Si è soliti dire che nel Buddismo, fatta eccezione per il "precetto del diamante", cioè non smettere mai di praticare, non ci sono regole. E in effetti ognuno è assolutamente libero di praticarlo come crede. C'è anche chi lo fa come passatempo, come hobby o aggiungendo un tocco personale alla pratica o alla filosofia.
Ma è anche vero che il Buddismo fa promesse enormi. Assicura ai suoi praticanti una profonda rivoluzione interiore, garantisce eternità e felicità assoluta, promette l'Illuminazione, dichiara che il devoto del Sutra del Loto avrà risposta a ogni preghiera espressa. Nel Gosho è scritto: «[...] anche se il sole sorgesse ad ovest, non accadrà mai che la preghiera del devoto del Sutra del Loto rimanga senza risposta».
Ora, se uno non ha grosse pretese, può praticare un Buddismo "fai da te", ma se si vogliono ottenere i benefici che il Buddismo promette occorre sforzarsi di essere "devoti del Sutra del Loto", occorre praticare il Buddismo esattamente come insegna Nichiren. Se si vuole compiere una vera evoluzione interiore, che sicuramente proietterà i suoi effetti nell'ambiente circostante, è necessario seguire il cammino indicato da Nichiren senza fare scelte o selezioni. Non si può seguirlo solo in ciò che ci piace, o in ciò che ci fa comodo. Bisogna seguirlo con straordinaria serietà. Questo è anche l'unico modo per capire l'efficacia della via indicata dal Budda e quanto questa possa essere utile nella nostra vita, l'unico modo per valutare o "sperimentare".
Di indicazioni per percorrere questa strada senza perdersi Nichiren ne dà parecchie. Il Gosho, la raccolta dei suoi scritti, è come una mappa tracciata con pazienza e compassione per raggiungere l'Illuminazione. Il rapporto col maestro sarà la bussola per non perdere la diretta via. Ma le indicazioni che nel Gosho si possono ricavare, e che cercheremo in parte di sottolineare, non vanno prese come semplici regole da rispettare, perché in tal caso perderebbero la loro efficacia: occorre piuttosto munirsi di un forte e insaziabile spirito di ricerca e cercare di comprendere e far propria l'intenzione che le sottende, per arrivare a praticare e a vivere con la stessa mente del maestro, con il suo stesso cuore.

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Scegliere Nichiren

In prima persona

In prima persona

di Valeria Gasparrini

Camminavo in via dei Fori Imperiali a Roma con il mio non ancora marito, Antonio, buddista da dodici anni. Passeggiavamo e parlavamo di tante cose, anche della sua religione.
Io venivo da sei anni di psicananalisi, avevo fatto arti marziali, lettere all'università, un corso di affresco, diploma all'Istituto europeo del design, un corso di ceramica al tornio, di professione illustratrice, interessata al Taoismo, leggevo Gandhi, lavoravo il legno, imparavo a fare la carta. Giravo i mercatini del Lazio proponendo improponibili affreschi pret-à-porter, illustravo per la pubblicità ma mi sarebbe piaciuta l'editoria; non era comunque escluso che per campare avrei fatto l'istruttrice di nuoto. Ho provato a essere un'artista, ho virato verso l'artigianato; scolpivo, tiravo con l'arco, a volte andavo in canoa. Amici: vari e confusi come me.
A trentasei anni avevo deciso di scegliere con ponderazione la parte migliore delle varie filosofie che offre la vita, e di metterle insieme in una ricetta suprema.
Per una religione no grazie; c'era bisogno di fede.
Così, ero a posto.
Seguivo talmente tante traiettorie che non avrei potuto evitare di avanzare almeno di un passo, di tanto in tanto; mi fermavo raramente e con grande sforzo, e giravo, giravo in tondo, come un criceto nella ruota.
In via dei Fori Imperiali Antonio non ha insistito.
Poi è nata mia figlia, ho perso il poco lavoro che avevo, e mi sono ritrovata in giornate di pappe, passeggini e lamentele con le mamme al parco.
è stato a quel punto che ho sentito nella mia vita l'acuta mancanza di quel qualcosa chiamato fede. La fede che portava mio marito a praticare la sua religione con coerenza tutti i giorni, con lo stesso spirito, nello stesso modo. Ogni giorno iniziava, e ogni giorno finiva con lo stesso progetto e la stessa promessa.
Antonio aveva un solo centro; il resto girava intorno a questo perno. Quel centro aveva un solo nome: Nam-myoho-renge-kyo.
Ringrazio la mia sanissima invidia per questa sua dedizione, perché è allora che ho voluto trovare anch'io il coraggio di fare una scelta, di mettere alla prova una religione fino in fondo; scoprire com'era fatta la farina del mio sacco.
Rischiare, e assumermi la responsabilità del rischio; questo è stato l'inizio della mia pratica e della mia rivoluzione umana.
Ho cominciato sette anni fa, e a parte venti giorni di rabbia e confusione non ho più smesso.
è vero che i buddisti sono gente coraggiosa.

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È vero che i buddisti sono gente coraggiosa...

di Alessandra Fornasiero

«Se i praticanti del Sutra del Loto praticano in accordo con l'insegnamento del Budda, sicuramente, senza nessuna eccezione, conseguiranno la Buddità in questa vita» (GZ, 416). Questa è la promessa di Nichiren.

La fede è una battaglia contro la nostra debolezza interiore. E per vincere questa battaglia dobbiamo basarci completamente sulla Legge mistica. In questo non esistono mezze misure. Affidarsi al cento per cento al Gohonzon è molto diverso che affidarsi al 99,99 periodico. C'è in gioco un vero salto di dimensione. Ogni volta che ne facciamo esperienza torniamo a stupirci: in quell'infinitesimo 0,01 che ci mancava c'è la chiave della soluzione.
Non esiste via di mezzo. Possiamo girare intorno alla base della montagna quanto ci pare senza compiere alcuno sforzo per scalarla, senza trovare il coraggio di affrontare. Allora tergiversiamo. Cerchiamo altro - ma cos'altro si può volere dopo avere incontrato la "gemma di ichinen sanzen", la chiave della vita capace di aprire tutte le porte?
E, come l'uomo della parabola che non sa di avere un gioiello cucito nella veste, continuiamo a vivere poveramente, mendicando risposte e soluzioni ovunque salvo lì dove potremmo con certezza trovarle, ricorriamo a scappatoie e strategie diverse, cercando fuori di noi, altrove.
Apparentemente "prendiamo" tempo, in realtà lo perdiamo. Mentre la vita passa e la vetta, come ci spiega Nichiren - si allontana.

