di Maria Lucia De Luca

Quando a soli dodici anni, nel 1233, il giovane Nichiren giurò davanti alla statua del bodhisattva Kokuzo di diventare l'uomo più saggio del Giappone per ripagare il debito di gratitudine nei confronti dei suoi genitori e per aiutare i suoi contemporanei a vivere meglio, forse non sapeva dove l'avrebbe portato questa sua decisione. È grazie alla sua passione, al suo coraggio, alla sua saggezza, in ultima analisi alla sua Illuminazione, che l'insegnamento definitivo del Budda Shakyamuni, il Sutra del Loto, è oggi diventato la pratica quotidiana di milioni di persone in tutto il mondo, e non è rimasto una semplice seppur meravigliosa teoria.
Io sono il devoto del Sutra del Loto, afferma il Daishonin. Tale dichiarazione innanzitutto si esprime nella recitazione di Nam-myoho-renge-kyo, dove Myoho-renge-kyo è il titolo e l'essenza del sutra, la Legge mistica, e nam significa "devozione". E si concretizza nella sua azione incessante, anche a costo della vita, di mettere in pratica il messaggio fondamentale del sutra: «Questo è il mio pensiero costante: come posso far sì che tutti gli esseri viventi accedano alla via suprema e acquisiscano rapidamente il corpo di Budda?» (SDL, 305).
Ma facciamo un passo indietro.
Shakyamuni (circa 560-480 a.C.) nel corso dei cinquanta anni di predicazione orale utilizzò, a seconda del momento storico e della capacità delle persone, modi differenti di esporre le sue dottrine. Gli insegnamenti esposti in ogni periodo avrebbero prodotto uno stile e una tradizione particolari all'interno di tutto l'insegnamento buddista, e questo spiegherebbe la formazione di vari testi che rispecchiano il pensiero di tali differenti tradizioni. Negli ultimi otto anni decise di trasmettere la verità ultima della sua Illuminazione e, in accordo con il suo desiderio e non più con le capacità degli ascoltatori o in base al momento storico, predicò il Sutra del Loto, che rappresenta la summa e il compendio di tutto l'intero sistema filosofico del Buddismo.
Più volte, nel testo, Shakyamuni ribadisce che si tratta del suo insegnamento definitivo. Ad esempio nel Sutra degli innumerevoli significati, il prologo, dice: «In questi quarant'anni e più non ho ancora rivelato la verità». E nel capitolo Espedienti afferma: «L'onorato dal mondo ha esposto a lungo le sue dottrine e adesso deve rivelare la verità» poco prima di fare una dichiarazione rivoluzionaria: la Buddità è una qualità intrinseca in tutti gli esseri viventi, non c'è distinzione tra il Budda e le persone comuni.
Ma è nel sedicesimo capitolo, Durata della vita del Tathagata, che Shakyamuni stupisce ancora di più il suo uditorio con l'improvvisa rivelazione (il «cuore del Sutra del Loto») di essere Budda da sempre: tutti credono che io abbia ottenuto l'Illuminazione in questa vita - dice - ma «sono invece trascorse innumerevoli, infinite centinaia di migliaia di miriadi di milioni di nayuta di kalpa da quando [io] ho realmente conseguito la Buddità».
Se è sconvolgente tale rivelazione, lo è ancora di più la lettura che per primo, dopo quasi duemila anni, ne dà Nichiren Daishonin: «"Io" qui si riferisce a ogni singolo essere vivente nei dieci mondi», non fermandosi a una semplice interpretazione filosofica ma fornendone subito l'applicazione concreta: «Ora Nichiren e i suoi seguaci, coloro che recitano Nam-myoho-renge-kyo, sono il signore originale degli insegnamenti del capitolo Durata della vita del Tathagata» (Raccolta degli insegnamenti orali, BS, 117, 44).
Ciò vuol dire che chiunque reciti Nam-myoho-renge-kyo, il Sutra del Loto dell'Ultimo giorno della Legge, può comprendere con la sua vita di essere Budda dall'infinito passato, può percepire e manifestare la propria originaria natura illuminata.
Onorare la Buddità di ogni individuo è il cuore della pratica del Sutra del Loto, dichiara ancora il Daishonin riferendosi alla figura del Bodhisattva Mai Sprezzante descritto nel ventesimo capitolo. «Possiamo dire che sostenere e favorire questa pratica di rispetto per gli altri costituisca lo scopo principale del Budda, il vero messaggio e la vera propagazione del Sutra del Loto», scrive Daisaku Ikeda nella premessa alla nuova edizione del Sutra del Loto, di prossima pubblicazione in italiano (vedi recensione a p. 40). «Per poter realizzare l'ideale e lo spirito del sutra, il Daishonin visse facendo di questa importantissima pratica il fulcro della propria vita, [...] e mostrò agli esseri umani un sentiero che avrebbe condotto alla trasformazione interiore - o rivoluzione umana - e alla creazione di una società pacifica e ideale.
Obbedendo alle ultime istruzioni di Nichiren Daishonin, la Soka Gakkai fin dalla sua fondazione ha promosso con sincerità adamantina l'importantissima pratica del Sutra del Loto. [...] Un sentiero è stato aperto - ormai in tutto il globo - per realizzare la pace mondiale. Il XXI secolo rappresenta per il genere umano il momento cruciale - ora o mai più - per realizzare la pace. Perciò credo fermamente che sia giunto il tempo di lavorare con ancora maggiore impegno per propagare e radicare la filosofia di speranza esposta nel Sutra del Loto, una scrittura che rivela i valori fondamentali della vita umana, e che questa opportunità non debba essere perduta».

Abbiamo letto, o riletto, il Sutra del Loto ora, all'inizio della nuova era di kosen-rufu nel mondo, come praticanti del Buddismo di Nichiren Daishonin del terzo millennio, membri della Soka Gakkai e discepoli del presidente Ikeda. A tale scopo abbiamo approfondito il Gosho e la Raccolta degli insegnamenti orali - le lezioni di Nichiren Daishonin sul Sutra del Loto disponibili sul sito di Buddismo e società - e studiato le spiegazioni del sutra di Josei Toda e Daisaku Ikeda: I capitoli Hoben e Juryo e La saggezza del Sutra del Loto.
Nelle prossime pagine non presenteremo un'analisi dotta, storica o dottrinale, bensì le nostre riflessioni, le nostre esperienze e le nostre emozioni. E soprattutto la nostra rinnovata decisione di contribuire alla realizzazione di un mondo dove - come recita il sutra - «gli esseri viventi sono felici e a proprio agio» (SDL, 303).

&nbsp;

Noi e il Sutra del Loto

Da Nagarjuna, che nel II secolo riconobbe al Sutra del Loto il potere di aprire la strada della Buddità a tutte le persone, a T'ien-T'ai, che ne estrasse i principi di ichinen sanzen e del mutuo possesso dei dieci mondi, a Nichiren Daishonin, che ne lesse l'intento profondo e istituì la pratica di recitare Nam-myoho-renge-kyo per consentire a tutti di attingerne, fino ai tre presidenti della Soka Gakkai: tremila anni di Sutra del Loto

di Matteo Pisani

Il Sutra del Loto gode della fama di sommo tra i numerosissimi sutra buddisti, che per brevità vengono chiamati gli ottantamila insegnamenti. Il suo messaggio centrale afferma che il Budda non è un essere soprannaturale, non esiste in qualche luogo speciale e che la Buddità è inerente a ogni forma di vita.
Nel Sutra del Loto la Buddità infatti non è presentata come un obiettivo da raggiungere a un certo punto, in un lontano futuro ma, essendo connaturata alla vita stessa, come condizione possibile al pari degli altri stati vitali conosciuti dall'essere umano.
Per l'importanza del suo insegnamento il Sutra del Loto è stato oggetto di numerosi studi, trattati e lezioni. Molte figure centrali nella storia del Buddismo hanno cercato di comprendere il significato celato nelle sue profondità ricercando nelle parole del sutra, nelle sue immagini evocative, l'insegnamento in grado di condurre all'Illuminazione tutti gli esseri viventi.
Le prime interpretazioni sul significato del sutra risalgono alla metà del II secolo. Il filosofo buddista indiano Nagarjuna, introducendo per la prima volta il principio della trasformazione del veleno in medicina, riconobbe al Sutra del Loto questo potere fondamentale di aprire la strada al conseguimento della Buddità a tutte le persone. Consapevole di questo principio supremo del sutra, che egli stesso definì segreto, Nagarjuna però non lo propagò perché, scriverà in seguito Nichiren Daishonin, il tempo non era ancora arrivato.
Nella Cina del VI secolo d.C. tale principio venne ripreso dal monaco Chih-i, in seguito conosciuto come Gran Maestro T'ien-t'ai, che studiando nuovamente tutte le scritture elaborò un'importante dottrina, conosciuta con il nome di ichinen sanzen (tremila regni in un singolo istante di vita) per spiegare anche teoricamente come, attraverso la relazione reciprocamente inclusiva tra la verità fondamentale, la Buddità, e il mondo fenomenico, le persone comuni dei nove mondi possano manifestare in ogni istante lo stato di Buddità nella propria vita.
Se da una parte gli studiosi cinesi del Sutra del Loto come T'ien-t'ai portarono alla luce aspetti importanti della dottrina buddista come, appunto, i tremila regni in un singolo istante di vita o il mutuo possesso dei dieci mondi, «i loro commenti - afferma Daisaku Ikeda - non avevano messo in luce il significato sottostante o l'intento del Sutra del Loto» (Prefazione alla Raccolta degli insegnamenti orali, BS, 108, 42).
«Il Buddismo tradizionalmente utilizza tre approcci all'interpretazione delle proprie scritture - afferma ancora Ikeda - esaminandole prima dal punto di vista delle parole del testo, poi da quello delle idee o dei principi che le parole trasmettono, e infine da quello del significato sottostante o dell'intento dell'opera» (Ibidem).
È grazie a Nichiren Daishonin che il Sutra del Loto può essere letto nel suo intento più profondo: risvegliare gli esseri viventi al fatto che essi stessi sono entità della Legge mistica, della Buddità, e rendere accessibile l'immenso potenziale umano racchiuso dentro la vita.
Sulla base dei suoi studi il Daishonin non si limitò a formulare teorie, ma risvegliatosi alla sua missione dopo aver letto con la sua stessa vita ogni carattere del Sutra del Loto, istituì la pratica della recitazione di Nam-myoho-renge-kyo e iscrisse il Gohonzon per permettere a tutti di conseguire l'Illuminazione.
«Nelle sue lezioni - scrive Ikeda - Nichiren rivelò che il significato o il cuore del sutra è Nam-myoho-renge-kyo, e spiegò l'intero sutra da questo punto di vista. È un'interpretazione che si basa sulla sua osservazione della mente, o sull'intima verità implicita nel testo, e costituisce una filosofia di grande profondità. Nichiren in questo modo infuse nuova vita nel Sutra del Loto» (Ibidem).
Le lezioni di cui parla Ikeda sono lezioni che il Daishonin impartì ai suoi discepoli, attraverso le quali rivela il significato celato in alcuni brani che alla luce della sua Illuminazione ben conosceva, e che i precedenti studiosi del sutra non avevano messo pienamente in luce.
Trascritte successivamente da Nikko Shonin, uno dei suoi più fidati discepoli, e approvate dal Daishonin nel 1278 queste lezioni, note come Ongi kuden (Raccolta degli insegnamenti orali) sono un prezioso strumento guida per comprendere i profondi insegnamenti "celati nelle profondità" del Buddismo.
A tal proposito Ikeda afferma: «Per far rivivere lo spirito del Sutra del Loto il Daishonin, nella sua infinita compassione, spiega esattamente come devono essere interpretati i brani del sutra. Si può dire che questa lettura profonda sia "l'interpretazione illuminata del Daishonin". Non è una semplice spiegazione teorica del sutra, ma il modo di leggerlo di chi ha compreso che lo spirito del testo è la salvezza di tutte le persone che vivono la realtà di questo mondo. In altre parole è un'interpretazione attiva, pragmatica, un'interpretazione dell'essere umano, della sua natura, della sua vita. Non si tratta di semplice conoscenza ma di grande saggezza, aperta coraggiosamente e correttamente ai tempi e alla realtà. "Celato nelle profondità" potrebbe dar l'impressione di qualcosa di segreto, vietato alla maggioranza delle persone. Al contrario l'autentico valore del Buddismo "celato nelle profondità" sta proprio nella sua apertura a tutti gli esseri umani» (D.Ikeda, I capitoli Hoben e Juryo, Esperia, p. 8).

