Ryunyo è la piccola figlia del re drago che nel dodicesimo capitolo del Sutra del Loto manifesta la sua Illuminazione senza cambiare la sua forma.
Questo evento è una rivoluzione, nel Buddismo, perché affranca l'insegnamento religioso dalle pastoie del sistema sociale e politico. Non a caso Shakyamuni dichiara, prima di esporre il Sutra del Loto, di parlare secondo la mente del Budda, libera, e non "secondo le menti degli ascoltatori", condizionate nel pensiero e nelle azioni dai costumi e dalle credenze del momento.
Costumi, credenze e valori che nella sostanza non sembrano così cambiati da allora.
Cosa ci dice il Budda, con la spettacolare entrata in scena di Ryunyo? Ci dice che l'"altro" per antonomasia, la femmina, ha pari dignità, spazio, voce e tempo nella sua differenza. E questo, commenta Nichiren Daishonin, è un modello perché ogni altra differenza abbia dignità, spazio, voce e tempo.
Ma ancora oggi la parola "differenza" ha un connotato negativo - il suo simbolo, in matematica, è il segno meno - mentre invece potrebbe esprimere la meravigliosa complessità della realtà.
La sociologa Elise Boulding afferma, in un recente dialogo con Daisaku Ikeda: «La mia personale interpretazione del termine "cultura di pace" è quella di una cultura che promuove una diversità armoniosa, confrontandosi creativamente con le differenze che appaiono nella società, perché non esistono al mondo due esseri umani uguali. Essa coinvolge stili di vita, sistemi di credenze, valori e comportamento». Proprio per questo, a millenni di distanza, il messaggio di Ryunyo è quanto mai attuale.
Poco prima di andare in stampa abbiamo saputo il titolo della Proposta di pace del 2011, inviata da Ikeda alle Nazioni Unite: Verso un mondo di dignità per tutti: il trionfo della vita creativa.
Forse questo speciale potrebbe esserne il prologo.

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Il messaggio di Ryunyo

Dal dodicesimo capitolo del Sutra del loto

«Il bodhisattva Manjushri disse: "Quando dimoravo nell'oceano ho sempre esposto solo il Sutra del Loto della Legge Meravigliosa".
Allora il bodhisattva Accumulo di Saggezza gli chiese: "Questo sutra è molto profondo, ineffabile e meraviglioso, un tesoro tra tutti i sutra, una vera rarità nel mondo. Ci sono degli esseri viventi che, attraverso una pratica diligente e assidua di questo sutra, sono stati in grado di conseguire rapidamente la Buddità?".
Manjushri così rispose: "C'è la figlia del re drago Sagara, che ha appena compiuto otto anni. La sua saggezza è penetrante ed ella è capace di conoscere il karma derivato dalle azioni degli esseri viventi. Padroneggia perfettamente le dharani, ha potuto accettare e abbracciare il forziere dei profondi segreti predicati dai Budda, si è immersa in profonda meditazione, ha compreso interamente le dottrine, nello spazio di un attimo ha concepito il desiderio della bodhi e raggiunto il livello della non-regressione. Non ci sono limiti alla sua eloquenza ed ella prova compassione per gli esseri viventi come fossero suoi figli. Pienamente dotata di virtù, i pensieri che concepisce e le parole con cui li esprime sono meravigliosi, onnicomprensivi e solenni. Gentile, compassionevole, benevola, dolce, ha un carattere sensibile e nobile, capace di conseguire la bodhi".
Il bodhisattva Accumulo di Saggezza disse: "Quando osservo il Tathagata Shakyamuni, mi rendo conto che per innumerevoli kalpa egli ha portato avanti severe e difficili pratiche, accumulando meriti e virtù, cercando la via del bodhisattva senza mai riposare. Osservo che in mille milioni di mondi non c'è un solo luogo, fosse anche piccolo come un seme di senape, in cui questo bodhisattva non abbia sacrificato il corpo e la vita a beneficio degli esseri viventi. Solo dopo aver fatto tutto questo è stato in grado di completare la via della bodhi. Non posso credere che questa fanciulla nello spazio di un istante abbia effettivamente potuto conseguire la corretta Illuminazione".
Prima che avesse finito di parlare, la figlia del re drago apparve improvvisamente dinanzi al Budda, chinò il capo in segno di rispetto e si ritirò da parte recitando questi versi di lode:

Egli percepisce i segni della colpa e della fortuna
e illumina ovunque le dieci direzioni.
Il suo ineffabile corpo del Dharma, puro e meraviglioso,
è dotato dei trentadue segni;
le ottanta caratteristiche
adornano il suo corpo del Dharma.
Dèi e uomini lo osservano con timore,
draghi e spiriti tutti lo onorano e lo rispettano;
tra tutti gli esseri viventi
non vi è nessuno che non lo riverisca.
Udendo i suoi insegnamenti, io ho conseguito la bodhi:
il Budda soltanto può esserne testimone.
Io espongo le dottrine del Grande Veicolo
Per riscattare gli esseri viventi dalla sofferenza.

A quel tempo Shariputra disse alla fanciulla drago: "Tu presumi di aver raggiunto la via suprema in così breve tempo. Ma questo è davvero difficile da credere. Per quale motivo? Perché il corpo di una donna, impuro e corrotto, non può essere un vaso della Legge. Come hai potuto conseguire la suprema bodhi? La via verso la Buddità è lunga e si inoltra lontano. Solo dopo aver trascorso innumerevoli kalpa praticando le austerità, accumulando azioni, osservando tutte le paramita, si può alla fine ottenere la realizzazione. Per di più una donna è soggetta ai cinque ostacoli: primo, non può diventare un re celeste Brahma. Secondo, non può diventare il re Shakra. Terzo, non può diventare un re dei demoni. Quarto, non può diventare un re saggio che gira la ruota. Quinto, non può diventare un Budda. Come potrebbe dunque una donna come te essere in grado di conseguire la Buddità così rapidamente?".
A quel tempo la fanciulla drago porse al Budda un gioiello che aveva, prezioso come mille milioni di mondi; il Budda lo accettò immediatamente. La fanciulla drago disse al bodhisattva Accumulo di Saggezza e al venerabile Shariputra: "Ho offerto questo prezioso gioiello e l'Onorato dal Mondo l'ha accettato: ciò non è forse accaduto rapidamente?".
Essi risposero: "Sì, davvero rapidamente!". La fanciulla continuò: "Avvaletevi dei vostri poteri sovrannaturali e guardate come conseguo la Buddità. Sarà cosa persino più rapida!".
A quel tempo i membri dell'assemblea videro la fanciulla drago trasformarsi nello spazio di un istante in un uomo e portare a compimento tutte le pratiche di un bodhisattva; quindi la videro recarsi verso il Mondo Immacolato del sud, prendere posto su un loto ingioiellato e conseguire l'Illuminazione imparziale e corretta. Con i trentadue segni e le ottanta caratteristiche egli espose la Legge Meravigliosa per tutti gli esseri viventi, ovunque nelle dieci direzioni.
A quel tempo nel mondo di saha i bodhisattva, gli ascoltatori della voce, le divinità, i draghi e altri fra gli otto tipi di guardiani, esseri umani e non umani, tutti videro da lontano la fanciulla drago diventare un Budda e predicare la Legge agli dèi e agli uomini nell'assemblea di quel tempo. I loro cuori si colmarono di grande gioia e tutti tributarono da lontano reverente rispetto. Innumerevoli esseri viventi, ascoltando la Legge, la compresero e furono in grado di conseguire lo stadio della non-regressione. Innumerevoli esseri viventi ricevettero la predizione del conseguimento della via. Il Mondo Immacolato si scosse e tremò in sei modi diversi. Tremila esseri del mondo di saha rimasero al livello della non-regressione. Tremila esseri concepirono il desiderio della bodhi e fu loro predetta l'Illuminazione. Il bodhisattva Accumulo di Saggezza, Shariputra e tutti gli altri membri dell'assemblea tacitamente credettero a queste cose e le accettarono» (SDL, 242-246).

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L'illuminazione della bambina drago

Il riconoscimento del valore delle donne, nella loro specifica "differenza", è il punto di partenza per il riconoscimento di tutte le altre differenze

di Maria Lucia De Luca

«Il Sutra del Loto mette al primo posto il conseguimento della Buddità da parte delle donne... [...] Per tutti coloro che credevano nel Sutra del Loto ma non riuscivano a credere del tutto, il quinto volume espose il cuore dell'intero sutra, la dottrina del conseguimento della Buddità nella forma presente. Era come se un oggetto nero fosse diventato bianco, come se la lacca nera fosse diventata simile a neve, come se una cosa sporca fosse diventata pulita e pura e il gioiello che esaudisce i desideri fosse stato gettato nell'acqua torbida [per renderla limpida]. Vi si narra di come la fanciulla drago divenne Budda nella sua forma di serpente. E a quel punto nessuno poteva dubitare che tutti gli uomini potessero conseguire la Buddità. Per questo affermo che l'Illuminazione delle donne viene esposta come modello. [...] Queste affermazioni non chiariscono forse che, fra tutti gli insegnamenti del Budda, il Sutra del Loto sta al primo posto e che, fra gli insegnamenti del Sutra del Loto, il primo posto spetta al conseguimento della Buddità da parte delle donne?». 
(Nichiren Daishonin, Il sutra della vera riconoscenza, RSND, 1, 825)

«L'ottava similitudine è seguita da una frase importantissima: "Una persona che è in grado di accettare e sostenere questo sutra, allo stesso modo, è la prima tra tutti gli esseri viventi". Questa frase di ventidue caratteri è il cuore dell'intero sutra, è l'occhio di tutti gli esseri viventi. [...] Inoltre, meditando giorno e notte su questa frase e rileggendola mattina e sera, capii che non indicava un qualsiasi devoto del Sutra del Loto. Poiché la parola "persona" della frase indica un essere umano qualsiasi, avevo creduto che si riferisse a chiunque, monaco o monaca, laico o laica di questo mondo, creda nel Sutra del Loto. Ma non è così. Infatti nei passi seguenti il Budda si riferisce ancora a questa persona dicendo: "Se vi sarà una donna" (SDL, 384).
Quando io, Nichiren, leggo i sutra diversi dal Sutra del Loto, non provo il minimo desiderio di diventare una donna. [...] Solo nel Sutra del Loto si legge che le donne che abbracciano questo sutra non solo sono superiori a tutte le altre donne, ma eccellono su tutti gli uomini». 
(Nichiren Daishonin, L'unità di marito e moglie, RSND, 1, 409).