Il Gohonzon è il mandala perfettamente dotato di tutti i benefici. Poiché è la concretizzazione della Legge stessa della vita, non c'è fenomeno che non vi sia incluso, né sofferenza o problema di cui non contenga la soluzione. La saggezza del Buddismo abbraccia ogni fatto della vita. Nam-myoho-renge-kyo è la formula capace di attivare qualunque tipo di trasformazione.
Per questo è fondamentale creare un legame diretto con il Gohonzon. E recitare Daimoku sinceramente prima di cercare qualsiasi altra soluzione. Può sembrare una sottile differenza nell'ordine delle cose da fare, ma ha un'importanza decisiva. Utilizzare la strategia del Sutra del Loto prima di ogni altra è la strada che permette a una persona comune di ottenere l'Illuminazione (cfr. SND, 4, 193). Questo è il significato di «mettendo da parte onestamente gli espedienti» (SDL, 56) e «non accettando un solo verso degli altri sutra» (SDL, 100).
«La mente delle persone tende inevitabilmente alla confusione. - scrive Daisaku Ikeda - È essenziale prendere le distanze da questo modo di pensare confuso. "Onestamente" qui significa in maniera netta, come quando si taglia nel senso della lunghezza una canna di bambù e le due metà si separano senza sbavature» (MDG, 1, 253).

Contaminazioni... 

In Lettera ad Akimoto Nichiren Daishonin paragona la mente di una persona a un recipiente concavo nel quale l'acqua del Dharma della saggezza si raccoglie.
Ma un recipiente - osserva Nichiren - può avere quattro difetti. Può rovesciarsi o essere inutilizzabile perché chiuso da un coperchio, o può perdere acqua. Oppure il suo contenuto può essere contaminato: anche se l'acqua è pura, se nel recipiente è entrata della sporcizia quell'acqua non potrà essere utilizzata. Il quarto difetto, poi, è chiamato zo o "miscuglio". Se il riso viene mescolato a spazzatura, sassi, o terriccio, gli esseri umani non possono mangiarlo.
Il recipiente rappresenta i nostri corpi e le nostre menti. Le nostre bocche e le nostre orecchie. Il Sutra del Loto è l'acqua del Dharma della saggezza del Budda. Ma quando quest'acqua viene versata nella nostra vita, noi la rovesciamo o ci tappiamo le orecchie con le mani per non ascoltarla. Oppure la sputiamo per non recitarla. In tali casi siamo simili a recipienti rovesciati o chiusi da un coperchio.
«Oppure possiamo essere come quei praticanti la cui bocca un momento recita Nam-myoho-renge-kyo e il momento dopo Namu-Amida-Butsu. Questo è come mescolare spazzatura con riso oppure versarvi sabbia o sassi. Di questo ci ammonisce il Sutra del Loto quando afferma: "...desiderano abbracciare soltanto il sutra del Grande veicolo, non accettando un solo verso degli altri sutra..."».
E qui il Daishonin aggiunge: «Le dotte autorità del mondo d'oggi ritengono che non vi sia niente di male a mescolare pratiche estranee con la pratica del Sutra del Loto e una volta anch'io, Nichiren, ero di questa opinione. Ma il brano del sutra (che ho citato) non autorizza un simile modo di pensare» (SND, 9, 101).
Solo se un recipiente è privo di questi quattro difetti - conclude Nichiren - può esser chiamato un recipiente perfetto. E se la fede è perfetta, l'acqua della grande imparziale saggezza non si prosciugherà mai.
Tradotto in termini a noi più vicini, recitare Namu-Amida-Butsu (cioè invocare il nome del Budda Amida, proprio della scuola Nembutsu) potrebbe equivalere a tutti quei comportamenti quotidiani che inconsapevolmente sottendono modi di pensare non buddisti, riconducibili all'idea che la Legge sia al di fuori di noi.
«Se pensi che la Legge sia al di fuori di te, stai abbracciando non la Legge mistica ma un insegnamento imperfetto» ammonisce il Daishonin (SND, 4, 4).
Praticare il Buddismo significa costruire un io saldo e risoluto. Se trascuriamo questo punto, focalizzando altrove le nostre energie, finiremo senza neppure accorgercene per ricercare la Legge all'esterno. E questo significa evadere dalla responsabilità della propria vita.
Per esempio, se recitiamo Daimoku ma accusiamo sempre gli altri o il nostro ambiente per ciò che ci accade, stiamo evitando di affrontare la nostra oscurità interiore. E quindi stiamo ricercando l'Illuminazione al di fuori di noi.
Oppure recitiamo Daimoku passivamente aspettandoci un effetto dall'esterno, come se qualcuno dovesse prima o poi rispondere ai nostri meritevoli sforzi premiandoci con un beneficio. Nell'attesa annotiamo con cura le ore di Daimoku accumulate, ma evitiamo di affrontare il problema e ci guardiamo bene dall'agire per risolverlo.
Anche il fatto di lamentarsi continuamente è una trappola insidiosa che ci procura un sollievo apparente, mentre alla lunga ci distoglie dal migliorare noi stessi e mette un freno potente alla nostra evoluzione. Solo cambiando noi stessi a un livello più profondo e assumendoci completamente la responsabilità della nostra vita possiamo iniziare a migliorare la nostra situazione.

Con unica mente

L'atteggiamento di non risparmiare la propria vita è la chiave per rivelare la condizione vitale della Buddità.
«Con unica mente desiderano vedere il Budda e non risparmiano la propria vita». In Lettera a Gijo-bo Nichiren Daishonin afferma di aver rivelato la Buddità presente nella propria vita grazie a quest'unica frase contenuta nel Jigage del capitolo Juryo del Sutra del Loto (SND, 5, 4).
Desiderare di vedere il Budda "con unica mente" indica un ardente spirito di ricerca nei confronti del Budda, cioè la fede. «Ciò che chiamiamo fede non è niente di straordinario - scrive il Daishonin. - Fede significa riporre fiducia nel Sutra del Loto [...] e recitare Nam-myoho-renge-kyo come una donna ama il marito, come un uomo dà la vita per sua moglie, come i genitori non abbandonano i figli o come un figlio rifiuta di lasciare la madre» (SND, 7, 209).
Significa desiderare con ogni cellula del nostro essere, senza riserve. Essere disposti a sfidare con coraggio la nostra oscurità che cerca di ostacolarci persino nel recitare Daimoku.
«Desiderare di vedere il Budda con unica mente è concentrare la mente nel vedere il Budda, e se si vede la propria mente si vede il Budda», scrive Nichiren (SND, 5, 4).
Una preghiera fortemente concentrata, una mente che crede fino in fondo realizza il gioiello dei tremila regni in un singolo istante di vita, il mutuo possesso dei dieci mondi. Grazie al funzionamento della Legge meravigliosa del Loto - o renge - che rappresenta il misterioso principio della simultaneità di causa ed effetto, la nostra preghiera si manifesta come un gioiello che contiene la Buddità.
In altre parole: il desiderio ardente di vedere il Budda è la causa, il manifestarsi istantaneo della Buddità è l'effetto. Nichiren sta dicendo che una persona comune che ricerca intensamente il Budda manifesta naturalmente la vita del Budda.

