Chi sono e come si vedono i ragazzi e le ragazze che stanno costruendo la Soka Gakkai di domani?

Chi sono e come si vedono i ragazzi e le ragazze che stanno costruendo la Soka Gakkai di domani? Quali sono i loro progetti, la loro visione del mondo, la missione che desiderano e sentono di avere nella società?
In questo speciale presentiamo riflessioni, propositi, percorsi di rivoluzione umana di giovani uomini e giovani donne dai quattordici ai trentacinque anni.

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Il futuro in prima persona

Introduzione

«Qual è la mia missione? Quella di sforzarmi al massimo per divenire capace di realizzare kosen-rufu. Forse darò il mio contributo come letterato, come influente uomo di stato o come uomo d'affari di successo. Qualunque percorso può andare bene. L'importante è avere un atteggiamento attivo, affrontare le sfide quotidiane e avanzare sfruttando appieno l'energia della mia gioventù». È un ragazzo di ventidue anni che scrive queste righe sul suo diario, il giovane Daisaku Ikeda, il 29 maggio 1950.

«Non ci sarà un futuro in cui diventerò "qualcuno" o "qualcosa", ma in ogni momento posso fare qualcosa per diventare quel tipo di persona che vorrei essere» (p. 20). Così Giovanni esprime la nuova consapevolezza acquisita da quando ha iniziato a praticare. «È stato come se il mio udito si fosse risvegliato. Ho sviluppato compassione che mi ha permesso di trasformare il dialogo, che prima era poco profondo, in un incontro cuore a cuore» (p. 23). Sono le parole di Arianna, di diciassette anni, che descrivono la trasformazione della sua relazione con il padre.
«Il mio scopo - scrive Davide, di quattordici anni - è diventare un maestro di pace che contribuirà alla felicità del mondo vivendo una vita avventurosa e armoniosa» (p. 16).
«Penso - dice Paloma, di ventidue anni - che la sfida più grande sia rimanere fedeli a noi stessi. Per questo la mia preghiera è indirizzata a proteggere le decisioni che prendo e ad andare fino in fondo avendo fiducia nel Daimoku e negli sforzi che faccio» (p. 11).
Per Federico «un giovane ha il massimo potenziale per dare la direzione che vuole alla sua esistenza. Il presidente Ikeda sta affidando a noi giovani il compito di realizzare kosen-rufu perché noi possiamo manifestare tutto il potere del mondo. Se noi giovani della Soka Gakkai riusciremo a praticare come ci sta dicendo il nostro maestro le cose cambieranno sicuramente molto più in fretta» (p. 12).

Nelle pagine che seguono, un affresco di contributi i più svariati, tutti mossi dalla convinzione della potenza della rivoluzione umana come motore per trasformare la società, oggi e in avanti. Quasi una raccolta virtuale, collettiva e in prima persona, dell'appello che il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha rivolto recentemente ai ragazzi e alle ragazze durante una commemorazione delle vittime delle stragi di mafia: «Colgo in voi una carica di sensibilità, intelligenza, generosità che molto mi conforta, che mi dà grande speranza e fiducia, perciò voglio dirvi: completate con impegno la vostra formazione, portate avanti il vostro apprendistato civile e scendete al più presto in campo, aprendo porte e finestre se vi si vuole tenere fuori. Scendete al più presto in campo per rinnovare la politica e la società».

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Capaci di realizzare kosen-rufu

Le multiformi radici del domani

Da un romanzo inedito di un quattordicenne

di Davide Asci

Sono un giovane di quattordici anni, ho cominciato a praticare verso i sei anni. Uno dei miei desideri più grandi è incontrare il maestro Ikeda, sarebbe un incoraggiamento meraviglioso, qualcosa di emozionante! Ho avuto esperienze molto difficili da superare, tra cui aver vissuto in una casa per quattro anni che non era di nostra proprietà per via di una truffa. Un giorno ci hanno addirittura tirato un petardo dentro casa minacciandoci di morte. Fu una situazione molto complessa da superare, ma attraverso il Daimoku ne siamo usciti e i truffatori ci hanno restituito la metà dei soldi che gli avevamo dato. Da quel giorno ho cominciato a scoprire un me stesso diverso (la mia Buddità) e sto adesso lavorando sulla mia rivoluzione umana, facendo shakubuku a tutto il collegio dei professori a scuola, già tre di loro sono interessati a questa religione e li porterò presto a una riunione di discussione, dove saranno incoraggiati a vincere la loro parte oscura. Il mio scopo è diventare un maestro di pace che contribuirà alla felicità del mondo, vivendo una vita avventurosa e armoniosa. Il mio sogno è propagare il Buddismo in tutto il mondo e trasformare l'oscurità umana in Buddità ("trasformare il veleno in medicina").
Il maestro Ikeda dà fiducia a noi giovani. In questi anni noi dobbiamo cominciare a dedicare la nostra vita al Buddismo: con coraggio andare avanti, con determinazione sconfiggere gli ostacoli e con il cuore fare shakubuku!
Attualmente sto scrivendo un libro intitolato Il mistero dell'adolescenza.
In questo libro ci sono riflessioni e incoraggiamenti per il mondo, che non deve assolutamente arrendersi alla sua parte oscura ma trovare la felicità.
Tratto da questo libro, non ancora pubblicato, ecco un capitolo che racconta il cambiamento di un adolescente (io), che deve cambiare scuola per andare a studiare in un liceo. In verità questo capitolo è un incoraggiamento ai giovani nel mondo, li incoraggia a non arrendersi assicurando che la vita non è sofferenza ma si basa sul decidere di essere felici e vivere in armonia con gli altri.

