BS 207 / APRILE 2021

L'ambiente siamo noi

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L'ambiente siamo noi






Tutto parte dal nostro cambiamento interiore, e questo vale non solo per la sfera personale. Perché l’ambiente siamo noi. Il pensiero buddista si fonda su questo assunto, anzi lo considera la chiave della soluzione di ogni sofferenza, sia degli esseri umani, sia di tutti gli altri esseri, senzienti e insenzienti. L’insegnamento che abbracciamo si basa su un’azione solo apparentemente elementare: guardare per cambiare. Shakyamuni uscì dalle mura del suo palazzo, vide il mondo e le sofferenze umane, e fondò il Buddismo. Il processo impiegato da Nichiren in Adottare l’insegnamento corretto per la pace nel paese è analogo: trasformare, attraverso il dialogo, una preoccupazione comune (i terremoti, le epidemie e le carestie del Giappone del 1200) in un cambiamento di visione e nella promessa di agire. Lo stesso fa il nostro maestro Daisaku Ikeda, soprattutto nelle Proposte di pace: partendo da un’analisi attenta della realtà del momento, richiama sempre alla presa di coscienza individuale, fornendo gli elementi per una trasformazione interiore che consenta a ogni persona di agire con efficacia.
Oltre la sfera etica c'è infatti una consapevolezza esistenziale, profonda, alla quale il Buddismo (e non solo) ci chiama, che ruota intorno a un principio cardine: non esiste separazione tra i vari aspetti dell’esistenza, ma esiste una loro compenetrazione dove il soggetto protagonista non è necessariamente l’attore umano. Ecco che diviene fondamentale assumere un atteggiamento di umiltà e di meraviglia nei confronti della Natura e della capacità di ascoltarla. Dentro questa presa di coscienza si trova la nostra piena soddisfazione. Il presente speciale è il secondo di tre. Il primo, “Io e il pianeta, ora”, di gennaio 2020, disegnava un quadro della situazione ecologica mondiale ancora scevro dagli incubi del Covid-19. Il terzo racconterà le azioni per l'ambiente realizzate da cittadini e cittadine in varie parti del mondo e uscirà a novembre, in concomitanza con la conferenza dell'Onu sui cambiamenti climatici. Ora, in piena pandemia, proponiamo questo speciale, che riassume i potenti “arnesi” filosofici del Buddismo per “cambiare interiormente”, la cura migliore per curare il pianeta.




Il coraggio di guardare






«Io sono me stesso più il mio ambiente; se io non lo salvo, non posso salvare me stesso». Sono parole del filosofo spagnolo José Ortega y Gasset, richiamate dal presidente Ikeda nella sua Proposta di pace del 1997. Parole che rimandano al principio buddista di non dualità di vita e ambiente e ci richiamano a essere elementi attivi, agenti di cambiamento, protagonisti e protagoniste della soluzione perché capaci di coraggio e speranza. Il primo atto di coraggio necessario è guardare la realtà nella quale stiamo vivendo senza distogliere lo sguardo o illuderci che quanto avviene lontano da noi non ci riguardi direttamente. Il coraggio di renderci conto di quanto è cresciuta la distruzione ambientale e di come la pandemia che stiamo ancora vivendo, legata come è alla perdita di biodiversità e ai cambiamenti climatici in atto, non sarà affatto l’ultima. Il coraggio necessario per capire pienamente quanto è avanzata e catastrofica la minaccia del riscaldamento globale, con impatti distruttivi destinati a peggiorare in ogni area del mondo, e nel Mediterraneo più che altrove, essendo la nostra un’area altamente vulnerabile ai cambiamenti climatici (hotspot). Una minaccia letteralmente esistenziale per ogni essere vivente, che possiamo fermare trasformando l’economia e la società per arrivare a zero emissioni nette in tempi brevi, non oltre la metà del secolo, seguendo le indicazioni degli scienziati. Un compito entusiasmante a ben vedere. Nichiren ammoniva a non evadere dalla realtà pur dolorosa ma a vivere sfidando direttamente le difficoltà. A non negarla, perché i problemi rinviati diventano sempre più gravi. A non arrendersi perché le condizioni più difficili, quelle ritenute immutabili, possono far nascere la forza e la speranza necessarie per affrontarle. Il potere della speranza è la nostra arma migliore. Tutto inizia dalla propria trasformazione individuale, dal sentir crescere la consapevolezza del proprio potenziale e la possibilità di realizzarlo. Da un cambiamento della vita interiore che si proietta verso l’esterno, la comunità, la società tutta. Vinciamo sulle condizioni più difficili vincendo innanzitutto su di noi. Accettando la sfida della creazione di valore. La sfida con la quale ogni persona, nel proprio ruolo e con le proprie capacità, si impegna a creare quel valore che lei sola può realizzare a beneficio delle altre persone e del futuro. Facendolo con gioia e insieme agli altri, innescando così un processo di trasformazione collettivo, globale, che si rafforza avanzando. Vinciamo quando riusciamo a rendere concreta la speranza nel tempo più vicino a noi, sul piano quotidiano del giorno per giorno, senza farci schiacciare dalla grandezza dei problemi e non limitandoci solo a visioni di lungo periodo, certo nobili e importanti ma che vanno tradotte in azioni specifiche, misurabili, ripetibili, quotidiane appunto. Azioni messe a fuoco dalla consapevolezza che ci viene dal chiamare anche i problemi più gravi con il loro nome e dalla capacità quindi di rendere urgente l’importante. Questa è in fondo una delle tante lezioni che ci vengono da Wangari Maathai, prima donna africana a ricevere il premio Nobel per la pace e fondatrice in Kenya del Green Belt Movement, un movimento di migliaia di persone che hanno piantato milioni di alberi provando gioia e orgoglio nel ripetere un’azione concreta che dava risultati tangibili nel migliorare la vita della loro comunità. Facciamo nostre le sue parole. «Siamo chiamati ad assistere la Terra per curarne le ferite»; a guarire la Terra per guarire noi stessi. (Stella Bianchi)