Maestri della mente

Se seguiamo la nostra mente illusa di persone comuni, il nostro potenziale interiore può inaridirsi o persino soccombere agli impulsi più egoistici e distruttivi. Al tempo stesso, però, la nostra mente racchiude la chiave per l'Illuminazione (vedi Buddismo e società, n. 119, p. 53). Dunque è fondamentale disciplinarla. Questo processo di emancipazione dalle tendenze oscurate della nostra vita è la "rivoluzione umana". A questo serve la pratica buddista. Per compiere questo percorso dobbiamo essere disposti a "rinunciare" al nostro piccolo io. E soprattutto abbiamo bisogno di punti di riferimento chiari che ci facciano da guida.
Scrive il presidente Ikeda: «Se facciamo della mente che cambia in continuazione il nostro maestro sarà difficile progredire in maniera certa e costante. Invece dovremmo fare della Legge il nostro maestro [...]. Per le persone comuni non c'è altro modo di ottenere la Buddità che ricercare la Legge con unica mente e desiderare di vedere il Budda con unica mente» (MDG, 1, 180).
Il Daishonin insegna che il vero maestro della mente è la Legge mistica, Myoho-renge-kyo, il cuore del Sutra del Loto, e stabilisce la pratica concreta che permette di diventare maestri della propria mente, cioè recitare Nam-myoho-renge-kyo. La sua lotta si basa sulla profonda consapevolezza che nella vita di ogni persona esiste questa Legge eterna, e la ha concretizzata nel Gohonzon per permettere a ognuno di creare un legame diretto con essa.
La vita umana possiede un potere incommensurabile. Più lottiamo e più potere tiriamo fuori. La fede è il mezzo per estrarre questo tesoro. E la preghiera è la forza motrice del cambiamento.
Il Daishonin manifestò nella sua vita la mente del Budda grazie alle sue altruistiche battaglie per kosen-rufu. C'è uno stretto legame tra lo stato vitale della Buddità e la battaglia coraggiosa per proteggere la Legge. «"Con un'unica mente desiderano vedere il Budda e non risparmiano la propria vita" per noi significa dedicarci a kosen-rufu col cuore del re leone, continuando per tutta la vita a diffondere la Legge mistica» (MDG, 1, 184).

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Come insegna il Budda

In prima persona

In prima persona

di Anna Cepollaro

Quando sei disperata per la salute di tua figlia provi tutte le strade. Il medico migliore, le cure più costose e, se qualcuno ti dicesse di andare a Lourdes, tu, atea convinta da quasi vent'anni, ci andresti di corsa. Ti fai ogni tipo di domande (perché proprio a me? cosa ha fatto di male questo esserino di due anni e mezzo?) alle quali cerchi affannosamente delle risposte (consigli di conoscenti, Internet, statistiche). L'unica cosa che proprio non ti viene in mente è di cercare la soluzione dentro di te. Fino a quando una persona appena conosciuta, tranquilla anche se con una vita non del tutto rose e fiori, dall'aria simpatica e gioviale, ti parla di una religione "ragionevole", di una legge di causa ed effetto scientificamente provata quindi accettabile anche dal più duro degli scettici. Non sei mai stata scettica, piuttosto temi fanatismi, retoriche, trionfalismi. Ma questa volta è diverso, forse solo la tua disperazione lo è o forse l'angoscia che attanaglia il tuo cuore batte forte da troppo tempo, come quando piove a dirotto da giorni sui vetri della tua casa. Basta, ci vuole il sole. In quel momento non te ne importa un bel niente di cercare e di capire quale causa abbia prodotto come effetto la malattia di tua figlia. Semmai, ti chiedi: qual è la causa che posso mettere per provocare un effetto positivo? La risposta è fin troppo semplice, al limite dell'incredibile: recitare Nam-myoho-renge -kyo davanti ad un muro bianco. Nonostante gli sforzi non ci credi, ma hai scelta? Così, come un ebete, cominci. Dapprima i tuoi scopi sono "facili", raggiungibili, non hai il coraggio di mettere davanti al muro il vero, unico obiettivo per cui hai cominciato a dire quella frase senza senso. Intanto, accanto al Daimoku, pur essendo sempre stata "allergica" a superstizioni e a pratiche meditative orientaleggianti, continui a cercare guaritori, rimedi magici e talvolta ti ritrovi a invocare perfino Dio! Poi, un giorno uguale a tanti altri, durante i quali hai desiderato con tutta te stessa di poter tornare a una qualsiasi di quelle noiose sere che odiavi pur di non trovarti in quella situazione, ecco che quella frase produce il suo primo effetto: senti un grande coraggio dentro e una speranza che non ha nulla a che vedere con i verdetti dei medici. In seguito, impari che quello si chiama ichinen, un istante di vita in cui sei tu a condizionare la vita. Una donna da molti anni membro della Soka Gakkai (hai superato anche l'allergia per le associazioni!) ti sollecita a scrivere su un foglietto il vero obiettivo, quello alto, quello che contiene tutto il milione di dollari. Hai deciso di affidarti solo a quella pratica fino a prova contraria, quella persona ti ispira fiducia, sei sempre stata coerente con le tue scelte e... lo fai. Tra le lacrime più cocenti che una madre possa versare, ti ritrovi a scrivere non quello che vuoi tu, ma addirittura ciò che vorresti ti dicesse la dottoressa che tiene in cura tua figlia. Quasi non ci vedi per il pianto, ma rileggi per la centesima volta la lettera di Nichiren che ti hanno consigliato, Risposta a Kyo'o, e, facendo Daimoku, apri le virgolette, ci infili dentro una frase chiara che, senza dubbi, decreta la guarigione totale del tuo bene più prezioso, e richiudi le virgolette. Non hai più paura! Prima ancora di aver raggiunto l'obiettivo, senti che non abbandonerai mai più il Gohonzon che hai deciso di ricevere. Nessuno ha mai pensato di te che fossi una persona facile a fanatismi di alcun tipo, e così, grazie alla fiducia che ispiri da persona razionale e studiosa, anche prima di aver sperimentato la prova concreta e di aver letto abbastanza di Buddismo, cominci a fare shakubuku. Uno dei primi shakubuku è proprio la dottoressa di tua figlia, quando le spieghi perché, dopo che lei ti ha detto, molto sorpresa, esattamente la frase che avevi scritto sul foglietto, tu hai semplicemente esclamato: «Lo sapevo!».