L'intima verità vive tutt'oggi
L'atteggiamento di studio e riflessione profonda sul sutra è giunto intatto fino ai giorni nostri. Durante il secondo conflitto mondiale, mentre si trovava in prigione Josei Toda decise di recitare Daimoku e leggere il testo del Sutra del Loto fino a risvegliarsi al suo profondo significato.
Rinchiuso nella sua piccola cella si imbatté in un passo del Sutra degli innumerevoli significati dove Shakyamuni descrive l'aspetto fisico del Budda, "il corpo del Budda", attraverso trentaquattro negazioni:

Il suo corpo non è esistente né non esistente,
non è causato né condizionato, non è sé né altro da sé,
non è quadrato né rotondo, non è corto né lungo,
non appare né scompare, non è nato né si è estinto,
non è creato né emanato, non è fatto né prodotto,
non è seduto né disteso, non è in cammino né fermo,
non si muove né si volta, non è indolente né immobile,
non avanza né si ritira, non è sicuro né in pericolo,
non è giusto né sbagliato, non guadagna né perde,
non è questo né quello, non va né viene,
non è blu né giallo, non è rosso né bianco,
non è cremisi né viola, né di nessun altro colore
(Sutra degli innumerevoli significati).

«Toda sentiva che, per riuscire a comprendere il significato di quei dodici versi oscuri, - si legge ne La rivoluzione umana - era prima di tutto necessario attribuire al termine "corpo" il significato corretto. Continuò a recitare Daimoku, sforzandosi in ogni modo di avvicinarsi al significato autentico della parola. [...] Ormai aveva perso del tutto la cognizione del tempo e quasi non ricordava dove fosse. Fu all'improvviso. La parola "vita" attraversò la sua mente in un lampo» (La rivoluzione umana, vol. 4, p. 9).
Il Budda è la vita: questa sua intuizione fu il punto di partenza per far rivivere tra i contemporanei il Sutra del Loto che rischiava di essere considerata "un'antica scrittura del passato".
Una volta uscito di prigione Toda decise di cominciare una serie di lezioni sul Sutra del Loto, convinto nel profondo del cuore che il peggior nemico dell'umanità fosse rappresentato dall'ignoranza in materia religiosa. Egli spiegava attentamente ogni frase del sutra dal punto di vista dell'Illuminazione del Daishonin.
A una di queste lezioni partecipò anche il giovane Ikeda, allora ventenne, che rimase affascinato nello scoprire quanto fosse profondo e attraente il Sutra del Loto e come fosse in grado di dare una risposta soddisfacente ai quesiti fondamentali dell'esistenza: che cosa è un essere umano? Per quale motivo viviamo?
Nel 1962 Ikeda iniziò anch'egli una serie di lezioni basate sull'Ongi kuden rivolte ai giovani della Soka Gakkai che studiavano all'università; voleva rendere accessibile la profonda filosofia di Nichiren e formare i futuri leader del movimento per la pace portato avanti dalla Gakkai.
In seguito fece della "saggezza del Sutra del Loto" la base di una serie di dialoghi pubblicati in varie lingue che prendono in esame i profondi significati del sutra attraverso un'interpretazione attuale e concreta. Un testo che rivela come il messaggio del Sutra del Loto rappresenti un insegnamento chiave per aprire nuove prospettive al genere umano all'alba del terzo millennio.
Il professor George Tanabe, che dirige la facoltà di Scienze religiose dell'Università delle Hawai, ha dichiarato che il Sutra del Loto, in quanto dottrina dell'universale e dell'eterno, occupa un posto di spicco negli scritti buddisti perché «è riuscito a parlare a tante persone superando le differenze di luogo, cultura ed epoca» (citato in D. Ikeda, La saggezza del Sutra del Loto, Esperia, 2012, vol. 1, p. 12; nuova edizione, vedi recensione p. 41).
Nel corso dei secoli, durante periodi di intensi conflitti spirituali e sociali, il Sutra del Loto ha rappresentato una sorta di vessillo comune attorno al quale molte persone si sono riunite per comprenderne il senso profondo e l'applicabilità nella vita secolare.
Una tradizione che da un certo punto di vista vive tutt'oggi. Ogni mese milioni di persone si incontrano in piccoli gruppi sparsi in tutto il mondo ripercorrendo le stesse orme dei predecessori: studiano il Buddismo, ne comprendono i principi, li sperimentano nella propria vita e li trasmettono agli altri. Gli zadankai rappresentano la forma moderna di questa intima verità descritta nel Sutra del Loto: la salvezza di tutto il genere umano.

&nbsp;

L'intima verità tra le righe

Cosa si racconta nel Sutra del Loto? Che significato hanno gli eventi e i personaggi rappresentati? La narrazione si snoda attraverso episodi prodigiosi, parabole e similitudini, quasi come in un romanzo fantasy, perché il Sutra del Loto contiene la rivelazione della realtà di tutte le cose vista con gli occhi del Budda, realtà che non può essere compresa attraverso la sola intelligenza razionale

di Laura Barbieri

Non esiste un'unica versione del Sutra del Loto, e non è neanche possibile datarne con certezza il primo testo scritto e sapere in quale lingua fu redatto. In India e in Asia centrale sono stati ritrovati vari manoscritti del sutra in sanscrito e in altre lingue di quell'area, ma la versione più popolare del Sutra del Loto in Estremo Oriente, la più letta, recitata e conosciuta, è quella tradotta dal sanscrito in cinese da Kumarajiva (vedi Omaggio, p. 35) nel 406: il Sutra del Loto della Legge meravigliosa (Miao-fa-lien-hua-ching in cinese, Myoho-renge-kyo in giapponese), suddiviso in ventotto capitoli raccolti in otto volumi.
Questo è il testo che lesse Nichiren Daishonin e al quale ci riferiamo in queste pagine.

La trama
Come in una rappresentazione teatrale, il sutra si apre introducendo i personaggi nel luogo in cui avverrà l'azione. La scena, per i primi dieci capitoli, si svolge sul Picco dell'Aquila (in sanscrito Gridhrakuta), una piccola collina che si trova a nord dell'antica città indiana di Rajagriha, la capitale del Magadha, dove si dice che Shakyamuni abbia predicato per gli ultimi otto anni della sua vita.
Il Budda espone il suo insegnamento a un'assemblea che viene presentata in quest'ordine: dodicimila monaci, duemila ascoltatori della voce, la zia di Shakyamuni, la moglie di Shakyamuni e diverse migliaia delle rispettive seguaci, ottomila bodhisattva, i re e i figli del cielo dei vari regni celesti, i quattro grandi Re celesti e il re Brahma con i loro ottantamila seguaci, otto re draghi con i loro seguaci, quattro re kimnara, gandharva, asura e garuda1 con i loro rispettivi seguaci e il re Ajatashatru con il suo seguito.
L'assemblea riunita per ascoltare la predicazione del sutra è nell'ordine di diverse centinaia di migliaia di esseri, anche non umani, perché il Sutra del Loto è dedicato alla salvezza di tutte le creature viventi.
Sono presenti anche divinità venerate in diverse località dell'antica India prima della nascita del Buddismo, dato che questo insegnamento non considera gli dèi come entità esterne che governano gli individui ma come funzioni inerenti alla vita umana e all'universo.
Infine ascoltano insieme il sutra, un insegnamento di pace e di uguaglianza, anche nemici irriducibili come le divinità celesti e gli asura o come i draghi e i garuda.
Intanto Shakyamuni, immerso in meditazione, provoca una serie di fenomeni straordinari. Sull'intera assemblea cade una pioggia di fiori e la terra si scuote tremando in sei modi diversi, provocando una grande gioia in tutti i presenti. Poi il Budda emette un raggio di luce dalla fronte e illumina diciottomila terre a oriente: ciascuno dei mondi illuminati dalla luce del Budda viene descritto dettagliatamente, come in una successione di inquadrature cinematografiche.
Nell'undicesimo capitolo la scena, che occupa già l'intero universo, diventa ancora più strabiliante con l'apparizione di una Torre preziosa alta quasi la metà del diametro della Terra. La Torre si libra nell'aria adornata con oggetti preziosi di ogni genere, ha cinquemila balaustre, diecimila nicchie ed è decorata da innumerevoli vessilli e stendardi intessuti di oro, argento, lapislazzuli, madreperla, agata, perla e cornalina. Shakyamuni allora purifica l'ambiente circostante fino a formare un'unica e magnifica terra che accoglie i Budda provenienti dalle dieci direzioni dell'universo e poi apre la Torre preziosa, all'interno della quale appare il Budda Molti Tesori che gli offre la metà del suo seggio. Infine solleva in aria l'intera assemblea, così che tutti si trovino al suo stesso livello, e quindi ha inizio la Cerimonia nell'aria.
Shakyamuni esorta tutti i presenti a propagare il sutra nell'epoca malvagia dopo la sua morte, e gli innumerevoli bodhisattva fanno voto di realizzare la volontà del Budda, ma lui chiarisce che esistono già i discepoli che porteranno a compimento questa missione. Allora la terra trema e si apre, e dal suolo emergono i Bodhisattva della Terra, in numero pari ai granelli di sabbia di sessantamila fiumi Gange, tutti con il proprio seguito di discepoli. Hanno il corpo dorato e recano i trentadue segni che permettono di riconoscere un Budda. La loro apparizione segna l'inizio dell'insegnamento originale del sutra. Shakyamuni trasmette espressamente l'essenza del sutra ai Bodhisattva della Terra, guidati dal Bodhisattva Pratiche Superiori, affidando loro il compito della sua propagazione nell'Ultimo giorno della Legge.
Poco dopo, sempre nel corso della Cerimonia nell'aria, Shakyamuni fa la sua rivelazione fondamentale: dichiara di aver ottenuto l'Illuminazione originale non in quella vita ma in un passato lontano tanti kalpa quanto le particelle di polvere di infiniti mondi.
Infine la cerimonia, che si è svolta in dodici capitoli, ha termine con il ritorno nel proprio luogo d'origine di tutte le emanazioni di Shakyamuni e della Torre preziosa, e la scena riprende a svolgersi sul Picco dell'Aquila.