Questo speciale ha un atto di nascita che risale circa a un anno fa, la riflessione su un costume non così sporadico tra le ragazze adolescenti: quello di vendere il proprio corpo attraverso filmati o vere e proprie prestazioni sessuali ad amici, conoscenti o sconosciuti per pochi euro o miseri regalini.
È un tema che mi riguarda da vicino, questo del valore di sé, soprattutto se penso ai ragazzi e alle ragazze di oggi. Sono madre di una bellissima ragazzina di undici anni che si considera brutta, e mi rendo conto di quanto per lei sia fondamentale l'apparire. Devo fare un doppio sforzo: da un lato accettare, senza giudicare con sufficienza, il fatto che lei metta al primo posto il suo aspetto - un'eresia per me, ex femminista e donna "liberata" - e nello stesso tempo incoraggiarla e sostenerla nell'apprezzare e valorizzare le sue innumerevoli qualità.
Mi chiedo perché ancora oggi, dove apparentemente per una donna tutto è possibile - almeno in occidente - e dove spesso gli uomini si sentono poco considerati e messi in minoranza, ci debba essere un'attenzione quasi paranoica al proprio aspetto, come se tutto quello che viene messo sull'altro piatto della bilancia sia sempre troppo poco. Mi rendo conto di quanto ancora noi donne dipendiamo - per lo più inconsapevolmente - dal giudizio e dallo sguardo maschile. E in una società dove ogni cosa deve avere un prezzo perché abbia valore, il vendere se stesse per pochi spiccioli è quasi un effetto annunciato - e spero ancora estremo - di questa enfasi sull'apparire.
Anche la sicurezza di un uomo, la sua fiducia in se stesso, dipende così tanto dallo sguardo di una donna? In parte penso di sì, ma credo che ciò appartenga soprattutto a una sfera individuale, di quell'uomo e di quella donna, e non sia una prerogativa di genere.
Noi viviamo in una società "maschile", strutturata su parametri e valori maschili a cui facciamo riferimento tutti indistintamente, uomini e donne. Questo anche dopo la massiccia immissione - per conquista e/o per necessità - delle donne in tutti gli ambiti della vita sociale. Un fenomeno che non ha portato a un autentico riconoscimento di parametri, valori e spazi "altri", diversi, da armonizzare in nuovi e ignoti equilibri, ma è avvenuto attraverso un processo di assimilazione dell'universo femminile a quello maschile. Basti il fatto che per definire la specie umana viene ancora usato il termine "uomo".

Cerco una lettura e una "soluzione" buddista a questo forte disagio che sento ora - a un anno di distanza - più che mai tangibile.
E mi accorgo innanzitutto che nel Sutra del Loto per esprimere il concetto del raggiungimento della Buddità per tutti viene operato un processo di complessità e di riconoscimento delle differenze, non di assimilazione.
Non vengono usate espressioni generiche come "tutti gli esseri" o "ogni essere", ma l'idea dell'universalità del messaggio è data dalla presenza all'assemblea di predicazione del Budda di tante individualità ben specificate e identificabili: «... esseri celesti, re draghi, yaksha, gandharva, asura, garuda, kimnara, mahoraga, esseri umani e non umani, monaci, monache, laici e laiche...» (SDL, 208).
La figura che più evidenzia la particolarità di questo approccio è quella di Ryunyo, la bambina drago di otto anni che consegue la Buddità così come è, senza cambiare, nella sua totale femminilità, animalità e piccolezza.
Finora avevo inquadrato tale evento solo all'interno dell'ampliamento - a opera del Sutra del Loto - della possibilità del raggiungimento dell'Illuminazione a tutte le categorie di esseri che fino a quel momento ne erano escluse, come le persone malvagie, le donne, gli intellettuali, i miscredenti.
Ma ora mi accorgo di un'altra cosa: la peculiarità dell'Illuminazione di Ryunyo è che essa viene espressa attraverso il principio della "forma presente", del riconoscimento della differenza. E non mediante un'assimilazione o "trasformazione", come scrive Daisaku Ikeda: «Nichiren confuta i sutra mahayana provvisori, che a prima vista sembra che insegnino che le donne possono conseguire la Buddità, perché limitano tale possibilità al "conseguimento della Buddità per trasformazione", in altre parole, sostengono che una donna può conseguire la Buddità solo dopo essere rinata come uomo. Al contrario la figlia del re drago consegue istantaneamente la Buddità in accordo con la dottrina dei tremila regni in un singolo istante di vita, manifesta cioè lo stato vitale della Buddità nella sua forma presente, come essere vivente dei nove mondi. In breve, diviene un Budda mantenendo la sua forma di fanciulla drago di otto anni» (D. Ikeda, Lezioni sul Gosho L'apertura degli occhi, Esperia, p. 151).
E c'è un ulteriore elemento, per nulla trascurabile: nel Sutra del Loto solo la bambina drago mostra concretamente di ottenere la Buddità, mentre agli esseri delle altre categorie viene fatta una predizione di Illuminazione. Per sostanziare le affermazioni precedenti e per sottolinearne il portato rivoluzionario provo a riassumere in alcuni punti il ragionamento di Nichiren Daishonin a riguardo (cfr. riquadro in questa pagina):
- tra gli insegnamenti del Budda il Sutra del Loto è al primo posto;
- nel quinto volume (nel dodicesimo capitolo) viene esposto il cuore dell'intero sutra, che è la dottrina del conseguimento della Buddità nella forma presente;
- il conseguimento della Buddità nella forma presente viene descritto attraverso l'Illuminazione di un essere femminile, Ryunyo. Esclusivamente attraverso di lei.
Inoltre il sutra narra che solo il Budda - illuminato - riconosce immediatamente la sua Illuminazione; i discepoli, anche i più saggi e compassionevoli - maschi - proprio non ci riescono, perché Ryunyo è veramente troppo diversa, troppo femmina, troppo strana. E continua raccontando di come, avvalendosi dei propri poteri sovrannaturali su richiesta della bambina, gli astanti la vedano in un attimo trasformarsi in uomo-Budda e condurre così tutte quelle pratiche illuminate che a loro avviso il suo essere donna non le consentiva di intraprendere. E si convincono. E gioiscono.
A cosa si riferisce Ryunyo quando chiede ai grandi bodhisattva di utilizzare i "poteri sovrannaturali"? Credo che li esorti a fare appello alla loro natura di Budda per riuscire così a percepire, a modo loro e cioè attraverso una rappresentazione maschile, la Buddità della bambina drago. Ne evinco che per riconoscere la Buddità di chi percepisco come assolutamente altro da me non ho altri mezzi che fare appello alla mia Buddità. E il riconoscerla nell'altro mi permette di manifestare la mia.
Trovo conferma a questa mia personale conclusione in un famoso brano della Raccolta degli insegnamenti orali: «Quando si arriva a comprendere e a vedere che ogni cosa - il ciliegio, il susino, il pesco e il prugno selvatico - nella sua propria entità, senza subire alcun cambiamento, è eternamente dotata dei tre corpi [del Budda], allora questo è ciò che si intende con la parola ryo, "comprendere" o "onnicomprensivo"» (BS, 124, 47).
Ma perché Shakyamuni utilizza proprio - e solo - l'Illuminazione di una femmina per far comprendere, o illuminare, l'assemblea alla verità sostanziale del conseguimento della Buddità nella forma presente? Non credo che sia un elemento irrilevante. Il dodicesimo capitolo del Sutra del Loto chiarisce che essere "femmina" è essere "altro" per definizione. È quella maschio-femmina la prima, fondamentale differenza. «Per questo affermo - scrive il Daishonin - che l'Illuminazione delle donne viene esposta come modello. [...] Queste affermazioni non chiariscono forse che, fra tutti gli insegnamenti del Budda, il Sutra del Loto sta al primo posto e che, fra gli insegnamenti del Sutra del Loto, il primo posto spetta al conseguimento della Buddità da parte delle donne?».
Il primo posto spetta quindi al riconoscimento del valore delle donne, nella loro specifica "differenza". E questo è un "modello" per tutti. È il punto di partenza per il riconoscimento di ogni differenza, propria e di ogni altro da sé.