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Quando sei disperata... cerca dentro di te

di Marta Bonomo

Il Buddismo nasce come religione per la gente, per affrontare le sofferenze della vita e godere della stessa vita attraverso le sue proprietà più elevate, intrinseche all'essere umano. In che modo? Agendo sulla condizione vitale di ognuno.
è con Nichiren Daishonin che il Buddismo torna a questa sua vocazione originaria di insegnamento per la "salvezza", cioè per un cambiamento nella vita reale delle persone. Nichiren ha lottato senza risparmiarsi proprio per riaffermare questo aspetto rivoluzionario del Buddismo. In tale processo la funzione o potere positivo del "cuore" è al primo posto, come da tempo ci sta spiegando Daisaku Ikeda.
L'espressione "rivoluzione umana" fu elaborata da Josei Toda insieme a Ikeda per esprimere nella forma più vicina alla nostra mentalità il significato dell'ottenimento della Buddità nella nostra vita (issho jobutsu). Per Toda era la cosa più importante, perché permetteva l'applicazione pratica della saggezza del Budda nella vita quotidiana.
Il nucleo della rivoluzione umana è il principio fondamentale del Buddismo: la possibilità meravigliosa che ha la vita di ognuno di cambiare verso il bene.
Nel Gosho Il raggiungimento della Buddità in questa esistenza c'è scritto: «L'entità della nostra vita in ogni singolo istante, dalla quale sorgono sia il bene che il male, è in realtà l'entità della Legge mistica» (Buddismo e società, n. 119, p. 13). Tutto parte da un cambiamento interiore verso il bene.
Nel 1997, nei Dialoghi con i giovani, Ikeda diceva: «La rivoluzione umana diventerà un argomento di discussione sempre più importante nei prossimi anni, sarà la chiave per tutto il mondo del XXI secolo».

La concezione della vita

La questione fondamentale per noi esseri umani è quella di superare le illusioni della vita e della morte, che sono alla base di tutte le altre illusioni e condizionano ogni altro atteggiamento: in relazione alla nostra concezione della vita e della morte possiamo o meno vivere in sintonia con la Legge della vita, trarre un'autentica soddisfazione anche quando ci troviamo ad affrontare la morte, oppure non riuscire a uscire da una spirale di paure e insoddisfazioni.
Lo scopo del Buddismo è l'"Illuminazione", il risveglio alla consapevolezza della vita così com'è, del suo vero aspetto.
"Illuminazione" è una parola grossa, sembra aleggiare oltre l'orizzonte di una persona comune, eppure dovremmo immaginarla come una tendenza naturale della vita.
Il Buddismo non è un'ideologia, una dottrina intellettuale o una morale che dispensa dogmi e verità preconfezionate: è la massima saggezza sperimentabile da un essere umano espressa in un insegnamento preciso, messo a disposizione di tutti dalla compassione di Nichiren Daishonin, perché ognuno manifesti il proprio potenziale e viva adeguatamente sia all'interno che all'esterno di se stesso.
Nel Mondo del Gosho Ikeda dice che il Buddismo è un insegnamento che permette a ciascuno, partendo da come è, di manifestare la propria innata natura di Budda, e che solo attraverso questa evoluzione dello stato vitale individuale si possono trovare soluzioni anche ai problemi sociali più complessi. È in relazione a questa centralità dell'essere umano che Ikeda parla di "umanesimo buddista", un altro modo di esprimere il concetto della "pratica della rivoluzione umana".
«L'umanesimo buddista non affonda le sue radici in un particolare sistema di credenze; esso afferma che ogni individuo è in grado di realizzare la sua rivoluzione umana coltivando la propria intrinseca natura di Budda. Il termine "natura di Budda" si riferisce a un cuore risvegliato alla Legge mistica» (MDG, 1, 4).

Trasformazione interiore

Dunque lo scopo del Buddismo è questo particolare cambiamento individuale, basato sulla grande forza o condizione vitale che è dentro di noi, chiamata Buddità, perfettamente dotata delle funzioni straordinarie dell'universo, capace di farci superare il condizionamento delle illusioni. È infatti il funzionamento della nostra coscienza, il pensiero razionale e i nostri stessi sensi a darci l'illusione di essere spettatori esterni, quindi estranei, meno potenti di quello che possiamo essere. L'offesa alla Legge, chiarisce Ikeda, consiste proprio nel non credere nella Buddità e nelle sue risorse. Essere orientati verso il bene o il male dipende quindi da un cuore che crede o dubita. Scrive Ikeda: «Come dimostrano molti dei suoi scritti il Daishonin sottolinea ripetutamente l'importanza cruciale che riveste il cuore o la mente. È in questo ambito interiore della vita che risiede il potenziale per realizzare enormi cambiamenti, sia dal male al bene che dal bene al male. Perciò la dottrina del Daishonin si può leggere come un processo che ha inizio con il cambiamento interiore. Grazie al potere della fede possiamo sconfiggere dentro di noi le forze negative governate dall'oscurità fondamentale che risiede in ogni cuore umano, e manifestare le funzioni positive della vita che sono un tutt'uno con la natura del Dharma, cioè con la nostra Buddità» (Buddismo e società, n. 119, p. 17).

Cambiare le proprie convinzioni

Nel libro scritto nel 1985 con Aurelio Peccei, fondatore del Club di Roma, Ikeda affermava: «Nel corso della storia moderna l'individuo è stato indotto a credere che la chiave della felicità risiedesse nelle riforme puramente esteriori». Sono state così trascurate o dimenticate del tutto le attività interiori della vita umana e non si è fatto nulla per svilupparle. «Oggi l'imperativo più pressante che si pone all'essere umano è l'elevazione e la riforma della sua vita spirituale. In ciò è da ravvisare quella che io definisco rivoluzione umana» (Campanello d'allarme per il ventunesimo secolo, Bompiani, p. 127). Poi si chiede: può bastare questa consapevolezza per attuare una rivoluzione umana così intesa? «Sono convinto che, se intendiamo rivoluzionare il nostro subconscio, sia indispensabile fare appello all'applicazione pratica dell'insegnamento buddista; esso infatti è permeato del potere proprio della vita universale che si pone al di sotto di ogni forma di vita individuale e manifesta» (Ibidem). Questa è la spiegazione che Ikeda ha usato circa vent'anni fa rivolgendosi a un interlocutore non buddista, e testimonia della sua convinzione di quanto l'idea della rivoluzione umana sia importante per il nostro tempo.
Sempre in questo libro Ikeda dice che la rivoluzione umana consta di due aspetti: uno consiste nell'applicare i principi religiosi buddisti all'evoluzione e al progresso dei livelli più profondi della coscienza individuale, mentre il secondo si identifica nelle azioni svolte nella società reale e nella vita di tutti i giorni. Quando la rivoluzione umana sarà realizzata sia internamente che esternamente in un sempre maggior numero di uomini e donne, allora si creeranno relazioni più armoniose e si aprirà una strada anche per risolvere i problemi più gravi dell'umanità.