Il Budda Natura

Tra il Buddismo e il pensiero ecologista ci sono corrispondenze profonde. Esse nascono lì dove l’individuo incontra “il vero aspetto di tutti i fenomeni”, per usare le parole di uno degli scritti più toccanti di Nichiren Daishonin.
Queste corrispondenze sono state molto esplorate. Daisaku Ikeda dedica al tema dell’ambiente un’attenzione costante, facendone argomento sempre presente nei suoi dialoghi con le più importanti personalità impegnate a portare avanti la luce di un nuovo umanesimo, nelle Proposte di pace che ogni anno formula indirizzandole all’Onu, nei tanti interventi che rivolge ai membri della Soka Gakkai, incoraggiando ogni singolo individuo a vivere in armonia con la Legge mistica. Nel libro La forza della speranza, dialogo con il premio Nobel Adolfo Pérez Esquivel, si legge: «È necessario che noi esseri umani siamo più umili al cospetto della Natura. Non dovremmo mai perdere la capacità di ascoltare la sua voce e di dialogare con lei per imparare. Altrimenti, perderemo il senso essenziale della vita umana».Adolfo Pérez Esquivel e Daisaku Ikeda, La forza della speranza, Esperia, 2016, p. 106. Un importante scritto dal titolo “Il contributo del Buddismo al pensiero ambientale”, di Shuichi Yamamoto,Shuichi Yamamoto, DuemilaUno n. 77, novembre-dicembre 1999. Traduzione, a cura della redazione, dell’articolo “Contribution of Buddhism to Environmental Thoughts”, The Journal of Oriental Studies, 1998, vol. 8, pp. 144-173. Shuichi Yamamoto è professore di Scienze e Ingegneria per l’innovazione sostenibile presso la facoltà di Ingegneria della Soka University di Tokyo. pone il problema della crisi ambientale come un terreno sul quale siamo chiamati a verificare i princìpi spirituali che sono alla base della nostra vita. Vi si chiarisce innanzitutto che il problema ambientale si traduce in sofferenze concrete per l’essere umano. L’epidemia che stiamo attraversando, la cui diffusione è, in maniera scientificamente provata, agevolata dall’inquinamento e che ha, tra le sue indubbie cause, la distruzione della biodiversità con conseguente alterazione delle catene alimentari, ne è una prova dolorosa ed evidente. La religione nasce per rispondere alle sofferenze dell’umanità: non può quindi eludere la grave crisi ambientale che sta creando grande dolore al mondo intero.
Il medico accademico di fama mondiale Felix Unger, in un dialogo con Ikeda, sottolinea come un grande problema di questi tempi sia rappresentato da «uno stile di vita altamente secolarizzato, che dà origine a una visione assolutamente materialistica della vita».Daisaku Ikeda, Felix Unger, Siamo umani, l’urgenza dell’empatia e dalla compassione, Piemme, 2019, p. 138 Tale condotta induce l’essere umano a credersi erroneamente misura del mondo e dà origine a un antropocentrismo in nome del quale si sono distrutte risorse, inquinati fiumi, alterati equilibri ecologici, determinati cambiamenti climatici e alterazioni degli equilibri ambientali. Che hanno prodotto devastazione, carestie, malattie, fenomeni di migrazione di massa. Il Buddismo, con i suoi princìpi fondamentali, pensa al mondo in termini di biocentrismo. Aurelio Peccei, economista di fama mondiale e fondatore del Club di Roma, che è stato lungimirante interlocutore di Daisaku Ikeda, descrive la condotta dell’essere umano, che non colloca la sua posizione all’interno del sistema “natura”, come un crescente fattore critico per l’equilibrio della biosfera, «quel sistema vitale strettamente interconnesso ospitato nella sottile pellicola di terra, acqua e aria che circonda il globo. Il destino delle altre specie – animali o vegetali che siano – è totalmente alla nostra mercé».Aurelio Peccei, Daisaku Ikeda, Campanello d’allarme per il XXI secolo, Esperia, 2014, p. 13
L’antropocentrismo rappresenta, dal punto di vista del Buddismo, un difetto di visione spirituale. Il pensiero buddista interpreta, infatti, la realtà fenomenica in base al concetto di “origine dipendente”, che in giapponese si traduce con il termine engi. Nelle antiche scritture buddiste, questo principio viene espresso così:«Se questo esiste, quello esiste. Se questo è nato, quello è nato. Se questo non esiste, quello non esiste. Se questo scompare, anche quello scompare».Shuichi Yamamoto, op. cit. Ogni cosa, ogni entità, esiste all’interno di una relazione con tutti gli altri fenomeni dell’universo. Le moderne teorie ecologiche parlano di questo principio come di una simbiosi, una specie di concerto in cui ognuno partecipa con la propria melodia. «Nel mondo tutto è mescolato con tutto, nulla è ontologicamente separato dal resto», scrive il filosofo Emanuele Coccia,Emanuele Coccia, La vita delle piante. Metafisica della mescolanza, Il Mulino, 2018, p. 145. che continua: «Tale legame, questa cospirazione universale, è del resto ciò che chiamiamo mondo». E Shuichi Yamamoto, nel saggio sopra citato, sostiene che questo concetto «è alla base di ogni altro principio buddista». Questo modo “egualitarista” di concepire gli esseri viventi, senzienti o non senzienti, ha importanti implicazioni dal punto di vista dell’ambientalismo: dire che gli esseri umani, gli altri esseri viventi, e persino il mondo inanimato sono fondamentalmente uguali dal punto di vista della “vita” significa smantellare ogni forma di prepotenza perpetrata dall’essere umano sull’ambiente. «Se la vediamo in questi termini, distruggere la Natura equivale, in ultima istanza, a distruggere la vita degli esseri umani», ci spiega Ikeda.Adolfo Pérez Esquivel, Daisaku Ikeda, op. cit., p. 108. Non si tratta di fare appello a salti metafisici, quanto piuttosto di cercare nella realtà fenomenica «la verità essenziale, attraverso l’osservazione continua e accurata dell’essere umano e di ciò che lo circonda».Daisaku Ikeda, La vera entità della vita. Lezioni sugli scritti di Nichiren Daishonin, Esperia, 2018, p. 8.

Armonia di note differenti

L’“ecologia profonda” incontra il Buddismo nel cuore del suo delinearsi, lì dove ritrova un «egualitarismo biosferico che riconosce il rapporto tra esseri umani e le altre forme viventi come consequenziale»,4 una sorta di armonia complessa composta di note differenti, tutte contributive nelle loro differenti singolarità. Il problema ambientale non è un problema astrattamente etico, è un problema concreto di soluzione delle sofferenze umane. E l’attuale crisi pandemica è il contesto più evidente per tale enunciato. Risolvere il problema ambientale è necessario per creare un mondo dove ogni essere possa vivere “felice e a proprio agio”.

La teoria di ichinen sanzen e la scelta di un karma appropriato

Il profondo mescolamento di cui parlava Coccia è evidente, come ci mostra Nichiren Daishonin in Il conseguimento della Buddità in questa esistenza (RSND, 1, 3), nel principio di ichinen sanzen altrimenti detto tremila regni in un singolo istante di vita, la teoria buddista che spiega la profonda interrelazione tra le parti di questo insieme connesso. «La vita in ogni singolo istante – scrive il Daishonin – abbraccia il corpo e la mente, l’io e l’ambiente di tutti gli esseri senzienti dei dieci mondi e anche di tutti gli esseri insenzienti dei tremila regni; le piante, il cielo e la terra, fino al più piccolo granello di polvere. La vita in ogni singolo istante permea l’intero regno dei fenomeni e si manifesta in ognuno di essi». Una compresenza tra spiritualità ed ecologia che Henry David Thoreau ha indirizzato con parole sublimi in un invito all’avvicendamento trasformativo: «Benedetto colui che è certo che l’animale che sta nel suo cuore sta morendo giorno per giorno, e che l’essere divino è in lui affermato».5 In ogni istante la vita dà la possibilità di scegliere liberamente cosa rivelare: Animalità o Buddità. La strada del bodhisattva, quella di chi sceglie il karma appropriato per compiere la propria rivoluzione personale, è quella che squaderna questa scelta passiva in cui il karma viene vissuto come destino ineluttabile. Una circostanza esterna impermeabile (tra le parole “permea” e “impermeabile” si manifesta la forza pervasiva dell’insegnamento del Budda) che ci solleva da qualsiasi intervento, ci alleggerisce nelle responsabilità.
Come scrive Ikeda ne La vita mistero prezioso: «Se vogliamo mantenere il rispetto per la vita in tutte le sue forme, non dobbiamo interferire nemmeno minimamente con l’operato dell’ordine cosmico e terrestre. Ogni esistenza nell’universo forma un grande sistema vitale edificato».Daisaku Ikeda, La vita mistero prezioso, Bompiani, p. 36. L’ambientalismo, per chi è buddista, non è perciò una teoria destinata a persone più sensibili o a un’indagine scientifica la cui preoccupazione possa essere delegata a esperti, in genere ad altri, in un altro tempo. Il qui e ora buddista – l’ichinen (l’istante attivo del pensiero che determina le nostre azioni) – non è e non può essere relegato a un tempo e a uno spazio vitale contingenti e confinati a noi stessi. Si tratta di sentire ogni giorno «nell’aria il flusso delle piogge eteree», come scrive Ikeda citando Hellen Keller e rimandando al legame «tra cose del cielo e quelle della terra»Daisaku Ikeda, La saggezza del Sutra del Loto, Mondadori, 2004, vol. 1 p. 19. che si riflette per il Buddismo nel principio di shoho jisso (“il vero aspetto di tutti i fenomeni”). Il concetto viene ribadito in una conferenza tenuta all’Accademia Cinese di Scienze Sociali di Pechino il 14 ottobre 1992 (Ikeda, “Un’etica della simbiosi”): «L’ethos della simbiosi non è legato al solo regno della società umana. Esso ha una dimensione cosmica e lavora nella natura e nell’universo. Il principio buddista dell’interrelazione tra umanità e natura è espresso nella frase: “Montagne e fiumi, piante e alberi tutti conseguono la Buddità”. Questa convinzione profonda ricoprirà un ruolo sempre più centrale con l’aumentare dei problemi riguardanti l’inquinamento, la distruzione dell’ambiente e lo sfruttamento incontrollato delle risorse naturali».Daisaku Ikeda, Un nuovo umanesimo, Esperia, 2019, p. 172.