Può allora la figura di Ryunyo ispirare le sue quasi coetanee di oggi, affinché possano innanzitutto credere di poter liberamente esprimere le loro innumerevoli qualità e non solo quelle richieste da una visione del mondo "maschile" che non sa riconoscerle e valorizzarle?
E possiamo noi preparare, grazie al suo esempio, un ambiente sereno dove ciò possa avvenire?
«Il supremo dovere dei buddisti - scrive Ikeda - è creare una società sicura e pacifica per le madri e i bambini di tutto il mondo. A tale scopo dobbiamo cambiare la natura fondamentale della società umana, abbandonando una cultura basata sulla guerra e l'avidità per crearne una basata sulla costruzione della pace.
Le donne svolgono un ruolo centrale in questo processo. Quando donne ottimiste, sagge e piene di coraggio si uniranno fra loro, la società cambierà profondamente. Quando un gruppo unito di donne senza paura emergerà, i tempi cambieranno drasticamente. Quando le donne, con la grande sensibilità e la profonda compassione di chi ha il compito di proteggere e allevare gli esseri viventi, entrano in azione, la società umana si trasforma radicalmente» (BS, 139, 50).
Il nostro maestro invita noi donne a riconoscerci e a unirci. Ed è nella Soka Gakkai, molto più che nel movimento femminista, che io sono diventata un'ammiratrice di donne. Prima di questa full immersion in un mondo di femmine - la divisione donne e prima ancora la divisione giovani donne - io ero orgogliosa di non essermi fatta limitare dal mio essere femmina ed ero fiera di aver fatto tutto come o anche meglio di un uomo, di essere in grado, "all'altezza", di vivere in un mondo maschile. E nei miei primi passi nell'organizzazione ho provato anche un certo fastidio rispetto al marcato accento sulla differenza di genere presente a livello strutturale.
Ma è stato proprio questo continuo contatto con donne diverse, non scelte, accomunate dal percorso di emancipazione per eccellenza che è la pratica buddista, che mi ha fatto riconoscere il mio essere donna come un valore unico e peculiare. Non solo essere quella donna, ma riconoscermi in altre. E il processo di scoperta, accettazione e consapevolezza di questa specificità è diventato una leva di felicità. Che mi ha fatto apprezzare come qualità anche tanti aspetti che prima consideravo mancanze. Per esempio la difficoltà a impegnarmi in una cosa sola, perché tante sono imprescindibili e sullo stesso piano, come la realizzazione di un lavoro importante e il sorriso dei miei figli. O l'incertezza, la mancanza di risposte pronte, grazie alla quale mi affido in ogni attimo alla vita e mi apro a continue nuove prospettive.
Che bello ritrovarsi, apprezzarsi e lottare insieme.

Scrive Daisaku Ikeda, nella Proposta di pace del 2001: «I valori, i princìpi e le ideologie che vengono attualmente chiamati in causa sono tutti prodotti di società dominate dal maschio. Ma dal momento che tali società sono in continua evoluzione, e ci si interroga sui loro fondamenti razionali, vengono sempre più alla ribalta valori come vita, cuore e spirito, tutti intimamente legati al "principio femminile". Sono certo che nel ventunesimo secolo l'entrata in scena delle donne avrà una portata che andrà al cuore della civiltà umana, e si rivelerà più importante e vitale dell'ottenimento della parità legale ed economica» (BS, 87, 24).
Ecco perché l'entrata in scena di Ryunyo, illuminata nella sua peculiare differenza di femmina, il suo riconoscerlo e il riconoscimento da parte degli altri, è il modello per tutti. Per le donne, per gli uomini, per le nostre bambine. Per la nascita di nuovi e ignoti equilibri, di valori profondamente e concretamente condivisi.
Un modello di pensiero e di comportamento.

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Riconoscersi e riconoscere

Libera con un balzo, oltre i limiti del piccolo io, dotata di un unico grande desiderio: rendere felici gli altri

di Alessandra Fornasiero

Il Sutra del Loto dice: «A quel tempo la fanciulla drago porse al Budda un gioiello che aveva, prezioso come mille milioni di mondi. Il Budda lo accettò immediatamente» (SDL, 243).
Quel prezioso gioiello è la vita di Ryunyo. Facendone dono incondizionato al Budda, ottiene l'Illuminazione.
Offrendo, apre la vita. Offrire significa credere. È l'azione della fede, che fa emergere la Buddità.
La fanciulla drago ha appena otto anni.
La sua Illuminazione rappresenta la possibilità di manifestare la Buddità qui e ora, nella forma presente (sokushin jobutsu).
Nichiren spiega: «La parola "otto", o apertura, rivela che il corpo e la mente della fanciulla drago sono la Legge meravigliosa» (Raccolta degli insegnamenti orali, BS, 115, 50).
Quel gioiello prezioso quanto l'universo è la gemma di ichinen sanzen, il mutuo possesso dei dieci mondi. Tutti, senza eccezione, possiedono la natura di Budda. Questo è il cuore del Sutra del Loto, a cui Ryunyo si è risvegliata.
Ma il bodhisattva Accumulo di Saggezza dice: «Non posso credere che questa fanciulla nello spazio di un istante possa aver conseguito la perfetta Illuminazione». È l'oscurità fondamentale che dubita e parla attraverso di lui. Del resto che argomentazioni può portare una fanciulla-drago, come convincere chi proprio non vuole credere?
È come una bambina che sale sulla sedia e dice: «Guardate cosa faccio!»... e, semplicemente, lo fa. Senza pudore, senza speciali capacità. Forse tutti mi prenderanno in giro - pensa tra sé - ma non importa. Il Budda conosce la verità: «Avvaletevi dei vostri poteri sovrannaturali e guardate come conseguo la Buddità!».
Shariputra e gli altri credono che lei si riferisca a se stessa, ma questo è un errore. Lei intende proprio dire: «Guardate come si ottiene la Buddità». Il suo esempio vale per ognuno. è un tana-libera-tutti.
Osservando la sua trasformazione ogni essere vivente potrà credere nella propria Buddità. Dunque, per diventare Budda, basta decidere di rivelare agli altri questo splendore innato della vita! «Se gli altri non ottengono la Buddità, io non ottengo la Buddità. Se gli altri ottengono la Buddità, io ottengo la Buddità» (GZ, 747, in La saggezza del Sutra del Loto, vol. 2, p. 172).
Scrive Daisaku Ikeda: «Ottenere la Buddità nella forma presente significa sviluppare il forte desiderio di salvare gli esseri viventi e continuare ad aiutare chi soffre con calma, anche se si viene respinti. In tali persone, così come sono, risplende la Buddità» (Ibidem, p. 169).
Di Shariputra e tanti altri nel Sutra del Loto si citano pensieri, parole e perplessità. Di Ryunyo si nomina il corpo, il coraggio dell'azione. Rapida concreta e tempestiva. Ancor prima che Accumulo di Saggezza abbia finito di parlare è già apparsa davanti al Budda, pronta a sfidare i dubbi del bodhisattva con la prova concreta della sua Buddità. Libera con un balzo, oltre i limiti del piccolo io. Audace e gioiosa. Pienamente dotata di un unico grande desiderio: quello di rendere felici gli altri.
Danza, Ryunyo, sulla cresta sottile delle differenze, maschio/femmina, animale/umano... I piedi radicati nella terra, nel cuore il battito d'ali di chi spicca il volo. Del resto, «quando il Bodhisattva Pratiche superiori emerse dalla Terra, non lo fece forse danzando?» (Grande male e grande bene, RSND, 1, 992).
Dritta al cuore dell'universo, a ritmo con la grande jihi. Non le importa che la prendano in giro. Ryunyo ha dalla sua parte il coraggio della compassione e l'evidenza della verità.

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La danza di Ryunyo

La differenza fra uomini e donne non è solo biologica, culturale, storica. È una differenza simbolica, un diverso modo di guardare il mondo