Le montagne viola del mattino seguente frastagliavano il cielo, che veniva poco a poco sfumato dai raggi del sole.
I miei occhi si aprirono e avvertii il gelo del mattino.
«È Ora di Cambiare».
Un po' di tristezza nel fondo del mio cuore c'era.
Sei anni in quel paesaggio di campi e fiori; ormai è ora di crescere, è ora di portare al mondo qualcosa di mio.
Insomma, mi alzai e con un passo malinconico mi avviai in cucina. La radio era accesa, quindi ascoltai il giornale radio.
Stavano intervistando una signora: «Questo mondo fa schifo...», le parole che diceva entravano nel mio cervello e facevano male, poiché erano fredde e pungenti.
Perché molti se la prendono con il mondo, con chi sbaglia, e poi ripetono i suoi stessi sbagli?
I ricordi vennero penetrando nel mio cervello, come un raggio di sole penetra attraverso una finestra.
Ricordai quando ero in quarta classe e il maestro mi domandò: «Dove finisce il mondo?».
Nessuno sapeva rispondere; beh forse in America o in Groenlandia, ma il maestro dette una risposta ben precisa: «Nel nostro cuore».
Per sei anni ho pensato a quello che lui volesse dire. E finalmente ho trovato la risposta.
Noi siamo il mondo e il mondo è in noi.
Le vere leggi sono quelle della natura e non quelle create da noi.
Le cause positive o negative avranno un effetto nella nostra vita.
Il biscotto bagnato dal latte caldo ora si frantumava tra i miei denti e io gustandone il sapore mi sommersi nei miei pensieri, che mi portarono in un campo dove io ero travestito da Robin Hood. Un fiume scorreva alle mie spalle, mentre davanti a me c'era un fuoco acceso e la mia classe vestita in abiti medievali.
Eravamo in gita, lo ricordo come se fosse ieri...
La luna era piena e la sua luce argentata illuminava la faccia dei miei compagni.
Quella notte la passai tutta a chiacchierare con i miei amici al chiaror della luna e delle stelle in miliardi di direzioni. Sembrava di essere cavalieri medievali che, liberi da tutti gli arnesi moderni, vivono con semplicità.
Ricordo tutte le gite con la classe e tutte mi hanno insegnato qualche cosa: le Olimpiadi, l'uscita sul monte Semprevisa e... la gita di astronomia.
La gita di astronomia mi ha insegnato a dialogare con gli altri e che la vita dell'essere umano è generata dall'incontro del corpo e dell'anima.
L'essere umano è potentissimo e le sue parole possono anche essere un'arma micidiale.
Adesso la terza media è quasi finita ed è ora di portare qualcosa a questo mondo, e che sia una causa positiva.
Mi ricordo quando il maestro ci ha parlato dell'Africa e mi sono accorto quanto il mondo sia diviso. Prima la terra era unita, come il mare, poi tutto si è diviso: prima in continenti, poi in stati, in regioni, in città e in paesi sempre più piccoli.
Ci siamo divisi anche in lingue, in religioni e infine tra persone: quelle scure di pelle e quelle di bianca carnagione.
Tutto questo ha scatenato il frutto della parte umana oscura: la guerra.
È incredibile come è facile perdersi dentro di noi. Tra inganni e ostacoli della vita, pochi sono riusciti a raggiungere la felicità.
Spero che anche io come questi riuscirò a raggiungere il mio scopo, perché la vita è un'occasione per trovare qualcosa dentro di noi, che è spesso la gioia di aver vissuto e di aver messo cause positive, che influenzano il mondo e lo incitano a cambiare.

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È ora di cambiare

in prima persona

a cura di Monica Piccini

Michela Gagliardi, diciotto anni appena compiuti, fa parte della divisione Futuro (i giovani fino alle scuole superiori), fondata ufficialmente nel nostro paese lo scorso 5 maggio.
Il tuo percorso fin qui. Ho iniziato a praticare a undici anni, nell'estate del 2006, seguendo di poco mia madre e mio fratello. All'inizio praticavo solo per non essere esclusa dalla mia classe che mi vedeva come un'aliena. Una notte sognai il presidente Ikeda che m'incoraggiava a non perdere la speranza di trovare nuovi amici. Qualche tempo dopo la professoressa mi chiese di spiegare il Buddismo. Nonostante le solite battutine dei compagni, a fine lezione avevano stranamente tutti un sorriso a tremila. Da quel momento le cose sono leggermente migliorate. Anche se continuavano a prendermi in giro per l'aspetto fisico, sono stata invitata alle feste e ho fatto amicizia con una ragazza. Con il passaggio al liceo linguistico, nuovi compagni, nuove situazioni... nuove sofferenze. In primo fui bocciata e a metà dell'anno successivo passai alla scuola alberghiera e poi a quella per acconciatori. Anche qui il rapporto con i compagni era pessimo: nel primo caso venivano da me solo quando gli serviva qualcosa, nel secondo invece avevano messo in giro delle voci per cui ero instabile psicologicamente. Un giorno sono scappata dall'aula, mi hanno sospeso e non sono più tornata. Circa un anno fa. Rimasta a casa, eravamo io, la mia sofferenza e la mia rabbia accumulata da anni. Praticavo pochissimo e mi facevo sempre più del male anche in campo sentimentale. Da un mese, però, da quando ho saputo che avrei raccontato la mia esperienza qui, ho deciso di praticare per apprezzare ciò che sono e che ho, a cominciare dalla mia famiglia.
Sta funzionando la "strategia" per sentire il proprio valore (scrivere un pregio ogni mattina prima di fare Daimoku)? All'inizio sì, ma poi mi sono persa perché trovo più difetti che pregi. Il primo giorno ho scritto semplicemente: «Sono una persona di valore». E incredibilmente ha funzionato! Le amiche mi hanno preso più sul serio e anche Luca, il ragazzo con cui sto costruendo qualcosa, a differenza di altre volte mi è stato ad ascoltare.
Altri tesori di Michela da riscoprire? Ho aggiunto delle caratteristiche fisiche come "riconosco di avere begli occhi e un bel viso". E anche "sono una persona forte e determinata". Inizialmente non ci credevo, ma pian piano lo sto sentendo anch'io questo valore.
È una lotta faticosa? Molto. Certi giorni ho ceduto alle mie paure e ho fatto solo cinque minuti di Daimoku. Ogni volta che sento di perdere terreno ridetermino davanti al Gohonzon di riprendere il filo della mia Buddità.
Che è poi l'aspetto decisivo su cui poggiare gli obiettivi che ti sei posta. Luca, compreso. Ultimamente le stesse cose che dicevo al Gohonzon le dicevo a lui in persona, senza più aver paura delle sue reazioni. Mentre prima tenevo per me sensazioni e paure, per poi esplodere all'improvviso se non venivo capita, gli ho detto chiaramente che avrei voluto costruire con lui una relazione d'amore di valore. Ho lottato davanti al Gohonzon fino a che sono riuscita a riconoscere un doppio valore: il mio e quello del nostro legame.
Lasciare la scuola ti ha isolato rispetto ai coetanei? Sì, ma non solo. Lasciare gli studi è stata una conseguenza del sentire di non avere valore. Una scelta che ha influenzato negativamente la mia vita. Mi sono sentita in colpa moltissime volte per averlo fatto. Fino al giorno in cui mi sono seduta davanti al Gohonzon, sinceramente. In questo mi ha aiutato l'esempio dei miei compagni di fede del gruppo Futuro che sono riusciti a lottare su moltissimi fronti, mentre io fin lì non avevo mai fatto sforzi per la mia vita e per il mio futuro. Ora, oltre a riconoscere di avere un valore, sto cercando anche di scoprire in quale campo esprimerlo.
Dicevi che la trasformazione comprende anche i rapporti con la tua famiglia. Ultimamente mia mamma è riuscita a calmarmi durante un attacco di panico. Se lei riesce a rimanere calma anch'io sono più tranquilla. Se lei ride, anche il mio cuore lo fa, anche se dall'esterno sembra che rimanga impassibile. In quel caso ho sentito il suo cuore e ho provato un gran senso di gratitudine nei suoi confronti che non avevo mai provato prima. 
«Odio le mie paure, odio lottare per esse, ma amo vincere». Chi l'ha scritto? Io, su Facebook.

