1975, FONDAZIONE DELLA SOKA GAKKAI INTERNAZIONALE. ISOLA DI GUAM

«Nel gennaio del 1975, quando ci riunimmo da tutto il mondo per fondare la Sgi, feci quest’appello ai presenti: piuttosto che concentrarvi a far fiorire le vostre vite, dedicatevi a piantare i semi della pace in tutto il mondo. E giurai di farlo io per primo. La mia convinzione resta ferma anche oggi».

«La pace non è un concetto astratto e lontano. La pace dipende dagli sforzi di ognuno e ognuna di noi di piantare e coltivare i semi della pace nella realtà della vita quotidiana, nella profondità del nostro essere, per tutta la vita. Sono certo che questa sia la strada più sicura verso una pace duratura». [Daisaku Ikeda, Proposta di pace 2004, BS, 103].

Semi di pace

Una iniziativa di respiro planetario, che ha ambizioni davvero sconfinate ma fa leva sulla coscienza delle singole persone confidando nella loro decisione e passione. La Soka Gakkai Internazionale è nata così, su un’isola dell’Oceano Pacifico teatro di aspri combattimenti durante la seconda guerra mondiale, il 26 gennaio 1975, in occasione della prima Conferenza mondiale per la pace. 
«Ho un vivido ricordo dei volti di quegli indimenticabili membri di Guam e di altre zone degli Stati Uniti che, in quella storica giornata, si unirono a me per accogliere i pionieri del nostro movimento provenienti da cinquantuno paesi e territori. Tutti avevano lavorato instancabilmente per preparare l’evento e garantirne il successo. […] Nonostante fossi giunto a Guam con il mal di gola, dopo un lungo viaggio attraverso gli Stati Uniti in pieno inverno, insieme a mia moglie incoraggiai con tutto il cuore i membri della zona e i rappresentanti di ogni paese che si erano riuniti da tutto il mondo», scriveva Daisaku Ikeda esattamente un anno fa (NR 796, Seikyo Shimbun, 26 gennaio 2023). Dall’Europa intervennero i rappresentanti di Gran Bretagna, Germania (occidentale), Italia, Olanda, Belgio, Spagna, Danimarca, Svezia, Svizzera, Austria, Grecia, Francia e Norvegia. Per l’Italia parteciparono Mitsuhiro Kaneda e Amalia Miglionico. 
Quel giorno fu pronunciata una Dichiarazione firmata da tutti i partecipanti: «Poiché per una pace stabile è necessaria la felicità degli esseri umani, ci impegneremo al massimo per contribuire alla gioia di vivere, al fine di assicurare la sopravvivenza dell’umanità. E faremo della compassione tra le persone di tutto il mondo il credo della nostra epoca» (NR, 320, 22). 
Fu una pietra miliare nel cammino di kosen-rufu mondiale, la direzione che unisce i destini di maestro e discepolo: «In quella conferenza inaugurale – ricorda Daisaku Ikeda – quando decisi di scrivere “il mondo” accanto alla mia firma nella colonna “nazionalità”, stavo esprimendo il giuramento di realizzare il sogno del mio maestro. In quel momento la visione del presidente Toda di una cittadinanza globale e la sua determinazione a eliminare l’infelicità dalla Terra mi erano perfettamente chiare» (BS, 170, 45).
E proprio in quella data, il 26 gennaio, dal 1983 il presidente Ikeda ha presentato all'Onu una Proposta di pace con lungimiranti riflessioni sul modo di risolvere tensioni, conflitti e guerre, e soluzioni concrete per una vita comune di valore (vedi tutte le proposte di pace su buddismoesocieta.org). 
Gli ideali che motivano le attività della Sgi sono racchiusi nella Carta della Soka Gakkai, alla quale si rifanno le organizzazioni autonome, costituitesi nelle varie nazioni con diverse strutture a seconda delle esigenze e delle culture, tutte aderenti alla Soka Gakkai Internazionale.
(Marina Marrazzi)