di Gianna Mazzini

Se c'è un momento in cui è importante dirlo, quel momento è ora.
Ora che siamo a un bivio.
Se c'è un momento in cui serve affermare l'importanza del messaggio di Ryunyo è proprio adesso, che molto intorno a noi sembra dire incomprensione e mancanza di rispetto. Ora che il panorama sociale ci offre sempre più spesso esempi d'identità maschile e femminile impoveriti di quella ricchezza che è alla base di ogni sviluppo e crescita.
Donne e uomini siamo diversi. Siamo più diversi che neri e bianchi, cattolici e musulmani, europei e orientali. Siamo diversi nella costituzione soggettiva, nella visione del mondo. Uomo e donna: siamo due. Riconoscere che l'altro - uomo o donna che sia - è differente da me, accettare che il suo diritto all'esistenza e alla dignità equivale al mio, apre al riconoscimento di tutte le altre forme di differenza.
La differenza fra uomini e donne non è solo biologica, culturale, storica.
È qualcosa che viene prima, prima dei corpi, prima delle idee.
È una differenza simbolica. È un diverso modo di guardare il mondo.
Diverso modo di pensare, agire e sentire.
Lo ripete senza sosta il nostro maestro, cercando le parole più belle per ricordare a noi donne il nostro valore e la nostra responsabilità nell'esprimerlo e ricordando continuamente agli uomini di cercare l'opinione delle donne, di esercitarsi ad ascoltare senza semplificare, sviluppando attenzione e rispetto verso ciò che non gli somiglia.
Quella fra uomini e donne è la differenza che sta alla base dell'umanità.
È il cuore di tutte le altre differenze. Non solo perché è la numericamente più importante ma anche perché sta in tutte le altre: anche neri e bianchi si dividono in uomini e donne, anche europei e orientali, anche poveri e ricchi hanno al loro interno questa differenza. Come una specie di massimo comune denominatore.
La differenza di genere è la numericamente più importante ma anche la più invisibile e sconosciuta. Talmente invisibile agli occhi e al cuore da passare sotto silenzio.
Un esempio banale: tutti noi abbiamo studiato a scuola il suffragio universale. La parola "universale" è l'espressione più potente per dire "tutti", "nessuno escluso". Eppure il suffragio universale è identificato ancora oggi, nei manuali di storia, come quel momento in cui per la prima volta gli uomini di qualunque ceto accedono al diritto di voto. L'abbiamo studiato tutti e tutte. L'ho imparato anch'io, senza trovarci, mentre lo leggevo, lo ripassavo e lo ripetevo nelle interrogazioni, nessuna anomalia, nessuna stranezza. 1776 Stati Uniti, 1884 Francia e via dicendo. Poi il dettaglio: le donne accedono al voto negli Stati Uniti nel 1920, in Francia nel 1948 e così via.
In quell'universale non erano comprese le donne.
Ma è davvero "universale" qualcosa che comprende solo una parte dell'umanità?
C'è una doppia responsabilità nell'accadere di questo fatto: una responsabilità tutta femminile a non credere di essere portatrici di un valore specifico e una responsabilità tutta maschile a percepirsi come portavoce di entrambi i generi.
In gergo filosofico si chiama "neutro universale". È quel fenomeno per cui un soggetto maschile, che si pretende neutro, dice la sua centralità e disloca intorno a sé un senso del mondo plasmato su se stesso. Un senso nel quale anche le figure femminili trovano posto in riferimento al soggetto maschile che le decide.
Quali le conseguenze? Un immiserimento globale delle relazioni umane. E l'umanità femminile sembra avere solo due possibilità: aderire all'idea di donna che il mondo di volta in volta propone o assimilarsi, diventare come un uomo, assumere cioè caratteristiche, modelli di pensiero e comportamenti maschili.
Da un certo punto di vista non è cambiato molto rispetto a quando Ryunyo, la figlia del re drago, trovandosi al cospetto dei saggi, pur avendo raggiunto lo stato vitale del Budda dovette trasformarsi in uomo per convincerli della sua Illuminazione.
Tutti, a parte il Budda, avevano bisogno di quello stratagemma, per comprendere che sì, anche una donna, anzi una bambina, aveva compiuto qualcosa che, in quel tempo, era prerogativa esclusiva degli uomini.
E così anche noi, ancora oggi nel civilissimo mondo del XXI secolo, più o meno consapevolmente, ci adeguiamo, ci trasformiamo o in oggetti del desiderio o, quando abbiamo bisogno di dimostrare un valore sociale, in uomini.
C'è un mistero, un miracolo, un guizzo che è necessario alla costruzione di senso nuovo, e questo mistero, questo slancio, questa scintilla di vita si produce solo quando a confrontarsi ci sono uomini e donne consapevoli di appartenere a un'unica mistica verità e a due ordini simbolici differenti.
Ma quali sono queste caratteristiche distintive dei generi?
Non hanno a che fare con i contenuti, con i temi, gli argomenti (alle donne piace questo, agli uomini quest'altro) ma con i modi. Due sono i punti principali di differenza simbolica fra maschile e femminile.
Il primo ha a che fare con i concetti d'individualità e relazione.
Ci sono montagne di libri che ne parlano. Ma il punto fondamentale, a questo proposito, è che gli uomini hanno uno schema di pensiero lineare e oppositivo e privilegiano il raggiungimento dei risultati. E le donne hanno, invece, una struttura di pensiero contenitiva che privilegia il percorso e le relazioni.
Individualità e relazione: non c'è un meglio e un peggio; c'è solo una differenza.
Eppure appena si mettono a confronto due elementi è quasi automatico pensare a un "più" e a un "meno". La mente va lì, a quel pensiero, perché manca, nella nostra cultura, un concetto "libero" di differenza, tale che faccia sì che uno dei due elementi non scada subito in un "essere da meno"; manca l'idea di una differenza che sia fonte di ricchezza per entrambi gli elementi in relazione. Manca persino la parola per designare una disparità non inferiorizzante, e questa assenza è sintomatica di un vuoto di pensiero.
Quando una parola non c'è, è perché quella cosa, quell'idea non si è fatta ancora strada nella mente e nei cuori delle persone. Non circola. Non cammina.
Individualità e relazione, il risultato e il percorso. Scena: una donna prova a esporre un problema a un uomo. Lui si sforza di trovare la soluzione, lei vuole solo esprimergli quel disagio.
Anche qui non c'è un "più" o un "meno". Ci sono aspetti che possono assumere valore positivo o negativo secondo le circostanze.
C'è un altro punto forte, che distingue simbolicamente uomini e donne: riguarda i concetti di astrazione ed esperienza.
Provate a chiedere un'indicazione stradale a un uomo e a una donna: un uomo tenderà a dire: duecento metri a sinistra, terzo semaforo a destra e sei arrivato. Utilizzerà cioè i punti cardinali e le unità di misura. Vale a dire sistemi astratti. Una donna tenderà a dire: dritto fino alla tenda rossa, lì svolta a destra e quando vedi una farmacia sei arrivato. Vale a dire elementi dell'esperienza, della concretezza.
Gli uomini privilegiano l'astrazione, le donne l'esperienza.
Ciò ovviamente non significa che queste caratteristiche siano prerogativa esclusiva di un genere ma che, nella scala dei valori simbolici, il posto che ciascun genere riserva a queste caratteristiche è diverso.
Nella Proposta di Pace del 2009 Daisaku Ikeda cita Gabriel Marcel e il suo "spirito di astrazione" come fattore di guerra. «Marcel utilizza il termine "spirito di astrazione" per indicare il meccanismo fondamentalmente distruttivo che spinge gli esseri umani a concepire e rappresentare le cose senza tener conto della realtà concreta».
Da questo punto di vista, anche il "neutro universale" è una forma di astrazione perché non tiene conto della concretezza della differenza. È astrazione pensare all'umanità come Uomo, mentre nella realtà ci sono uomini e donne, portatori di valori differenti ed egualmente preziosi.
L'ordine del mondo è stato prevalentemente organizzato secondo i valori maschili.
Ma ora serve altro. Bisogna ridisegnare la scala delle priorità.
Ora, nella fase storica che stiamo vivendo, la relazione e la concretezza diventano cruciali per fare di questo mondo una casa bella.
La storia di Ryunyo è straordinaria anche per questo. Contiene un insegnamento preziosissimo per il momento che stiamo vivendo.
Perché tante donne si sentono inadeguate? Perché può risultare più difficile per una donna il principio della Buddità nella forma presente? Perché questa differenza non produce un reale cambiamento nelle cose? Perché non siamo capaci, uomini e donne, di fare di questa differenza qualcosa che arricchisce?
Troppo spesso si affrontano i temi legati al maschile e al femminile solo per la sfera privata, sentimentale e familiare. Eppure questo "due" ha, nel momento storico presente, importanza anche e soprattutto nella responsabilità sociale della costruzione di un tempo nuovo.
Proprio come Ryunyo, che per convincere i saggi dell'epoca si trasforma in uomo, anche noi donne spesso siamo indotte a farlo, a pensare che abbiamo valore se sposiamo i valori maschili. Ma, proprio come Ryunyo, dobbiamo restare femmine, diverse, eppure capaci di manifestare appieno lo stato vitale del Budda senza cambiare la forma presente.
E provare a dire di noi e del mondo in un modo che ci somigli, senza paura.
E gli uomini, proprio come il Budda, potrebbero esercitarsi nella capacità di riconoscere la meraviglia e l'intensità di qualcosa che è potente, anche se non gli somiglia.
Costruire il secolo delle donne riguarda donne e uomini, insieme.
Determinare un cambiamento del mondo.
In itai-doshin, diversi nel corpo e uniti nella mente.
Ogni indicazione del nostro maestro è un desiderio da far diventare realtà.
È il tempo di costruire questo secolo delle donne e va costruito insieme, uomini e donne.
Ora.