Il significato
Com'è evidente, nel Sutra del Loto l'elemento meraviglioso ha un ruolo dominante. I personaggi storici e quelli leggendari si mescolano continuamente, dando vita a eventi prodigiosi che sorprendono il lettore. La narrazione si snoda attraverso episodi fantastici, parabole e similitudini. Ogni luogo, evento e personaggio, anche se immaginario, è descritto minuziosamente.
Dal punto di vista logico e razionale tutto ciò ha il sapore di una favola, di un romanzo fantasy. Invece il Sutra del Loto contiene la rivelazione della realtà di tutte le cose vista attraverso lo sguardo del Budda, cerca di trasmettere al lettore quella componente della realtà che non è definibile e definita, che sfugge alla logica, che non può essere compresa dalla sola razionalità.
Attraverso gli eventi soprannaturali, il Sutra del Loto trasmette a chi lo legge l'idea del potere e della gloria del Budda. Dai riferimenti alla durata della sua vita si comprende che il Budda è eterno ed è sempre presente. Nel sutra si afferma che non vi è distinzione fra Shakyamuni e le persone comuni, quindi il Sutra del Loto trasmette il messaggio che ognuno è sempre stato e sarà eternamente un Budda.
Un altro aspetto particolare del Sutra del Loto è il fatto di voler stimolare nei lettori e negli ascoltatori fede e devozione verso il Budda e verso il sutra stesso, che è degno di rispetto quanto il Budda in persona. Questo sutra promuove la sua diffusione descrivendo gli effetti meravigliosi di cui beneficia chi lo recita per intero, in parte, o anche solo ne ripete il titolo più volte al giorno. In generale il Sutra del Loto attribuisce un valore enorme a qualsiasi atto di fede e devozione.
Scrive Daisaku Ikeda: «Il Sutra del Loto è un testo sorprendente. Ci dice quanto sia profonda e infinita la saggezza del Budda, che la sua Illuminazione non può essere compresa con l'intelletto e non può essere espressa a parole; d'altro canto dichiara che lo scopo dell'avvento del Budda è di rendere la sua saggezza e la sua Illuminazione accessibili a tutti gli esseri. Dichiara che questo è il vero motivo per cui è stato esposto e che tutti coloro che lo ascoltano conseguiranno senza dubbio la Buddità; afferma più volte che, anche dopo la morte del Budda, una persona che ascolta il Sutra del Loto e imprime nella mente anche una singola frase otterrà sicuramente la Buddità».2 Dato che la vera realtà di tutti i fenomeni sfugge al linguaggio e alla possibilità di essere comunicata, per suggerire ciò che non può essere trasformato in parole e concetti il Budda fa uso di un linguaggio allusivo e simbolico. «Io - afferma il Budda nel Sutra del Loto - rivelo la dottrina attraverso svariate centinaia di migliaia di abilità nei mezzi salvifici».3
Il Sutra del Loto dedica alcune fra le sue pagine più belle a questa capacità del Budda di scegliere l'insegnamento più adatto a ciascuno e l'azione che è opportuno suggerire o compiere nelle diverse circostanze. Il Budda è animato da un unico scopo: «All'inizio ho fatto il voto di rendere tutte le persone uguali a me, senza alcuna distinzione fra noi» (SDL, 45), in base al quale, con saggezza e compassione, sceglie in ogni momento e per ogni persona l'azione o le parole più adatte per risvegliare la sua natura di Budda.
La grande varietà degli insegnamenti del Budda è quindi unificata dallo scopo finale a cui mirano: aprire, mostrare, risvegliare tutti gli esseri viventi alla presenza della natura di Budda nella vita. Da questo punto di vista il Sutra del Loto si propone come un messaggio universale, l'insegnamento fondamentale del Budda che unifica tutti gli insegnamenti frammentari e attribuisce loro la giusta posizione all'interno del tutto.
Il Sutra del Loto è poi una dichiarazione rivoluzionaria di uguaglianza fra tutti gli esseri umani, di ogni condizione e genere, e supera tutte le discriminazioni, le distinzioni, le esclusioni che erano presenti negli insegnamenti precedenti. Una di queste riguardava le donne, che non potevano conseguire la Buddità, come anche le persone "dei due veicoli", vale a dire gli ascoltatori della voce e i risvegliati all'origine dipendente.
Nel Sutra del Loto compare il principio secondo cui ogni persona consegue la Buddità nella sua forma presente, perché la Buddità è una condizione della vita universale, quindi non si diventa dei Budda ma ci si risveglia alla presenza di tale condizione che è sempre esistita e sempre esisterà.
Il Sutra del Loto introduce questa novità, che rinnova completamente il Buddismo, mediante due personaggi dalle caratteristiche estreme, Devadatta e Ryunyo. Attraverso la loro storia si afferma che la Buddità si manifesta in ogni forma umana, nel più malvagio degli uomini e nella figlia di un drago, che il mondo di Budda esiste in tutto ciò che vive, senza alcuna eccezione. Di conseguenza, ogni discriminazione è priva di legittimità e di consistenza.
Il Sutra del Loto, nel suo modo coloratissimo e iperbolico, propone un insegnamento tuttora valido, dei principi che attendono ancora una piena realizzazione.
«Il Sutra del Loto - scrive Daisaku Ikeda - insegna il "tesoro nascosto del cuore", che è vasto come l'intero universo e dissipa ogni senso d'impotenza, ci mostra un modo di vivere energico nel quale possiamo respirare l'immensa vita dell'universo stesso. E insegna infine la grande avventura dell'autoriforma.
Il Sutra del Loto possiede l'ampiezza e la capacità di abbracciare tutte le persone sul cammino della pace. Ci conduce verso uno stato vitale dotato di "eternità, felicità, vero io e purezza" così che, ovunque siamo, possiamo dire: "Questa, la mia terra, rimane salva e illesa".
Nel Sutra del Loto c'è il dramma della lotta del bene contro il male. Esso possiede il calore per confortare chi è triste e infonde coraggio per scacciare ogni paura. È libertà assoluta attraverso le tre esistenze. Vi si trovano luci splendenti, fiori, vegetazione, musica, immagini pittoresche, vivide scene; offre impareggiabili lezioni di psicologia, di vita, di felicità e di pace. Ci aiuta a mantenere una buona salute psicofisica. Ci risveglia alla verità universale che un cambiamento interiore può trasformare ogni cosa.
Non è l'arido deserto dell'individualismo, né la prigione del totalitarismo; esso ha il potere di far apparire la pura terra della compassione, in cui gli esseri umani possono rendersi completi e incoraggiarsi a vicenda. Nel Sutra del Loto troviamo un "umanesimo essenziale" in cui le persone sono il fine e lo scopo, nel quale l'essere umano è protagonista e sovrano».4

&nbsp;

Una assemblea universale

In prima persona

di Raffaella Mineo

Mi domando come mai dopo anni di pratica ancora non abbia mai letto il Sutra del Loto dall'inizio alla fine, ma solo, a volte, come un manuale d'uso. Ne parlo in giro e scopro che siamo in molti a non averlo letto "tutto d'un fiato".
Decido di leggerlo per prepararmi per questo articolo. Lo leggo da sola, a casa, solo con gli occhi.
Nella mia testa la domanda: riuscirò a sopravvivere alla noia mortale delle descrizioni lunghissime della parte in prosa e poi a tutte le ripetizioni della parte in versi? Devo, per correttezza, leggere anche l'introduzione e già lì penso che non finirò mai!
Altre domande mi tormentano: che senso ha il Sutra del Loto? Qual è il suo scopo?
Inizio finalmente il primo capitolo e come accade nei migliori romanzi vengo catturata dalle pagine, dalle parole e la storia infinita si dispiega ora intorno a me. Che meraviglia! Il miglior libro di fantascienza che abbia letto! Mi accorgo che sono sprofondata nella poltrona, comoda, ho spento il telefono e ho iniziato a leggere a voce alta, con intonazione, seguendo la punteggiatura: sto interpretando! La parte in versi non è una ripetizione della parte in prosa ma spesso ne è una spiegazione, con parole così belle e dolci che sorrido, mi commuovo, mi appassiono. Leggo con trasporto avvinta dalle storie delle parabole: in affanno per i figli del mercante nella casa in fiamme, serena tra le piante nel bosco sotto la pioggia delicata e rinfrescante, coinvolta nell'incitare al riconoscimento del proprio valore il figlio dell'uomo ricco che spalava letame pensando di non poter meritare di più.
Mi ritrovo nell'aria con una moltitudine di esseri e fatico a immaginarli tutti! E ne arrivano ancora da ogni direzione possibile ma anche da ogni direzione impossibile! Eppure il via vai di questa folla infinita è cosi ordinato che non mi disorienta; neanche la diversità degli esseri che vi partecipano mi turba. In questo bailamme mi sento felice e a mio agio! Il tempo e lo spazio descritti con parole difficili (asamkhya kalpa) e con numeri impossibili da calcolare («cinquecentodiecimila milioni di terre») non mi impressionano, anzi, mi diverto a perdermi perché Shakyamuni poi sempre mi ritrova con le sue parole incoraggianti! E dolcemente mi riporta al qui e ora!
La gioia che provo è infinita, leggo tutto con avidità. Non lo so spiegare, ma da quei capitoli mi sento così tanto incoraggiata che mi sembra impossibile non averlo mai letto prima.
Ora comprendo il senso e lo scopo di questo testo e lo posso attualizzare.
Mi arricchisco delle spiegazioni di Nichiren, Makiguchi, Toda e Ikeda, e ora vedo e imparo un nuovo modo di stare nel mondo.
Imparo a non temere la diversità perché ho conosciuto bodhisattva, mahasattva, esseri celesti, draghi, kimnara, gandharva e garuda.
Imparo il rispetto perché l'ho visto in ogni pensiero, parola e azione di ogni essere presente nel sutra.
Imparo l'accoglienza delle persone e degli eventi. «Liberamente hanno scelto il luogo dove nascere [...] per potervi diffondere la Legge suprema» (SDL, 210).
Imparo la tenerezza: «Persone che copiano, sostengono, leggono e recitano il sutra dimorano nello stesso luogo del Tathagata e questi gli accarezza la testa» (SDL, 212).
Imparo la semplicità: «Se desideri liberarti dall'indolenza e dalla pigrizia, devi ascoltare questo sutra» (SDL, 215).
Imparo la contentezza: «Quando Ananda al cospetto del Budda udì la predizione a lui rivolta, tutto quello che si era prefisso fu realizzato e la sua mente si riempì di una grande gioia» (SDL, 202).
Imparo l'apertura mentale che libera dai pregiudizi: «La fanciulla drago divenne Budda e il bodhisattva Accumulo di saggezza, Shariputra e tutti gli altri membri dell'assemblea tacitamente cedettero a queste cose e le accettarono» (SDL, 246).
Imparo a sorridere, di nuovo, meglio, di più. Ritorno alla realtà, alla mia di questo momento, non segnata dai kalpa ma dal minuto, secondo di vita qui, non a dieci milioni di mondi a est ma qui, in questo metro quadrato, e mi rendo conto che c'è più aria, più luce, che le persone e gli esseri attorno a me sono tutti veramente e diversamente preziosi e ognuno esplica la sua funzione, la riconosco! Mi rilasso e sorrido.
Cambiano le mie domande. Che senso ha il mio essere "devota del Sutra del Loto"? Quale è il mio scopo come praticante buddista?
Ora sono orientate nell'attualità più vera.
Mai una parola di rimprovero in tutto il testo, solo lodi e incoraggiamenti. Anche il cattivo di turno, Devadatta, viene lodato e gli viene predetta la Buddità, si chiamerà Tathagata Re del Cielo perché in un'altra vita ha sostenuto Shakyamuni. Io, invece, giudico, punto il dito, alzo muri per difendermi o per non offendere, muri che comunque mi impediscono di vedere che chiunque mi fa soffrire, mi offende, mi fa del male, tuttavia, se mi fa andare davanti al Gohonzon a recitare anche un solo Daimoku per trasformare la relazione, è un buon amico; quei muri mi impediscono di vedere anche me stessa e le mie potenzialità. Imparo da Ryunyo, la fanciulla drago, a manifestare le mie capacità in modo semplice e senza paura di essere giudicata.
Mi chiedo anche quanto lodo i compagni di fede, gli amici, me stessa.
Ma non mi basta, c'è altro, voglio approfondire ancora altri argomenti e voglio vedere come collegare questo testo di secoli fa a oggi, capire come calare me stessa in uno scritto così antico e trovare soluzioni giuste per questo momento.
Approfondisco la relazione tra il sutra e grandi temi di attualità: l'ecologia con i problemi di distruzione dell'ecosistema e l'inquinamento; l'economia, la povertà e la migrazione di popoli; il (non) rispetto per tutte le forme di vita e lo sfruttamento degli animali. Recito Daimoku, leggo articoli, recito Daimoku, faccio ricerche, recito Daimoku. [«Ora dovete far scaturire il potere della fede, ed esercitare la pazienza e la bontà» (SDL, 287)].
Finalmente io e il sutra ci incontriamo dove spazio e tempo non esistono più, non c'è il moderno e l'antico, qui e lì. Arrivano le risposte, una legata a un'altra... tutti i principi fondamentali che tanto ho studiato in passato ora mi tornano alla mente e la placano. Ora so cosa fare e come farlo.
Inizio da me. Di nuovo. Come insegna Sensei, come ho imparato da Shakyamuni nel sutra. Inizio dal piccolo, dalle cose vicine e semplici come la raccolta differenziata seria, la spesa consapevole, l'uso più frequente del mezzo pubblico, il risparmio di acqua, luce e gas, l'uso parsimonioso dell'aria condizionata... Potrei continuare all'infinito!
Mi viene alla mente il principio di origine dipendente, engi. Voglio stare attenta, più attenta, alle scelte che opero nella mia vita.
Per approfondire ulteriormente rileggo La saggezza del Sutra del Loto e senza fatica comprendo, conosco e riconosco le frasi, i riferimenti, i collegamenti, e nel dialogo tra Sensei, Suda, Endo e Saito mi sembra di esserci anch'io!