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La strategia per sentire valore

in prima persona

di Matteo Pisani

C'è qualcosa che succede dentro di noi. Qualcosa di piccolo, d'impercettibile, che non vediamo.
«Finché una persona è viva, da qualche parte sotto la cenere è rimasto un piccolo residuo di fuoco» scrive Sensei nella Proposta di pace di quest'anno. E noi che cosa dobbiamo fare? Soffiare.
Quando mi sono chiesto cosa volesse dire per me essere un giovane della Soka Gakkai la prima cosa che ho pensato è stata "cerca con cura".
La vita, la mia, è cambiata molto negli ultimi cinque anni e per accorgermi di quel qualcosa che andavo cercando ho dovuto guardare "dentro, sotto e dietro" le vittorie e i grandi cambiamenti che hanno caratterizzato la mia breve esperienza. Ho dovuto in un certo senso decostruire, buttare giù i concetti di vittoria, di beneficio o di fortuna che avevo costruito sulla base delle conquiste ottenute in passato.
Un compito non facile in quanto l'idea di mettermi in discussione mi ha sempre scatenato la paura di essere in errore e quindi, in un modo o nell'altro, di aver sbagliato tutto. Ma se il beneficio della pratica è rompere le illusioni, com'è possibile che abbandonare un'idea arrechi un danno?
Cercare "dentro, sotto e dietro" non è stato facile perché ha richiesto lo sforzo di concentrarmi su di me.
Sensei nella Proposta di pace ci incoraggia a «soffiare con cura e vedere se si accende».
Una cura che nel mio caso ha trovato le fondamenta nello sforzo di non mettere in discussione, istante dopo istante, situazione dopo situazione, la consapevolezza che ogni pensiero, parola o azione, in quanto frutto dei miei sforzi incessanti nella pratica buddista, stessero in realtà manifestando, anche in questo momento, la Buddità. Uno sforzo che mi è difficile anche adesso, mentre scrivo, ma che nasce dal valore, ed è lì che vuole portarmi: a sentire il mio.
Un breve viaggio nel corso di una semplice giornata mi ha aiutato a gioire di alcuni momenti carichi di una diversità interiore, esclusivamente mia, e per questo solida, preziosa e splendente: forse un piccolo pezzo di felicità assoluta. Ho trovato in questo breve percorso qualcosa che ha cambiato, di nuovo, la mia idea di che cosa vuol dire essere un giovane della Soka Gakkai. Un giovane che ha imparato a cogliere "dentro, sotto e dietro" scoprendo anche nelle piccole cose qualcosa di grande.
Un ragazzo che guardando le sedie davanti al butsudan la mattina appena sveglio riesce a esprimere ogni volta un pensiero di gratitudine per aver la possibilità di cominciare la giornata pregando. Un ragazzo che entrando in una piccola pizzeria nel centro storico della sua cittadina riesce a provare una grande gioia nel vedere un uomo e una donna, forse in quei dieci metri quadri da trent'anni, che continuano a sorridere e parlare del figlio come della cosa più bella del mondo.
Un giovane uomo che ha imparato a cercare il cambiamento nel proprio cuore convinto che quando cerchiamo di cambiare fuori e non ci riusciamo è perché la nostra vita, anche in quel momento, esprime tutta la sua compassione. Ci invita, ci ricorda e ci suggerisce che dentro di noi esiste già la capacità di vedere diversamente, di allargare la luce del nostro cuore, quella luce capace di illuminare nel suo vero aspetto la realtà che stiamo vivendo.
Oggi mi vedo seduto sopra un occhio di bue, uno di quei riflettori che si usano a teatro per illuminare gli attori, dove il fascio di luce rappresenta la mia capacità di saper cogliere il vero aspetto, il vero valore degli "oggetti" sul palco, e la sofferenza l'indicatore che sto cercando di spostare gli oggetti e stringerli per farli entrare nel raggio della luce. In quel momento mi fermo e capisco che invece devo allargare la luce. Perché guardare la sorgente e cogliere il suo valore e la sua forza mi emoziona ogni giorno, lasciandomi la libertà di vivere ogni situazione per quella che è, senza paura di soffrire, di emozionarmi, di vivere. Come dice Sensei ho capito che la cosa più importante è «continuare a soffiare, senza preoccuparmi se il fuoco si accenderà o no». A volte mi è sembrato impossibile, difficile, ma ho capito che decidere di sperimentare anche nella fede l'impossibile è un atto di compassione. È andare avanti finché un nuovo raggio di luce farà breccia tra le nubi del mio cuore.

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Continuare a soffiare

E quando si è giovani e anche all'inizio della pratica? Come si va concretamente trasformando la vita in questo importante passaggio? In che misura ci si sente cambiati nei comportamenti di sempre e nel rapporto con gli altri?
All'uscita di una riunione dedicata ai nuovi membri abbiamo svolto una piccola indagine rivolgendo a ragazzi e ragazze poche semplici domande riguardo alla percezione del cambiamento in atto nella propria esistenza, a cominciare dalle piccole e fondamentali azioni quotidiane

Piccola indagine a ragazzi e ragazze all'inizio della pratica

a cura di Roberto Carvelli e Matteo Pisani

Qual è il momento della giornata che più ti è cambiato da quando hai cominciato a praticare? 