Esho funi e i tre regni dell'esistenza

Alla luce di questi accordi (o disaccordi) è prezioso rileggere l’elenco delle connessioni (vedi p. 30 di questo giornale) che il Buddismo rende concrete quando l’aspetto sincero della preghiera, nella sua capacità trasformativa, fa intravedere armonia o disarmonia con cose apparentemente distanti da noi. Dal punto di vista teorico, sono dieci le non dualità stabilite in Annotazioni sul significato profondo del Sutra del Loto, il trattato di Miao-lo (711-782) della scuola T’ien-t’ai che svela l’intima connessione che opera nel mondo. Tra le non dualità il Buddismo insegna con un principio, esho funi, che tra io e ambiente non c’è differenza, sono uno l’ombra dell’altro. Come scrive Shuichi Yamamoto nel saggio già citato: «Un “ambiente” può essere definito solo in base a un soggetto corrispondente». E-sho è una contrazione dei termini giapponesi e-ho e sho- ho. La sillaba ho significa qui “effetto manifesto”, il risultato del karma. Sho-ho indica la vita in se stessa o il mondo soggettivo, e-ho indica l’ambiente inanimato, o il mondo oggettivo. Il mondo oggettivo e quello soggettivo sono concetti relativi: l’ambiente assume un significato diverso in base al soggetto che lo abita. Il principio di esho funi spiega come il cambiamento di un solo individuo sia in grado di influenzare l’ambiente determinando un miglioramento anche per gli altri individui e, al contempo, un invito alla correzione dei comportamenti ecologicamente sbagliati. La possiamo chiamare una “ecologia profonda”. «Questa terra viva/ che scorre/ è tutto quel che c’è/ Noi siamo lei/ lei canta attraverso noi»Gary Snider, L’isola della tartaruga, Stampa alternativa, 2004. avrebbe cantato il poeta Gary Snider, teorico del concetto di “riabitare” i luoghi, con la convinzione che già erano prima di noi e quindi meritano rispetto, come se uno entrando in una stanza salutasse chi vi è già presente. Significativa per il Buddismo è la teoria dei tre regni dell’esistenza (san-seken) – il regno delle cinque componenti o aggregati (go-on seken), quello degli esseri senzienti (shujo seken) e quello degli esseri insenzienti (kokudo seken) – che mostra l’illusorietà delle distinzioni concettuali fra i diversi fenomeni. Mentre negli esseri umani sono distinguibili tutti e cinque gli aggregati – materia (forma), percezione, concezione, volizione e coscienza – negli esseri insenzienti solo la materia è evidente, mentre gli altri quattro sono latenti. Nel regno animale, mentre la materia si manifesta invariabilmente, i quattro aggregati che riguardano la dimensione psichica si manifestano diversamente a seconda del tipo di animale. Nelle piante ci possono essere alcune attività che potremmo chiamare “psichiche” in quanto non si concretizzano chiaramente nella sola dimensione materiale. In particolare, il regno degli esseri insenzienti supporta l’esistenza stessa della vita facendo in modo che anche l’ambiente possieda i dieci mondi corrispondenti agli stati della vita, dall’Inferno alla Buddità, propri dell’essere umano. Questa può essere considerata una delle conseguenze della dottrina di ichinen sanzen. In altre parole, la vita di un individuo si riflette nel mondo circostante, e il mondo stesso è coerente con l’esistenza individuale. In parole diverse ma molto limpidamente sembra suggerirlo anche il fisico teorico Carlo Rovelli nel suo ultimo libro, Helgoland: «Se il mondo fisico è tessuto dalla trama sottile di immagini di specchi che si specchiano in altri specchi, senza il fondamento metafisico di una sostanza materiale, forse è più facile riconoscersi come parti di esso».Carlo Rovelli, Helgoland, Adelphi, 2020, p. 163. E tutto si tiene. (Roberto Carvelli e Giovanna Ferrara)
NOTE
  1. 1. Adolfo Pérez Esquivel e Daisaku Ikeda, La forza della speranza, Esperia, 2016, p. 106. Un importante scritto dal titolo “Il contributo del Buddismo al pensiero ambientale”, di Shuichi Yamamoto,Shuichi Yamamoto, DuemilaUno n. 77, novembre-dicembre 1999. Traduzione, a cura della redazione, dell’articolo “Contribution of Buddhism to Environmental Thoughts”, The Journal of Oriental Studies, 1998, vol. 8, pp. 144-173. Shuichi Yamamoto è professore di Scienze e Ingegneria per l’innovazione sostenibile presso la facoltà di Ingegneria della Soka University di Tokyo.
  2. 2. Daisaku Ikeda, Felix Unger, Siamo umani, l’urgenza dell’empatia e dalla compassione, Piemme, 2019, p. 138 Tale condotta induce l’essere umano a credersi erroneamente misura del mondo e dà origine a un antropocentrismo in nome del quale si sono distrutte risorse, inquinati fiumi, alterati equilibri ecologici, determinati cambiamenti climatici e alterazioni degli equilibri ambientali. Che hanno prodotto devastazione, carestie, malattie, fenomeni di migrazione di massa. Il Buddismo, con i suoi princìpi fondamentali, pensa al mondo in termini di biocentrismo. Aurelio Peccei, economista di fama mondiale e fondatore del Club di Roma, che è stato lungimirante interlocutore di Daisaku Ikeda, descrive la condotta dell’essere umano, che non colloca la sua posizione all’interno del sistema “natura”, come un crescente fattore critico per l’equilibrio della biosfera, «quel sistema vitale strettamente interconnesso ospitato nella sottile pellicola di terra, acqua e aria che circonda il globo. Il destino delle altre specie – animali o vegetali che siano – è totalmente alla nostra mercé».Aurelio Peccei, Daisaku Ikeda, Campanello d’allarme per il XXI secolo, Esperia, 2014, p. 13
  3. 3. Shuichi Yamamoto, op. cit. Ogni cosa, ogni entità, esiste all’interno di una relazione con tutti gli altri fenomeni dell’universo. Le moderne teorie ecologiche parlano di questo principio come di una simbiosi, una specie di concerto in cui ognuno partecipa con la propria melodia. «Nel mondo tutto è mescolato con tutto, nulla è ontologicamente separato dal resto», scrive il filosofo Emanuele Coccia,Emanuele Coccia, La vita delle piante. Metafisica della mescolanza, Il Mulino, 2018, p. 145. che continua: «Tale legame, questa cospirazione universale, è del resto ciò che chiamiamo mondo». E Shuichi Yamamoto, nel saggio sopra citato, sostiene che questo concetto «è alla base di ogni altro principio buddista». Questo modo “egualitarista” di concepire gli esseri viventi, senzienti o non senzienti, ha importanti implicazioni dal punto di vista dell’ambientalismo: dire che gli esseri umani, gli altri esseri viventi, e persino il mondo inanimato sono fondamentalmente uguali dal punto di vista della “vita” significa smantellare ogni forma di prepotenza perpetrata dall’essere umano sull’ambiente. «Se la vediamo in questi termini, distruggere la Natura equivale, in ultima istanza, a distruggere la vita degli esseri umani», ci spiega Ikeda.Adolfo Pérez Esquivel, Daisaku Ikeda, op. cit., p. 108. Non si tratta di fare appello a salti metafisici, quanto piuttosto di cercare nella realtà fenomenica «la verità essenziale, attraverso l’osservazione continua e accurata dell’essere umano e di ciò che lo circonda».Daisaku Ikeda, La vera entità della vita. Lezioni sugli scritti di Nichiren Daishonin, Esperia, 2018, p. 8.
  4. 4. Shuichi Yamamoto, op. cit.
  5. 5. Henry David Thoreau, Walden ovvero vita nei boschi (a cura di Piero Sanavio), Rizzoli BUR, p. 290.
  6. 6. Daisaku Ikeda, La vita mistero prezioso, Bompiani, p. 36. L’ambientalismo, per chi è buddista, non è perciò una teoria destinata a persone più sensibili o a un’indagine scientifica la cui preoccupazione possa essere delegata a esperti, in genere ad altri, in un altro tempo. Il qui e ora buddista – l’ichinen (l’istante attivo del pensiero che determina le nostre azioni) – non è e non può essere relegato a un tempo e a uno spazio vitale contingenti e confinati a noi stessi. Si tratta di sentire ogni giorno «nell’aria il flusso delle piogge eteree», come scrive Ikeda citando Hellen Keller e rimandando al legame «tra cose del cielo e quelle della terra»Daisaku Ikeda, La saggezza del Sutra del Loto, Mondadori, 2004, vol. 1 p. 19. che si riflette per il Buddismo nel principio di shoho jisso (“il vero aspetto di tutti i fenomeni”). Il concetto viene ribadito in una conferenza tenuta all’Accademia Cinese di Scienze Sociali di Pechino il 14 ottobre 1992 (Ikeda, “Un’etica della simbiosi”): «L’ethos della simbiosi non è legato al solo regno della società umana. Esso ha una dimensione cosmica e lavora nella natura e nell’universo. Il principio buddista dell’interrelazione tra umanità e natura è espresso nella frase: “Montagne e fiumi, piante e alberi tutti conseguono la Buddità”. Questa convinzione profonda ricoprirà un ruolo sempre più centrale con l’aumentare dei problemi riguardanti l’inquinamento, la distruzione dell’ambiente e lo sfruttamento incontrollato delle risorse naturali».Daisaku Ikeda, Un nuovo umanesimo, Esperia, 2019, p. 172.
  7. 7. Gary Snider, L’isola della tartaruga, Stampa alternativa, 2004. avrebbe cantato il poeta Gary Snider, teorico del concetto di “riabitare” i luoghi, con la convinzione che già erano prima di noi e quindi meritano rispetto, come se uno entrando in una stanza salutasse chi vi è già presente. Significativa per il Buddismo è la teoria dei tre regni dell’esistenza (san-seken) – il regno delle cinque componenti o aggregati (go-on seken), quello degli esseri senzienti (shujo seken) e quello degli esseri insenzienti (kokudo seken) – che mostra l’illusorietà delle distinzioni concettuali fra i diversi fenomeni. Mentre negli esseri umani sono distinguibili tutti e cinque gli aggregati – materia (forma), percezione, concezione, volizione e coscienza – negli esseri insenzienti solo la materia è evidente, mentre gli altri quattro sono latenti. Nel regno animale, mentre la materia si manifesta invariabilmente, i quattro aggregati che riguardano la dimensione psichica si manifestano diversamente a seconda del tipo di animale. Nelle piante ci possono essere alcune attività che potremmo chiamare “psichiche” in quanto non si concretizzano chiaramente nella sola dimensione materiale. In particolare, il regno degli esseri insenzienti supporta l’esistenza stessa della vita facendo in modo che anche l’ambiente possieda i dieci mondi corrispondenti agli stati della vita, dall’Inferno alla Buddità, propri dell’essere umano. Questa può essere considerata una delle conseguenze della dottrina di ichinen sanzen. In altre parole, la vita di un individuo si riflette nel mondo circostante, e il mondo stesso è coerente con l’esistenza individuale. In parole diverse ma molto limpidamente sembra suggerirlo anche il fisico teorico Carlo Rovelli nel suo ultimo libro, Helgoland: «Se il mondo fisico è tessuto dalla trama sottile di immagini di specchi che si specchiano in altri specchi, senza il fondamento metafisico di una sostanza materiale, forse è più facile riconoscersi come parti di esso».Carlo Rovelli, Helgoland, Adelphi, 2020, p. 163.