Per orientare la vita

:IMM:Perché Ikeda dice che occorre applicare dei principi religiosi per realizzare la rivoluzione umana? Perché l'autoriforma e il miglioramento di sé richiedono punti di riferimento molto saldi, altrimenti non si è in grado di sviluppare quell'indipendenza dalle proprie tendenze più egoistiche e istintive: per questo abbiamo il Gohonzon, che è la rappresentazione concreta della Legge, e il Daimoku che risveglia la Legge dentro di noi, ma anche l'insegnamento e l'esempio del maestro che ci aiuta a mettere in pratica il Buddismo nella vita concreta, a confronto con varie difficoltà e sofferenze.
Buddismo significa azione, il suo valore sta nel metterlo in pratica, non ha alcun senso apprezzarlo teoricamente e non sforzarsi di usarlo nelle situazioni concrete; non possiamo quindi prescindere da alcuni punti fermi, come il rispetto, la fiducia, l'unità ecc., importanti se vogliamo evolvere, altrimenti... possiamo anche non farlo, o forse rimandare.
Da questo punto di vista, la relazione di maestro e discepolo è una vera e propria necessità per praticare il Buddismo correttamente, perché è una relazione dinamica di apprendimento tra chi vuole imparare e chi ha più esperienza, uniti dagli stessi ideali.
Tuttavia cambiare le proprie convinzioni è sempre un aspetto delicato, occorre far proprio lo spirito che le sottende, altrimenti è facile cadere nel dogmatismo e nell'indottrinamento, nulla di più lontano dal Buddismo. Non possiamo prendere il Buddismo come un insieme di regole, lo snatureremmo, ma come un complesso di istruzioni molto precise e piene di compassione per far scaturire il meglio dalla nostra vita e dalla vita intorno a noi.
Se smarriamo il sentiero più autentico della relazione maestro e discepolo tendiamo facilmente a mettere in pratica più le nostre convinzioni che il Buddismo di Nichiren Daishonin, e naturalmente sarà anche difficile renderci conto che stiamo facendo così.
Per questo motivo Ikeda ci sta così appassionatamente spingendo a diventare discepoli che fanno proprio lo stesso "voto" di Nichiren senza risparmiare la vita, perché se abbracciamo questo desiderio fondamentale di realizzare la nostra felicità inscindibilmente unita a quella degli altri, e lo rendiamo il nostro punto più forte e profondo, attiviamo un sincero spirito di ricerca e di lotta che ci porta a verificare continuamente il potere del Gohonzon: tutto diventa "materiale" per allenarci a cambiare e per sentire sempre di più che la nostra vita e quella degli altri sono un tutt'uno.

Un'esperienza personale

Qualche anno fa ho vissuto nel mio ambiente di lavoro una situazione di "mobbing". La tendenza fortissima del mio cuore era diretta verso la collera, la rabbia e la vendetta. Solo stabilendo nella mia mente dei punti fermi che avevo imparato dal Buddismo e da Ikeda - rispettare quella persona che si comporta male con me pur detestandone il comportamento, credere che mi stava dando un'occasione per evolvere, pensare alla sua felicità - riuscivo a recitare un Daimoku combattivo e concentrato. Alla fine le mie condizioni vitali più basse si sono "frantumate" e di pari passo è avvenuta la trasformazione, sia in me che nell'ambiente. Ricordo che ancor prima di risolvere ero felice, serena, sicura di vincere, non su qualcuno ma per far emergere la positività e la "giustizia" nell'ambiente. E così è stato.
Tutte le esperienze che hanno segnato una svolta nella mia vita hanno avuto un percorso simile.
La vita non parla, succede. Il contatto con la vita, con quello che accade, avviene attraverso i nostri stati vitali, condizionati dalle nostre tendenze di base, cioè dal karma. Ma con il Daimoku della fede e della pratica - cioè recitando Daimoku credendo nella natura di Budda nostra e degli altri e lottando per kosen-rufu - siamo in grado di rompere questo guscio per far emergere una condizione vitale più grande che cambia tutto: la percezione, la volizione, la forma, la coscienza e la forma di nuovo (le cinque componenti) di modo che anche la realtà si curva intorno a noi in relazione a questa alchimia e noi facciamo esperienza, cioè impariamo dalla vita come essa stessa funziona.
All'inizio si accetta di praticare per risolvere quel problema insormontabile, ma poi ci si accorge che la vita, proprio per il suo avanzare ed evolversi, produce sempre problemi. Prima si soffre solo per se stessi, poi per un'infinità di cose: per le nostre reazioni, per i nostri sentimenti, per gli altri, per la difficoltà di migliorare o di applicare il Gosho alla nostra vita. Da queste domande interiori scaturiscono la forza, il coraggio, la tenacia per affrontare e spingere la fede in avanti oltre il nostro limite e oltre la paura. La fede è come il timone di una barca, dà la direzione e impone una forza che rende anche il vento avverso una spinta positiva. Noi su questa barca stiamo facendo la nostra rivoluzione umana.
Come diceva Ikeda a Peccei, questo rivoluzionamento o, in termini più pedagogici, questo auto-miglioramento è la quintessenza di kosen-rufu, perché a partire da ogni singola individualità si produce un cambiamento che influenza non solo l'ambiente più prossimo ma si somma e si moltiplica con quello degli altri creando "onde sotterranee" che, come diceva Ikeda in una sua Proposta di pace, cambiano la storia.

Lottare è bello

Ogni volta che faccio una grande esperienza basata su questo tipo di lotta mi dico: è bellissimo, voglio essere felice di fare la mia rivoluzione umana e trasmettere questa passione anche agli altri. Dico a me stessa che devo rimanere aperta quando arriva una sofferenza o una difficoltà, perché sebbene come comune mortale provi rabbia, preoccupazione o scoraggiamento, devo costruire la consapevolezza che quella sofferenza o difficoltà è il materiale per la mia rivoluzione umana, è l'occasione per giocare al rialzo e credere ancora più sinceramente al grande potere della Legge e al desiderio originario di Nichiren Daishonin.
«La chiave è praticare esattamente come insegna il Gosho. L'umanesimo buddista è in ogni caso la premessa su cui si basa la pratica per trasformare la propria vita» (MDG, 1, 5).