Prima di praticare, quando suonava la sveglia la mattina era tragico alzarmi, ero molto irascibile e me la prendevo con chiunque provasse a rivolgermi la parola. Questo mi creava problemi anche con la mia ragazza. Adesso mi alzo tranquillamente e se qualcuno mi parla sono calmo e sorridente. La pratica scandisce le mie giornate e mi ha aiutato a dare importanza a ogni singolo giorno, a ogni singolo momento. Non ci sarà un futuro in cui diventerò "qualcuno" o "qualcosa", ma in ogni momento posso fare "qualcosa" per diventare quel tipo di persona che vorrei essere.
Io studio all'università e la mattina mi alzo presto per pregare; sento quanto cambia la giornata a seconda della quantità di Daimoku che riesco a fare.Come una macchina che ha bisogno di scaldarsi prima di partire, la prima mezzora mi riscaldo e poi comincio a prendere il ritmo e a concentrarmi su ogni carattere del Daimoku. Questo cambia la percezione delle singole cose.
Giovanni Picone, 23 anni

H o cominciato a recitare Daimoku a novembre e il 21 febbraio ho ricevuto il Gohonzon. Da subito ho cominciato a pregare la mattina presto a casa di una compagna di fede e dopo poco ho sentito la necessità di praticare di fronte al Gohonzon. Iniziare le giornate insieme mi faceva provare una gioia incredibile e questa gioia ha ridato calore alla mia vita in un momento abbastanza buio e freddo. Mi ero appena lasciata con il mio ragazzo dopo sette anni e avevo paura di non farcela a rialzarmi.
Con la pratica le giornate hanno preso un ritmo diverso. Anche se non riesco ancora a vivere del lavoro di attrice, che amo, ho cominciato a sentire che il lavoro che svolgo è importantissimo perché mi permette di andare avanti, pagare le bollette e mantenermi. La gratitudine è stata la prima cosa che è entrata nella mia vita. Prima arrivavo alla sera stanca e mi svegliavo la mattina arrabbiata. Adesso ho cominciato a valutare quali sono le azioni importanti e quali no; ho iniziato a sentire il mio valore e invece di fare tantissimi provini, come facevo prima, ho ripreso i contatti con la mia vecchia compagnia di teatro e mi sto impegnando a realizzare il sogno della mia vita. Tutte le mattine determino come voglio vivere la giornata ma pregare alla sera è più difficile. È più difficile dire grazie piuttosto che determinare quello che vuoi. Valentina Iannone, 32 anni

Fare Daimoku la mattina mi cambia l'atteggiamento della giornata, e quello della sera mi aiuta ad avere del tempo in più. Prima di praticare, quando tornavo a casa dai corsi o dall'università, la giornata era finita. Da quando ho cominciato a fare Daimoku e Gongyo è come vivere una specie di ripartenza, e anche dopo cena, magari dedicandomi all'attività per gli altri, riacquisto altre due ore della giornata. Roberto Piacenti, 29 anni


Pratico da sei mesi e ho ricevuto il Gohonzon da tre settimane. Studio pianoforte e vado a lezione in orari diversi della giornata. Alcuni giorni mi sveglio molto presto per fare Daimoku e dopo averlo fatto la giornata è diversa.
La svolta più grossa la vedo proprio nello studio; mentre prima ci mettevo cinque ore per fare due cose, ora in due ore imparo tantissimo. Matteo Gallesi, 19 anni

Cosa ti spinge a pregare ogni giorno?

Il fatto di avere una marcia in più. Quando ho cominciato a praticare ho sentito una forte energia che non sentivo da tanto. Adesso affronto le giornate diversamente e quello che prima poteva sembrare pesante riesco a viverlo con più leggerezza. Mi sono reso conto che riesco a superare meglio i momenti che sono giù. Adesso questo stato d'animo passa molto più velocemente. Germano Cisternino, 23 anni

Mia madre si è salvata tramite il Buddismo; aveva una brutta malattia e cominciò a praticare. Dopo una sola settimana i dottori trovarono la cura giusta, una cura che prima non vedevano. L'ho vista passare dal letto di morte alla vita.
Quello che mi spinge a praticare è il desiderio della guarigione di mio padre che è affetto da una distrofia muscolare rarissima e prego non tanto per me, ma per dare felicità agli altri. Mio padre è sempre stato uno sportivo e recito Daimoku per donare a lui una vita normale.
La cosa che involontariamente cambia, anche se non lo vuoi, è il rapporto con le persone, perché anche se hai altri problemi non riesci a non relazionarti con loro.
Tutto sommato non cambiano le persone ma cambi te: provi compassione per chi non è sereno come te e che vivendo dei brutti momenti ti risponde male. Manuel De Luca, 21 anni


In che modo la pratica buddista ti ha trasformato?

La mia condizione prima di praticare non era serena. Le situazioni mi trasmettevano incompletezza e non sentivo nulla di realizzato né dal punto di vista sentimentale né da quello scolastico, e non ero soddisfatto degli amici che avevo. Vivevo con passività le giornate e la quotidianità mi aveva risucchiato.
A scuola un giorno incontro Alessandro, un ragazzo che abita nel mio quartiere, si discute delle manifestazioni e delle rivoluzioni violente e lui mi parla di Gandhi. In quel momento mi rivolge una domanda che ancora oggi ricordo: «Ma lo sai che c'è un altro modo di fare una rivoluzione?».
Ho iniziato a praticare e il Buddismo mi ha "strappato" i sensi. Ho cominciato a percepire un sacco di cose che prima erano assopite dentro di me.
Automaticamente mi sono rifugiato in famiglia dove non ho mai avuto buoni rapporti, soprattutto con mia madre che mi tirava fuori tanta sofferenza a causa di alcuni suoi comportamenti. Fino a quindici anni sono stato con i miei nonni e non avevo un rapporto diretto con la figura materna, e riversavo il dolore di questa mancanza su di lei. La pratica ha creato delle basi sotto e dentro di me e in un processo lento sono riuscito a sciogliere qualcosa e la situazione è migliorata molto.
Naturalmente c'è ancora molto da trasformare, però mentre prima sentivo solo sofferenza adesso sento compassione per mia madre, un sentimento che è nato dall'aver percepito la sua e la mia Buddità. Dario Galimberti, 17 anni
Ho cominciato a praticare l'anno scorso. Sono entrata nella Soka Gakkai a dicembre ed è stato come vivere una specie di risveglio.
Prima di iniziare (mia zia già praticava ma io non lo sapevo) non percepivo l'esterno, era come se non sentissi. Poi è cominciato un processo abbastanza veloce che mi ha portato a superare questo muro tra me e gli altri e sono riuscita a riparlare con mio padre, con il quale da un anno e mezzo si erano rotti i rapporti.
È stato come se il mio udito si fosse risvegliato. Ho sviluppato compassione che mi ha permesso di trasformare il dialogo, che prima era poco profondo, in un incontro "cuore a cuore".
Arianna Salvi, 17 anni

Ero in un periodo buio, non ero troppo felice. Avevo poco lavoro e alcune incomprensioni in campo sentimentale. Avevo già conosciuto la pratica due anni prima, e mi era servita tanto ma la usavo come un bancomat: facevo Daimoku al bisogno. Quando Monica mi ha riparlato della pratica ho sentito di voler ricominciare decidendo di ricevere il Gohonzon per cambiare la mia vita. Volevo essere felice in quel momento. È come se mi si fosse accesa "una grande me dentro di me" e questa sensazione mi ha fatto vedere e sentire che c'è tanto potenziale che non conosco. Mi sono scoperta ed è solamente l'inizio del viaggio.
Audrey Quinto, 26 anni