&nbsp;

Un nuovo modo di stare nel mondo

SUL CAPITOLO INTRODUZIONE - Tutto quello che leggiamo e studiamo per accrescere la nostra fede si fonda su un accordo di voce e compassione: a partire dal Sutra del Loto, trascrizione postuma dei discorsi del Budda, alle lettere inviate da Nichiren Daishonin per rafforzare la convinzione dei suoi discepoli, alle guide del presidente Ikeda, alle stesse parole di incoraggiamento ascoltate in una casa o in un consiglio personale

di Roberto Carvelli

Il Buddismo si fonda su un atto di trasmissione. C'è un voto, un unico grande voto, quello della propagazione che fa un fedele. Io, noi, ognuno di noi e insieme. Nessuno di noi risparmierà la propria vita. «Senza negligenza né pigrizia» loderemo la Legge e la faremo conoscere agli altri. Tutto parte da qui. All'inizio di tutto, per avvalorare questa scelta, c'è un'attestazione di ascolto e un atto di parola. «Così io ho udito», la frase che apre il Sutra del Loto, rimanda da subito a una sintesi della fede. Vuol dire che il parlante e l'ascoltatore coincidono e accendono con questa simultaneità la diffusione della Legge. Sarebbe stato tutto diverso se il sutra avesse preso le mosse da un «Così io ho visto». Per il nostro pensiero occidentale, che fa nascere dall'atto del vedere due parole concettuali come "teoria" e "idea" (due etimologie da due diversi verbi greci della visione), forse tutto sarebbe stato più consueto e naturale. Ma facciamo un passo indietro.
Che relazione c'è tra un buddista e quell'insieme di caratteri che compongono il Sutra del Loto? In che misura si può considerare la scrittura di riferimento? Il Buddismo non è una religione del libro ma della fede e dell'azione. Anche le parole che usa, le usa nella direzione di un fare. Così ho udito significa «è così», «ci credo», «farò in questo modo», «mi fido (ciecamente)». E non c'è un altrimenti. La Legge ascoltata, tenuta a mente e custodita, nel sutra viene rivelata: chi l'ha ascoltata e l'ascolta crede e agisce per confermarne il valore. Credere è da subito trasmettere.
Il Sutra del Loto è, per semplificare e prima di ogni altra cosa, un lungo atto comunicativo della verità della Legge. Una ripetizione continua, ritualizzata, allusa - come scrive Burton Watson nella introduzione citando George Tanabe - «un discorso che non viene mai pronunciato» (SDL, XVIII) ma non certo per inconcludenza quanto per stimolare lo spirito di ricerca, una suspance che fa montare in chi ne ascolta il lungo discorso la voglia di attingere al segreto semplice della Vita.
Una rivelazione raccontata e recitata. Prosa e lirica: come in un grande musical dove prima viene narrata una storia e poi cantata in versi. Con il doppio efficace risultato dell'utile ripetizione di una vicenda appassionante e dell'ammaliante salmodia, del canto. Ma che tipo di atto comunicativo è quello della trasmissione? E se la parola nel Buddismo è fondamentale, in che modo lo è? La parola, ad esempio, non può spiegare la Legge («La misteriosa natura della nostra vita [...] che le parole non possono esprimere» (RSND, 1, 5) ci ricorda Nichiren Daishonin in Il conseguimento della Buddità in questa esistenza. Eppure, come si legge nella Raccolta degli insegnamenti orali, «kyo rappresenta le voci e le parole di tutti gli esseri viventi. Un commentario dice: "La voce compie il lavoro del Budda, ed è chiamata kyo"» (BS, 109, 41). Il nostro Nam-myoho-renge-kyo è, insomma, sonoro ed è la voce del Budda. Voce che deve risuonare e che deve trasmettersi agli altri in una doppia celebrazione della Legge. Senza la voce la nostra pratica sarebbe solo meditativa. Intrasmissibile. E se è vero che la Legge non può essere spiegata a parole, deve essere detta, declamata per essere. Per non essere solo intuizione o astrazione. Nella Saggezza del Sutra del Loto Daisaku Ikeda, parlando del capitolo ventiquattresimo del sutra Il bodhisattva Suono Meraviglioso scrive: «Il suono e il ritmo delle parole hanno un potere più grande del loro significato. Le parole hanno davvero vita. La voce più di ogni altra cosa manifesta la propria forza vitale» (Mondadori, vol. 4, p. 182). Questo spiega il perché nel Sutra del Loto, oltre a una pioggia di luce e profumi che inondano le pagine, i due sensi dell'atto comunicativo abbiano grande spazio. Quasi a completare il doppio accordo della trasmissione, un altro capitolo, il venticinquesimo, si intitola Il bodhisattva Percettore dei Suoni del Mondo. Sembra un titolo da fantascienza, eppure persino l'universo rivela agli studiosi moderni un suo suono. Noi che abbiamo sempre pensato allo spazio come a un luogo luminoso ma muto, lo scopriamo risonante. Gli scienziati, tra cui la fisica e astronoma Janna Levin, hanno rivelato una composizione sonica, il ritmo quasi di un tamburo, che segnala eventi del cosmo come i buchi neri. La NASA, attraverso le antenne Plasma Wave che, montate su diverse sonde spaziali, catturano le onde elettromagnetiche comprese tra le frequenze 20-20.000 Hz, è riuscita a percepire i suoni emessi dalla Terra, dalla Luna, da Saturno, Giove, Nettuno e dai satelliti Io (di Giove) e Miranda (di Urano). L'universo ha, insomma, una sua voce ed è incredibile che questa evidenza sia stata anticipata di duemilacinquecento anni senza la stessa complessità scientifica di oggi. Il modo in cui recitiamo Nam-myoho-renge-kyo non può non avere questa prospettiva: una risonanza della propria voce in accordo con una voce che risuona contemporaneamente nell'universo. Qualcosa che fa pensare alla sequenza di suoni di Incontri ravvicinati del terzo tipo o al cosiddetto "orecchio assoluto", termine con cui si intende la capacità rara di identificare una nota musicale, avendola ascoltata anche una sola volta, senza l'ausilio di un suono di riferimento per determinarne la frequenza. La preghiera stessa, che è voce, deve essere dinamica, deve chiamare la Legge della Vita e deve essere consapevole di questa forza grandiosa per poter mettere a fuoco un benessere più immediato e piccolo dentro una potenzialità cosmica che era già stata intuita migliaia di anni fa. Se una voce riesce ad accordarsi al suono dell'universo, come non potrà farlo con cose che ne rappresentano un semplice riverbero?
Tutta la nostra pratica, quella di tutti i giorni, si muove tra due azioni: ascoltare e trasmettere, sentire la sofferenza degli altri e incoraggiarli. Azioni che Ikeda spinge a incentrare sul cuore, su una voce risuonante di fede e non su frasi per quanto sagge o condivisibili: «La religione non è precedente alla preghiera; la preghiera è nata prima» (Ibidem, p. 215). Noi non ci diciamo buddisti, come ci si dice juventini, o velisti, vegetariani o filosofi o celiaci o cardiopatici. Noi siamo Budda che invocano la Legge e agiscono in accordo con essa. Le voci, come spiega il Sutra del Loto, devono essere «chiare e pure [...] soavi e gentili»; l'esposizione «buona all'inizio, buona nel mezzo, buona alla fine»; il significato «profondo e molto vasto, le parole efficaci e mirabili» (capitolo Introduzione, SDL, 16). Tutto quello che leggiamo e studiamo per accrescere la nostra fede si fonda su questo accordo di voce e compassione, in ascolto e in trasmissione. Accade nel Sutra del Loto, che è la trascrizione dei discorsi orali del Budda fatta dai suoi discepoli. Nella maggior parte delle scritture di Nichiren Daishonin: parole di incoraggiamento scritte per lettera ai discepoli. In gran parte delle parole di Daisaku Ikeda su cui ci siamo consolidati nella fede: pronunciate in discorsi ai fedeli durante riunioni. Persino gran parte della nostra crescita è dovuta a qualche parola ascoltata in una riunione in una casa o in un consiglio personale di fede. Tutto quello che di buono ci è accaduto, dal punto di vista della fede, è avvenuto a voce. Recitando, innanzitutto, con voce risonante Daimoku, e incoraggiandoci cuore a cuore. È per questo motivo che anche oggi rinnoviamo la promessa, il grande voto di essere per noi e per gli altri la voce che compie il lavoro del Budda.