Interazioni empatiche

Guarda. Le chiome degli alberi che si riflettono nei tuoi occhi. Ascolta. Il fruscio del vento che ti accarezza le orecchie. Senti. Il calore del sole che ti avvolge. Inspira... Bellezza che non è altra da noi, ma vive e pulsa in ogni cellula del nostro corpo. Tsunesaburo Makiguchi, filosofo, scrittore, pedagogista, che nel 1930 fondò la Soka Kyoiku Gakkai, affermava che in questa “meraviglia” si riassume il rapporto tra l’essere umano e l’ambiente. Egli percepiva con ogni parte di sé che la Terra e i suoi abitanti sono in realtà un tutt’uno e sentiva il bisogno di risvegliare anche negli altri la stessa consapevolezza.
Fin da giovane avverte il rapporto con il mondo come essenziale, scruta la terra con bramosia, ogni nuova conoscenza stimola in lui grande stupore. Nella sua prima opera Una geografia della vita umana, del 1903, afferma che la nostra stessa identità può essere compresa solo partendo dal piccolo, dal luogo dove viviamo, dalla comunità in cui cresciamo, da ciò che più ci è vicino e familiare. Sostiene che perfino grandi “geni” come Dante, Pietro il Grande e addirittura Albert Einstein devono l’alto livello raggiunto con le loro visioni semplicemente all’osservazione diretta delle meraviglie della natura. Il mondo naturale è in grado di ispirarci e stimolare la nostra saggezza. «Possiamo accorgerci che è possibile osservare ogni aspetto dell’universo partendo da quella piccola porzione di spazio che è la nostra terra natale. Ci è possibile farlo dato che essa è il luogo nel quale viviamo e camminiamo, dove vediamo, ascoltiamo e otteniamo impressioni in modo diretto. Inoltre, ci è possibile dare una spiegazione alla natura universale di fenomeni complessi, ovunque nel mondo, attraverso l’uso degli esempi che possiamo trovare in abbondanza persino nel più remoto villaggio o paesino. [...] Ma è necessario che le innumerevoli ricchezze che ci circondano siano percepite e dobbiamo imparare a diventare degli osservatori attenti».1
Non basta capirlo razionalmente, ognuno e ognuna di noi è più o meno consapevole di essere interconnessa con la Terra, ma lo sentiamo davvero? Riusciamo a percepire che non c’è un reale confine, ma che esso è soltanto un’illusione? Che non viviamo in antitesi come “io e ambiente” ma che esistiamo come “noi”, un insieme, un unico sistema complesso che vive, muta, si trasforma? Nel primo capitolo del suo libro Makiguchi racconta la storia Katsutoshi Doi, un signore feudale che possedeva un vasto possedimento in Giappone. Un giorno Doi raccolse un filo di seta di 30 cm proveniente dalla Cina e ordinò al suo servo di custodirlo per lui. Diverse persone sentendo questo comando lo derisero, pensando: «A che cosa serve tenere un filo così corto? Non è questo un comportamento adatto a un signore». Diversi anni dopo Katsutoshi Doi chiamò il servo e gli chiese di riportargli quel filo. Il servo lo prese dalla borsa e glielo porse. Doi a quel punto lo usò per legare la spada alla sua cintura e disse: «Quando ordinai di conservare questo pezzo di filo cinese la gente mi chiamò miserabile, ma il mio servo l’ha custodita come gli avevo chiesto, dategli 54mila litri di riso ogni anno». Poi spiegò il perché di quel gesto: «Il popolo cinese coltiva piante di gelso, le cui foglie nutrono i bachi da seta che a loro volta producono la seta con la quale è stata fatta questa corda. È stata acquistata da un commerciante in Giappone per poi arrivare qui. Quanti sforzi sono stati fatti per creare e far arrivare quel filo a me? Il paradiso ci punirà se sprechiamo qualcosa fatto con così tanti sforzi solo perché lo vediamo corto. Questo filo vale dunque per me 54mila litri di riso».2 Cambia completamente la nostra prospettiva renderci conto di quanti sforzi provenienti da tutto il mondo vivano in ogni cosa di cui quotidianamente abbiamo bisogno, i vestiti che indossiamo, il cibo che ci consente di vivere, la scrivania e gli oggetti tecnologici che usiamo. Persino nella lampadina che illumina il mio computer c’è materia, energia che proviene dal pianeta, ed è frutto di sforzi, ricerca, lavoro, che dal mondo arrivano a me, ogni giorno nella mia casa, nella mia stanza. Questa consapevolezza, che secondo Magikuchi può nascere solo dal piccolo, da ciò che ci circonda, è il punto di partenza per conoscere la stretta connessione che abbiamo con il mondo intero, e così questa conoscenza può tradursi in gratitudine, in desiderio di vivere in armonia con il nostro pianeta, con la natura, con le altre persone.
«Fondare delle società è nella natura di noi esseri umani. Nessuno è in grado di vivere completamente da solo. Attraverso questo sodalizio sociale possiamo provvedere non solo ai nostri bisogni primari e alla nostra sicurezza, ma a tutto ciò che rende le nostre vite gratificanti e degne di lode. Questo tipo di realizzazione conduce all’universalizzare i sentimenti empatici che in precedenza erano rivolti solo a uno specifico individuo o oggetto. Accrescere la consapevolezza di quanto siamo in debito verso la società che ci ospita fa sorgere in noi sentimenti di considerazione e di responsabilità civile. Partendo dalle nostre relazioni personali più strette [...] il nostro coinvolgimento empatico e senso di riguardo si espandono fino a includere la società in senso ampio e, infine, l’intero pianeta».3
Una geografia della vita umana venne pubblicato nel 1903. Makiguchi aveva circa trent’anni, era un maestro innamorato dei bambini, incessantemente dedito a studiare, a cercare di comprendere come aiutarli, sostenerli affinché diventassero persone capaci e soprattutto felici. Incontrò il Buddismo molti anni dopo, all’età di sessant’anni e, proprio negli insegnamenti di Nichiren e nel Sutra del Loto, trovò risonanza e comprova della sua ricerca durata una vita. Il sistema pedagogico che andava costruendo, la sua convinzione che ogni singola vita umana fosse indissolubilmente radicata e correlata al proprio habitat naturale, parte di un tutto che pulsa, che vive, si evolve secondo geometrie e interconnessioni determinanti, trovarono casa. E stimoli, e scenari più ampi. Grande deve essere stata l’emozione, la gioia di trovare conferma del proprio pensiero, della propria visione del mondo, in un sistema filosofico e religioso onnicomprensivo, così antico e vasto! L’orizzonte che si apre mettendo a fuoco la relazione tra gli uomini, le donne e l’ambiente in cui vivono è immenso, svela aspetti della realtà che mettono in luce il potere della nostra interiorità, del nostro vivere, delle nostre scelte.
«L’ambiente è paragonabile all’ombra e la vita al corpo – scrive Nichiren nel Gosho Sui presagi (RSND, 1, 574). – Senza il corpo non può esserci l’ombra e senza vita non c’è ambiente. Inoltre, la vita è modellata dall’ambiente. Gli occhi sono plasmati dall’oriente, la lingua dal meridione, il naso dall’occidente, gli orecchi dal settentrione, il corpo da tutte e quattro le direzioni e la mente dal centro. Perciò quando i cinque organi di senso degli uomini si guastano, scuotono le quattro direzioni e il centro e, come sintomo della conseguente distruzione della terra, per prima cosa le montagne franano, l’erba e gli alberi appassiscono e i fiumi si prosciugano. Quando gli occhi, gli orecchi e gli altri organi di senso delle persone sono scossi e turbati, si verificano strani fenomeni nel cielo; quando la loro mente è turbata, la terra trema».
La nostra vita spirituale influenza l’ambiente, e il nostro ambiente influenza noi, in un ciclo senza interruzione. Quello che provo, che penso, il mio modo di agire si esprime nel mondo fenomenico, trova espressione nelle cose e nelle situazioni che mi circondano, in un processo di mutamento continuo che riviene a me e influenza di ritorno il mio umore, il mio stare tra le cose e le persone. Quando amo e ascolto, rispetto la mia casa, gli amici, il mio quartiere, il mio paese, sto contagiando con il mio amore il mondo. Così come quando mi lamento di mia moglie, del quartiere, del mio paese, provo rabbia o disprezzo e affino la “furbizia” di sfruttare gli altri, animali, risorse della terra, senza preoccuparmi del loro benessere, della loro sopravvivenza, il mondo lo inquino, lo spoglio, desolazione e deserto crescono attorno alla mia vita. Questa interrelazione tra esseri umani e ambiente portò Magikuchi a porre grande enfasi sulla responsabilità di ogni singola persona. Abbiamo, individualmente, la responsabilità di instaurare con l’ambiente un rapporto creativo, in grado di avviare un circolo virtuoso che trasformi il nostro e l’altrui deserto in una terra di pace, felice.
Ci vuole un nuovo sapere, un "sapere ecologico", come riporta Dayle BethelDayle M. Bethel (1923-2013), autore di Makiguchi The Value Creator, Weatherhill inc. New York Tokyo, 1973 (ed. italiana La creazione di valore, Esperia, 2013); curatore di Education for Creative Living. Ideas and Proposals of Tsunesaburo Makiguchi, Soka Gakkai, 1989 (ed. italiana L’educazione creativa, La Nuova Italia, 2000) e di A Geography of the Human Life (vedi nota 1). nell'introduzione a Una geografia della vita umana, «una modalità del conoscere impegnata in senso morale ed esperienziale, che comprende il senso della meraviglia e del rispetto per la vita e porta a comprendere che ogni azione umana ha conseguenze su un ecosistema più vasto. [...] Un sapere ecologico coinvolge l’intero corpo e le emozioni, non solo l’intelletto; coltiva il senso dello spazio, non un’intelligenza astratta e senza radici; si interessa in larga misura della totalità, delle connessioni e delle relazioni piuttosto che di un sapere frammentato in discipline separate».Qui Bethel cita Ron Miller in Great Ideas in Education, Holistic Education Press, Brandon, VT, 1993, p. 5. Miller è formatore di in- segnanti presso il Goddard College nel Vermont, storico delle alternative educative ed esperto di educazione olistica. Ha fondato le riviste Holistic Education Review e Paths of Learning.
Educare i bambini, le bambine (e gli adulti) a costruire felicità, saggezza, capacità empatica verso i piccoli grandi fenomeni, verso la comunità e le cose che incontrano, era per Makiguchi oltremodo necessario. È come se la sopravvivenza stessa del genere umano, delle nostre figlie e figli, dipendesse da questo. (Rossella Maci e Manuela Vigorita)
NOTE
  1. 1. Tsunesaburo Makiguchi, A Geography of Human life, a cura di Dayle M. Bethel, Caddo Gap Press, 2002, San Francisco, CA, pp. 20-21, traduzione nostra (Simonetta Mazzocchi).
  2. 2. cfr. Makiguchi, op. cit., p. 12.
  3. 3. Makiguchi, op. cit., pp. 29-30.
  4. 4. Dayle M. Bethel (1923-2013), autore di Makiguchi The Value Creator, Weatherhill inc. New York Tokyo, 1973 (ed. italiana La creazione di valore, Esperia, 2013); curatore di Education for Creative Living. Ideas and Proposals of Tsunesaburo Makiguchi, Soka Gakkai, 1989 (ed. italiana L’educazione creativa, La Nuova Italia, 2000) e di A Geography of the Human Life (vedi nota 1). nell'introduzione a Una geografia della vita umana, «una modalità del conoscere impegnata in senso morale ed esperienziale, che comprende il senso della meraviglia e del rispetto per la vita e porta a comprendere che ogni azione umana ha conseguenze su un ecosistema più vasto. [...] Un sapere ecologico coinvolge l’intero corpo e le emozioni, non solo l’intelletto; coltiva il senso dello spazio, non un’intelligenza astratta e senza radici; si interessa in larga misura della totalità, delle connessioni e delle relazioni piuttosto che di un sapere frammentato in discipline separate».Qui Bethel cita Ron Miller in Great Ideas in Education, Holistic Education Press, Brandon, VT, 1993, p. 5. Miller è formatore di in- segnanti presso il Goddard College nel Vermont, storico delle alternative educative ed esperto di educazione olistica. Ha fondato le riviste Holistic Education Review e Paths of Learning.