Mi ricordo che le giornate passavano senza che io mi rendessi conto di niente di quello che mi succedeva intorno. Piano piano ho sviluppato una consapevolezza crescente e adesso sono io che decido che cosa voglio fare durante la giornata. Ogni giorno ridetermino i miei obbiettivi.
Ho deciso di studiare la sera per avere più tempo nel corso di una giornata. Prima di praticare ne perdevo un sacco, e a scuola andavo solo per farmi le canne. Ero depresso e le droghe, che pensavo mi aiutassero, aumentavano questo senso di apatia. Grazie alla pratica lo stato vitale si è alzato e ho sentito che il giudizio delle persone non mi fa più male. Cambiando la mia condizione vitale ho cominciato ad attirare persone diverse e sono riuscito a crearmi un ambiente felice. Adesso con il Daimoku so cosa voglio fare nel futuro. Mi sento come se da una strada di campagna, piena di buche e curve, mi fossi immesso sull'autostrada.
Nicolò Panzarasa, 18 anni

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Nuovi semi pronti a germogliare

Cinque incontri in una scuola media di Viterbo. Valeria, Ilaria, Emanuela, Francesca, Francesco, Alessandra, Daniele, Alejandro, Giovanna, Laura e Viviana, che hanno condotto l'esperimento nel ruolo di educatrici ed educatori, raccontano le loro esperienze, intrecciate con le testimonianze dei bambini e delle bambine

Cinque incontri in una scuola media di Viterbo

a cura di Giovanna Gobattoni

Tutto è nato da un ostacolo: non trovavamo la sede per gli esami di Buddismo del secondo livello e abbiamo pensato alla scuola media che fa parte dell'istituto comprensivo Fantappiè di Viterbo, ma c'era una clausola. I locali erano concessi solo ad attività dove ci fosse un riscontro pedagogico per l'istituzione.
Da lì l'idea di proporre in cambio un laboratorio Soka di educazione alla pace. I tempi erano stretti: bisognava convocare il Consiglio di Istituto, la disponibilità della dirigente, Gabriella Allibrio, è stata immediata. In Consiglio un'insegnante di scuola media ha lodato la Soka Gakkai per la mostra sui diritti umani a cui aveva partecipato qualche anno prima a Roma e così abbiamo ottenuto l'approvazione.
Gli esami si svolgono felicemente e dopo pochi mesi ci troviamo a inventarci il laboratorio. È stato un flusso inarrestabile di idee e la divisione giovani ha mostrato ciò che il presidente Ikeda ci insegna da anni: coraggio, passione, consapevolezza, entusiasmo.
Così incentriamo i cinque incontri intorno ad alcune parole chiave che, tutte insieme, sintetizzano la pace: felicità, amicizia, libertà-creatività, responsabilità, natura... ogni parola chiave ha trovato un linguaggio con cui esprimersi. Così abbiamo giocato con il corpo, la musica, le piante, il colore, le immagini. E ogni incontro ha preso spunto da un libro che il presidente Ikeda ha scritto per i bambini o, semplicemente, da una sua frase di incoraggiamento.
Così le parole dei bambini (in grassetto) si intrecciano a quelle delle educatrici e degli educatori.
Abbiamo giocato a Split e splat, un gioco di guerra molto divertente, e a La parte del tutto, un gioco di pace. Ci siamo divertiti molto. Abbiamo cantato una canzone che si chiama One by one everyone comes to remember ed è molto bella!
Mi è venuta un'idea: le cose si conoscono grazie ai loro opposti, quindi perché non cominciare dalla guerra? Quando lo abbiamo proposto, i bambini erano felicissimi! Abbiamo fatto dei giochi a eliminazione in cui i bambini fingevano di spararsi o di essere scudi e bombe. Ma i giochi a eliminazione, anche se sono divertenti, non sono mai soddisfacenti fino in fondo, perché alla fine quasi tutti i partecipanti perdono, e chi vince è costretto a far perdere un amico o una persona a cui vuole bene. Dopo abbiamo fatto un gioco diverso: un gioco che si chiama "La parte del tutto" in cui ogni bambino doveva essere un piccolo tassello di un oggetto più grande. La cosa bella di questo gioco è che non ci sono regole fisse: comincia il primo, dà un input con il suo corpo interpretando il frammento di un oggetto che ha in mente, il secondo legge questo input secondo la propria interpretazione e aggiunge, sempre con il suo corpo, un dettaglio, e così di seguito fino a che tutti non hanno ultimato, arricchito e perfezionato l'oggetto, partecipando in maniera creativa alla sua costruzione. Quando abbiamo finito ci siamo seduti e abbiamo parlato. (Alessandra)
Abbiamo letto favole, fumetti, frasi di uno scrittore di nome Daisaku Ikeda; dei ragazzi hanno suonato strumenti antichissimi - tre strumenti medievali, anzi tribali, dal rumore strano - e ci hanno spiegato cosa è la vera libertà.
È stato bellissimo perché abbiamo imparato ad ascoltare i suoni e a usare la fantasia. Io non sapevo veramente cos'era la libertà vera e propria, pensavo che era solo essere liberi di fare tutto quello che ci pare, ma non è così.
Tutti quanti hanno detto di aver preferito quest'ultimo gioco e il motivo che mi è rimasto più impresso è stato perché ognuno si è sentito libero di esprimersi. La pace è costruire insieme progetti in cui tutti si sentano liberi di contribuire nel rispetto di se stessi e degli altri. (Alessandra)
Abbiamo costruito una ragnatela, abbiamo fatto la rete di Indra che è come una ragnatela, sulla quale c'erano attaccate delle parole che tutte insieme formano l'amicizia.
Dalla spiegazione della rete di Indra è nata la ricerca delle definizioni di amicizia che ogni bambina e bambino hanno dato. Poi, insieme alle educatrici, hanno costruito un grande puzzle dove si esprimevano i vari significati trovati. È stato come aprire una porta, una porta nuova nelle stanze della mente. Ne è uscito un labirinto di idee, percezioni, disegni, che non imprigionava ma racchiudeva lo splendore della Torre preziosa. (Francesca)
Abbiamo imparato che l'amicizia è una parte della pace perché senza pace non c'è amicizia e senza amicizia non c'è pace.
Grazie all'esperienza alla scuola Fantappiè ho potuto constatare con i miei occhi quanto ci dice Sensei sui tesori del futuro: i bambini e le bambine. Siamo abituati a pensare di essere noi a dover insegnare qualcosa, quando invece abbiamo tanto da imparare dal loro atteggiamento. Durante il laboratorio mi hanno ispirato tantissimo con la loro apertura verso gli altri. Le parole da loro scelte sul tema dell'amicizia erano: rispetto della diversità, amore, sincerità, fiducia e molte altre. Si sono sforzati di collaborare e di fare insieme divertendosi. Il mio obiettivo è diventato essere in grado di sostenere tutti i bambini e le bambine che incontro, creando le condizioni perché possano manifestare lo splendore che possiedono, visto che dentro di loro c'è già tutto. (Valeria)
Un giorno abbiamo ascoltato dal computer i suoni della strada e della natura e ne abbiamo disegnato le sensazioni. Ci hanno anche dato delle schede sulla natura e le abbiamo colorate, dopo abbiamo piantato dei bulbi.
Partendo dal libro del presidente Ikeda Vorrei vedere le lucciole, abbiamo ragionato in maniera interattiva e ludica sull'importanza del rispetto della natura. Le protagoniste della lezione sono diventate proprio le lucciole che Ikeda descrive come «animaletti che vivono nei luoghi in cui la ricchezza e la serenità della natura si fondono con l'umanità. In tal senso, le lucciole sono il simbolo della pace». Il grave problema che porta alla distruzione della natura è che troppe persone non conoscono le sue meraviglie: la perfezione che c'è in ogni essere vivente vegetale e animale. Tuttavia è stato molto stimolante e incoraggiante per noi docenti vedere come i bambini abbiano moltissima sensibilità verso l'ambiente e gli equilibri naturali, cosa che ci ha fatto capire come sia fondamentale coltivare e far maturare l'animo nobile di questi giovani. Oltre al libro e alle frasi del presidente Ikeda, abbiamo fatto seminare dei bulbi di fiori, che ognuno di loro deve far crescere con tanta cura e pazienza, come il semino di pace che abbiamo cercato di lasciare nei loro cuori. (Laura)
Il laboratorio è stata una lezione nella vita che non si riesce a scordare... Ci siamo divertiti facendo giochi per imparare molte cose sulla pace, sulla sua definizione e su quanti tipi di pace ci possono essere.
La maestra Daniela Volpi ha mostrato costantemente sensibilità e apertura verso le proposte: ha guidato i bambini nella realizzazione di un quadernino dove venivano appuntati gli spunti e gli approfondimenti di ogni singolo incontro, arricchiti con disegni e riflessioni personali. Da tutto questo ne è uscita un'esperienza che ha entusiasmato, prima di loro, noi educatori che ci siamo avvicendati.
Alla quinta lezione Viviana ha preparato dei libretti mentre Giovanna leggeva Il principe e il mare di coralli. I libretti servivano a fare il passaporto della pace dove avremmo attaccato dei foglietti con disegnato il nostro ritratto e il nostro simbolo della pace.
Ognuno è tornato a casa con un pezzo di consapevolezza in più, soprattutto con la certezza che kosen-rufu non è un obiettivo lontano, ma è dentro il loro sguardo, dentro il loro desiderio di esserci, di scoprire, di inventare, di dialogare.
Abbiamo risposto a domande mai fatte... abbiamo fatto paragoni per capire meglio e abbiamo giocato... Ho imparato molte cose belle tra cui: la pace e la libertà sono la cosa più importante nella nostra vita!
Ecco la nostra esperienza: giocando insieme, il cuore di adulti e bambini ha brillato in un unico desiderio di pace. Ora sta a noi adulti, nei nostri luoghi di vita e di lavoro, non tradire l'impegno che abbiamo appreso dai piccoli: unire la teoria alla pratica della pace, ovvero diventare maestri di dialogo.