&nbsp;

Così io ho udito

di Alessandra Chirivino

Perché noi che pratichiamo il Buddismo di Nichiren Daishonin leggiamo due volte al giorno due capitoli del Sutra del Loto e perché proprio i capitoli Espedienti (giapp. Hoben) e Durata della vita del Tathagata (giapp. Juryo)? Provo a ripercorrere alcune tappe della mia esperienza di fede guidata dalle risposte dei miei maestri.

Nichiren Daishonin: «[...] benché nessun capitolo del Sutra del Loto sia trascurabile, fra i ventotto capitoli, i capitoli Espedienti e Durata della vita sono particolarmente importanti, tutti gli altri sono come loro rami e foglie. Ti consiglio quindi nella tua pratica giornaliera di leggere le parti in prosa dei capitoli Espedienti e Durata della vita. Inoltre puoi anche trascriverle. Gli altri ventisei capitoli sono come l'ombra che segue il corpo o come il valore contenuto in un gioiello. Se leggi i capitoli Espedienti e Durata della vita, tutti gli altri saranno inclusi anche senza leggerli» (La recitazione dei capitoli Espedienti e Durata della vita, RSND, 1, 63).

Mille sono le domande che mi sono posta sulla recitazione di Gongyo da quella prima riunione in cui mi spiegarono che la pratica del Buddismo sarebbe passata anche attraverso la lettura di una preghiera scritta in affascinanti ideogrammi la cui pronuncia appariva molto complicata. Sono una persona diligente e decisi di studiare il Sutra del Loto e approfondirne il significato. Passai del tempo a ritagliare le parole della traduzione del sutra e incollarle sotto ogni ideogramma del libretto, così da avere ben chiaro quello che dicevo.

Josei Toda: «Ci si potrebbe chiedere quanto sia efficace recitare il Sutra del Loto senza comprenderne il significato. [...] Anche se la maggior parte di noi fa Gongyo senza una chiara e precisa comprensione delle parole, la sua essenza si trova comunque nella profondità della nostra vita, nel regno dell'inconscio, dove possiamo afferrare il più profondo significato del Sutra del Loto» (Il Sutra del Loto. I capitoli Hoben e Juryo, Esperia 1991, p.18).

Naturalmente non avevo alcuna coscienza che da quel momento due volte al giorno avrei dichiarato l'intento di seguire il mio maestro nella non semplice strada di rendere felice me stessa e tutti gli altri esseri umani con cui sarei entrata in relazione durante la mia vita. In parole povere realizzare kosen-rufu. Forse se l'avessi capito subito ne sarei stata atterrita e certamente mi sarei sentita inadeguata. Ma la verità è che col tempo capiamo e soprattutto percepiamo sempre di più recitando Daimoku che questo desiderio risiede in tutti noi, solo che è sepolto da strati di abitudini, sofferenza ed egocentrismo. Fino a che non decidiamo di cambiare questa situazione, fino a che non è giunto il tempo (niji).

Daisaku Ikeda: «"A quel tempo" (niji) del capitolo Espedienti è il momento in cui il Budda dà inizio alla predicazione per salvare tutti gli esseri e in cui i discepoli sono pronti ad ascoltare il suo insegnamento. È l'attimo in cui i cuori dei discepoli sono in sintonia con il cuore del maestro, in cui maestro e discepoli si dedicano insieme alla felicità del genere umano» (Daisaku Ikeda, I capitoli Hoben e Juryo, Esperia, 2005, p. 18).

Ma presto la lettura di Gongyo fu abbreviata, il che portò in molti, compresa me, un sospiro di sollievo per quel tempo guadagnato alla vita quotidiana, e soprattutto significò conoscere per la prima volta la capacità della Soka Gakkai di cambiare le regole senza intaccare la sostanza della dottrina buddista, qualità quasi sconosciuta in molte organizzazioni, e che rivela una grande attenzione verso ogni singolo componente e le sue esigenze e una salda convinzione dei principi di base su cui si fonda.

Nichiren Daishonin: «Abbracciare, leggere, recitare e trarre gioia da tutti gli otto volumi e ventotto capitoli del Sutra del Loto è la pratica estesa. Accettare, sostenere e proteggere i capitoli Espedienti e Durata della vita è la pratica abbreviata. Recitare semplicemente una strofa di quattro versi o il Daimoku e proteggere chi li recita è la pratica essenziale. Perciò tra queste tre pratiche - quella estesa, quella abbreviata e quella essenziale - il Daimoku rientra nella pratica essenziale» (Il Daimoku del Sutra del Loto, RSND, 1, 123).

La mia ricerca dura da dodici anni. Caparbiamente recito Gongyo mattina e sera cercando in quelle parole ormai familiari il senso dell'azione che sto facendo. A volte è faticoso, a volte sono stanca, sfiduciata, a volte vorrei risposte chiare nei nostri tempi umani. È lì che fare Gongyo diventa un precetto, un obbligo di cui non capisco il senso. Ma continuo a farlo, a volte per abitudine, senza molta convinzione. Questo sforzo costante e lo spirito di ricerca, che in alcuni momenti rasenta la testardaggine, mi porta a leggere il Sutra del Loto, a studiarlo, approfondirlo e recitarlo ad alta voce per sentirne il suono armonioso.
Scopro così che invece di un vecchio testo poco chiaro ho davanti la risposta a tutte le mie domande: ecco, è scritto qui, e Shakyamuni lo ha predicato molto tempo fa ma sembra dirlo proprio a me adesso, mi racconta gli episodi della mia vita in maniera chiara, leggera, facile da comprendere e piacevole da leggere. E mi dà la soluzione. Che scoperta!

Josei Toda: «Nel capitolo Hoben Shakyamuni comincia a rivelare la sua Illuminazione ai discepoli. Per la prima volta spiega che tutte le persone sono ugualmente in grado di ottenere la Buddità. Nel capitolo Juryo dichiara di aver raggiunto effettivamente la Buddità prima di questa vita nel lontano passato di gohyaku jintengo (un periodo inconcepibilmente lungo, n.d.r.). Con tale rivelazione mostra l'eterna natura di Budda inerente a tutti gli esseri umani. Nichiren Daishonin insegnò che Nam-myoho-renge-kyo è la Legge venerata da Shakyamuni per ottenere l'Illuminazione nel lontano passato di gohyaku jintengo. Recitando il capitolo Juryo noi lodiamo il grande potere di Nam-myoho-renge-kyo mentre con l'Hoben esprimiamo la convinzione che il potere di Nam-myoho-renge-kyo inerente alla nostra vita si manifesterà e ci condurrà alla Buddità. Con questa aspettativa in noi lodiamo la Legge suprema, Nam-myoho-renge-kyo» (Il Sutra del Loto. I capitoli Hoben e Juryo, Esperia 1991, p. 19).

Quindi deduco che le risposte che cerco sono contenute proprio nell'affidarsi, nel lasciarsi andare alla nostra natura di Budda. Allora il gioco è fatto, in questo modo possiamo "semplicemente" godere della recitazione di Gongyo e della vibrazione che fa partire una gioia intensa e infinita e che ci fa sentire a ritmo con le parole e con il significato di quello che pronunciamo.

Josei Toda: «La recitazione del sutra ci consente di lodare il Gohonzon con tutto il nostro essere. [...] Con la pratica di Gongyo possiamo sentire l'inesauribile forza vitale della Buddità che emerge dalla profondità di noi stessi» (Ibidem, p. 18).

Stasera sono seduta comodamente davanti al Gohonzon, come di fronte a una persona importante con cui ho un appuntamento che attendevo da tempo e per questo composta, concentrata ma soprattutto consapevole che non è necessaria la conoscenza per godere della gioia di recitare Gongyo. E così inizia al galoppo il viaggio interiore con la mia natura di Budda insieme al mio maestro, e non ho più bisogno di farmi domande.

Hoben e Juryo per mano a Josei Toda
Il cuore del Sutra del Loto è racchiuso in questi due capitoli, che si può dire contengano il messaggio centrale del sutra: l'asserzione che tutte le persone possono diventare Budda come Shakyamuni e l'interpretazione che chiarisce teoricamente questa possibilità, dando una esemplificazione del principio del mutuo possesso dei dieci mondi (cfr. Josei Toda, Il Sutra del Loto. I capitoli Hoben e Juryo, Esperia 1991, p. 18-19).
È nel secondo capitolo, Espedienti (Hoben), che Shakyamuni comincia a rivelare la sua Illuminazione ai discepoli e spiega per la prima volta che tutte le persone sono in grado di ottenere la Buddità. La parola hoben (giapp. mezzo, espediente) si riferisce al fatto che ciò che è stato insegnato negli anni che precedono la spiegazione del Sutra del Loto ha solo valore preparatorio, un "espediente" per condurre le persone al vero insegnamento, e anche che le attività svolte dai comuni mortali dei nove mondi non sono che i "mezzi" (hoben) con i quali esprimono la Buddità (cfr. op. cit. p. 19-20).
Nel capitolo sedicesimo, Durata della vita del Tathagata (Juryo), Shakyamuni dichiara di aver raggiunto la Buddità prima di questa vita, in un tempo incredibilmente lontano (gohyaku jintengo). Con tale rivelazione mostra l'eternità della natura di Budda inerente a tutti gli esseri umani: una condizione che non si trova in un tempo o luogo ideale, non appartiene all'esperienza esistenziale di una persona dalle qualità eccezionali, ma è inerente alla vita di tutti.
Nessuno aveva mai considerato la possibilità che Shakyamuni potesse essere stato un Budda prima di allora, e quando ottenne la Buddità tutti pensarono che l'avesse conseguita perché era una persona fuori dal comune. Invece, avendo vissuto in questo mondo alla ricerca della Via anche se già aveva ottenuto l'Illuminazione, Shakyamuni dimostra che non esiste differenza fra lui e tutti gli altri esseri umani (cfr. op. cit., p. 10-11). In altre parole, i nove mondi sono presenti anche nella vita di un illuminato. Ciò fa eco al principio rivelato nel capitolo Hoben secondo cui i comuni mortali dei nove mondi possiedono indistintamente il mondo di Buddità: la Buddità non può esistere separatamente dai nove mondi e viceversa, perché tutti e dieci sono sempre inerenti alla vita (cfr. op. cit. p. 23).
Toda fa riflettere sul fatto che entrambi i capitoli insegnano l'inseparabilità della Buddità e dei nove mondi, anche se la mostrano secondo differenti punti di vista. L'Hoben rivela che i nove mondi possiedono la Buddità (le persone comuni possono tutte conseguire la Buddità), mentre il Juryo dichiara che essi sono contenuti nella Buddità (il Budda ha tutte le caratteristiche del comune mortale). Inoltre l'Hoben mostra la Buddità come un potenziale presente nella vita delle persone, mentre il Juryo la descrive come una realtà manifesta nella persona di Shakyamuni (cfr. op. cit. p. 24). (mm)