Ripartire da Guam

Preambolo

Noi, le organizzazioni e i fedeli della Soka Gakkai nel mondo, condividiamo lo scopo e la missione di promuovere la pace, la cultura e l’educazione che si basano sull’insegnamento buddista del rispetto della dignità della vita. Di fronte a molteplici crisi tra loro interconnesse, la sopravvivenza e il benessere dell’intera umanità non possono che essere il risultato di un’azione condivisa e di mutua cooperazione fondata sulla consapevolezza dei nostri intimi legami con tutte le forme di vita. È necessario il contributo di tutti e nessuno deve essere lasciato indietro.
Noi crediamo che gli insegnamenti del Buddismo di Nichiren Daishonin offrano a ogni singola persona un mezzo per manifestare nella realtà della vita quotidiana le capacità illimitate di saggezza, coraggio e compassione che tutti possediamo. Per questo motivo ci adoperiamo per far crescere individui che abbiano il potere di affrontare le sfide più ardue e si impegnino a creare un mondo più equo e sostenibile da lasciare alle generazioni future.
Noi, quali singole organizzazioni della Soka Gakkai, tenendo alta la bandiera della cittadinanza globale, lo spirito di tolleranza attiva e il rispetto della dignità umana, e determinate ad affrontare le minacce che il genere umano deve sostenere sulla base di un impegno incrollabile per la nonviolenza e per una cultura di pace, adottiamo questa Carta, dichiarando le seguenti finalità e princìpi.

Finalità e princìpi

1. La Soka Gakkai contribuisce alla pace, alla cultura e all’educazione basandosi sull’assoluto rispetto del Buddismo per la dignità della vita.
2. La Soka Gakkai promuove la diffusione del Buddismo di Nichiren Daishonin attraverso il dialogo e lo scambio tra esseri umani, contribuendo così alla realizzazione della felicità e del benessere di tutta l'umanità.
3. La Soka Gakkai rispetta e promuove la libertà di pensiero, di coscienza e di religione.
4. La Soka Gakkai, in accordo con lo spirito di tolleranza proprio del Buddismo, rispetta le altre religioni e tradizioni filosofiche, dialoga e collabora con esse per la soluzione delle sfide fondamentali che l’umanità deve affrontare.
5. La Soka Gakkai rispetta la cultura, i costumi locali e l’autonomia di ogni organizzazione. Ciascuna organizzazione sviluppa le sue attività in accordo con le leggi e le regole presenti in quel paese o territorio e incoraggia i suoi fedeli a contribuire alla società come cittadini responsabili.
6. La Soka Gakkai si impegna per la pace e per un mondo libero dalle armi nucleari, e promuove uno sviluppo equo e sostenibile.
7. La Soka Gakkai salvaguarda e promuove i diritti umani. Non discrimina alcun individuo e si oppone a ogni forma di discriminazione. Essa contribuisce, inoltre, al raggiungimento dell’uguaglianza di genere e promuove l’empowerment delle donne.
8. La Soka Gakkai rispetta le diversità culturali e si fa promotrice di scambi culturali, per contribuire alla mutua comprensione e alla cooperazione tra i popoli del mondo.
9. La Soka Gakkai si impegna nella costruzione di un mondo sostenibile per le future generazioni, contribuendo ad affrontare la crisi climatica e la protezione e la cura dell’ecosistema del pianeta Terra.
10. La Soka Gakkai promuove l’istruzione, lo studio e la formazione scolastica per consentire a tutte le persone di coltivare la propria personalità e godere di una vita contributiva, appagante e felice.

[*Dal 18 novembre 2021 aggiorna e sostituisce la Carta della Sgi.]

Carta della Soka Gakkai *

C'è una scena nel Sutra del Loto particolarmente evocativa della meraviglia suscitata da chi abbraccia e diffonde l'insegnamento del Budda: «Come la luce del sole e della luna può fugare oscurità e tenebre, così questa persona, mentre passa nel mondo, può liberare gli esseri viventi dall’oscurità» (SDLPE, 377). 
Un'immagine che parla anche ai nostri giorni, come mostra un video girato a Luleå, in Svezia, che vuole incoraggiare i residenti ad aprirsi e a creare legami. La telecamera inquadra una ragazza che cammina per le strade della città; i passanti che incontra hanno volti scuri, tristi, ma quando lei dice loro "buongiorno" si lasciano andare e sorridono. 