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Un laboratorio di educazione alla pace

di Alessandra Fornasiero



Una vita di grandi realizzazioni dedicata alle giovani donne della Soka Gakkai, dal gruppo Leonardo dei giovanissimi alla responsabilità nazionale. Ora, insieme a sua figlia Sofia di tre mesi, è di nuovo in prima linea nell'attività delle giovani mamme. Ogni mattina, per affrontare le difficoltà nel lavoro e l'impegno della crescita della bambina, si alza alle cinque per recitare due ore di Daimoku perché, dice, «per me essere giovane in questo momento è rimettermi davanti al Gohonzon così battagliera, perché così mi ha insegnato Sensei». 
 
Eri molto giovane quando hai incontrato il Buddismo... 
Ho iniziato a praticare a quattordici anni, nel 1994. A settembre ne compio trentadue, quindi ho fatto il calcolo che sono più gli anni di pratica di quelli senza. Sono io che ho portato il Gohonzon nella mia famiglia, e poi anche mia madre lo ha ricevuto. 
Il Buddismo l'ho conosciuto tra i banchi di scuola: una mia compagna aveva la mamma che faceva parte della Soka Gakkai e così, quando andavo a studiare a casa sua, c'erano spesso recitazioni e noi due ci univamo. Così ci siamo inserite in un gruppo ed è iniziata l'avventura. 
Creammo un gruppetto di adolescenti che si chiamava "Alice", perché io portavo una maglietta con la canzone di De Gregori... Si recitava e si preparavano dei regalini per lo zadankai. Poi nel '98 c'è stato il primo corso a Trets dei giovanissimi e così è iniziata l'attività Leonardo. Devo dire che sono molto grata perché ho avuto intorno a me adulti che mi hanno dato fiducia, mi hanno dato sempre carta bianca mettendomi nelle condizioni migliori per manifestare le mie capacità. 
Avevo una sofferenza profonda, fin dall'infanzia, e il Buddismo mi ha insegnato seppur giovanissima a prendere confidenza con questo dolore, a dargli un nome. Spesso infatti gli adolescenti soffrono ma non sanno dare un nome alla loro sofferenza. I miei genitori si erano separati quando avevo due anni, questo è il nodo che mi portavo dentro, che in seguito sarebbe esploso nella bulimia... e in un grande senso di insicurezza. 
La relazione con Sensei per me a quell'epoca era quasi più importante del Gohonzon. Ricordo che leggevo il Diario giovanile, quelle uniche venti pagine allora disponibili che giravano in fotocopie e che sapevo a memoria, e adoravo il fatto che lui scrivesse, per esempio: «Soffro, ma non capisco da dove viene questa sofferenza», oppure: «Sto male, ma continuo a lottare». Soprattutto queste parole mi incoraggiavano, perché vivevo quella stessa condizione. La sofferenza che provavo non ero in grado di comprenderla né mi sentivo capace di trasformarla, però mi dicevo: «Anche io recitando Nam-myoho-renge-kyo, come lui, ne uscirò». Sensei mi aiutava a trovare in me questa speranza. 
I primi benefici di serenità, di conquista di me stessa, li ho sentiti dopo quattro anni di pratica. Davanti al Gohonzon di Trets, a diciotto anni, ricordo di aver visto l'immagine dei miei genitori che sorridevano insieme, e lì ho sentito per la prima volta che quel nodo si era sciolto. Più che su obiettivi concreti, sono stata sempre concentrata sul cambiamento interiore.