&nbsp;

Finalmente adesso capisco

di Antonella D'Oriano

È difficile descrivere a parole un'esperienza che avviene dentro il tuo cuore. È un attimo, un clic in cui cambia qualcosa. In quel momento, se guardi fuori non c'è nulla che possa spiegare, giustificare, verificare un cambiamento. Eppure c'è.
Ultimi giorni del 2013 e non ho gran voglia di tirare le somme, di fare i conti tra passato e futuro. Mi sento sbagliata, avvinghiata alle mie tendenze oscure che non mi fanno vedere alternativa a quello stato vitale basso e immobile. Provo ad aprire il Sutra del Loto che da giorni viaggia con me. Un attimo prima penso che sarà un'azione completamente inutile, che non c'è proprio nulla al mondo capace di smuovermi da questa sensazione fastidiosa e scomoda, e soprattutto inopportuna in un periodo di feste e di buoni propositi. Avverto un vero e proprio combattimento interno, ma alla fine apro il libro e sento che è già accaduto qualcosa, ma non so ancora cosa. Poi lo sguardo si posa sulla scritta "IV. Fede e Comprensione" (il quarto capitolo, n.d.r.), e allora capisco cosa mi è accaduto. Ho avuto fede.
Nel momento più difficile, quello in cui le mie tendenze mi stavano tirando sempre più giù, ho sentito che volevo credere, anzi che stavo già credendo nella correttezza di quell'azione.
«A quel tempo - leggo - allorché gli uomini di innata saggezza Subhuti, Mahakatyayana, Mahakashyapa, Mahamaudgalyayana ebbero udito dal Budda una Legge mai udita prima, ed ebbero udito l'Onorato dal Mondo predire il conseguimento dell'anuttara-samyak-sambodhi (Illuminazione suprema e perfetta, n.d.r.) a Shariputra, i loro cuori si commossero come raramente accade ed esultarono di gioia» (SDL, 103). 
Nonostante non avessi la più pallida idea di chi fossero Subhuti, Mahakatyayana, Mahakashyapa, Mahamaudgalyayana, mi stavo commuovendo anch'io.
Questi personaggi affermano che per molto tempo erano rimasti seduti «col corpo affaticato e inerte, meditando unicamente sui concetti di vuoto e di assenza di forma e di azione. Ma - ammettono - la nostra mente non ha mai provato gioia» (SDL, 103-104).
E poi, cosa accade? A quel punto non posso più trattenermi dal continuare la lettura: «Abbiamo ottenuto una cosa senza precedenti. D'improvviso abbiamo potuto ascoltare una Legge che è molto raro incontrare, una cosa assolutamente inattesa, e ci consideriamo veramente fortunati. Abbiamo ricevuto un grandissimo beneficio, abbiamo ottenuto un gioiello inestimabile senza cercarlo» (SDL, 104). La Legge di cui parlano è Nam-myoho-renge-kyo, come esprime chiaramente Nichiren Daishonin nella Raccolta degli insegnamenti orali: «Nam-myoho-renge-kyo è ciò che è venuto a noi senza bisogno di cercarlo» (BS, 124, 52).
«E senza fatica o difficoltà - sottolinea - senza pratiche religiose o buone azioni, questo cumulo insuperato di gioielli può venire in nostro possesso grazie alla sola parola "fede". [...] Il cumulo viene in possesso di ogni singolo individuo nei dieci mondi» (BS, 111, 51-52).
In sintesi, noi tutti abbiamo ricevuto un dono straordinario senza nemmeno averlo cercato; questo strumento prezioso ci rende capaci di superare le sofferenze fondamentali [di nascita e morte] e ci permette di accedere a uno stato di gioia illimitata.
Spiega ancora il Daishonin che Nam-myoho-renge-kyo è il «mezzo fondamentale per "evadere" [dal regno di nascita e morte]», e in particolare «il mezzo che conduce a "evadere" è la mente che crede» (BS, 111, 48).
Il titolo di questo quarto capitolo del Sutra del Loto ci indica chiaramente i due aspetti fondamentali della pratica del Buddismo di Nichiren Daishonin: fede e comprensione. Per "fede" non si intende semplicemente avere fiducia, ma più profondamente «significa non avere dubbi» (BS, 111, 47).
Non avere alcun dubbio. Ciò non vuol dire che umanamente non ne possiamo avere, ma semplicemente che il dubbio inficia la costruzione di uno stato vitale di gioia illimitata. "Comprensione" significa "pratica", spiega poi Nichiren. Possiamo, quindi, comprendere questo sutra solo con la pratica: «Prima ci si libera dal dubbio, e perciò questo è chiamato "fede". Poi si prosegue intraprendendo [il sentiero della pratica], e questo è chiamato "comprensione". Perciò il sentiero della pratica è definito "comprensione"» (BS, 111, 48).
Ecco. È esattamente questo che dobbiamo fare: risolvere i dubbi e praticare costantemente. Solo così potremo sviluppare sempre di più quella «mente che crede» di cui parla Nichiren.
Avere una "mente che crede" significa percepire con tutti noi stessi che possediamo già dentro la nostra vita «questo cumulo insuperato di gioielli» (BS, 111, 47) e che l'unico vero ostacolo è il fatto che non lo sappiamo, o che semplicemente non lo crediamo. Possiamo, infatti, possedere questa ricchezza «grazie alla sola parola "fede"» (Ibidem). Il dubbio, quindi, è il vero ostacolo alla piena realizzazione della nostra vita. Così come il figlio dell'uomo ricco - di cui si narra in questo stesso capitolo - ha dovuto superare delle prove solo per percepire la ricchezza che in realtà è sempre stata sua, allo stesso modo noi tutti affrontiamo gli ostacoli che si presentano solo per sfidare quel dubbio e poter confermare nel profondo della nostra vita che non esiste nulla che non possiamo ottenere o raggiungere. Mi commuove scoprire che tutto quello che ho creduto di dovermi conquistare, di dovermi meritare con fatica, in realtà era già lì, già alla mia portata. Quella gioia senza limiti aspettava solo me.

&nbsp;

Con un cuore pieno di gioia

di Paola Zivelli

Rileggendo il Sutra del Loto come se fosse la prima volta, ho avuto la sensazione di nuotare nelle profondità immense di un oceano dove tutto è da scoprire e riscoprire, fonte di sensazioni, emozioni, immersioni, emersioni infinite. Dove potevo fermarmi? Alla fine ho scelto di approdare all'isola della "città fantasma". L'ho vissuta più volte questa parabola che per me, e penso per tanti, non è immaginazione ma rappresenta momenti e situazioni possibili, e finalmente ho compreso molto di ciò che, prima, non ero riuscita a interpretare quando mi chiedevo per quale motivo avessi vissuto alcune esperienze, cosa dovessi imparare da prove concrete e benefici apparentemente raggiunti e poi andati via.
«Supponiamo che, in un luogo deserto e selvaggio, veramente spaventoso, vi sia una strada lunga, ardua e pericolosa. E supponiamo che vi sia un numeroso gruppo di persone che voglia percorrere questa strada per raggiungere un luogo in cui sono custoditi preziosi tesori. Essi hanno una guida, dotata di vasta saggezza e acuta comprensione che è perfettamente a proprio agio su questa strada. [...] Il gruppo, dopo aver percorso un certo tratto di strada, comincia a scoraggiarsi, [...] lo interpella dicendo: "Siamo completamente esausti e pure spaventati, [...] preferiremmo tornare indietro". [...] La guida, un uomo dotato di molte risorse, pensa: "Che peccato che rinuncino ai molti rari tesori che stanno cercando", [...] ricorre al potere degli espedienti e fa apparire per incanto una città: "Non abbiate paura! Ora c'è una grande città ove potrete fermarvi per riposare e fare ciò che più vi piace, vi sentirete a vostro agio e vi sentirete tranquilli. Più tardi, se ve la sentirete di proseguire fino al luogo dei tesori, potrete lasciare la città". [...] A quel tempo la guida, intuendo che le persone si sono riposate e non sono più stanche e spaventate, fa sparire la città fantasma e dice al gruppo: "Ora dovete ripartire. Il luogo dei tesori non è lontano. La grande città di poco fa non era altro che un miraggio che ho evocato per farvi riposare". [...] Il Tathagata è in una situazione simile. Adesso si sta comportando per voi come quella guida. Egli sa che la brutta strada della nascita, della morte, delle illusioni e dei desideri è ripida, erta, difficile, lunga, smisurata ma deve essere percorsa, deve essere superata» (SDL, 174-176).
Rileggendo il capitolo ho ricevuto come un'illuminazione riguardo a quando quel qualcosa che si manifesta concretamente per gioire, riposarsi, smettere di soffrire, sentire che hai vinto, ringraziare ancora di più la tua vita, il Gohonzon stesso, a volte sparisce e ti sembra di aver perso. Non è così, ora so che non perdiamo niente, riceviamo anzi come beneficio quella rinnovata forza per andare avanti verso la vittoria assoluta, la terra dei tesori. Là dove la pratica ci porta.
Fondamentale qui, come afferma il sutra, è il ruolo della guida, il maestro. Scrive infatti Daisaku Ikeda: «Dopo aver compreso il legame tra maestro e discepolo attraverso il racconto della città fantasma, i discepoli di Shakyamuni [che avevano già conseguito lo stato di grande saggezza di ascoltatori della voce, n.d.r.] ritrovano il loro "desiderio originale", la loro missione. In questo modo entrano nella via della Buddità e ricevono la predizione dell'Illuminazione» (La saggezza del Sutra del Loto, Esperia, 2013, vol. 1, p. 350).
Ebbene, questo ho percepito e finalmente sentito nel cuore: ognuno di noi, in qualunque istante di vita, se ne ha bisogno può far apparire la sua città fantasma, per poi riprendere il cammino, ricominciando da se stesso e dalle sue preghiere grazie all'interrelazione, al legame con i maestri e i compagni di fede, grazie alla certezza che non solo possiamo rialzarci da soli ma c'è sempre qualcuno che sta recitando Daimoku per noi.
In questo processo comprendiamo che in realtà non abbiamo bisogno di attaccarci ad alcuna "città fantasma" perché percepiamo, come ha detto il Daishonin, che «la città fantasma è identica alla terra dei tesori, il luogo in cui i tesori devono essere trovati. In realtà, quando Nichiren e i suoi seguaci recitano Nam-myoho-renge-kyo, si stanno illuminando al fatto che il nostro corpo e la nostra mente sono la Legge meravigliosa stessa, vale a dire, che la città fantasma è identica alla terra dei tesori. [...] La singola parola "identica" simbolizza Nam-myoho-renge-kyo» (in La raccolta degli insegnamenti orali, BS, 112, 55).
Tutto è già pronto dentro di noi, i nostri sforzi sono la terra dei tesori, un passo dopo l'altro. Dunque alla luce di Nam-myoho-renge-kyo «ogni istante di vita nella città fantasma è un istante di vita nella terra dei tesori».