Cominciamo da un saluto
«Salutiamo le persone con gioia», ci invita costantemente il nostro maestro, «e rivolgiamoci a loro in modo amichevole» (BS, 233).
In Giappone esistono gruppi della Soka Gakkai formati da persone che abitano nello stesso palazzo o comprensorio. Sempre più spesso, negli ultimi tempi, il presidente Ikeda ne ha sottolineato la funzione preziosa, forse preoccupato dal crescente isolamento tra le persone aggravato dalla recente pandemia. Ne loda la sincerità con cui promuovono l’amicizia e la fiducia, la saggezza e il garbo con cui aiutano i concittadini, la tenacia con cui si impegnano all’interno delle associazioni di quartiere e contribuiscono alla comunità. «Ecco perché – scrive – i loro complessi residenziali sono diventati splendenti “repubbliche di armonia umana”» (NR, 834).
Ikeda dà indicazioni precise, invita a mettersi in gioco; con la consapevolezza che il luogo in cui si vive è l’ambito primario in cui impegnarsi concretamente per migliorare la società. Evidenziando come l’Illuminazione personale, per la quale preghiamo tutti i giorni davanti al Gohonzon, non rimane circoscritta alla nostra sfera individuale ma può dare luce a tutto ciò che ci circonda. 
Riferendosi all’epoca della fondazione della Soka Gakkai Internazionale nel 1975, Ikeda scrive: «Determinai nel mio cuore di valorizzare più che mai gli scambi da persona a persona, che sono la più piccola unità di interazione sociale. Percepii inoltre quanto fosse essenziale ampliare la nostra rete di amicizia e contribuire positivamente alla società a partire dalla nostra comunità locale, il luogo a noi più vicino dove compiere la nostra missione» (NR, 796).

Darsi valore per creare valore
Credere nella propria natura di Budda, nel potere del Daimoku, nella forza della vita, significa darsi valore, sentirsi capaci di incidere nella realtà individuale e collettiva. «Il coraggio e la speranza che sorgono da questa intima trasformazione – scrive Ikeda nella Proposta di pace 2014 – devono mettere le persone in grado di affrontare e superare persino le realtà più insolubili, in un processo di creazione di valore che alla fine trasforma la società intera» (BS, 164).
In questo senso «il pieno significato della rivoluzione umana non si realizza se essa rimane confinata a un cambiamento nella vita interiore», ma la vera sfida è realizzare «quel processo con cui ogni persona, nel proprio ruolo e con le proprie capacità, si impegna a creare quel valore che sta solo a lei realizzare per apportare beneficio ai concittadini, alla società tutta e al futuro» (Ibidem).
Possiamo collegare il concetto di rivoluzione umana direttamente al modo in cui il Daishonin intendeva la parola “paese”, da lui quasi sempre espressa con un carattere in cui è centrale l’elemento che indica le persone. «In questo modo Nichiren – commenta Ikeda – promuove l’idea che ogni individuo possiede intrinsecamente un grande potere e un immenso potenziale, e può diventare l’iniziatore e il protagonista di una trasformazione sociale» (D. Ikeda, BS, 239).