Si può parlare di vera rivoluzione umana senza un grande coinvolgimento nella pratica per gli altri ?
Leggendo i primi capitoli del Mondo del Gosho si scopre che la natura di Budda e il desiderio di kosen-rufu coincidono. Addirittura nella Saggezza del Sutra del Loto Ikeda dice che prima di Nichiren Daishonin non si usava il termine "stato di Budda", ma quello di "desiderio originario" (La saggezza del Sutra del Loto, vol. 2, p. 33) a indicare che la condizione vitale della Buddità è quella nella quale la felicità degli altri è sentita come uguale alla propria.
Il modo più "veloce" formulato da Nichiren Daishonin per manifestare la condizione di Buddità in un'epoca molto inquinata come la nostra, e trasformarci da persone inconsapevolmente egoiste a persone in grado di espandere liberamente la loro umanità e godere dei suoi inestimabili benefici, è agire con coraggio come se già fossimo in quella condizione vitale stabilmente, cioè preoccuparci degli altri come di noi stessi. In quest'epoca per aiutare gli altri la cosa più importante è far conoscere la Legge il più diffusamente possibile utilizzando le nostre relazioni umane.
Far proprio il "grande voto" di Nichiren, dice Ikeda, dà la possibilità concreta di essere più forti, di avere una motivazione profonda per non cedere alla debolezza e a tutto quello che ostacola la nostra mente dal ricercare la Buddità per noi e per gli altri; in altri termini ci aiuta a sviluppare la nostra rivoluzione umana e a diventare felici.

È sufficiente stare nell'organizzazione, compiere le attività come responsabile, per fare la propria rivoluzione umana?
Il presidente Ikeda ripete spesso che l'organizzazione avanza e migliora in relazione alla rivoluzione umana dei suoi responsabili. È un errore quindi pensare che la responsabilità di per sé qualifichi la fede di una persona. A volte questo modo di pensare è accompagnato dalla tendenza a considerare i responsabili come delle figure carismatiche, ma la mentalità che c'è dietro è l'opposto del concetto di rivoluzione umana. Tutti noi praticanti, responsabili e non, ci dovremmo considerare come esseri umani "lavori in corso", che hanno come punti di riferimento il Gosho e il presidente Ikeda.
In un discorso ai responsabili Ikeda sottolinea a questo riguardo: «Non mettete nessuno nella posizione di poter essere al di sopra di ogni forma di critica anche quando tutti attorno si rendono conto che non si comporta bene» (Il nuovo rinascimento, n. 355, p. 7).
Più gravoso è l'impegno che ci si è assunti (e in questo consiste la responsabilità) più è necessario elevare il proprio stato vitale e lottare contro la propria negatività, cioè fare la propria rivoluzione umana, altrimenti è facile finire per considerarsi "più importanti" degli altri e pensare di poter insegnare come "maestri".
L'attività principale dei responsabili nella Soka Gakkai dovrebbe essere quella di esser disponibili a incoraggiare gli altri sulla base della propria esperienza di fede, indicando il Gohonzon e gli insegnamenti di Nichiren Daishonin per superare i momenti di difficoltà.
Non è l'organizzazione o l'attività di per sé, quindi, che ci fa fare la rivoluzione umana. La rivoluzione umana riguarda il singolo individuo, la sua pratica, la sua fede, il suo atteggiamento di fondo, non dipende dall'organizzazione. L'organizzazione serve per realizzare la propagazione della Legge e per mantenere la pratica corretta.
In una prospettiva più ampia, nella Proposta di pace del 2007 Ikeda sottolinea che «l'attenzione continua alla dimensione individuale e personale è la quintessenza del Buddismo», in accordo con lo spirito del fondatore Nichiren di «fare del singolo individuo il nostro modello esemplare» (Buddismo e società, n. 122, p. 32).
La responsabilità personale del proprio miglioramento è messa in risalto rispetto all'errore troppo frequente nella storia dell'umanità di «affidarsi alle organizzazioni e fondersi nel gruppo» come accade sia in varie forme di totalitarismo sia in grandi religioni, in cui il gruppo è privilegiato rispetto all'individuo (Ibidem).
La rivoluzione umana praticata dai membri della Soka Gakkai si propone quindi come "modello" di "autoriforma personale" per tutta l'umanità.

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La rivoluzione umana, una grande idea