Elogio dell'umiltà






Di fronte alle crisi ambientali cui stiamo assistendo negli ultimi decenni, il mio primo pensiero è sempre stato rivolto a individuare quali siano le azioni che le singole persone possono compiere, nella loro quotidianità, al fine di incidere positivamente a livello locale e planetario. Negli ultimi tempi la mia riflessione si è concentrata sul termine “umiltà”, che impropriamente ho sempre legato a una condizione di sottomissione, impotenza. Il termine “umiltà” per definizione è un «sentimento e conseguente comportamento improntato alla consapevolezza dei propri limiti e al distacco da ogni forma di orgoglio e sicurezza eccessivi di sé» (Dizionario Treccani). Questa definizione mi ha fatto comprendere come, in riferimento al dialogo costante dell’individuo con se stesso e con la natura, il primo passo da compiere sia proprio quello di partire da un atteggiamento di umiltà, consapevoli del fatto che, attraverso la propria trasformazione individuale, si possa incidere nella realizzazione di un cambiamento positivo per tutti. È proprio da questa condizione di umiltà che può prendere avvio un dialogo proattivo, ossia un dialogo pronto all’azione, intenzionato all’ascolto; ascolto diretto a un'interlocutrice, la natura, solo apparentemente muta, dalla quale però possiamo apprendere molto, come i sintomi del suo malessere che sta manifestando con forza. Questo approccio basato sul dialogo attivo produce nuove comprensioni e azioni conseguenti che determinano inevitabilmente effetti positivi. Cosa possiamo fare, allora, per indirizzare la nostra vita e la nostra mente verso la creazione di valore, evitando di cadere vittime di un processo di distruzione senza fine? Il presidente Ikeda, nel libro Cultura, arte e natura (Esperia, p. 71), afferma: «Soltanto l’intelligenza, la cultura e la fede religiosa possono allontanarci dallo stato di Animalità che fa un uso dissennato della natura, lasciandosi dietro terra bruciata. Data la non dualità di vita e ambiente, una mente arida e distruttiva produce un ambiente naturale arido e devastato. La desertificazione del nostro pianeta è legata alla desertificazione dello spirito umano, mentre la guerra distrugge sia la natura sia lo spirito umano. Il XX secolo è stato il secolo della guerra, dobbiamo fare in modo che il XXI sia il secolo della vita. Adoperiamoci affinché la vita abbia la priorità in tutti i campi dell’attività umana, nel commercio, nel governo e nelle scienze». (Lucrezia Petrucci)




Per un'ecologia del cuore






La separazione è solo apparente, anche se mai come in questo periodo l’umanità si sente e si pensa sola, come se la vita si esaurisse nel perimetro personale, reso ancora più angusto dall’emergenza. Non c’è niente di meno chiuso del Buddismo, che insegna piuttosto ad aprire, anche e soprattutto nei momenti più duri.
È questo l’atto che si compie quando si vincono le resistenze dell’abitudine e delle più radicate convinzioni per intraprendere una riforma personale: significa aprirsi a un’altra possibilità di sé, trovare il coraggio di lasciare il guscio di sempre ed esporsi a una visione più ampia, dove tutto quello che sembrava sedimentato e immutabile si stempera in una nuova prospettiva e non giganteggia più tra le pareti del cuore. Da questo varco passa una diversa qualità di attenzione per le altre persone, che trovano più agevolmente posto nel paesaggio allargato: la cura di sé si estende naturalmente alla cura dell’altro. È un’opera di scardinamento che si irradia intorno: cambia lo sguardo e comprende tutto, perché chi decide di snodare le maglie del karma sperimenta una libertà che non si nutre di attriti, di conflitti e di indifferenza. «È il cuore che è importante». Anche un piccolo ecosistema relazionale come quello che ciascuno può mettere in funzione operando un cambiamento alla radice di sé si propaga nell’ambiente, che a sua volta beneficia dell’energia prodotta da quell’intima determinazione che ha acceso il percorso. Un beneficio fatto della stessa consapevolezza e dello stesso rispetto che illuminano le relazioni umane. Oltre l’oggettività dell’ambiente e la sostanza scientifica delle interrelazioni che trattiene, c’è un senso di appartenenza che sfugge a qualsiasi principio di utilità o cronologia storica: e che è possibile recuperare, perché non c’è separazione e il tutto ci include. (Simona Caleo)




Da quest'unico elemento della mente

In che modo la rivoluzione umana di un singolo individuo può cambiare la società e trasformare il destino dell’umanità?


Sakae Takahashi, responsabile generale delle donne e giovani donne della SGI europea, ha risposto a questa domanda nel corso del Summit europeo 2021, collegando il concetto di rivoluzione umana sia alla visione buddista del funzionamento della vita, attraverso il principio di ichinen-sanzen (tremila regni in un singolo istante di vita), sia alla dottrina del Daishonin di rissho-ankoku (adottare l’insegnamento corretto per la pace nel paese).
La seguente citazione del presidente Ikeda, da cui è partita la sua risposta, evidenzia subito il primo collegamento: «Il punto è che la rivoluzione umana, benché avvenga nel cuore di un singolo individuo, non resta confinata a quella persona. Poiché nel Buddismo del Daishonin il conseguimento della Buddità si basa sul principio dei “tremila regni in un singolo istante di vita”, un cambiamento che avviene in un istante della vita individuale produce una reazione a catena nei cento mondi, nei mille fattori e in definitiva nei tremila regni dell’esistenza. Influenza le nostre relazioni con gli altri e con l’ambiente: quando noi cambiamo, l’ambiente cambia, e quando l’ambiente cambia, il mondo cambia. La rivoluzione umana di un individuo è il punto di partenza di questa enorme trasformazione dinamica» (BS, 186, 59).