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C'è una diversità tra i generi che fa bene riconoscere, perché ne va della possibilità di realizzare appieno la propria natura, di femmine e di maschi, a vantaggio di entrambi

di Marina Marrazzi

«Il Sutra del Loto insegna che uomini e donne sono uguali», dice Daisaku Ikeda nel capitolo de La saggezza del Sutra del Loto in cui analizza il significato dell'Illuminazione di Ryunyo, la bambina drago (vol. 2, p. 167).
Su questa affermazione, semplice e lapidaria, voglio fare alcune considerazioni.
Innanzitutto, una constatazione: parlare duemilacinquecento anni fa di uguaglianza (stessa dignità, stesso valore) tra donne e uomini è rivoluzionario, considerando che si tratta di un'epoca e di una cultura in cui tale riconoscimento era ben lontano dall'essere ovvio.
Ma poi una riflessione: cosa vuol dire oggi che donne e uomini sono uguali? A cosa serve, a cosa porta e quali conseguenze produce? Ho imparato a riconoscere un tipo di millantata "uguaglianza", radicata in un anfratto della cultura che incredibilmente accomuna molte e peraltro diverse società umane, che nasconde tutt'altro. Ma ci arrivo tra poco.
Qualche riga dopo il presidente Ikeda aggiunge: «Nel Buddismo ci sono diversi insegnamenti riguardanti l'uomo e la donna che riflettono la concezione dell'epoca e della società in cui furono esposti, e non si può pensare che abbiano un'applicazione generale. Quello che importa è che uomini e donne diventino felici. Diventare felici è l'obiettivo, tutto il resto è un mezzo. [...] La storia cambia continuamente e anche l'attuale società dominata da maschi non può e non deve continuare in eterno» (Ibidem).
Mettendomi in questa prospettiva indicata dal maestro, che invita a guardare in senso critico il contesto socioculturale se può essere un freno alla felicità di donne e uomini, voglio accennare ad alcune considerazioni che ho maturato negli anni grazie all'incontro con il "pensiero della differenza"1, che ha cambiato totalmente il mio punto di vista sull'essere appartenente al genere femminile, liberando un'energia che, nella mia esperienza, va nella direzione della felicità.
E dunque: una delle prime cose che il pensiero della differenza mi ha svelato è che sotto l'idea dell'uguaglianza, del fatto che nel nostro comune sentire non c'è nessuna differenza interessante tra un cittadino e una cittadina, un maestro o una maestra, un cassiere o una cassiera - salvo per il fatto banale di essere biologicamente un maschio o una femmina - si cela una disparità nascosta, subdola direi fintantoché resta invisibile. Analizziamo il linguaggio (questo modo privilegiato di espressione che dice anche quello che non vorrebbe): salvo contesti speciali e dichiarati, il soggetto di una frase qualsiasi è sempre implicitamente maschile. Fate la prova: se trovate scritto «le donne sono...» capite immediatamente che si vuole parlare del genere femminile. Ma se invece si dice «gli uomini sono...» è molto probabile che si intenda qualcosa che ha a che fare in generale con "noi", il genere umano.
Non è un dettaglio grammaticale, è qualcosa che cambia nella sostanza la percezione di sé: è molto diverso trovarsi a essere automaticamente l'oggetto o il soggetto delle proposizioni sul mondo, e per di più in maniera non dichiarata. Per questo, essere maschi o essere femmine in questo mondo fintamente "neutro" comporta necessariamente, per gli uni e per le altre, percezioni e umori nascosti molto diversi. Per le donne, in generale, un senso di inadeguatezza intesa come difformità, estraneità - non necessariamente disistima.
Una scoperta non nuova. Già all'inizio del novecento la scrittrice Virginia Woolf aveva parlato di spaesamento riferendosi alla percezione propria e di altre di fronte alle regole della società patriarcale di allora. E, capovolgendo il senso comune, ne Le tre ghinee aveva invitato le donne a fondare una "società delle estranee", mostrando già allora la strada vincente: finché nascosti e vissuti come tare individuali, quegli umori "estranianti" sono sterili e anzi fanno male, ma se riconosciuti come qualità individuanti che riconducono a un genere con il quale li si condivide possono diventare un valore (secondo un principio che si ritrova anche nel Buddismo) in base al quale costruire una realtà nuova, diversa e ulteriore.
Dunque: c'è un'uguaglianza che avvicina alla felicità di cui parla Ikeda quando si intende non superiorità di un sesso sull'altro. Quell'uguaglianza conquistata nel nostro mondo oggi dove, almeno a parole, siamo tutti d'accordo che le donne possano guidare un aereo, diventare presidi di facoltà scientifiche, essere a capo di un'azienda o avere tanti amori e non per questo venire svalorizzate.
Ma c'è anche una differenza, una diversità, che fa bene riconoscere. Come una guarigione. A cominciare dal percepire senza paura lo scarto tra il mio sentire e l'immagine pensata dall'altro su me, dal dare spazio e corpo a questo mio sentire accordandogli un valore pieno, spendibile anche al di fuori della mia sfera individuale (come per esempio nel modo diverso di lavorare o di rapportarmi con le altre persone che, come donna, posso avere rispetto a un uomo).
O dal riconoscere affinità, alleanze e esempi da seguire in altre donne che riverberano su di me una luce nuova, dentro la quale non mi sento più pensata ma pensante. Perché attraverso questo tipo di relazioni con altre c'è la possibilità di riconoscere, nominare e valorizzare la differenza di genere, dare al femminile una misura finalmente "adeguata" a sé attraverso la quale andare e operare nel mondo in maniera originale e incisiva.
Anche un uomo che guarda questo processo si accorge di qualcosa, e cambia il suo punto di vista sul genere. (Mentre scrivo di getto questa frase non posso non pensare allo sguardo risvegliato del bodhisattva Accumulo di Saggezza e di Shariputra di fronte a Ryunyo che manifesta la sua natura illuminata).
È una diversità ovvia, quella tra i maschi e le femmine, che (come è stato già detto nelle pagine precedenti) viene prima e attraversa tutte le altre. Ma se resta celata - o peggio negata - ne va della possibilità di realizzare appieno la propria natura, di femmine e di maschi, a vantaggio di entrambi.
«Gli uomini che negano l'Illuminazione delle donne negano anche la propria Illuminazione. Questo è un aspetto che ai maschi sfugge spesso» (Ibidem).

Nota
1) Una corrente nata dal femminismo che segna un passaggio dalla rivendicazione della parità tra i sessi all'affermazione della specificità dell'esperienza femminile e della positività dei valori che le sono propri. In Italia ha preso le mosse dal lavoro di Diotima, una comunità di filosofe dell'Università di Verona. Il "pensiero della differenza" si concretizza e si alimenta attraverso la pratica delle relazioni "politiche" tra donne, dove la differenza di genere viene sostanziata in parole e in specifiche modalità di entrare in relazione, al fine di creare un simbolico femminile, fino a oggi praticamente inesistente, da giustapporre a quello maschile, universalizzante.

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L'uguaglianza, la differenza e la felicità

Pensando a Ryunio / Riflessione

Pensando a Ryunio / Riflessione

Il presidente Ikeda, da parecchi anni ormai, chiede alla divisione uomini di sostenere le donne. «Il potere che le donne hanno di influenzare il futuro è davvero incalcolabile. [...] I responsabili maschi dovrebbero sempre accordare a queste donne il massimo rispetto, senza mai sgridarle o disprezzarle. Voglio che sia assolutamente chiaro per il futuro. Apprezzare la divisione donne e giovani donne: questo è il principio fondamentale della Soka Gakkai» (Una rivoluzione della leadership, p. 96).
Da quando il presidente Ikeda ha cominciato a parlare di questo ho sentito spesso le donne riflettere sulla propria tendenza alla lamentela, alla passività, come se il "potere" alle donne dovesse essere accordato dagli uomini. Ho sentito anche determinazioni a percepire l'immenso potenziale delle donne.
Ma, mi chiedo, che tipo di riflessione fanno (hanno fatto o faranno) gli uomini?
Personalmente la mia sofferenza ha origine nella tendenza all'indifferenza da parte degli uomini al disagio delle donne: è il nostro karma, mica i problemi ce li possono risolvere loro, ecc. Insomma quella indifferenza che impedisce loro di domandarsi: «Chi è e come si sostiene una donna?».
Il Buddismo però mi insegna a non puntare il dito verso gli altri, ma verso di me. Il primo pensiero allora mi dice che forse sono io che non mi sforzo abbastanza per capire gli uomini, le loro tendenze, i loro bisogni. E subito questo pensiero viene confermato dalla storia della figlia del re drago, che si trasforma in uomo per dimostrare di avere conseguito la Buddità. Allora le donne devono fare lo sforzo di avvicinarsi all'uomo per conquistare quella stima, quella dignità di essere umano... maschio. C'è qualcosa che non va. Perché si spreca mezzo capitolo del Sutra del Loto per spiegare una cosa così "consueta"? Da tempo immemore le donne fanno questo: comprendono, accolgono, curano. E allora che sforzo è?
Il capitolo Devadatta narra della figlia del re drago che ha conseguito l'Illuminazione, di come i presenti lo mettano in dubbio e di come lei lo dimostri trasformandosi in uomo (con i poteri del Budda).
A una attenta lettura si vede che la figlia del re drago non si trasforma affatto in uomo, ma chiama in causa i poteri sovrannaturali degli uomini che non riescono a credere. E gli uomini per credere "sono costretti" a vedere la sua trasformazione in uomo. Io qui ho letto che la figlia del re drago non deve dimostrare niente a nessuno, al contrario, chiede agli uomini di fare lo sforzo di comprendere. E loro, per fortuna dotati di poteri sovrannaturali (i poteri della traduzione li chiamerei), comprendono, secondo il loro proprio linguaggio, che la figlia del re drago ha conseguito la Buddità e lo stato di non regressione.
Un invito agli uomini a fare un tentativo (collettivo, profondo, culturale insomma) di comprensione del genere femminile, così apparentemente superfluo nel mondo maschio creato per i maschi, ma poi così "presente".
Un invito alle donne ad approfondire questo capitolo, a partire dal fatto che Ryunyo ha otto anni e otto, nel Buddismo, significa aprire...
E dunque, come si sostiene una donna? (D. P.)

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Può la figlia del re drago non trasformarsi in un uomo?