Però hai realizzato molte cose concrete, nel lavoro per esempio... 
Sì, mio marito sette anni fa ha rilevato un'azienda di servizi aeroportuali, una società di handling, quelle che si occupano delle scale, dello scarico bagagli... Lavoriamo per i jet privati, per i voli business. Un mondo di straricchi, politici, cantanti, attori, personaggi di stato. Lui ha rilevato questa azienda, anzi la melma di questa azienda praticamente da chiudere, che aveva duecentomila euro di debiti. All'inizio eravamo solo a Ciampino, oggi abbiamo aperto filiali in altri cinque aeroporti, Milano, Pisa, Venezia, Catania e Napoli, diamo lavoro a tante persone, abbiamo una trentina di dipendenti tutti sotto i trent'anni. A volte ci chiedono: «Ma chi c'è dietro di voi?», perché in questo settore c'è un grande giro di soldi... Ma dietro di noi c'è soltanto il Gohonzon! Il bello è che a noi questo lavoro per l'alta società ci serve per mangiare, non siamo ricchi... e abbiamo la responsabilità di trenta dipendenti, che sono trenta mutui da pagare, trenta figli da mandare a scuola... Ora la situazione è veramente dura per tutti, e anche noi stiamo incontrando tante difficoltà: i nostri concorrenti sono molto potenti e noi siamo come un pesciolino in mezzo agli squali. Per cui a un certo punto abbiamo pensato di lasciarlo, questo lavoro... Ma poi ecco il mio bel conta-Daimoku, un milione di Daimoku per rilanciare la sfida, non per diventare ricchi o fare chissà cosa, noi vinceremo nel nostro lavoro per dimostrare la grandezza del Gohonzon. 
Per me essere "giovane" in questo momento è rimettermi davanti al Gohonzon così battagliera, perché così mi ha insegnato Sensei, perché questo è il Buddismo che conosco. E nonostante la giornata sia faticosa, perché crescere una bimba di tre mesi è molto faticoso, la mattina io mi alzo alle cinque per fare due ore di Daimoku prima che Sofia si svegli.



Che percezione hai di questo grande cambiamento in atto, della Soka Gakkai dei giovani? 
Ho riflettuto molto su questo. Nel Buddismo il tempo è importante... C'è stato il tempo dell'iscrizione del Gohonzon, il tempo della fondazione della Soka Gakkai e ora è arrivato il tempo dei giovani. Quando io ho iniziato i praticanti erano in totale quindicimila, e ora quindicimila sono solo i giovani. La situazione si è ribaltata in pochissimo tempo. Nel 2030 la Soka Gakkai compirà cento anni, mia figlia avrà diciotto anni, io più di cinquanta e Sensei, è matematico, non ci sarà. Quindi il mio compito, l'obiettivo che mi metto davanti al Gohonzon, è fare in modo che veramente nel 2030 non ci sia differenza, dovrà essere come se Sensei fosse qui, e questo dipende da quanto ognuno di noi continuerà ad allenarsi, a realizzare non a parole ma concretamente le sue guide, da quanto riusciremo a trasmettere veramente il messaggio della rivoluzione umana ai giovani che ci saranno nel 2030. Oggi c'è lui che ci trasmette il Buddismo con i suoi scritti, con le sue parole, domani ci saremo noi discepoli. È importante decidere bene come arrivarci, a questo 2030... Stamattina sotto la doccia pensavo: quanta responsabilità abbiamo nel trasmettere questo Buddismo, ed è per questo che io la mia lotta nel lavoro la devo proseguire, per dimostrare come funziona veramente il Buddismo.



Parliamo dei successori... 
La riunione del 22 ottobre 2011 al Palalottomatica mi ha colpito tantissimo, io ero al settimo mese di gravidanza, quindi già da un po' non ero coinvolta come prima nell'attività. Quel giorno mi hanno davvero impressionato le parole di Sensei riportate dal signor Oba, così severe, rivolte ai giovani: «Voi, che appartenete alla generazione che è diventata leader quando l'organizzazione era già strutturata, [...] non avete avuto l'esperienza di essere messi da parte e disprezzati, o di aver vissuto l'insegnamento buddista anche in mezzo alle prove più dure. Affrontate le sfide, sforzatevi fino in fondo. Non dovete cercare la via più facile». Ed è vero, perché quando siamo arrivati noi tante persone come lui, tanti adulti, avevano già aperto la strada. 
Nei miei diciotto anni di pratica io ho sempre ricercato questo allenamento: quando stavo male uscivo a fare a shakubuku, e anche se non mi andava mi svegliavo comunque presto per recitare due ore di Daimoku. Durante il liceo recitavo almeno un'ora di Daimoku e Gongyo prima di andare a scuola. Sono stata molto severa con me stessa, forse per questo ho recepito così profondamente quelle parole di Sensei. Posso dire di non essermi mai risparmiata. In questa casa, per esempio, prima eravamo in affitto. Per due anni abbiamo fatto recitazioni ogni giorno per i giovani, dalle cinque alle otto di mattina, venivano membri da ogni parte di Roma. E poi è arrivato un grande beneficio, del tutto inaspettato: l'abbiamo acquistata a un prezzo irrisorio, ed è proprio la casa che volevo, su due piani, con il giardino per i cani, il camino... 
Dico questo perché in ogni momento si può decidere di nuovo. Ci sono stati momenti difficili ultimamente, appena nata Sofia a volte non sapevo dove mettere le mani, ma poi dicevo: «Dài Sofia, andiamo a fare shakubuku insieme!». 
È stato l'insegnamento di Sensei ma, sono sincera, è stata anche la mia decisione di seguirlo. Il Gohonzon c'è, il Daimoku c'è, ma il potere della pratica e della fede dipendono da noi, siamo noi che decidiamo di tirarli fuori. Lo stesso vale per i successori: sono tali se decidono di esserci, di salire su questo treno guidato da Sensei.