27In prima persona

In prima persona

di Roberto Carvelli

Non credo nel divieto. Ecco il mio slogan. Se mi confronto con gli altri vedo che è così per molti. Non si tratta solo della "storia maestra di vita". Anche a senso ho sempre saputo che il divieto fa crepe, mina l'integrità della persona. Ed è semplice. Non si tratta di essere anarchici di quell'anarchia vitale che ci fa rifiutare imposizioni o pressioni (per i più sensibili anche un semplice suggerimento), né si tratta di essere, per preconcetto, un antiproibizionista della fede. È solo che ho visto che tutte le volte che qualcuno mi obbliga o mi consiglia vivamente (sto usando un eufemismo) di fare una cosa e io la faccio di default non ho quasi mai risposte, non comunque decisive e, soprattutto, non durevoli. Non faccio scatti in avanti. È come se tentassi di arrivare a una verità per astrazione. Il mondo della fede per definizione rischia di fare eccezione, ma bisogna metterci d'accordo sull'eccezione. Se io dico: «Faccio così perché mi hanno detto così» e non faccio nessuna esperienza di questo consiglio per quanto buono, nessuna esperienza nessuna, fosse pure l'esperienza di decidere di mettere alla prova quello che mi hanno consigliato, di mettere in pratica un consiglio o una lettera di Nichiren, è difficile che succeda alcunché di rilevante nel mio sistema-vita. Questo qualcosa succede solo se c'è la fusione tra la persona (io, il mio mondo, il mio modo di sentire, dubbi compresi) e la Legge (le risposte che non trovo, il bisogno di arrivare a delle soluzioni, a delle risposte immediate e urgenti e ancora meglio se viste come esempio di risposte più grandi e assolute che superino il giardinetto di "quello che mi serve"). Che il beneficio della fede sia incommensurabile è fuori discussione, quello sì, per definizione. In discussione è che questo accada in una galleria del vento, in un laboratorio, come un esperimento freddo, un calcolo. Le grandi svolte, gli snodi della mia esperienza di essere umano e di devoto buddista sono passati da qui: voglio rivoluzionare i rapporti che ho con la mia famiglia per i quali sto soffrendo da anni, decido di credere che potrò farlo partendo da me, solo da me, e inizio a cambiare atteggiamento forte della serenità e dell'energia della mia preghiera e sperimento che in realtà quelli che pensavo problemi, tali non sono più. Questa è un'esperienza di fede.
Lesson two, mancata esperienza di fede: mi dicono che devo trovare un lavoro migliore perché il lavoro che ho non è giusto per me o non mi consente di essere un buon devoto e mi toglie tempo per l'attività (esiste un tempo per l'attività?). Inizio a praticare per cambiarlo e con ostinazione comincio a mandare curriculum e a rispondere agli annunci ciecamente. Non succede nulla. Il lavoro lo cambierò dopo che sarà capitato un ennesimo caso di soprusi e mobbing che, invece di consegnarmi al fallimento, grazie alla recitazione di Nam-myoho-renge-kyo mi stimolerà a fare azioni più incisive. Questo non per dire che la sfiga è spesso la nostra migliore alleata - che si potrebbe pure dire, purtroppo - ma che finché l'esperienza non coinvolge la nostra intera persona (dolori, sofferenze, rabbie, rivalsa e tutto il peggio che ci viene in mente di poter aggiungere) è molto più difficile riuscire a sperimentare il potere assoluto della Legge, che richiede un grande salto...
Difficile da credere e difficile da capire. C'è scritto così no? Vorrà dire che si accetta ottusamente o che si mette alla prova?
Avendo provato a vedere cosa succede a mettere sullo stesso piano la recitazione di Nam-myoho-renge-kyo con forme di superstizione (comprese forme di superstizione buddista), idee personali, pensieri insistenti, fissazioni (comprese fissazioni buddiste) so cosa vuol dire il mio modo di intendere "non cercare". Il mio "non cercare altro" non è un divieto. O dovrei dire che la mia fortuna è stata non considerarlo mai un divieto, ma l'opportunità per sperimentare una fede forte e pura. Non cercare altro non vuol dire non cercare altro che la risoluzione del nostro problema, che rischia di essere proprio quella una ricerca esterna. Spesso ho ascoltato esperienze che si aprono e si chiudono in questa ostinazione verso un obiettivo, accompagnate da un'inamovibilità come se ottenere il risultato prefissato fosse una regola, un precetto e in quanto tale una legge di vita. Ancora più spesso ho sentito altri (non praticanti ma conoscitori del Buddismo) recitare perplessi e a volte inorriditi la loro convinzione che Nam-myoho-renge-kyo sia una pratica per i benefici. Anche a me è capitato di dover riconoscere di aver trasformato la Legge suprema in una Suprema felicità da risoluzione di problemi o realizzazione di scopi. Di dover riconoscere di aver fatto esperienza di questa ossessiva via di soluzione ai problemi - una via totalmente dimentica di me e quindi una forma di ricerca esterna, lo ripeto - e di ritrovarmi allo stesso punto da cui mi ero mosso, con la stessa persona che avevo lasciato, gli stessi problemi sul lavoro, le stesse guerre famigliari. Non si cambia il nostro destino spostando le cose, travasando sporco da un recipiente a un altro, sostituendo al dubbio il puntiglio. La fede crede perché vede. Vorrei dire che a furia di vedere, di avere sguardo sulle cose e la vita, la fede persino prevede, anticipa o può arrivare a farlo. In questo orizzonte più largo c'è la maggiore felicità della fede.