Pensando a Ryunio / Riflessione

Pensando a Ryunio / Riflessione

Com'è difficile regalare il proprio gioiello prezioso mille milioni di mondi al Budda. È la prima cosa che penso leggendo dell'Illuminazione della figlia del re drago, otto anni. Da ieri hanno chiuso il giornale dove lavoravo da un anno. Un record di contratto, il più lungo mai avuto. Me l'hanno comunicato senza un minuto di preavviso. È capitato spesso negli ultimi quindici anni, ma questa volta è diverso. Un po' perché è l'ultimo giorno del 2010, l'anno della vittoria completa Soka e del progresso dinamico dei giovani. Un po' perché non sono preoccupata. O meglio non sono paralizzata da ciò che nel passato mi ha paralizzato. Adesso, diversamente dagli altri anni, la mia sopravvivenza non è in discussione. Adesso vivo in una grande casa, ho un compagno e improvvisamente anche una famiglia: i suoi due figli che stanno con noi metà del loro tempo. Neanche i soldi sono un gran problema. Eppure. C'è sempre un eppure in questa grande lotta nel riconoscere la nostra gemma preziosa. Nello scucire la fodera del cappotto dove qualcuno, il Budda che è in noi, l'ha nascosta notte tempo. In un attimo realizzo che le condizioni di estrema precarietà in cui mi sono cacciata o trovata - fa lo stesso - negli ultimi vent'anni sono stati la scena che ho allestito per darmi una mossa. Una scossa. Così, nell'indigenza più assoluta, prendermi la responsabilità della mia felicità non è stata una scelta, bensì una necessità. Se fossi stata libera non avrei mai avuto il coraggio, la fiducia di credere di essere perfettamente dotata. Forse qualcun altro che vedevo meno piegato dal bisogno e dalla sofferenza, ma di certo non io.
Eppure adesso è il momento. Adesso posso crederci. Adesso posso scrivere il libro che ho sempre detto di voler scrivere. Ma perché proprio adesso, in una situazione di non-emergenza, mi è difficile provare a essere felice? Nella libertà ho paura di perdermi, temo di confondere l'agio con qualcosa di scontato e la felicità con un'illusione amara. Eppure l'unica vera lotta è con noi stessi. Quel che c'è intorno non conta. Lo so che dovrei alzarmi presto la mattina, scrivere per quattro ore, pausa pranzo, e poi ricominciare. Come se fosse un lavoro, come se fossi pagata per questo. M quando lo faccio, e scrivo di me, sento aprirsi una voragine così grossa che i miei confini si assottigliano. Sembra che ciò che ho sempre pensato non abbia più valore, occupata come sono dalla mia ingombrante voragine. Quand'è così perdo l'orientamento. Anche la morte è meno disorientante. Me lo ricordo leggendo il titolo di un quotidiano: "È morta la ragazza che non voleva crescere" (dal titolo della sua autobiografia). Isabelle Caro, ventotto anni, deceduta per anoressia. «Purtroppo penso che fosse compiaciuta della sua malattia - dice il fotografo che l'aveva resa famosa come modella shock. - Mi domando se per lei non fosse un'arma per essere famosa». So cosa vuol dire compiacersi con questa forma di autolesionismo, l'ho fatto anche io per molti anni consecutivi. Si è compiaciuti, soddisfatti della strategia che si è scovata per evitare di essere dimenticati. Altrimenti si sente di non esistere.
Invece esistiamo lo stesso, e questo è il vero problema. 
Il territorio che unisce il bene e il male - leggo nella recensione di Freedom, di Jonathan Franzen - «è una terra insidiosa e solitaria dove ognuno di noi è in balia della sua Libertà».
Una terra insidiosa e solitaria. Dove se ti senti un Budda (invece che un Impantanato), nonostante il tuo corpo sia quello di una insulsa bambina figlia di un mostro drago, non solo riconosci il tuo valore ma lo regali senza indugio a qualcuno o qualcosa (la vita e il Budda) che di sicuro come un'onda lo moltiplicherà. Sentirsi quella ragazzina può non avere niente a che fare con l'essere uomini o donne, ma con la sensazione comune a tutti - prima o poi - di essere l'ultimo individuo al mondo a poter manifestare la Buddità. È in relazione con la difficoltà di sentirsi liberi nella propria forma presente. Quand'è così serve credere in quell'"immediatamente" con cui il Budda accettò il gioiello prezioso come mille milioni di mondi che la piccola Ryunyo ebbe la sfrontatezza di regalargli. (M. P.)

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Di sentirsi liberi non ci si stanca mai. O no?

Pensando a Ryunio / Riflessione

Pensando a Ryunio / Riflessione

Un piccolo animale, e per giunta una femmina. Ha otto anni Ryunyo, la figlia del re drago, quando si presenta davanti a Shakyamuni e dichiara: «Io ho conseguito la bodhi: il Budda soltanto può esserne testimone. Io espongo le dottrine del Grande Veicolo per riscattare gli esseri viventi dalla sofferenza» (SDL, 244).
Le è bastato ascoltare la predicazione di un capitolo del Sutra del Loto, L'apparizione della torre preziosa, non ha dovuto modificare la sua natura e il suo aspetto e soprattutto non ha dovuto attendere. Poi ha fatto qualche passo, con estrema semplicità, senza un briciolo di arroganza, per dire poche parole essenziali. Ma la sua apparizione non è sufficiente a placare gli increduli, perché è subito chiaro che la fanciulla drago non è solo un essere straordinario, una bizzarra cometa solitaria che non comparirà più: è una rivoluzione, e quindi è difficile da capire, dura da accettare. È una nuova storia che comincia e che riguarda tutti, senza distinzione.
Ecco il nocciolo della questione: senza distinzione.
Un piccolo groviglio di differenze, un raro esemplare di imperfezione dimostra - attraverso la sua affermazione, come spiega il presidente Ikeda (La saggezza del Sutra del Loto, vol. 2, pp. 167-173) - che la fede polverizza le distanze e cancella le attese.
Distanze e attese che in molti modi e in qualsiasi tempo isolano, rallentano, chiudono vite che potrebbero sbocciare «nello spazio di un attimo» (SDL, 243).
«Ryunyo rappresenta il nuovo pensiero - scrive sempre Ikeda - in contrapposizione al vecchio pensiero» (op. cit., p. 169). Il vecchio pensiero voleva che la Buddità si ottenesse attraverso austerità praticate per un tempo interminabile e che la donna fosse bloccata lungo questo cammino impervio da cinque ostacoli fatti apposta per lei.
La forza della fanciulla drago, la sua naturale determinazione, sembrano nutrite proprio dalla sua marcata alterità: la diversità diventa un gioiello prezioso nello stesso istante in cui viene accettata, compresa, amata, considerata degna della più elevata condizione possibile, quella del Budda. Nel momento in cui viene offerta.
La differenza annulla la discriminazione: mi pare questo l'elementare e geniale cortocircuito che Ryunyo accende, spostando immediatamente l'attenzione da sé agli altri, tutti gli esseri viventi da "riscattare" dalla sofferenza. È un prodigioso contagio. Negare l'Illuminazione dell'altro - quella delle donne e di qualsiasi "altro" - equivale a negare la propria, e viceversa.
Ma l'opera della piccola donna non finisce qui. Una volta ottenuta la Buddità, la fanciulla drago si trasforma in uomo. Lei che, nella sua piccola e sgraziata forma presente, ha una «saggezza penetrante», «ha compreso interamente le dottrine», «ha raggiunto il livello della non regressione», ha un'eloquenza senza limiti, «è gentile, compassionevole, benevola e dolce» (SDL, 243) che bisogno ha di prendere altre fattezze, rinunciare alla sua condizione per assumerne un'altra? Dopo tanta luce, una resa?
«Per convincere gli uomini testardi e lenti a capire» argomenta Endo (in D. Ikeda, op. cit., p. 174). Ma nell'ulteriore, rapido movimento della fanciulla vedo questo e non solo: la trasformazione è un altro magnifico potere alla portata di tutti e Ryunyo lo usa per dare l'ultimo colpo alla discriminazione, alla sfiducia e al pregiudizio. Sono io - mi suggerisce il suo gesto - ma posso essere un Altro. La mia compassione è tale che posso essere lui, «nello spazio di un attimo».
«I pensieri che concepisce - spiegava Manjushri all'assemblea presentando la fanciulla - e le parole con cui li esprime sono meravigliosi, onnicomprensivi e solenni» (SDL, 243). E lo saranno sempre, mi dimostra con chiarezza e semplicità Ryunyo: che sia una donna, un uomo, una bambina o un piccolo drago uscito dalla profondità delle acque. (S. C.)