Per spiegare ulteriormente questo legame, ha citato il brano in cui il Daishonin scrive: «Da quest’unico elemento della mente scaturiscono tutte le varie terre e condizioni ambientali» (La dichiarazione unanime dei Budda delle tre esistenze, RSND, 2, 793), commentato così da Ikeda: «[Questo passo] insegna che il nostro cuore, o mente, racchiude tutti i fenomeni dell’universo. Un luogo può essere trasformato positivamente o negativamente in base al cuore e alla mente delle persone. Non è un’esagerazione dire che la ricerca spirituale dell’umanità nel corso della storia è stata un’esplorazione di questo “singolo fattore della mente”, e quando esaminiamo attentamente alcuni problemi fondamentali come la guerra, la fame e la distruzione ambientale, constatiamo che tutto si può riportare a questo unico fattore. Dal punto di vista del principio dei “tremila regni in un singolo istante di vita”, anche la terra ha uno stato vitale o condizione di vita. Poiché il Buddismo considera la vita e il suo ambiente come inseparabili, quando i cuori delle persone che vivono in un determinato luogo sono tormentati e infelici, anche la terra – cioè il loro ambiente – sarà tormentata e infelice. Quando i cuori delle persone brilleranno di profonda forza e fiducia, fiorirà e prospererà anche la terra. Per far risplendere il nostro prezioso pianeta azzurro con la luce della pace, della prosperità e della felicità, è assolutamente necessario controllare, approfondire e lucidare questo singolo fattore del cuore o mente. [...] Nella sua espressione basilare, il “singolo fattore della mente” che può davvero permettere alle nostre terre di fiorire non è altro che la fede nella Legge mistica» (Maestro e discepolo, Esperia, p. 2).
Si tratta, ha sottolineato, della magnifica condizione vitale in cui il Myoho-renge-kyo insito nella nostra vita e quello dell’universo si fondono e diventano tutt’uno, come spiega il Daishonin: «La nostra vita, corpo e mente, in un singolo istante pervade l’intero regno dei fenomeni» (L’oggetto di culto per l’osservazione della mente, RSND 1, 326). Un brano che insegna come il Daimoku che recitiamo non solo ci conduce individualmente all’Illuminazione, ma ha anche il potere di trasformare la società e l’intero universo. Se aumenta il numero di persone che abbracciano il Gohonzon e recitano Daimoku, naturalmente cresce anche il potere di trasformare la società e l’ambiente. Per quanto poi riguarda l’espressione del Daishonin “adottare l’insegnamento corretto” (rissho), Sakae Takahashi si è riferita a quanto scrive Ikeda a proposito dei suoi due ambiti di applicazione, individuale e sociale: «A livello individuale “adottare l’insegnamento corretto” significa costruire una forte fede nel Sutra del Loto. [...] Abbracciare sinceramente Nam-myoho-renge-kyo, l’insegnamento che permette alle persone comuni dell’Ultimo giorno di manifestare il mondo di Buddità, è la pratica fondamentale per “adottare l’insegnamento corretto”. Inoltre, rendere i princìpi fondamentali del Sutra del Loto, la dignità umana e la sacralità della vita, la filosofia su cui basare tutte le attività sociali, significa “adottare l’insegnamento corretto” a livello della società. Realizzare la “pace nel paese”, che è l’obiettivo fondamentale per cui “adottare l’insegnamento corretto”, vuol dire creare una società pacifica in cui la gente goda di felicità e sicurezza e abbia la possibilità di sviluppare pienamente la propria umanità» (MDG, 103). Attualizzando il brano citato, ha evidenziato che con la pandemia sono emersi tanti aspetti negativi del cuore umano come ansia, paura, odio, egocentrismo, disprezzo, discriminazione, divisione, tutte manifestazioni dei tre veleni di avidità, collera e stupidità. D’altro canto, però, numerose persone iniziano a sentire profondamente quanto sia preziosa e insostituibile la vita, quanto sia importante prendersene cura e aiutarsi a vicenda. Questo accade perché tutti possiedono le condizioni vitali di Bodhisattva e di Buddità. In tale scenario, se una persona che pratica si adopera attraverso la preghiera, il dialogo e il comportamento per stabilire ideali come la dignità umana e la sacralità della vita, crea un enorme impatto sulla società. Se questo modo di vivere si diffonde, potremo elevare la condizione vitale dell'intera umanità e realizzare la pace e la sicurezza delle persone, costruendo una società basata sull'empatia, la coesistenza, la prosperità.
Tornando poi al principio di ichinen sanzen, la responsabile europea ha ribadito che non si tratta soltanto una teoria o di un’analisi oggettiva. Grazie al nostro ichinen, la nostra mente in un singolo istante di vita, possiamo stabilire la forte determinazione di cambiare la nostra realtà e agire di conseguenza. Quando formuliamo questo voto, “i tremila regni dell’esistenza”, ovvero tutti i fenomeni, operano in accordo con la nostra determinazione. E per sottolineare ulteriormente questo punto, ha concluso il suo intervento con un lungo brano del presidente Ikeda: «[Il Daishonin scrive:] “Il cuore e la mente umana sono veramente incredibili e insondabili. Tutto si può trasformare attraverso “il meraviglioso funzionamento del nostro cuore o mente” (cfr. La raccolta degli insegnamenti orali, BS, 110, 56). [...] “Cambiare il cuore” non significa tirarsi su di morale o sentirsi meglio momentaneamente senza cambiare la nostra realtà. La vera trasformazione del cuore è più profonda; un cambiamento interiore autentico produce un mutamento concreto nella nostra vita. “Approfondire il cuore” – lo stato vitale – è l’essenza della religione della rivoluzione umana. Quando parliamo di ottenere benefici attraverso la pratica buddista, ci stiamo riferendo a questa trasformazione interiore.
Per questo è necessario un atteggiamento serio nella fede. Se ci lasciamo sconfiggere dalle funzioni negative e ci abbandoniamo alle lamentele, il nostro cuore perderà la sua brillantezza. Una sottile differenza nel cuore può determinare una differenza enorme nei risultati. Il Daishonin dice che il funzionamento del nostro cuore, o vita, è “rigoroso” e aggiunge che ognuno dei tremila regni esiste nella nostra vita (cfr. La raccolta degli insegnamenti orali, BS, 110, 49). È il cuore che determina se conseguiremo e meno la Buddità. Per questo “è il cuore che è importante”. Scrive il Daishonin: “Poiché la vita non dura che un momento, il Budda ha esposto i benefici che derivano da un singolo istante di gioia [per avere udito il Sutra del Loto]” (Domande e risposte riguardo all’abbracciare il Sutra del Loto, RSND, 1, 56). Una fresca determinazione nella fede adesso, in questo preciso momento, può trasformare tutto. Come praticanti del Buddismo di Nichiren, direzionando il nostro cuore diamo forma al presente e al futuro» (BS, 192, 40).

