucidare la nostra vita ed elevare il nostro stato mentale, siamo capaci di sentire completa fiducia e soddisfazione per come abbiamo vissuto di modo che, al sopraggiungere della morte, possiamo dirigerci verso il Picco dell'Aquila, come afferma il Daishonin, in pace e senza rimpianti, avendo recitato Nam-myoho-renge-kyo con serenità lungo tutto l'arco della nostra vita. Questa magnifica condizione vitale equivale ad avere una mente corretta e salda nel momento della morte. [...]
Una vita di valore condotta basandosi sulla profonda consapevolezza che adesso è l'ultimo istante rende certo che moriremo bene grazie a una mente salda e corretta nel momento finale della morte. Il bilancio conclusivo di una vita di valore, che si contraddistingue grazie a una fede salda e corretta, diventa il punto di partenza di una nuova vita di valore nella prossima esistenza».

Per sconfiggere il demone della morte
Dall'espressione del Sutra del Loto «esse saranno accolte dalle mani di mille Budda» (SDL, 28) si capisce che le persone che hanno una mente salda e corretta al momento della morte saranno accolte da innumerevoli Budda, bodhisattva e dèi celesti, le funzioni protettive dell'universo. Tuttavia dobbiamo tenere sempre a mente che questo si può realizzare soltanto tramite i nostri sforzi nella fede per combattere l'oscurità e realizzare il bene. La potente forza vitale della Buddità fluisce nelle vite di coloro che possiedono un tale spirito combattivo. «Avere una mente corretta e salda nel momento della morte - continua Ikeda - significa anche superare l'impedimento della morte. [...] L'essenza della pratica basata sullo spirito che adesso è l'ultimo istante consiste nel non farsi ingannare o spaventare dalle macchinazioni delle funzioni demoniache e per tale ragione occorre raccogliere la fede, la saggezza, il coraggio e la forza vitale per affrontarle.
Chi ha combattuto e ha trionfato completamente sulle funzioni demoniache è un Budda. Detto in altro modo, è un Budda colui che ha sconfitto il più terribile dei quattro demoni, il Demone del sesto cielo, e l'impedimento della morte, e ha ottenuto uno stato di "immortalità" (basato sull'Illuminazione all'eternità della vita)» (Ibidem).
Il Demone del sesto cielo è quello che cerca di far emergere nel credente le illusioni e i desideri e di impedire la sua pratica buddista; quando non ci riesce utilizza le autorità per ostacolarlo direttamente. Nichiren dice che la vera natura del Demone del sesto cielo è l'oscurità innata della vita, che può essere sconfitta solo attraverso la fede, una fede da cui nascono la saggezza per riconoscere i demoni e il coraggio per non indietreggiare davanti a loro.
Anche l'impedimento della morte è veramente potente: cerca di togliere la vita al credente, oppure di farlo dubitare della Legge attraverso la sofferenza per la morte di altri credenti.
Al momento della morte si affronta la lotta più grande, la battaglia contro la paura che genera dubbi e incertezze. Durante la persecuzione di Tatsunokuchi Shijo Kingo fu accanto al Daishonin deciso a proteggerlo fino all'ultimo istante, ma al momento dell'esecuzione scoppiò in lacrime, impaurito dalla morte imminente del suo maestro, e sembrò indietreggiare di fronte alla potenza di questo attacco dei demoni.
«Il Daishonin rispose immediatamente con un potente ruggito di leone: "Non capisci? Non c'è gioia più grande!" (WND, 1, 767). Queste parole sono la perfetta espressione di una mente corretta e salda di fronte alla morte imminente, condensano l'essenza suprema della vita e della morte del Budda. Il Daishonin lottò a testa alta e a viso aperto contro le insidie delle forze demoniache che lo assalirono, trionfando sull'impedimento della morte e sul Demone del sesto cielo. Il mondo di Buddità si stabilizza nelle vite di coloro che combattono con questo spirito» (Ibidem).
Grazie alla sua immensa forza vitale Nichiren sconfisse sia il Demone del sesto cielo sia l'impedimento della morte, dimostrando così che il comune mortale può ottenere la Buddità. Il Gohonzon ne è la prova, per così dire il "certificato di garanzia".