Tutta la saggezza del mondo
Il Daishonin afferma che ogni tipo di saggezza che pone fine ai “tormenti della popolazione” contiene in sé la saggezza del Buddismo. Perciò, sottolinea Ikeda, «la nostra sfida consiste nell’assumerci la responsabilità sia della missione religiosa di diffondere la Legge mistica, sia della missione umana e sociale della pace nel mondo» (NR, 796).
Quasi sempre parliamo della prima di queste sfide tralasciando la seconda, delegandola a posizioni ufficiali della nostra organizzazione o a persone particolarmente impegnate nella società. Dimenticandoci che la Soka Gakkai è fatta dai suoi membri, che siamo noi, oggi più che mai, le persone responsabili della «missione umana e sociale della pace nel mondo», artefici «della creazione di una società ideale di armonia umana e cooperazione» (BS, 233). 
Nel Gosho Il kalpa della diminuzione Nichiren parla di un uomo saggio e di un governante saggio che agiscono insieme per il bene delle persone. «Oggi – commenta Ikeda – nella nostra società democratica il “governante saggio” corrisponde a una cittadinanza saggia e risvegliata. […] Più il popolo diventa saggio e forte, più gli ideali della sacralità della vita e dell’assoluta importanza della pace saranno ampiamente accettati e adottati nella società. E questo condurrà sempre più persone a rifiutare le idee egocentriche che danno origine alla discriminazione e alla guerra infliggendo sofferenze all’umanità» (BS, 148).
Sottolineando che in ogni sforzo per contribuire al benessere comune si esprime la saggezza buddista, il Daishonin scrive: «Saggio non è chi pratica il Buddismo prescindendo dalle questioni mondane, ma chi comprende perfettamente i princìpi che governano il mondo» (RSND, 1, 995). Una persona veramente saggia, secondo Nichiren, pensa, parla e agisce per contribuire al benessere della comunità in base alla capacità di comprensione che acquisisce attraverso la pratica buddista. 
Facendo nostro questo spirito, che richiede apertura mentale, rispetto per gli altri, disposizione a riflettere su di sé, all’ascolto e al dialogo, siamo in grado di collaborare con persone che si basano su visioni anche molto diverse dalle nostre, apprezzandole e traendone ispirazione reciproca. 
Noi che portiamo avanti l’insegnamento di Nichiren Daishonin e di Daisaku Ikeda abbiamo la missione individuale e la responsabilità sociale di cercare prospettive nuove, valorizzare le diversità, promuovere la complessità invece della semplificazione. 
Di essere cioè “nuclei attrattivi di pace”, mettendo insieme l’intelligenza, la saggezza, il coraggio e la passione di tante e tante persone intorno a noi.
(Maria Lucia De Luca)

Questa persona mentre passa nel mondo

Esperienze

Artista vulcanico, Maurizio Braucci non è solo un prolifico e pluripremiato scrittore di racconti, romanzi, film, sceneggiature. Per lui il percorso artistico è intimamente legato a un impegno sociale, un metodo per creare e trasformare immaginari che servono a dare senso e direzione alla vita. Coerentemente con il pensiero buddista, abbracciato da tempo, che mette al centro l’azione per gli altri e il valore dell’individuo.

Sei un artista poliedrico e intrecci spesso il tuo lavoro con un percorso di impegno sociale. Da dove è nato questo approccio? 
Forse dal fatto che vengo da una famiglia popolare napoletana, da un territorio sempre un po’ complesso, come tutto il Sud Italia. E forse dal fatto che vedere cose negative ti fa sentire un po’ ferito, ma ti fa anche nascere il desiderio di cambiarle. In tanti anni di pratica buddista (dal 1996) ho imparato a usare il Daimoku prima di tutto.
Ho una storia un po’ anarchica. Ho avuto due università, oltre a quella ufficiale: un centro sociale occupato nel 1995 che si chiamava Diego Armando Maradona, grazie al quale abbiamo restituito alla città uno spazio come il parco Ventaglieri con tante attività pedagogiche soprattutto per i ragazzini; e poi l'insegnamento di Goffredo Fofi, uomo di grande profondità, un maestro per me, che mi ha fornito libri e un approccio da seguire. Nella mia spiritualità la mia guida è Daisaku Ikeda e tutte le persone che poi mi hanno trasmesso il Buddismo attraverso di lui.