Il risveglio della scienza alla relazione dipendente

Quando perse una fortuna nel collasso delle azioni della South Sea Company, sembra che Sir Isaac Newton abbia affermato che avrebbe potuto calcolare il moto dei corpi celesti, ma non la follia dei mercati. Così fino alla metà del secolo scorso gli strumenti della scienza si sono limitati all’indagine di fenomeni molto lontani dall'esperienza quotidiana. Oggi invece la scienza è parte del nostro ecosistema, entra nella nostra vita attraverso Internet e i cellulari, analizza i mercati finanziari e predice il migliore percorso da casa al lavoro.
Tutto è iniziato a metà del secolo scorso, quando John von Neumann, Alan Turing e Claude Shannon hanno gettato le basi della teoria dei giochi, della teoria dell’informazione e dell'intelligenza artificiale. Poi Benoît MandelbrotBenoît B. Mandelbrot, La Geometria della Natura, Theoria, 1990. osservò che le forme irregolari che i matematici consideravano curiosità eccezionali erano la regola nel mondo reale. Da matematico si rese conto che non c'erano un linguaggio e gli strumenti per descrivere le coste marine, le ramificazioni delle foglie, la distribuzione delle galassie. Pochi anni dopo il fisico Per BakPer Bak, How Nature Works, Springer, 1996. notò che i terremoti o l'evoluzione delle specie avvengono in modo molto irregolare, come se la Natura si fosse autorganizzata a manifestare proprietà che nelle teorie matematiche del suo tempo si presentavano solo in condizioni eccezionali. E all’inizio degli anni 2000 A. L. BarabasiAlbert-László Barabasi, Link: La Scienza delle Reti, Saggi Einaudi, 2004. e altri si resero conto che in molti fenomeni reali l'attore principale, invece dei costituenti, è la trama delle interazioni e delle relazioni, tra geni e specie chimiche nelle nostre cellule, come tra individui nella società o computer su Internet.
Questo ha portato le “irregolarità” della Natura e le “relazioni”, peraltro oggetto della nostra osservazione quotidiana, a entrare a pieno titolo tra gli aspetti del reale che la scienza si propone di studiare. E così tanti ricercatori, come me,2 si sono messi al lavoro per trovare gli strumenti adatti a descrivere fenomeni sempre più complessi, dalle cellule e il cervello agli ecosistemi e i mercati finanziari. La rivoluzione digitale ha poi fornito un'incredibile quantità di dati su questi fenomeni. L'ecosistema degli scienziati si è così intessuto di nuove interazioni, tra fisici, biologi, ecologi, economisti, in un mondo sempre più interconnesso da nuovi fenomeni globali, dal cambiamento climatico alla finanza all'ascesa dei social media, che sfuggono al nostro controllo e alla nostra comprensione. Così abbiamo iniziato a parlare di "scienza dei sistemi complessi". Alla luce del Buddismo, potremo considerarlo un “risveglio della scienza alla relazione dipendente”.
Che cosa abbiamo imparato?
Primo, che complesso non significa complicato. Molti fenomeni complessi derivano da comportamenti che sono il risultato dell'interazione tra tante unità, siano esse particelle, cellule, neuroni, specie ecologiche o agenti di borsa. Una caratteristica tipica di tali fenomeni è di essere indipendenti dai dettagli. Per esempio, a prescindere dalla loro composizione, tutti i liquidi evaporano quando la temperatura si fa abbastanza elevata, e quindi per capire il fenomeno dell'evaporazione possiamo studiare il modello matematico più semplice che esibisce tale comportamento. Difatti, più il modello è semplice più possiamo dire di aver compreso quali siano i fattori essenziali responsabili del fenomeno.
Secondo, che è l'interazione, più che i singoli costituenti, l’attore principale nei fenomeni complessi. Non capiremo mai se in certe condizioni l'acqua è liquida, ghiaccio o vapore, studiando la molecola dell'acqua. È come interagisce con le altre molecole che conta.
Abbiamo anche scoperto che, quando rivolgiamo lo sguardo ai sistemi viventi, troviamo una stupefacente gerarchia che lega fenomeni diversi a diverse scale, dal micro al macro. Dal dna, il codice della vita, ai meccanismi intracellulari, alla cooperazione tra le cellule dello stesso organismo, all'interazione tra organi e organismi fino alla scala degli ecosistemi, a ogni livello la vita si adatta e si organizza in strutture modulari, per essere compatibile con il livello sottostante e per "servire" il livello superiore.
E infine abbiamo capito che, come disse Živago,3 la vita sarà sempre al di là «delle nostre ottuse teorie», e continuerà ad affascinare chi cerca di capirla. (Matteo Marsili)
NOTE
  1. 1. Benoît B. Mandelbrot, La Geometria della Natura, Theoria, 1990. osservò che le forme irregolari che i matematici consideravano curiosità eccezionali erano la regola nel mondo reale. Da matematico si rese conto che non c'erano un linguaggio e gli strumenti per descrivere le coste marine, le ramificazioni delle foglie, la distribuzione delle galassie. Pochi anni dopo il fisico Per BakPer Bak, How Nature Works, Springer, 1996. notò che i terremoti o l'evoluzione delle specie avvengono in modo molto irregolare, come se la Natura si fosse autorganizzata a manifestare proprietà che nelle teorie matematiche del suo tempo si presentavano solo in condizioni eccezionali. E all’inizio degli anni 2000 A. L. BarabasiAlbert-László Barabasi, Link: La Scienza delle Reti, Saggi Einaudi, 2004.
  2. 2. Matteo Marsili è ricercatore presso l'Abdus Salam International Centre for Theoretical Physics.
  3. 3. Boris Pasternak, Il dottor Živago, Collana I Narratori, Feltrinelli, Milano, 2017.