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Non cercare altro

intervista a Tamotsu Nakajima
intervista a Tamotsu Nakajima
A volte viviamo una dispersione di energie che ci impedisce di cogliere il nucleo della nostra sofferenza per affrontarla e superarla. Questo accade soprattutto quando non consideriamo il Buddismo come l'asse o il baricentro della nostra vita, bensì utilizziamo la pratica alla stregua di un rimedio come tanti altri, da cambiare se non funziona o da rafforzare con qualcos'altro se ci sembra poco efficace. Abbiamo discusso di questo tema con Tamotsu Nakajima, direttore generale dell'Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai, per provare a definire l'atteggiamento necessario a trarre la massima soddisfazione dalla via spirituale che abbiamo scelto.
Il presidente Ikeda, nelle lezioni sul Gosho L'apertura degli occhi, spiega che per ottenere l'Illuminazione bisogna essere intransigenti, bisogna scartare gli espedienti. «La Legge mistica - dice - viene descritta come il "seme della Buddità dei tremila regni in un singolo istante di vita", che è il solo mezzo per liberare tutte le persone dell'Ultimo giorno dalla sofferenza». Una volta conosciuto questo mezzo non se ne devono cercare altri. 
Come possiamo avere chiaro questo punto dentro di noi e trasmetterlo agli altri senza essere fanatici ma nemmeno accomodanti? 
Tutti cercano di capire la vita. Ognuno sceglie liberamente, è libero di credere in quello che vuole. E ha risultati diversi a seconda della cosa in cui crede. Se quello in cui crede è la Legge suprema otterrà tutto ciò che desidera. 
Ma se una persona ha trovato la via suprema e ne cerca altre è come se stesse disprezzando ciò che ha trovato. 
Ci sono persone che attraverso la pratica buddista a volte non riescono a realizzare i loro scopi, e allora cercano altre vie. Forse hanno incontrato troppo facilmente il Buddismo di Nichiren Daishonin, e non sanno valutare la grandezza dell'insegnamento e la fortuna che hanno avuto. 
Il Buddismo di Nichiren è senza comandamenti. L'unica cosa che il Budda originale afferma è di non lasciare mai la pratica buddista. Per il resto lascia libero ognuno di fare quello che vuole. 
Tutto è compreso in Nam-myoho-renge-kyo, ma questo è molto difficile da capire. Dobbiamo attimo dopo attimo approfondire la ricerca, e non pensare mai di essere arrivati. Credo che sia veramente difficile spiegare a qualcuno di andare fino in fondo cercando di praticare il più correttamente possibile. 
Non è che dopo vent'anni di pratica è tutto a posto. Dipende sempre dall'atteggiamento che si ha in ogni attimo, a cosa in quell'attimo si sta dedicando la vita. Noi stiamo cercando di creare una tendenza all'Illuminazione, che consiste nel dedicare la vita alla felicità di tutte le persone, lottando interiormente per aumentare sempre di più la nostra compassione. Anche se oggi abbiamo capito qualcosa in più di ieri, non è finita qui. Senz'altro rimane l'esperienza, ma si riparte ogni volta da capo, bisogna sempre rinnovarsi.
Perché alcuni si rivolgono a tante vie spirituali e altri no? 
Ci sono ad esempio persone che amano tutto dell'Oriente. Ma si deve capire che le religioni orientali, anche se a livello superficiale si somigliano, sono profondamente diverse. Io penso che tante persone non sappiano quale influenza abbia la religione nella loro vita. Tanti separano la religione dalla filosofia.
È forse la capacità di cercare, il punto? 
Una persona riesce a cercare, e a trovare, quanto più ha le idee chiare, e quanto più sforzo fa. Ci vuole tanto sforzo per capire. Dobbiamo fare uno sforzo perché siamo pigri, perché appena incontriamo una difficoltà cambiamo subito strada. Ma che cos'è che cerchiamo? Se abbiamo le idee chiare e cerchiamo seriamente troveremo senz'altro. Il problema è la serietà. 
Noi in famiglia eravamo assolutamente liberi di decidere cosa fare, ma una volta operata la scelta dovevamo continuare, andare fino in fondo molto seriamente, non lasciare le cose a metà. 
Per quale motivo alcuni seguono tante vie spirituali contemporaneamente? In base a quale ragionamento? E come considerano la loro vita, come la somma di tutto quello che stanno facendo?
Forse è questa la differenza: vedere la vita come somma di tante cose o come una condizione vitale che si sperimenta attimo dopo attimo. 
La nostra vita si svolge attimo per attimo. Quello che conta è la decisione che si rinnova in quell'istante, come in quell'attimo si affrontano i problemi, se si cerca di stare dentro il Buddismo oppure no. 
Si deve avere la consapevolezza che la vita vola via e che in breve tempo bisogna fare tanto sforzo. Senza concentrarci non riusciamo a sconfiggere la nostra oscurità e a tirar fuori le nostre capacità. Sconfiggere la pigrizia è difficile. 
La nostra tendenza è invece quella di scegliere sempre la via più facile, perché così siamo più sicuri di riuscire. 
Questo Buddismo da un certo punto di vista è troppo facile, perché dopo poco tempo ognuno sa cosa fare. Ma non sa come farlo. Nichiren parla del cuore, di come è il nostro cuore attimo dopo attimo.
Ci sono praticanti che non hanno un partner e soffrono moltissimo di solitudine. O coppie che non riescono ad avere figli. È difficile dire loro che possono essere felici così come sono. Questo bisogno, questa sofferenza è molto grande e li porta spesso a cercare altro, o comunque a cercare al di fuori di sé. 
Ma cosa stanno cercando? Tutti cercano la felicità relativa, pochi quella assoluta. Cos'è la felicità? Normalmente pensiamo che sia avere quello che hanno gli altri, essere come gli altri. Se non si ha famiglia si è infelici, se non si ha la macchina si è infelici, addirittura per essere felici si deve avere più degli altri. 
Ognuno cerca di avere quello che gli manca. E passa la vita così. Per secoli e secoli gli esseri umani hanno sofferto e hanno cercato. Sembra che non esista una via per diventare felici.
Perché alcuni ottengono risultati e altri no? 
La differenza tra chi ottiene risultati e chi non li ottiene è la fede. C'è chi pur incontrando grandi difficoltà decide di andare sempre avanti, di credere ancora di più. Ma c'è anche chi retrocede appena incontra delle difficoltà. Dipende dall'atteggiamento di ognuno. 
Nel Sutra del Loto Shakyamuni chiede all'assemblea chi propagherà il sutra nell'epoca di Mappo. Tutti i discepoli si offrono di farlo, ma lui affida questo compito solo ai Bodhisattva della Terra, perché hanno determinate caratteristiche. 
Se si pratica questo sutra anche solo un giorno in Mappo il risultato è enorme. 
Ma per noi è difficile capire questo. C'è l'organizzazione che sostiene, e le persone continuano a praticare. Ma praticare non è appoggiarsi all'organizzazione. Nonostante tutte le difficoltà bisogna andare avanti e continuare ad approfondire la fede in modo autonomo. E bisogna lavorare per gli altri, altrimenti non succede nulla. Quello che si riesce a realizzare non dipende dal tempo ma dalla concentrazione, dallo sforzo. Si può essere molto concentrati e ottenere in poco tempo un grande risultato. 
Io penso che ogni cosa vada fatta seriamente. Se una cosa si fa seriamente è più facile capire se è giusta o sbagliata. 
E non dobbiamo perdere di vista lo scopo: se vuoi solo la tua felicità puoi essere anche sciocco, ma per realizzare lo scopo della tua felicità insieme a quella di tutti gli altri non puoi essere sciocco. 
Il bello di questa pratica buddista è che siamo incatenati gli uni agli altri: se non fai per gli altri non risolvi i tuoi problemi. E quanto più tu migliori tanto più riesci ad aiutare gli altri. 
L'azione di salvare gli altri - fare shakubuku - ha un valore così grande che per quante cause negative possiamo aver messo nel corso della nostra vita otterremo senz'altro grandissimi benefici.
Come atteggiamento personale, se noto che una persona non sta praticando bene, devo pregare affinché quella persona cambi o per cambiare io? Mi sembra che recitare Daimoku perché quella persona cambi sia comunque un modo di guardare fuori. 
Io penso che ognuno deve aumentare le sue capacità. Aumentando le proprie capacità si ha una maggiore influenza sulle persone intorno. Un cuore che apprezza la vita, propria e degli altri, crea un'onda positiva. Il cuore, quando riesce a gioire per gli altri, moltiplica gli effetti. Per questo è importante raccontare benefici agli altri, che ascoltano e gioiscono. C'è un effetto tsunami. E ritorna un grande beneficio. Noi facciamo le riunioni raccontando esperienze: semplicemente raccontandole si aumenta il beneficio.
Da una parte penso che giudicare la pratica altrui sia una forma di arroganza: secondo la mia esperienza, se cerco di apprezzare totalmente una persona, lui o lei cambia molto più velocemente; dall'altra nel Gosho c'è scritto che se vuoi bene a qualcuno ma non hai la compassione di correggerlo diventi suo nemico. 
Qui si parla di correggere nell'ambito della dottrina buddista. Se nei confronti del Buddismo certe affermazioni non sono corrette si deve dichiarare la verità, cioè fare shakubuku. Ma ciò non significa correggere le persone. 
Piacciono tanto le parole "correggere gli altri". Ma questa è arroganza. Vuoi correggere gli altri, ma sei così sicuro di essere nel giusto? 
Chi sta veramente praticando il Buddismo di Nichiren è chi sta facendo shakubuku.
Come facciamo a spiegare agli altri che è più efficace seguire una sola via spirituale? 
È difficile convincere qualcuno che nell'epoca di Mappo il Buddismo di Nichiren è l'unica via per conseguire l'Illuminazione nell'esistenza presente, perché tutto sta nel credere. Se non credi è inutile, per quanto ti possano dimostrare che la Legge è giusta. 
Dai fenomeni si evincono le leggi. Nam-myoho-renge-kyo è semplicemente una legge, come la relatività e la gravitazione.
Quindi il Buddismo è simile alla scienza? 
Si dice che più la scienza va avanti più conferma il pensiero buddista. Potremmo dire che Nam-myoho-renge-kyo è la formula del funzionamento della vita.
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