Quando hai deciso di diventare buddista?
Mi ha parlato del Buddismo la mia compagna di allora. Ricordo che mentre recitavo uno dei primi Gongyo mi si sono rotti gli occhiali. Invece di dubitare della pratica ho capito che li avevo rotti semplicemente perché li avevo sistemati male e che bisogna sedersi davanti al Gohonzon in una maniera profonda e protetta. Mi è sembrato un messaggio: se vuoi stare qua lo devi fare nel miglior modo possibile. Considero il Gohonzon un oggetto degno di rispetto con cui a volte intrattengo un dialogo intimo; ho imparato a chiamarlo signor Gohonzon e, da buon napoletano, gli do del “voi”.

Dopo la preghiera c’è la vita, ci sono le relazioni, le azioni. Quale esperienza ti ha fatto sentire più accanto alle persone?
Nel cinema soprattutto, dove ho avuto tanti maestri, ogni incontro è stata sempre una grande emozione. Ma niente mi emoziona di più del lavoro che realizzo insieme ai ragazzini con il teatro, nel progetto "Arrevuoto" a Napoli o in altre attività anche più informali di “solidarietà diffusa”, come le chiama un amico. È un’emozione che nasce dal rapporto di fratellanza che si crea quando senti che stai facendo qualcosa di utile per qualcuno che veramente ne trae beneficio per la propria vita. E anche io ne ho tratto sempre un grande beneficio: nella scrittura, in particolare quella per il cinema che è piuttosto complessa, lavorare con i ragazzi è stata una grande scuola che mi ha insegnato a improvvisare e ad affrontare le situazioni. Voglio dire che non è mai un rapporto unilaterale, come ci insegna il Sutra del Loto, è un rapporto in cui si prende e si dà. Riuscire a cambiare un po’ le cose mi ha reso sempre molto orgoglioso e nel cambiarle ho cambiato anche me stesso.

Nel film La paranza dei bambini c’è uno sguardo puro, senza giudizio, sui giovanissimi protagonisti, e c’è un accogliere la loro esperienza per quello che è. Lo stesso approccio si ritrova anche nei corti realizzati con i ragazzi del carcere di Airola. Da dove ti viene questo atteggiamento così rispettoso?
Anni fa ho scritto un libro, Per sé e per gli altri, in cui all’inizio c’è un verso di Osip Mandel’štam: «Non fare paragoni: chi vive è incomparabile».
Penso che il rispetto nasca dal fatto che in ogni esperienza di vita una persona sta sperimentando l’esistenza, in qualunque modo, anche negativo. Forse quel tipo di sguardo nasce dal fatto che questi ragazzi sono un po’ come quelli con cui sono cresciuto, quindi ne capisco la dimensione umana e psicologica. Chiaramente in certi casi sono terribili e assolutamente in preda a dinamiche oscure. La paranza dei bambini racconta una storia veramente avvenuta, ma mai riconosciuta. Perché Napoli è una città che a volte non vuole sentire parlare dei propri problemi, forse perché un po’ è stanca o un po’ li rimuove: il film è una storia profetica, come poi ha dimostrato la cronaca. In realtà comprendere anche la parte oscura della vita è importante, il Buddismo ci insegna che Buddità e oscurità, Inferno e Cielo, sono dentro di noi.
Inoltre il regista del film, Claudio Giovannesi, che non è buddista, ha uno sguardo molto pulito sulle cose e ci siamo ritrovati in perfetta sintonia.

Agire per e con i ragazzi, per e con Napoli, è per te una necessità?
Un po’ io mi innesto nella lunga tradizione di una Napoli piena di attività pedagogiche ed educative anche avanzate, che purtroppo non sempre riescono ad avere la visibilità e le risorse necessarie. Conosco tanti amici che sono bravissimi educatori, dei bodhisattva anche se non dichiaratamente buddisti, che mi hanno insegnato tecniche per intervenire, necessarie anche più delle sole buone intenzioni.
Se poi ci chiediamo: perché i giapponesi sono i più bravi nel costruire edifici antisismici? La risposta è perché hanno i terremoti. Dove ci sono delle problematiche storiche si sviluppano anche capacità precise. L’Italia è un paese con grossi problemi di mafia, ma è anche quello che ha le leggi più all’avanguardia sull’antimafia. Ciò accade perché avere un problema del genere o ti schiaccia e ti porta a schierarti da quella parte, a diventare nichilista e pensare «ma allora faccio pure io così», oppure per necessità ad aguzzare l’ingegno. La condizione giovanile di questa città, o meglio di tutto il Sud, è estremamente difficile. L’Europa da anni ci chiede di fare qualcosa di concreto per il Mezzogiorno.