&nbsp;

Ecco la terra dei tesori

In prima persona

di Francesca Diodati

Ho sempre immaginato un mondo in cui tutti, compresi i più cattivi, potessero non semplicemente pentirsi o diventare più buoni ma vincere sulla loro negatività e trasformarsi, così, nel loro speculare positivo.
Dopo un milione di riflessioni che sono nate e sono invecchiate, si sono ammalate e sono morte, per poi rinascere sotto altra forma, ho intrapreso questo straordinario percorso di praticante del Buddismo di Nichiren Daishonin. Essendo quindi diventata una "devota del Sutra del Loto", ho deciso di leggerne il testo e, arrivata al capitolo Devadatta, ho sorriso con gioia e sussurrato alla me di circa una decina di anni fa: «Guarda! Osserva dove ti ha condotta quella riflessione! Forse essa era solo il ricordo vago di qualcosa che già avevi avuto modo di conoscere nell'infinito passato, e che stavi ricercando in questa esistenza: la rivelazione per cui tutti, nessuno escluso, possono manifestare la natura di Budda, una gioia senza limiti e un amore profondo verso se stessi, la vita e gli altri, per vivere, oggi e in questo mondo, felici e a proprio agio».
Nella prima parte si narra di come il perfido Devadatta, che tentò di distruggere in tutti i modi il Budda Shakyamuni, altri non fosse che Asita, il veggente che per primo, in una lontana vita passata, insegnò la Legge mistica a quel sovrano che poi sarebbe diventato il Budda, e fu da questi servito con dedizione e obbedienza per mille anni. Dice Shakyamuni: «Il fatto che io abbia raggiunto l'Illuminazione imparziale e corretta e possa salvare un gran numero di esseri viventi lo devo unicamente a Devadatta, che fu un buon amico». E prosegue: «Devadatta conseguirà la Buddità. Egli sarà chiamato Tathagata Re del Cielo». Infine elenca i benefici che riceveranno coloro che, udendo il capitolo Devadatta, crederanno in esso e lo riveriranno con cuore puro (cfr. SDL, 240-241).
Cosa vuol dire credere nel capitolo Devadatta? Ce lo spiega Nichiren quando ci dice: «Devadatta è un altro nome di Myoho-renge-kyo» (Raccolta degli insegnamenti orali, BS, 115, 47); «Devadatta rappresenta l'aspetto spirituale dell'Illuminazione» (Persecuzione con spade e bastoni, RSND 1, 855).
In altre parole tutti noi, a prescindere dal nostro comportamento manifesto, dalle nostre meravigliose o terribili azioni compiute fino a oggi, siamo allo stesso e identico modo l'entità della Legge mistica, Myoho-renge-kyo, e quindi possediamo intrinsecamente la natura di Budda. Non importa se abbiamo commesso errori gravissimi, quanto abbiamo distrutto, quanto siamo stati ciechi rispetto alla vita, la natura di Budda ci appartiene e prima o poi emergerà.
Quando? Lo decideremo noi. Nello stesso capitolo, infatti, il Sutra del Loto rivela che la Buddità essendo parte di noi può essere "attivata" in ogni istante così come siamo nella nostra forma presente, e ce lo racconta attraverso la vicenda di Ryunyo, la figlia del re drago, una bambina di soli otto anni, quindi femmina e per metà animale, che per questi motivi non avrebbe mai potuto raggiungere la Buddità secondo qualsiasi altro insegnamento predicato durante la vita del Budda.
Tutti dall'assemblea la osservano con perplessità e si chiedono come sia possibile quanto affermano il bodhisattva Manjushri e lei stessa, ossia che abbia raggiunto la Buddità in un solo istante. Allora lei, con determinazione e sicurezza assolute, invita ogni presente a utilizzare i propri poteri sovrannaturali per osservare come otterrà il corpo del Budda in un istante. E così tutti la vedranno divenire un Budda e predicare la Legge a beneficio di innumerevoli esseri viventi.
«La figlia del re drago - ci spiega Nichiren Daishonin - rappresenta l'aspetto fisico dell'Illuminazione» (op. cit.), ossia il fatto che in questa vita, così come siamo nel momento presente, noi possiamo risvegliare la nostra Buddità.
«Il quinto volume contiene il cuore di tutto il Sutra del Loto perché rivela che la figlia del re drago conseguì la Buddità nella propria forma presente» (Ibidem). Questo passo è importante perché innanzitutto rivela la possibilità di ottenere l'Illuminazione per le donne, ma l'aspetto veramente rivoluzionario di Ryunyo è il manifestare la Buddità in un istante nella propria forma attuale e non, secondo quanto si era sostenuto fino ad allora, dopo moltissime vite spese dedicandosi a innumerevoli e difficili pratiche.
Ma cosa significa ottenere la Buddità nella propria forma presente? «Io ho conseguito la bodhi - dichiara Ryunyo - il Budda soltanto può esserne testimone. Io espongo le dottrine del Grande veicolo per riscattare gli esseri viventi dalla sofferenza» (SDL, 244).
«Significa sviluppare il forte desiderio di salvare gli esseri viventi e continuare ad aiutare con calma e con il sorriso sulle labbra chi soffre» spiega Daisaku Ikeda (La Saggezza del Sutra del Loto, Esperia, vol. 2, p. 169). Significa comprendere che il bene più grande che possiamo fare a noi stessi è quello che facciamo per tutti gli esseri viventi e che questo profondo rispetto e questa calda compassione per tutti sono la comprensione che essi, come noi, costituiscono la manifestazione della Legge mistica dell'universo, perfettamente dotati e capaci di risvegliare in sé la natura di Budda.
Significa acquisire coscienza del fatto che tutti esistiamo per affrontare il difficile percorso della nostra vita e che, assumendocene pienamente la responsabilità e sostenendoci a vicenda, possiamo essere felici insieme nel mondo di saha. È infatti nelle profondità dell'oceano - che simboleggia le inevitabili sofferenze di nascita, invecchiamento, malattia e morte - che la figlia del re drago raggiunge l'Illuminazione ascoltando le parole di Manjushri.
È davvero un'esperienza leggere il Sutra del Loto con la propria vita e scoprire di essere come Devadatta tutte le volte che l'oscurità ha avuto il sopravvento. E poi respirare, e aprire il Gohonzon con la convinzione di ritrovare il baricentro della nostra Buddità.
E poi ancora sentirsi come la figlia del re drago quando riusciamo a percepire l'immensità della Legge meravigliosa in noi e negli altri e proviamo l'insopprimibile desiderio che tutti possano condividere la medesima gioia. E infine sperimentare che, misticamente, un beneficio insperato è sbocciato nella nostra vita, come un meraviglioso fiore di loto in uno stagno fangoso.

&nbsp;

Qui e ora, così come siamo

SUL CAPITOLO L'APPARIZIONE DELLA TORRE PREZIOSA - Quando recitiamo Nam-myoho-renge-kyo incontriamo la nostra Buddità e partecipiamo alla Cerimonia nell'aria. Dopo aver così basato la mente sulla nona coscienza, anche la realtà più dura si ridimensiona e diventa un mezzo per dare prova dell'esistenza della Buddità alle altre persone

di Antonio Andronico

Nell'undicesimo capitolo del Sutra del Loto, durante la predicazione di Shakyamuni sul Picco dell'Aquila, emerge dalla terra una torre maestosa, immensa, adornata di gioielli preziosissimi. Dall'interno della torre si sente una voce possente che conferma quanto detto da Shakyamuni, che a sua volta spiega che quella è la voce del Budda Molti Tesori che ha promesso di comparire ogni volta che viene esposta la Legge meravigliosa. Allora l'assemblea chiede a Shakyamuni di poter vedere Molti Tesori.
«Il Budda Shakyamuni, con le dita della mano destra, aprì la porta della torre dei sette tesori» (SDL, 227). Subito dopo il Budda Molti Tesori invita Shakyamuni a entrare e sedersi accanto a lui: Shakyamuni accetta l'invito.
A questo punto succede qualcosa che cambia tutta la situazione: «A quel tempo, vedendo i due Tathagata seduti a gambe incrociate sul trono di leone nella torre dei sette tesori, i membri della grande assemblea pensarono: "Questi Budda sono assisi molto in alto e lontano! Oh, se solo i Tathagata volessero impiegare i loro poteri sovrannaturali affinché anche noi ci uniamo a loro lassù in aria!"» (Ibidem).
Immediatamente il Budda Shakyamuni usa i suoi poteri sovrannaturali per sollevare nell'aria tutti i membri della grande assemblea. Con voce sonora si rivolge alle quattro categorie di credenti dicendo: «Chi è capace di predicare diffusamente il Sutra del Loto della Legge meravigliosa in questo mondo di saha?» (Ibidem).
Viene da notare come Shakyamuni sollevi l'assemblea in risposta a un desiderio dei suoi membri e che, subito dopo, chieda loro chi voglia predicare e diffondere il Sutra del Loto.
È anche evidente che l'apparizione della Torre preziosa e la Cerimonia nell'aria, che durerà fino al ventiduesimo capitolo, sono due eventi strettamente legati.
In La saggezza del Sutra del Loto il presidente Ikeda dice: «Toda spiegò che l'apparizione della Torre preziosa è la manifestazione dello stato di Budda. La torre rappresenta l'universale nobiltà della vita» (vol. 1, p. 69). È quindi nel vedere la Buddità che l'assemblea viene sollevata in aria.
Ancora più chiaramente, Nichiren Daishonin dice: «Ora quando Nichiren e i suoi seguaci recitano Nam-myoho-renge-kyo e mantengono la fede in esso, sono "sospesi nell'aria". Essi sono "sospesi nella" o "stanno partecipando alla" Cerimonia nell'aria» (Raccolta degli insegnamenti orali, BS, 114, 46).
Dunque recitando Nam-myoho-renge-kyo vediamo la Buddità, ci accorgiamo della nostra Buddità e partecipiamo alla Cerimonia nell'aria.
Ma come possiamo noi, che viviamo una vita così piena di problemi "terreni", "sollevarci nell'aria"? Il presidente Ikeda afferma: «Sollevarsi nell'aria significa elevare il nostro stato vitale per mezzo di una forte fede» (La saggezza del Sutra del Loto, vol. 1, p. 72).
Ciò non significa allontanarsi dalla vita quotidiana, tutt'altro: «Il Daishonin scrive: "Le parole di un saggio del passato 'Basa la tua mente sulla nona coscienza e la tua pratica sulle sei coscienze' sono perfettamente giuste". "Basare la mente sulla nona coscienza" corrisponde a risiedere nella Cerimonia nell'aria o a "dimorare nella fede", mentre "basare la pratica sulle sei coscienze" significa non allontanarsi mai dalla realtà"» (Ibidem, p. 77).
Questo vuol dire vivere la propria vita quotidiana con un punto di vista molto più ampio e sereno, che ci permette di riconoscere il potenziale positivo delle nostre difficoltà. Come dice Ikeda: «Dopo aver dimorato nella Cerimonia nell'aria, anche la realtà più detestabile diventa un mezzo per dare una prova della Buddità agli altri» (Ibidem, 72).
Sì, mostrare agli altri. Non dobbiamo infatti dimenticare che è la compassione del Budda a sollevare nell'aria l'assemblea.
Innalzando tutti al suo stesso livello Shakyamuni sta dando all'intera assemblea la prova che la Buddità non è una sua personale prerogativa, che non è un Budda perché è un essere speciale. Sta mostrando a ognuno la propria Buddità: potremmo dire che questa è la pratica di shakubuku, senza la quale nessuno di noi avrebbe potuto scoprire la propria "Torre preziosa", partecipare tutti i giorni alla Cerimonia nell'aria e, come Shakyamuni, "aprire con le dita della mano destra la porta della torre dei sette tesori", che ricorda tanto il nostro aprire il butsudan e recitare Daimoku e Gongyo.
Da questo episodio emerge chiaramente che tra le prerogative del Budda c'è quella di aiutare gli altri a riconoscere la propria Buddità. Shakubuku emerge quindi come l'azione del Budda.
Oggi la gente comune che in tutto il mondo ha deciso di vivere e condividere il nobile ideale della realizzazione della pace mondiale attraverso la propagazione degli insegnamenti del Buddismo di Nichiren Daishonin sta incarnando lo spirito del Budda che desidera profondamente trasmettere a tutti la verità della grande nobiltà di ogni vita, l'importanza di ogni singolo individuo.
Ogni mattina, davanti al nostro Gohonzon partecipiamo alla Cerimonia nell'aria e, tornando poi sul Picco dell'Aquila della nostra vita quotidiana, ci prendiamo cura della società, dando prova concreta della validità della nostra fede e incoraggiando i nostri amici a fare anche loro esperienza della pratica di Nam-myoho-renge-kyo, il Sutra del Loto dell'Ultimo Giorno della Legge.