La lotta quotidiana e l'esempio del maestro
Come possiamo riuscire anche noi ad avere questa mente salda e corretta al momento della morte? Tutto sta nell'allenamento quotidiano, altrimenti è impossibile. «Il Daishonin esortava così i suoi discepoli che stavano combattendo in mezzo alle persecuzioni: "Rafforzate la vostra fede giorno dopo giorno e mese dopo mese. Se vi rilassate anche solo un po' i demoni prenderanno il sopravvento" (WND, 1, 997). Rafforzare la fede giorno dopo giorno, mese dopo mese, corrisponde ad avere una fede basata sullo spirito che adesso è l'ultimo istante della propria vita. Questo tipo di fede ci consente di difenderci dalle funzioni demoniache e sconfiggerle. L'atteggiamento opposto è "indebolire la propria determinazione" e "temere le funzioni demoniache"» (Ibidem).
«Per sessanta anni - conclude Ikeda - mi sono impegnato incessantemente per kosen-rufu decidendo di vivere ogni momento come se fosse "l'ultimo istante della mia vita". Quando ero giovane avevo una salute cagionevole e rischiavo di morire in qualunque momento. Per questa ragione ho lottato per sostenere e proteggere il presidente Toda con la rigorosa determinazione che ogni attimo fosse il mio ultimo istante. Mi sono alzato e ho combattuto da solo contro l'attacco sferrato al mio maestro dagli ostacoli e dalle funzioni demoniache. Successivamente, basandomi sulla convinzione che diffondere la visione buddista dell'eternità della vita è indispensabile per lo scopo della pace mondiale, ho raccolto tutto il coraggio che avevo e ho fatto appello alle mie risorse intellettuali assumendomi il compito di creare la pace in tutto il mondo. Poiché noi della SGI ci siamo impegnati nella fede basandoci sullo spirito che adesso è l'ultimo istante, dalle nostre vite è sgorgata copiosa la forza vitale originaria del tempo senza inizio» (Ibidem).

Come Bodhisattva della Terra
Per concludere, si può affermare che il ciclo di nascita e morte nello stato di Buddità si può concretizzare vivendo la via del Bodhisattva della Terra.
«Per questo - scrive Nichiren Daishonin - ovunque dimoriamo praticando l'unico veicolo, quel luogo sarà la capitale della Luce eternamente tranquilla. E, senza dover muovere un passo, i nostri discepoli e sostenitori laici possono vedere il Picco dell'Aquila in India e, giorno e notte, andare e venire dalla Terra della Luce eternamente tranquilla che esiste sin dall'inizio dei tempi» (Risposta a Sairen-bo, SND, 9, 163).
I Bodhisattva della Terra vivono nella realtà per mantenere il voto espresso sul Picco dell'Aquila di realizzare kosen-rufu: conseguire la Buddità e aiutare gli altri a fare lo stesso. I Bodhisattva della Terra siamo proprio noi: quando emergiamo sulla terra di questo mondo di saha e lottiamo per realizzare quel voto, il nostro cuore sta nella Pura terra del Picco dell'Aquila, nello stato di Buddità, e il nostro corpo si riempie del potere del Budda, sebbene continuiamo a lottare nella realtà dei nove mondi. Questa è l'espressione concreta della Legge mistica e del principio del mutuo possesso dei dieci mondi.
Quando recitiamo il Daimoku di Nam-myoho-renge-kyo con la profonda convinzione che siamo noi la vera entità della Legge mistica che è l'origine dell'universo, possiamo manifestare la grande forza vitale che deriva dalla saggezza e dalla compassione della Buddità e sconfiggendo avversità e ostacoli possiamo costruire uno stato di assoluta felicità che non può essere distrutto da niente e da nessuno.
Chi vive in questo modo, al momento della morte riesce a mantenere la ferma convinzione di essere la manifestazione della Legge mistica, non viene ingannato o illuso da teorie come quelle dell'annientamento o della permanenza e realizza così uno stato vitale di grande tranquillità e serenità. Conseguire questa condizione vitale è il massimo obiettivo della vita.
Chi completa l'esistenza presente con la mente corretta e salda al momento della morte condensa nella mente le azioni compassionevoli di tutto l'universo e promette già di lottare nell'esistenza prossima per realizzare il grande ideale di kosen-rufu, la propria felicità e quella altrui. Il momento della morte diventa allora un grande punto di partenza pieno di speranze verso la nuova vita.
Vivere la via del Bodhisattva della Terra non è altro che vivere il ciclo di vita e morte nello stato vitale di Buddità.

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L'ultimo istante

Cosa succede quando muore una persona che non pratica il Buddismo? E cosa succede a chi, pur senza praticare, ha dedicato la propria vita agli altri, come Gandhi e altri personaggi di grande levatura morale? 