L’artista può contribuire a cambiare le cose. Ma chi è, chi deve essere l’artista?
L’artista dev’essere libero perché l’arte, intesa come ricerca e innovazione, ha bisogno di libertà per scoprire cose nuove. E la ricerca a volte va in una direzione diversa da quella immaginata. C’è una parola, “serendipità”, che significa che mentre fai un esperimento scientifico cercando una soluzione, per esempio per l’acne, scopri invece una cura per i denti.
Il modello di artista ottocentesco secondo me è superato, grazie anche al contributo forte del femminile. Io credo che si andrà sempre di più verso una dinamica collettiva in cui il singolo avrà un ruolo importante ma sarà allo stesso tempo affiancato agli altri. Nel cinema questo è più evidente: si dice da sempre che sia un’arte collettiva.
Una volta il mio agente mi disse che non si capiva se fossi uno scrittore o un operatore sociale (ho anche il titolo di operatore sociale onorario della Regione Campania) e io risposi che nel passato questo forse poteva essere un limite, ma nella prospettiva futura può essere interessante che uno scrittore sia anche un operatore sociale.
In fondo, secondo una definizione ampia di cultura, l’artista è un operatore sociale perché parla della società e in qualche modo interviene sulla società. Interviene sul piano dell’immaginario, una cosa molto importante oggi, per esempio se pensiamo all’immaginario dei maschi che deve cambiare nella relazione con il femminile.
Ho realizzato, per anni, laboratori nel carcere minorile di Airola e ho sempre lavorato con i ragazzi sul ricostruire l’immaginario patriarcale maschilista che era alla base dei loro reati e quindi delle loro sofferenze. La ricostruzione dell’immaginario è un lavoro anche sociale e politico che ha bisogno di un artista.
Una frase di Daisaku Ikeda che mi ha accompagnato in questi anni è che se la Divisione artisti sta bene, anche la Soka Gakkai sta bene. Credo che questo valga anche in ambito sociale. Il problema è quando si producono delle cose nell’arte che non hanno come interesse l’emancipazione della società.

Tu hai detto che fare cultura è essere un po’ rompiscatole: "Arrevuoto", il nome del progetto teatrale con i ragazzi di Napoli, significa mettere tutto sottosopra perché la cultura deve creare un po’ di scompiglio, far riflettere ed essere anche solidale, non fine a se stessa.
Io e il mio amico e bravissimo regista Pietro Marcello abbiamo realizzato il film Martin Eden, dal romanzo di Jack London, che affronta proprio questo tema: la delusione che ha uno scrittore quando si accorge che la cultura non viene associata alla funzione di emancipazione della società e delle persone, ma diventa fine a se stessa, una sorta di nichilismo, di vanità, di narcisismo.
Io penso che l’artista debba fare i conti con il bisogno molto forte di controllo da parte dell’industria culturale. Mario Monicelli diceva una cosa molto importante: le limitazioni per l’artista, da quando Michelangelo dipingeva per il Papa, sono sempre state delle opportunità e delle sfide grazie alle quali trovare soluzioni impreviste, ma comunque di grande qualità.
Ho sempre in mente i discorsi di Ikeda sull’importanza di essere anticonformisti, di battersi, di parlare chiaramente quando si vede un’ingiustizia. Citando Ralph Waldo Emerson quando dice che dalla mancanza di fiducia in se stessi nasce il conformismo, Ikeda mi ha fatto capire che il bullo è un conformista.
L’artista deve avere fiducia in se stesso e avere chiara la sua funzione sociale, cioè che sta parlando al pubblico. A volte invece si finisce in due tipi conformismi estremi: da una parte un appiattimento, un’omologazione, dall’altra una sorte di continua ed estrema ribellione che in realtà è fine a se stessa. Quindi ci sono due rischi: uno esterno, il potere dell’industria culturale, e uno interno, l’ego, che ti fa credere che qualunque cosa tu pensi sia giusta e qualunque cosa fai sia un capolavoro.