&nbsp;

Nell'aria, nella realtà

SUL CAPITOLO IL BODHISATTVA MAI SPREZZANTE - Dice Shakyamuni che il Bodhisattva Mai Sprezzante, che persevera nonostante le persecuzioni nella pratica di lodare la Buddità in ogni persona (il "Sutra del Loto in ventiquattro caratteri"), non è che lui stesso. È così che le battaglie di quell'antico bodhisattva divengono attuali e dai contorni umani: sono quelle di Nichiren Daishonin e di chi non smette di riconoscere la Buddità negli altri

di Giovanna Gobattoni

«Il cuore della pratica del Sutra del Loto si trova nel capitolo Mai Sprezzante. Cosa significa il profondo rispetto del Bodhisattva Mai Sprezzante per la gente? Il vero significato dell'apparizione del Budda Shakyamuni, il signore degli insegnamenti, sta nel suo comportamento da essere umano» (I tre tipi di tesori, RSND, 1, 756).
Dalla ricca fantasmagoria di eventi, immagini, personaggi che si avvicendano nel Sutra del Loto si presenta, al ventesimo capitolo, il Bodhisattva Mai Sprezzante (Fukyo), la cui figura colpisce il lettore per il carattere dimesso, quasi sottotono con cui viene delineata. Tra tanti Budda ed esseri soprannaturali che popolano mondi, epoche e luoghi, ci imbattiamo in questo semplice monaco la cui pratica costante e caparbia è quella di riverire ogni essere umano riconoscendo in lui la Buddità.
Un intero capitolo viene dedicato a Mai Sprezzante o Sempre Disprezzato, come può essere anche tradotto dal sanscrito, la cui pratica ai nostri occhi appare elementare. E così appariva agli occhi dei suoi coevi, e, tra questi, i monaci arroganti, non sopportandone la semplicità, diventavano aggressivi nei suoi confronti e lo attaccavano con violenza verbale e fisica. Lui, nell'atto di allontanarsi, ribadiva il suo motto, poi definito il Sutra del Loto in ventiquattro caratteri o ideogrammi: «Nutro profondo rispetto per voi, non oserei mai trattarvi con disprezzo e arroganza. Perché? Perché tutti voi state praticando la via del bodhisattva e conseguirete certamente la Buddità» (SDL, 355).
«Quando parlava così alcuni prendevano delle tegole o delle pietre per colpirlo e percuoterlo. Lui allora correva via e da lontano continuava a esclamare ad alta voce: "Non oserei mai disprezzarvi, perché voi tutti certamente conseguirete la Buddità!"» (Ibidem).
Evitando i colpi sollevava i suoi aguzzini dall'accumulare karma negativo. Il suo comportamento sottintende l'esortazione a evitare di diventare vittime anche per non moltiplicare il male come causa nella vita del nostro potenziale carnefice.
Mai Sprezzante persevera per anni in questa pratica senza apparenti cambiamenti. «È la pratica della perseveranza - commenta il presidente Ikeda - Uno dei titoli del Budda è nonin, colui che sopporta e persevera» (La saggezza del Sutra del Loto, Esperia, vol. 4, p. 7). È la disciplina che ci porta davanti al Gohonzon ogni mattina, ogni sera e in qualunque momento l'urgenza della vita vorrebbe risucchiarci e annientare la nostra possibilità di decidere. E invece no, caparbiamente scegliamo di indirizzare il nostro cuore e la nostra mente, scegliamo di recitare Daimoku.
«Mai Sprezzante, pur insultato e minacciato, continua imperterrito ad andare in giro piantando il seme dei ventiquattro ideogrammi del Sutra del Loto» (Ibidem) fino all'esaurimento della sua vita mortale, e sul punto di morte avviene un colpo di scena. Egli ode dall'alto del cielo i versi del sutra, si sente in grado di sostenerli e abbracciarli: così prolunga la sua vita e ottiene la purezza dei sensi e della mente, diviene abile oratore ed è in grado, grazie alla bontà e alla saggezza acquisite, di convertire tutti quei monaci che lo avevano disprezzato. Il miracolo che accade al Bodhisattva Mai Sprezzante è quello della rivoluzione umana, ce lo spiega così Ikeda: «La sua longevità può essere interpretata come grande forza vitale. Traboccare di forza vitale e creare molto valore equivale ad avere una vita lunga» (Ibidem, p. 8). Purificare le facoltà sensoriali mostra il compimento della propria trasformazione.
In coerenza con lo stile esplosivo e incantatore di tutto il Sutra del Loto, il nostro Mai Sprezzante riserva una sorpresa finale al lettore. L'ultimo fuoco d'artificio: quello che esplode per ultimo, che quasi non ce lo aspettavamo più e invece è il più magnifico, ci lascia a bocca aperta, a noi che pensavamo di non avere più meraviglia dentro.
Arrivati a questo punto Shakyamuni dichiara: «Il bodhisattva Mai Sprezzante che visse in quell'epoca [...] in effetti non è altri che me stesso» (SDL, 357).
Spiega Ikeda: «Quello che tutti avevano creduto il racconto di un evento lontano, tutt'a un tratto diventa una realtà presente» (La saggezza del Sutra del Loto, op. cit, p. 9).
Il Sutra del Loto lascia il suo aspetto formale e transitorio e diventa la traccia del percorso umano. Il tempo di un indefinito passato diventa presente: «Nichiren Daishonin interpreta la frase "non è altri che me stesso" come riferito alla propria vita. [..] In viaggio verso Sado scrisse: "Il passato del capitolo Mai Sprezzante corrisponde al presente"» (Ibidem).
Nichiren scopre una corrispondenza tra i capitoli del sutra dedicati a Mai Sprezzante e quelli dove sono descritte le persecuzioni a cui andrà incontro il devoto del Sutra del Loto. Esattamente questa corrispondenza si realizza nella sua stessa esistenza, in quel preciso istante in cui viene condotto all'esecuzione capitale. «Nel futuro si capirà che la battaglia di Nichiren è uguale alla battaglia di Mai Sprezzante» (Ibidem).
Scrive il Daishonin: «I ventiquattro caratteri cinesi che costituiscono questo brano sono diversi [nella forma] dai cinque caratteri di Myoho-renge-kyo, ma il significato è lo stesso. Questi ventiquattro caratteri rappresentano il Sutra del Loto in miniatura» (Raccolta degli insegnamenti orali, BS, 120, 45).
Il circolo virtuoso di presente, passato, futuro ridetermina significati nuovi e dà senso alla missione del devoto del Sutra del Loto.
Qual è questa missione? Spiega sempre Ikeda: «È l'unico punto dell'insegnamento essenziale del Sutra del Loto in cui il Budda Shyakyamuni, dopo aver spiegato di aver ottenuto l'Illuminazione nel remoto passato, descrive le proprie pratiche in una vita precedente. Possiamo concludere che la vera causa dell'ottenimento della Buddità da parte di Shakyamuni nel remoto passato fu la pratica del bodhisattva Mai Sprezzante» (MDG, 532).
E «questa è la pratica buddista fondamentale. Dal punto di vista delle tre vie di fede, pratica e studio, credere fino in fondo nella natura di Budda di tutte le persone significa "fede" nel Sutra del Loto e nel Gohonzon» (MDG, 554).

Unità di bene e male
Spiega inoltre il presidente Ikeda: «Nichiren Daishonin scrisse: "Istituire distinzioni tra il bene e il male considerando il bodhisattva Mai Sprezzante come una persona "buona" e gli arroganti come persone "cattive" è un segno di ignoranza. Ma quando lo si riconosce e ci si inchina rispettosamente, allora ci si sta inchinando rispettosamente a Nam-myoho-renge-kyo, il principio in cui il bene e il male non sono due cose differenti, in cui il giusto e l'ingiusto sono una stessa cosa" (Raccolta degli insegnamenti orali, BS, 120, 51). Il Bodhisattva Mai Sprezzante e le persone malvagie sono ai poli opposti, ma sono tutti entità della mistica Legge, sono tutti esseri umani. Anche nei malvagi c'è il bene del mondo di Budda e anche nei buoni ci sono i mondi malvagi. Il bodhisattva continuò a propagare il suo insegnamento perché credeva nella Buddità latente di coloro che lo maltrattavano. [...] Il principio di unità di bene e male non significa semplicemente accettare il male per quello che è; bisogna combatterlo risolutamente, sottomettere le funzioni negative della vita e trasformarle in alleate. Se il bene perde, diviene schiavo del male. Solo riportando la vittoria possiamo trasformare i nemici in buoni amici» (La saggezza del Sutra del Loto, op. cit., pp. 16-18).
Mantenere costantemente la fiducia nella Buddità dell'altro significa riconoscergli la stessa potenzialità dinamica che riconosciamo a noi stessi. Quando ci sforziamo di migliorare, di aprire nuove porte dentro di noi, più facilmente riusciamo a cogliere la stessa innata spinta profonda in chi ci sta di fronte. Viceversa quando siamo imbrigliati nei nostri schemi, abitudini, tendenze, tutto è fermo e ognuno è chiuso nella propria maschera.
Quante volte nei nostri incontri quotidiani ci imbattiamo nell'unico essere a cui neghiamo la Buddità, magari un figlio, un compagno, un capo. Pensiamo: «Lui non ce la fa, ci penso io... non capirà mai, è inutile spiegare...».
Unico antidoto alla nostra arroganza è abbracciare l'esempio di Mai Sprezzante:
Senza nutrire il minimo dubbio o perplessità,
ma con tutto il cuore
predichiamo questo sutra in lungo e in largo
per incontrare i Budda era dopo era
e completare rapidamente la via del Budda (cfr. SDL, 360).

&nbsp;

Noi e il Sutra del Loto

Contenuto riservato agli abbonati