Chi ha raggiunto il momento della morte nel regno del Budda si fonde con l'universo nel mondo di Budda. Lo stesso avviene per le persone dei nove mondi: non vanno in un luogo specifico ma quando muoiono si fondono con l'universo in accordo con la loro condizione vitale, con la loro tendenza. In molti Gosho è descritta ad esempio la condizione vitale di incessante sofferenza dell'inferno Avichi o quella del mondo di Avidità. Tuttavia Nichiren dice che per i defunti che si trovano in questi stati il nostro Daimoku è come un raggio di luce. Quindi possiamo sostenerli attraverso le nostre preghiere. Questo è il senso delle cerimonie funebri e del Daimoku per i defunti.
Le persone che praticano la via del Budda attraversano la ripetizione del ciclo di nascita e morte con uno stato vitale di base che è quello del Budda, vasto come l'universo. Come si può descrivere il mondo del Budda? È una condizione vitale che coincide con la Legge mistica, in cui proviamo libertà, ci sentiamo esattamente come vorremmo. È la vita e la morte della Legge mistica che ci permette di percepirci come originariamente siamo.
L'oscurità innata ci impedisce di sentire questa condizione. Questa oscurità si manifesta come attaccamento al sé, non consentendoci di essere come siamo originariamente. Rompere questa oscurità, questo attaccamento al sé, equivale a entrare nel mondo del Budda, e ciò è possibile attraverso la fede. La fede è il mezzo per dissipare l'oscurità fondamentale.
Anche per chi non pratica il Buddismo è possibile superare l'attaccamento al sé, specialmente nel caso di persone che davvero si dedicano al bene degli altri senza risparmiarsi. Però nell'epoca di Mappo le influenze negative che portano a sviluppare attaccamenti sono fortissime, e quindi è molto difficile perseverare nella lotta contro il proprio egoismo e nella dedizione agli altri fino alla fine della vita, dissipando così in modo definitivo l'oscurità fondamentale innata.
Chi invece crede nel Buddismo di Nichiren Daishonin ha tutti gli strumenti per disperdere l'oscurità fondamentale, come dimostrano gli esempi contenuti nel Gosho e nella vita dei tre presidenti Makiguchi, Toda e Ikeda. Nonostante ciò anche gli stessi membri della Soka Gakkai, se non sviluppano lo spirito combattivo che costituisce l'essenza del Buddismo di Nichiren, non possono realizzare la condizione di vita e morte nel mondo di Buddità. La fede, l'atto di credere nella Legge mistica lottando contro l'oscurità innata, è tanto importante quanto recitare Daimoku. Inoltre aiutare gli altri a fare la stessa cosa è un'azione fondamentale. Dovremmo sempre chiederci come possiamo combattere in modo efficace la nostra oscurità. Kosen-rufu, in sostanza, è una lotta contro le forze demoniache che servono a stimolare la nostra fede interiore. Dobbiamo inserirci nel flusso di chi combatte vigorosamente queste funzioni negative e la Soka Gakkai è il luogo migliore in cui trovare questo terreno fertile.

Se una persona muore in un incidente o per assassinio, oppure ha una condizione vitale bassa al momento della morte, come possiamo aiutarla? Può il nostro Daimoku porre buone cause per la sua prossima esistenza?

Fondamentale è il cuore, lo stato vitale della persona che muore, non le circostanze oggettive della morte. È importante avere una fede forte e una condizione vitale stabile, questo determina la felicità. Nel Daibyakurenge di agosto Ikeda ha scritto: «Ci sono persone che muoiono giovani a causa di incidenti, ma non ci si deve preoccupare di ciò, la cosa più importante è il cuore che possiedono. Nel Sutra del Nirvana si legge: "Un elefante impazzito può distruggere il vostro corpo, ma non la vostra mente" (SND, 6, 202)».
Questi tipi di morte a noi appaiono più dolorosi perché diversi dalla morte naturale, e spesso lasciano una grande sofferenza nelle persone vicine al defunto, che hanno bisogno di tutto il nostro sostegno. Ma per chi muore l'unica cosa che conta è la sua condizione vitale.
Per quanto riguarda invece l'atteggiamento rispetto alle persone che muoiono con una condizione vitale di sofferenza, possiamo sostenerle con il potere infinito del Daimoku e della Legge mistica attraverso le nostre preghiere sincere.

Il presidente Ikeda afferma che con una mente salda e corretta nel momento della morte non si prova il minimo turbamento. In questo momento però sento che ho paura e manco di fiducia: come posso essere certa che avrò una mente corretta in quel cruciale ultimo istante?

Il mezzo per avere la mente ferma e corretta al momento della morte non è altro che il Daimoku. Quando accade qualcosa nella nostra vita e recitiamo Daimoku per affrontarla, questo è l'unico modo per "sentire la Buddità" e allenare la nostra vita ad avere lo stesso atteggiamento al momento della morte.
Nichiren Daishonin fu il primo a dimostrarlo.
Un altro strumento per avere la "mente ferma e corretta al momento della morte" è lo studio del Gosho e del Buddismo, e possiamo anche imparare molto dall'atteggiamento dei compagni di fede anziani, che hanno praticato per molti anni.
Josei Toda diceva che alla fin fine noi pratichiamo "per il momento della morte".
Perciò dobbiamo determinare adesso, nella nostra preghiera, di "avere una mente salda e corretta al momento della morte".

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Domande

Questo speciale è ispirato alla conferenza sul tema della vita e della morte tenuta da Katsuji Saito, responsabile del Dipartimento di studio della Sgi, durante il Corso europeo dell’agosto 2007

Vita e morte

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