Come vedi il tuo futuro, anche rispetto al tuo lavoro?
Direi che il futuro è costruito sui semi del passato piantati da persone che non ci sono più, per le quali il rapporto tra Buddismo e arte era molto stretto. Penso ai compagni di fede, a mio fratello, buddista e vulcanico inventore che si lanciava con il paracadute fino al suo ultimo giorno. Ad Alan Wurzburger, un musicista buddista con un fortissimo rapporto con Ikeda che gli ha salvato la vita. Per quanto mi riguarda, quando in un incontro pubblico ho parlato in maniera molto chiara e forte con le istituzioni, sfidandole nelle loro responsabilità, alcune persone insospettabili alla fine mi hanno ringraziato per le mie parole, come dei Bodhisattva della Terra che emergono inaspettatamente. Mi sono stupito e mi sono ricordato della storia del secondo arrivato, che ci dice che è importante chi si alza per primo, ma forse ancora più importante è il secondo che lo imita, perché incoraggia tutti gli altri a fare lo stesso.
Penso a Ikeda, a Nichiren, a Nikko. In fondo noi siamo sempre dei secondi che si alzano, il discepolo che continua l’opera del maestro e nello stesso tempo fa sentire il maestro davvero un maestro.
Quello che desidero per me e per il mio futuro è approfondire sempre di più la pratica e la consapevolezza, accettando le sfide. Mi auguro maggiore autonomia, maggiore capacità di dare agli altri, non solo nel sociale ma anche nella relazione con la mia compagna e con la famiglia. E anche se non credo che i problemi nella mia vita finiranno, so che io diventerò sempre più forte.
[Ilaria Varriano]

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[box] Maurizio Braucci, scrittore e sceneggiatore, è nato nel 1966 a Napoli nel rione Montesanto. Esordisce nel 1999 con il romanzo Il mare guasto (edizioni e/o), storia di camorra ambientata a Napoli, al quale fanno seguito nel 2004 Una barca di uomini perfetti (e/o), nel 2010 Per sé e per gli altri (Mondadori) e recentissimo Qualcosa di simile ai suoni del bosco (e/o, 2023). Molto attivo in ambito cinematografico, scrive la sua prima sceneggiatura nel 2005 per il documentario La baracca di Pietro Marcello. Orso d’argento nel 2019 al festival di Berlino per la migliore sceneggiatura con La paranza dei bambini di Claudio Giovannesi, ha vinto il David di Donatello sempre per la migliore sceneggiatura con Gomorra nel 2009, Anime nere nel 2015 e Martin Eden nel 2020. Da regista ha realizzato, tra gli altri, i corti Ragazzi da paura e Dura Lex, scritti dai detenuti del carcere minorile di Airola; ha scritto e diretto il documentario musicale Un milione di italiani (non sono italiani) che tratta della vita reale dei figli “italiani” di genitori stranieri. Promotore culturale, da anni opera nel sociale realizzando progetti con gli adolescenti e le fasce più deboli in luoghi marginali come carceri e centri sociali, tra i quali il Damm (Diego Armando Maradona Montesanto) di cui è stato tra i fondatori. È direttore artistico del progetto di teatro, cinema e pedagogia “Arrevuoto”, dedicato agli adolescenti. Collabora con Radio Tre, con la rivista Gli Asini, il mensile Lo Straniero e i quotidiani Il Mattino e La Repubblica. [/box]

Siamo tutti entità che stanno sperimentando

La missione sociale della Soka Gakkai: la pace non è un concetto astratto e lontano ma dipende dagli sforzi di ognuno e ognuna di noi di piantare e coltivare i semi della pace nella realtà della vita quotidiana, nella profondità del nostro essere, per tutta la vita.

Semi di pace

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