In questi giorni è stata ufficializzata la nascita della divisione Futuro... 
Avendo una figlia così piccola, a volte sono presa dall'ansia di non riuscire a trasmetterle le cose importanti, ma poi mi sono resa conto che lei guarda me, sa che io sono la persona che si prende cura di lei... I bambini sono ricettivi anche così piccoli, anche se non si sa cosa pensano sono come semi che hanno già dentro le potenzialità degli alberi, e quindi io faccio tutto con lei, le racconto tutto, le ho fatto vedere il Gohonzon da vicino, le ho chiesto: «Te lo ricordi?». I bambini guardano noi, anche gli adolescenti ci guardano, osservano come viviamo, cosa facciamo, non c'è bisogno di tante parole. 
Nella zona dove abito gli adolescenti hanno iniziato a vedersi tutti i venerdì, sono una quindicina, dai quattordici ai vent'anni, e questi incontri di fatto sono diventati degli zadankai... io partecipo molto volentieri e spesso ridiamo insieme, non è tanto importante quello che dici, ma l'emozione che trasmetti. Quindi penso che per la divisione Futuro, per chi farà attività con loro, la cosa più importante sia essere spontanei, regalare se stessi.



Ma torniamo al tuo rapporto con Sensei. 
Mentre recitavo, prima, pensavo che Sensei lo incontro negli altri. Mi spiego. In tutti questi anni ho sempre detto sì, senza risparmiarmi, ed è in questa lotta per manifestare la Buddità, nella fede, nel parlare agli altri di Nam-myoho-renge-kyo che ho incontrato Sensei. Incontrarlo dal vivo è diverso, è una grande emozione, come quando vedi una persona che ami. Però quando fai chilometri per incoraggiare una persona, quando lotti al suo fianco, quando i tuoi shakubuku ricevono il Gohonzon, lì veramente senti la forza del maestro. Questa cosa ora ce l'ho chiara. Tanto è vero che i regali più belli da Sensei mi sono arrivati nei momenti in cui stavo dando tutta me stessa, senza pensare ad altro. 
Il maestro lo cogli nella vita degli altri. Non è un caso che le persone che tornano dal Giappone ti raccontano soprattutto di come sono state accolte dai membri: il cuore del maestro è questo stato vitale, è il manifestarsi della Buddità. 
Questa è la Soka Gakkai dei giovani, anche se da giovane forse tutta questa consapevolezza non ce l'hai, semplicemente ti fidi e fai, e io mi sono fidata. Per questo vorrei incoraggiare i giovani di oggi a sfruttare ogni occasione di allenamento, a non risparmiarsi, a non avere paura di buttarsi, a dare il massimo per kosen-rufu. 
Ora che sono mamma questo capitolo è chiuso. Per quanto riguarda questa prima fase della mia vita posso dire che grazie a Sensei non ho rimpianti... perché mi sono spremuta tanto. E ora devo sforzarmi ancora di più!



Ti senti ancora una giovane donna? 
Non lo so! Per ora mi sono tuffata nell'attività delle giovani mamme. Appena è nata Sofia ho iniziato a chiamare tutte le mie amiche che avevano da poco avuto figli, chiedendo loro: «Cosa vogliamo fare?». Certo non mi sento giovane come i giovani di ora, che per fortuna sono tantissimi, i ritmi della mia vita sono cambiati... ma d'altra parte non sento ancora di appartenere alla divisione donne, per questo mi sono tuffata nelle giovani mamme, che sono donne in un certo senso ancora alle prese con una gioventù che sta per fuggire...



E la nascita di Sofia? 
Durante tutta la gravidanza il parto è stato la mia ossessione, il mio calvario. Forse anche a causa dei ricordi vaghi ma brutti dell'infanzia che mi avevano lasciato poca fiducia negli uomini e un senso di chiusura. Non riuscivo a trovare, ad esempio, quell'apertura che nel sesso ci vuole. Forse per questo pensavo al parto come a qualcosa di terribile. Ho recitato talmente tanto Daimoku per superare questa paura, e tutto quel Daimoku è andato a finire in Sofia, perché lei dorme tutta la notte, è serena, interagisce, mi diverte... Potrei morire senza rimpianti solo per essere riuscita a partorire. A un certo punto, durante la gravidanza, mi è venuta un'anemia molto forte, come se inconsciamente cercassi una ragione per fare il cesareo... e invece proprio l'anemia è stata la ragione per doverlo escludere in modo tassativo. Mi hanno detto: «Marta devi avere un ichinen di ferro per riuscire a fare un parto spontaneo, assolutamente». Evidentemente questo mi serviva, dovevo passare per un'esperienza così forte e dolorosa. È stato come conoscere vita e morte insieme. Questo è il bello del Buddismo, la vita ha una compassione enorme, ne sa molto più di te, a me evidentemente serviva questo per sbloccarmi, e infatti mi sono sbloccata... 
Quando sono uscita dalla sala parto certo ero orgogliosa e felice, ma per un mese ho continuato ancora a chiedermi: come ho fatto, come è possibile? 
Diventare madre era una cosa che desideravo talmente tanto che me la negavo. E infatti per tanto tempo questa figlia non veniva... Questo è il punto focale della mia vita, la mia tendenza karmica, io mi nego tante cose. Desideravo una famiglia ma è come se non riuscissi a credere di essere in grado di costruirla, anche il matrimonio, l'acquisto di questa casa... perfino dopo averle realizzate, queste cose, a volte ancora non ci credo... 
Creare una famiglia mia era il desiderio che avevo nel cuore fin dall'inizio della pratica, mia nel senso di "costruita da me", sembra banale, ma per me è stata una conquista difficilissima perché l'ho dovuta creare pezzetto per pezzetto, lottando contro questa tendenza a non credere di potercela fare, la tendenza a distruggere invece che costruire. 
Anche la nascita di Sofia me la volevo negare, non vivendola fino in fondo: «Fatemi un taglio nella pancia e tiratemela fuori», e invece no, ho fatto da sola la cosa per me più difficile, attraverso una lotta indicibile con me stessa. Sofia girava al contrario, per cui la fase espulsiva finale, che generalmente dura mezz'ora, per me è durata cinque ore di spinte, ero esausta anche mentalmente, pensavo di morire... ma mi ero affidata a una persona che fino alla fine mi ha voluto far fare un parto spontaneo. 
Dei neo-papà che erano nelle vicinanze della sala parto mi hanno detto che le mie urla non le scorderanno mai. È stata la riprova della compassione della vita: il Gohonzon, Myoho-renge-kyo, è la vita, tu puoi organizzare e architettare tutto quello che vuoi, ma se per crescere devi fare un'esperienza, la devi fare. Evidentemente avevo bisogno di questo per capire. Da qualche parte dentro di me avevo proprio deciso di cambiare questo karma di insicurezza profonda, per me era come dire: «Guarda Marta che anche tu ce la fai, vai fino in fondo, riconoscitelo che anche tu ce la fai!». 
La vita ha una compassione talmente grande, per questo «il saggio si rallegra...». Perché sa che dietro ogni difficoltà da attraversare c'è un grande beneficio.



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Il futuro in prima persona

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