Una nuova alleanza delle scienze umane

«Se persisterà l’attuale peggioramento del clima globale e dell’ecosistema possiamo aspettarci che emergano nuove malattie infettive». Così scrive Daisaku Ikeda nella Proposta di pace 2021, sottolineando quanto detto dagli esperti, lo scorso settembre, al summit dell’Onu sulla biodiversità. E aggiunge: «Invece di affrontare ogni situazione di crisi separatamente, se si adotta un approccio globale è possibile realizzare una piattaforma comune sulla quale sviluppare nuove possibilità per il futuro».1
Una nuova alleanza delle scienze umane è quindi necessaria: non solo la medicina e l’antropologia medica, ma anche la politica, l’economia e l’ecologia devono cercare nuove sinergie per la salute dell’umanità.
È la lezione da apprendere da questo evento pandemico, secondo il medico e filosofo Giorgio Cosmacini, uno dei maggiori storici della medicina italiani. «Oggi è quanto mai rilevante, proprio per i rapporti che esistono tra patologia ed economia, tra patologia ed ecologia, pensare che anche queste discipline sono scienze umane, come la medicina e l’antropologia medica. Anche l’economia, l’ecologia e la politica sono strettamente legate alla scienza medica»: così ha dichiarato l’esperto in un’intervista della primavera 2020, in pieno lockdown.2
E le sue parole risuonano più che mai significative nel tempo sospeso della pandemia, mentre si parla ormai di una più vasta “sindemia”, intreccio di ferite non solo sanitarie ma anche economiche, sociali, psicologiche, e di un malessere dilagante nella rete di relazioni del mondo globalizzato. Sono un invito a riflettere sul senso di questo divenire, per esplorare orizzonti nuovi e più inclusivi. A tale proposito è interessante ribadire come il Buddismo ci esorti ad adottare uno sguardo più ampio e a uscire da una visione antropocentrica e limitata del mondo, per “vivere in simbiosi e nel rispetto della natura”.3
Ecco, il dramma collettivo della pandemia, con il suo bagaglio di morti e di sofferenza, di povertà, disuguaglianze, ansia, paura, solitudine, ha mostrato con evidenza globale quanto ci siamo allontanati da quell’ordine simbiotico: è avvenuto uno scompaginamento improvviso, ma l’equilibrio era già reso precario dalla rapace avidità umana. E ora, che il peggio sembra alle spalle, è più che mai necessario ricercare una visione d’insieme che abbracci al contempo la dimensione individuale, quella sociale e il regno della natura. Anche perché, secondo gli scienziati, siamo ormai immersi nel Pandemiocene, l’era delle pandemie, una sorta di sequel patologico di Antropocene, del quale ha ereditato le distorsioni.
Almeno sei eventi pandemici globali si sono succeduti dal secolo scorso, dopo la Spagnola del 1918, e forse Covid-19 non sarà l’ultimo. Molte infezioni emergenti sono zoonosi, ossia vengono trasmesse dagli animali, come nel caso del nuovo coronavirus. «Il serbatoio animale è sempre pronto a dare patogeni e il “salto di specie”, o spillover, accade frequentemente in natura. Tuttavia solo alcuni microrganismi sono in grado di contagiare gli umani e solo alcuni sono in grado di trasmettersi da persona a persona. Nel caso di Sars-CoV-2 è accaduta una tempesta perfetta» spiega Alessio Lorusso, virologo veterinario, ricercatore all’Istituto zooprofilattico sperimentale di Teramo. Ma il rischio di altre zoonosi infettive sta aumentando a causa dell’antropizzazione: laddove, per esempio, agricoltura indiscriminata e allevamenti intensivi, espansione delle aree urbane e deforestazioni comportano una “invasione” dell’habitat di specie selvatiche che sono un serbatoio naturale di virus.
Di fronte a uno scenario così complesso, nel quale, all’aggravarsi della situazione ambientale, si è aggiunta la pandemia con la conseguente crisi economica e sociale, Daisaku Ikeda sceglie di abbracciare una prospettiva più inclusiva e interdipendente, considerando ogni problema come una reale opportunità di cambiamento: «Ad esempio, gli sforzi per mitigare il cambiamento climatico possono migliorare le misure di prevenzione contro le malattie infettive emergenti, che a loro volta aumenteranno la resilienza alle catastrofi. Allo stesso modo, il rafforzamento delle misure di prevenzione delle catastrofi e di riduzione del rischio, insieme alla conservazione ecologica, aiuterà a far fronte alle sfide poste dal cambiamento climatico».4
È un esempio di resistenza attiva il progetto “Life Memorial”, portato avanti dall’Istituto Soka dell’Amazzonia, che Ikeda ha contribuito a far nascere: a partire da settembre 2020, è stato piantato un albero in memoria di ogni vittima di Covid-19 in Brasile. «Con ogni albero piantato – scrive – l’iniziativa mira a onorare e riconoscere coloro con cui è stata condivisa la vita nella grande terra del Brasile, perpetuando la loro memoria e contribuendo anche al rimboschimento e alla protezione dell’integrità ecologica della regione amazzonica».
Va in questa direzione anche il rapporto Escaping the Era of Pandemics (Fuga dall’era delle pandemie)5 elaborato da autorevoli scienziati di tutto il mondo – medici, epidemiologi, zoologi, economisti, farmacologi, esperti di sanità pubblica – convocati d’urgenza lo scorso luglio dall’ipbes, la piattaforma intergovernativa dell’Onu per la difesa di biodiversità ed ecosistemi. Il rischio pandemico può essere significativamente ridotto, affermano, contrastando le attività umane che causano la perdita di biodiversità e riducendo così i contatti tra fauna selvatica, allevamenti zootecnici ed esseri umani. Tra le richieste, quella di un’intesa tra i governi, sulla falsariga dell’Accordo di Parigi sul clima, e di una Sorveglianza globale sui virus potenzialmente pandemici. E in una prospettiva di salute unica del pianeta, o salute circolare, è auspicabile una maggiore integrazione dei saperi anche tra medicina umana e medicina veterinaria, soprattutto rivolta alla diagnostica integrata.
Ma al di là delle ricette e contromisure necessarie, questa emergenza che ha fatto irruzione nelle nostre vite ha costretto l’umanità a fare i conti con un senso del limite che sembrava dimenticato, mettendo in discussione certezze date per scontate. Ed è un’altra lezione, che delinea nuovi paradigmi, per una società che vorrà vivere in armonia con i ritmi della Terra. (Silvia Sperandio)
NOTE
  1. 1. www.daisakuikeda.org/sub/resources/works/props/2021-peace-proposal.html. La traduzione italiana sarà pubblicata in allegato al n. 208 di Buddismo e società, maggio 2021.
  2. 2. Giorgio Cosmacini, “Serve una nuova alleanza delle scienze umane, solo così sconfiggeremo la pandemia” (intervista di Silvia Sperandio, Temasalute.it, www.temasalute.it, 3 maggio 2020).
  3. 3. Daisaku Ikeda, Felix Unger, Siamo umani, Piemme, 2019, p. 133.
  4. 4. www.daisakuikeda.org/sub/resources/works/props/2021-peace-proposal.html. La traduzione italiana sarà pubblicata in allegato al n. 208 di Buddismo e società, maggio 2021.
  5. 5. https://ipbes.net/pandemics.

buddismoesocieta.org