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Nello spazio di un attimo

Pensando a Ryunio / Riflessione

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La mia vita è significativamente cambiata dalla visione completa e consecutiva - più di trenta ore di dvd - delle tre serie di Heimat, film a episodi di Edgar Reitz che, sullo sfondo storico quasi centenario della Germania, analizza generazioni in successione. La generazione trattata con più attenzione è quella che si trova a essere ventenne o poco più negli anni della rivoluzione culturale della fine degli anni Sessanta (dunque non la mia). Così i personaggi scoprono la necessità e l'urgenza della parità dei sessi, dell'autoaffermazione femminile, della liberazione sessuale e in questa temperie compiono significative esperienze e necessari errori di test. Una delle evidenze di questa lunga visione e della mia esperienza è che una generazione è determinata da una manciata di anni. Qualcuno dice cinque. Un lustro è una generazione.
Così se ora scrivo di me parlo di chi è nato nel 1968, qualche anno prima e qualcuno dopo. Quindi non solo parlo di me ma parlo di me in un tempo storico determinato e determinante. Di me nato da una famiglia con un padre apparentemente centrale (uso un'espressione leggera) anche se negli anni e a ritroso scopro che mia madre - pur senza rotture culturali e in linea con il mandato paterno - non è per nulla laterale. Quindi la prima donna che conosco, vuoi per l'età (mi concepisce quasi quarantenne), vuoi per il luogo (viene da una famiglia calabrese ottocentesca, ultima di otto figli) porta con sé valori culturali molto rigidi e retrodatati. Sono così costretto nel giro delle generazioni che vedo succedersi a registrare a fatica valori da cui sono già partito ritardato. Recupero in corsa - e di corsa - il significativo ammanco. Mi fidanzo e mi sfidanzo. Scopro di essere lontano dal mondo delle donne (il nuovo mondo delle donne il cui rinnovamento i miei hanno saltato) e cerco di recuperare come posso, da autodidatta, rubando come posso in qualsiasi rapporto. Ho incontri quasi come se fossero tappe di una piccola scuola sentimentale dentro la quale non è ancora il tempo giusto per gli esami. Non mi sposo. Non ho figli. Ancora no, come si dovrebbe dire. Forse pago anche la difficoltà culturale a riconoscere l'amore (ho una griglia o più griglie che non riesco a far combaciare), inseguo la vita, mi ci butto a capofitto. Incontro il Buddismo e nel viaggio nuovo cerco di assumere l'universalismo che lo fonda. Per il Buddismo di Nichiren la Buddità è un portato innato dell'essere umano (indistintamente), l'uomo e la donna sono come le due ali di un uccello (anche se la donna è come l'edera e l'uomo come l'albero e questo invita noi uomini a essere un sostegno alla loro crescita senza dimenticare che molti alberi muoiono perdendo la linfa per questo cedimento biotopico).
La visione buddista ci invita quindi non a rotture o a rivoluzioni esterne ma a una parità e a un parallelismo sempre nella considerazione delle differenze senza che esse diventino uno sconto o un vantaggio di partenza. Lavoro con molte donne e questo è un insegnamento continuo. Faccio attività buddista con molte donne e anche questa è una scuola piena di lezioni. La, le lezioni sono: apprezzare le capacità diverse di chi è diverso da me. Di chi pensa e agisce in maniera diversa e spesso traccia una linea da seguire, una scia, non la mia ma valida più o come la mia. Spesso la lezione è, però, capire quando e perché seguire quella scia. La lezione spesso dovrebbe essere (e spesso non lo è): sì ma qual è il mio ruolo? È sempre e solo quello di seguire questa scia? Lo è sempre? Lo è anche questa volta? E, nell'attività, così nel lavoro, così nelle vicende personali mi rendo conto che non ci può e non ci deve essere una risposta sessuale. La soluzione (quella migliore) non deve scaturire da una guerra tra i sessi (due punti di vista legati a due universi diversi) ma da una via comune. E così da un modo che mi è proprio, il mio, che non può non avere a che fare con quello che sono, sesso compreso. Così mi metto davanti alla mia preghiera, mi calo nelle letture buddiste e cerco di capire quale è la strada che dobbiamo seguire insieme. Non la mia o la sua. Alle volte il viaggio non è subito chiaro (pesa troppo il mio modo di sentire o quello di un'altra persona). Alle volte si va per tentativi. Alle volte si sbaglia. Ma si può riuscire a riparare. In tutti i casi sempre e solo se la strada che si è presa o si è lasciata è stata cercata in questo modo universale si può sperare di proseguire insieme e bene. In una ricerca che è assoluta e non di genere. Una verifica difficile, alle volte dolorosa (si è scoperto di aver sbagliato per aver seguito la propria o l'altrui). Ma l'unica strada che porta insieme, avanti, verso la strada giusta. (R. C.)

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In un modo che mi è proprio

In prima persona

In prima persona

Cinque anni fa un grande dolore ha messo allo sbaraglio tutta la mia vita. Ero senza fiato. La pratica mi sosteneva e mi guidava giorno per giorno.
È stato grazie a quel dolore profondo che ho ricordato di avere un desiderio: essere una scrittrice. Fin da piccola ho amato questo modo di esprimermi. Riuscivo a dire quello che, parlando, restava bloccato in gola. Un giorno di aprile del 2007 mi sveglio da un sogno bellissimo in cui avevo avuto un mistico suggerimento: il titolo di un libro di cui vedevo struttura e contenuto: Isole. Mi sono alzata e ho cominciato a scrivere. Ero un fiume in piena. In preda a un "delirio creativo". Il Daimoku ha ispirato e sostenuto un desiderio sepolto in fondo all'anima. Svuotavo il cuore in modo onesto, riuscendo a seguire una linea di assoluta aderenza a me stessa. Per guarire la mia vita ho usato la vita stessa, ho reso il dolore "creativo" e alla fine del 2009 ho messo la parola fine a quella che per me era una lunga confessione.
A gennaio del 2010 ero al kaikan: si parlava della promessa al maestro di ottenere la vittoria assoluta. Le parole di Asa mi sono arrivate dritte al cuore e so di aver deciso in quel momento. Ricordo di aver annotato: «Tornate al motivo per cui avete iniziato a praticare».
Il giorno stesso parlo del mio libro con Chiara, un'amica, che mi mette in contatto con Marcella, una sua conoscente, editrice. Le scrivo. E il giorno dopo mi telefona dicendo che desidera conoscermi. Mentre salivo le scale di un meraviglioso palazzo d'epoca mi sentivo emozionata, spaventata, con il mio manoscritto avvolto in una busta per proteggerlo dal mondo. La mia vita, esplosa sulle pagine bianche. Come avrei potuto affidarla a una sconosciuta? Come fidarmi? La mia mente suggeriva pensieri di diffidenza, ma i miei piedi continuavano a salire quegli scalini alti e ampi che mi portavano verso l'ignoto. Come mi sarei presentata? Io non ero una scrittrice, non ero nessuno. Stavo per essere davanti a un'editrice che non solo si sarebbe impossessata di una cosa mia, ma poi l'avrebbe anche giudicata. Quanta paura! Eppure procedevo.
Una volta seduta davanti a lei l'ho guardata e mi sono sentita in pace. Abbiamo parlato per ore, sottovoce, profondamente, quasi avessimo interrotto un discorso anni prima e ci fossimo ritrovate per finirlo. Ero perfettamente a mio agio. Al momento di consegnarle il manoscritto sono stata capace di esprimerle sinceramente la mia paura nel lasciarlo andare. Lei mi dice che, giorni prima, a una riunione, aveva espresso il desiderio di facilitare, attraverso la sua professione, la scrittura femminile esordiente che parlasse di pace. Le ho mostrato l'ultima parola, quella conclusiva del libro: PACE. Indescrivibile l'emozione. Mi guarda e mi dice: «Sai Gabriella, le tue parole mi hanno colpito perché mi ricordano un percorso di fede che ho intrapreso tempo fa». Leggo nei suoi occhi quel guizzo di imbarazzo che io stessa provo sempre prima di fare shakubuku. Che meraviglia poterla tranquillizzare quando al suo dirmi: «Pratico il Buddismo di Nichiren Daishonin» le rispondo «Anche io!». Allora ho potuto dire: «Qualche giorno fa al kaikan ho deciso di dedicare il mio libro a kosen-rufu». I nostri desideri coincidevano, era l'incontro perfetto, per entrambe. Ricordo che quando mi sono ritrovata in strada, a sera inoltrata, una violinista suonava all'angolo della strada. "Fragranza interna, protezione esterna" mi ripetevo. Quella frase del Gosho mi è sempre piaciuta da impazzire e in quel momento la facevo mia.
Dopo una decina di giorni arriva la telefonata di Marcella: la prima e unica persona a cui avevo proposto il mio manoscritto mi stava dicendo che voleva pubblicarlo. Non ci potevo credere! Ho sempre sentito di infinite attese, rifiuti, strade contorte per realizzare il sogno della pubblicazione. Io avevo imboccato la corsia preferenziale, quella dell'universo e delle sue infinite possibilità...
Poi sono venuti i prevedibili dubbi, le paure. I mesi passavano e non succedeva niente. «Sono un'illusa, Marcella non sa come dirmi che ha cambiato idea. D'altra parte chi sono io? Una perfetta sconosciuta. Perché a qualcuno dovrebbe importare di pubblicarmi?».
Intanto il Daimoku della vittoria era incessante, si opponeva alla paura, sosteneva il cuore che cresceva e credeva. Non ho mai smesso di pensare che oltre la mia oscura tendenza ad auto-sabotarmi esisteva la volontà dell'universo intero che sapeva e dava come fatto naturale che ce l'avrei fatta. Affidandomi alla preghiera e mai alla mente che organizzava attentati alla mia felicità, un giorno mi sono trovata davanti a Marcella che mi annunciava: «Ho deciso di creare un'estensione della casa editrice, uno spazio che contenga scritti di pace: si chiamerà Kokoro. Il tuo libro sarà la prima creatura». Inutile commentare la mia espressione. Kokoro è una parola che mi ha sempre incuriosita, per il suono e per il suo significato. Sono di origini partenopee e mi ricorda il napoletano "co' core". La nostra intesa era spontanea, sognavamo gli stessi sogni, sceglievamo le stesse parole, come non credere di poter fare anche le stesse azioni? Da quel momento siamo partite come razzi. Una volta creato il contenitore non c'era da fare altro che riempirlo di doni! Sempre guidate dal Daimoku recitato in assoluta unità di cuore, abbiamo realizzato un sogno dopo l'altro. Abbiamo deciso di arrivare a una delle più importanti scrittrici italiane e chiederle di fare la prefazione al libro. Questo accadeva a settembre. Per la prima volta da quando pratico decido di fissare delle date, per provare a me stessa che funziona, in fondo cos'è la pratica se non una continua sperimentazione?
Stabilisco che la risposta arriverà entro il 18 novembre. Ma decido di fare un'altra azione: l'importante è la causa. Scriviamo una lettera a Sensei, ognuna per conto suo. Ho parlato a Sensei del mio sogno, l'ho ringraziato per aver tenuto nel suo cuore il mio desiderio. Il 17 novembre ero a casa, parlavo con Simona, l'amica che mi aveva parlato della pratica. Squilla il cellulare, la telefonata, una di quelle che ti cambiano la vita. Era l'assistente della scrittrice che mi dice: «Tutto bene, ti farà venti righe di prefazione». Senza fiato, gli occhi affollati di lacrime, l'esplosione della gioia, il sapore della vittoria. A un giorno dalla scadenza che avevo fissato. È stato bello poter ringraziare in diretta Simona per avermi trasmesso la Legge mistica, la mia vittoria avvenuta sotto i suoi occhi.
Il mio libro uscirà entro marzo di quest'anno. Ci è voluto pochissimo, tutto sommato. Intanto, davanti agli occhi, è scorsa la mia vita intera, passata, presente e futura. La scrittura e poi la relazione con Marcella è stata un'esperienza di revisione e di previsione della mia esistenza, un esercizio di "riparazione" che mi dona un senso profondo e stabile di pace interna, di integrazione di me con me, di me con l'ambiente. È una meravigliosa storia di "sorellanza", di solidarietà al femminile vera, EFFICACE. Ho imparato come tutto cambia quando siamo grati a tutti gli eventi. Ho sentito col sangue, le ossa e i denti cosa significa trasformare il veleno in medicina. Quando penso al rischio che ho corso quando ho vissuto quel momento di atroce sofferenza e lo paragono alla mia situazione attuale sorge spontaneo un sorriso che dice GRAZIE all'universo che mi accoglie e che io accolgo ogni mattina nel fare Gongyo. (G. R.)

«Caro Sensei, ho fatto mio il tuo impegno per la felicità del singolo e la pace nel mondo e ho deciso di contribuire a kosen-rufu attraverso il mio lavoro. Faccio l'editore in Italia, a Roma».
È con queste parole che a metà novembre dello scorso anno comincio la mia lettera al presidente Ikeda per raccontargli la mia storia di fede ed esprimergli la gioia per avere aggiunto alla mia vita, che sento piena e realizzata, la dimensione del sogno che può, attraverso la pratica, diventare realtà.
Conoscere il Buddismo di Nichiren è stato ed è una costante "lucidatura" di parole quali fede, determinazione, felicità, Buddità, responsabilità, pace. La mia storia nasce proprio nel momento in cui ho permesso a queste parole di cominciare a vivere. Vivere "con la pancia" e non solo con la testa, vivere in quel luogo felice, non contaminato, saggio che è la Buddità.
La prima parola che mi ha dato emozioni forti è stata pace. Cominciava a prendere corpo mano mano che portavo la mia pratica buddista nelle relazioni di lavoro, tra gli amici, nella mia famiglia. E mi sorprendevo di come, diventando io più consapevole e imparando ad assumermi la responsabilità della mia vita, valori come rispetto, dialogo, relazioni umane, continuavano a riempirsi di un senso profondo e appagante.
Ma quando leggendo il primo scritto di Nichiren sulla pace, Adottare l'insegnamento corretto per la pace nel paese, mi sono imbattuta nella frase: «Se vi preoccupate anche solo un po' della vostra sicurezza personale, dovreste prima di tutto pregare per l'ordine e la tranquillità in tutti e quattro i quartieri del paese» (RSND, 1, 43) ho sentito che il mio impegno voleva essere più profondo, più ampio. Più coinvolgente.
Ho pensato al mio lavoro. Perché non coniugare la mia fede con la mia professione? Creare un'editoria che si occupi di pace. Ma insieme all'entusiasmo e all'idea che cresceva si alzavano i muri della paura. Sono un editore specializzato in un campo tanto diverso: i distributori, le librerie, i nostri lettori stessi abituati a un certo tipo di argomento, come possono riconoscermi in questa nuova veste? E poi come riesco a spiegare una parola tanto densa ma mistificata come la parola pace?
La "causa esterna" che mi offre l'occasione di fare entrare "il" sogno nella mia vita si annuncia a metà gennaio dello scorso anno, con una telefonata di un'amica recente, che mi chiede se può dare la mia mail a una sua amica che ha scritto un libro. Rispondo di sì, con entusiasmo. Ma l'incontro con Gabriella già da subito si caratterizza per la sua particolarità: in genere gli autori accompagnano con mail molto frettolose e generiche l'allegato con il libro. Gabriella invece scrive una mail lunga, intensa in cui illustra i motivi che l'hanno portata a scrivere il romanzo. Mi scrive: «L'origine del tutto è la traccia della sofferenza profonda che un'esperienza di vita ha inserito nel mio cuore. Avevo due possibilità: l'annientamento o la rinascita. Ho scelto la seconda!». Queste parole mi suonano, le riconosco, voglio saperne di più.
Una settimana dopo sediamo una davanti all'altra nel mio studio. Cominciamo a raccontarci ed io chiedo di più sulla frase che mi ha colpito: le sue parole accendono il mio desiderio di dirle che anche la mia fede dice che se noi ci assumiamo la responsabilità della nostra vita il veleno può essere trasformato in medicina. Sì, ma come glielo dico? È un incontro di lavoro, il primo incontro, la conosco appena. Decido così di lasciar cadere un «perché io sono buddista». Immediata la risposta: «Anche io».
I nostri sguardi cambiano la nostra relazione e conoscenza, volano su un altro piano che rassicura Gabriella sulla serietà e coscienza della mia "consulenza" e me sulla profondità dell'impegno. Perché naturalmente io le premetto che sono un editore che si occupa di altro e che mi impegnerò ad aiutarla a trovare i giusti referenti.
Lascio da parte il manoscritto per un po', ma lo porto con me a casa. Mi siedo a tarda sera e forse cercando un rifugio contro le difficoltà di quei giorni, mi immergo. E dopo un paio di ore volate senza sosta su quelle pagine, leggo l'ultima parola e con le guance infiammate e la testa e il cuore in un turbinio di sensazioni ed emozioni decido che il libro lo avrei pubblicato con la mia casa editrice. Che non volevo sottrarmi a questa preziosa occasione di contribuire alla felicità delle persone che avrebbero incrociato il messaggio di vita che Gabriella offriva.
Ne parlo con una persona che ha una grande esperienza di fede, ed è a casa sua che per la prima volta pronuncio il nome del "contenitore" che avrebbe portato nel mondo il libro: Kokoro, cuore, in giapponese. Mi piace il suo suono, mi piace il suo significato così profondo: sia mente (pensiero, volontà) sia cuore (sentimenti). In altre parole "vita". Decido di non creare una nuova società, ma di farne una collana della mia attuale casa editrice, una collana di libri per la pace che dia voce ad autori che hanno un modo nuovo di vedere il mondo, basato sui valori del non conflitto, del dialogo, del rispetto.
A questo punto dichiaro a Gabriella il mio desiderio di essere io il suo editore. «Buon giorno mia cara compagna di viaggio - mi scrive in una mail - il sogno condiviso mi piace proprio tanto, non può non essere che così». E io in risposta: «Anche io sono nella pelle del sogno, con radici, con l'idea di non rincorrere la fama ma il cuore delle persone. Essere riuscite a scambiare questo, ai nastri di partenza, mi sembra proprio che sto dove voglio stare».
Creato lo scenario, bisogna cominciare a muovere i primi passi. Decido che questo passaggio, cruciale, debba essere accompagnato da una forte dose di Daimoku. Mi concentro sull'obiettivo e inizio a recitare non meno di due ore al giorno. E comincio a vedere, in pochissimo tempo, i primi clamorosi risultati.
Stefano, il mio grafico, mi sostiene nel progetto e dà forma a Kokoro, creando un segno semplice, intenso, bello, giusto. Altrettanto accade con la copertina del libro, ingrediente fondamentale per catturare l'attenzione del potenziale lettore. I miei soci, dapprima poco coinvolti, cominciano a guardare Kokoro con occhi nuovi ed iniziano a darmi suggerimenti importanti su titolo, formato, prezzo. Decidiamo tutto. E scriviamo, accanto a Kokoro, Isole.
Isole deve avere una prefazione autorevole, decido. E con Gabriella iniziamo a fare una rosa di proposte: volano nella stanza i nomi di scrittori, scrittrici, psicologi, cantanti. Tutti noti, irraggiungibili. Ma noi non avevamo più paura dell'altezza! La scelta cade su una grande scrittrice, che si entusiasma del libro e ne scrive una convinta prefazione. A novembre ne decidiamo l'uscita: Isole sarà in libreria tra le novità di primavera, a fine marzo di quest'anno.
Questa è la storia che ho raccontato al mio maestro: è grazie al suo continuo sguardo su di noi che io posso fare la mia rivoluzione umana e contribuire a piantare i semi di kosen-rufu. Che sono stata in grado di assumermi la responsabilità della mia vita e non avere paura di portare la mia ricchezza, la mia felicità nel mondo. La mia lettera ha avuto risposta. E ho capito che è soprattutto grazie ai suoi sforzi che la mia vita può manifestare i suoi sogni. (M. C.)

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Il messaggio di Ryunyo

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