Immagina... persone sagge, giovani o anziane che dopo aver udito questo sutra lo accettano con gioia e si recano altrove e là espongono, secondo la propria capacità, ciò che hanno udito a beneficio dei genitori e dei parenti, degli amici e dei conoscenti. 
E immagina che questi, dopo aver udito, rispondano con gioia e a loro volta si impegnino a trasmettere l'insegnamento ad altri. E che queste altre persone, dopo aver udito, rispondano con gioia... e che la trasmissione continui da uno all'altro fino a raggiungere la cinquantesima persona (Shakyamuni).



Ma di quale gioia parliamo? 
Dell'immensa gioia che emerge dall'aver udito il supremo insegnamento di Nam-myoho-renge-kyo. «Nichiren Daishonin afferma che questa gioia è la fede, e la fede è questa gioia. Grazie a questo insegnamento è possibile superare qualsiasi sofferenza, conseguire la Buddità e condurre alla felicità tutte le persone per l'eterno futuro. Se siamo davvero convinti di ciò, come possiamo trattenere l'immensa gratitudine e la suprema gioia di aver incontrato la Legge mistica? Una vita pervasa da tale gioia e dinamismo già racchiude in sé una grande felicità. Quando riusciamo a sentire questa gioia non possiamo fare a meno di provare il desiderio di condividerla con gli altri, perciò inizia spontaneamente l'azione di shakubuku: la diffusione di questa gioia è kosen-rufu. La propagazione è un gesto naturale che nasce dalla gioia della pratica. Vi prego di imprimere fortemente nel vostro cuore che è possibile far emergere questa gioia attraverso un Daimoku determinato e un atteggiamento attivo, con il proposito di assumere con coraggio la missione di kosen-rufu sulle proprie spalle» (Daisaku Ikeda).



(La nuova rivoluzione umana, vol. 30, cap. "Grida di vittoria", puntata 15. Traduzione dal Seikyo Shimbun del 23 dicembre 2017)



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Che gioia!

Nel capitolo del Sutra del Loto I benefici di chi risponde con gioia Shakyamuni descrive con immagini fantastiche le meravigliose e peculiari caratteristiche che ognuno e ognuna manifesta quando espone gli insegnamenti buddisti.
Nichiren Daishonin scrive a un suo discepolo: «Che gioia esser nati nell'Ultimo giorno della Legge e aver potuto partecipare alla propagazione del Sutra del Loto!» (Lettera a Niiike).
I tre maestri della Soka Gakkai hanno continuato a guidare, in Giappone e nel mondo, la diffusione della gioia che deriva dalla Legge mistica.
Il 16 marzo 1958 il maestro Toda affidò ai giovani il testimone del futuro di kosen-rufu.
Oggi, sessant'anni dopo, realizziamo il desiderio del Budda di trasformare il karma dell'umanità, per rispondere con gioia al maestro Ikeda. Dalla promessa di maestro e discepolo emerge la gioia più profonda.

Il Sutra del Loto

A quel tempo il bodhisattva mahasattva Maitreya disse al Budda: «Onorato dal mondo, gli uomini e le donne devoti che, udendo questo Sutra del Loto, lo accettano con gioia, quali e quanti benefici otterranno?»
Quindi parlò in versi e disse:

Dopo l'estinzione dell'Onorato dal mondo,
coloro che ascoltando questo sutra
sono in grado di rispondere con gioia,
quali e quanti benefici otterranno?

A quel tempo il Budda disse al bodhisattva mahasattva Maitreya: «Ajita, immagina, dopo l'estinzione del Tathagata, monaci, monache, laici e laiche, o altre persone sagge, giovani o anziane che, dopo aver udito questo sutra, lo accettano con gioia e, allontanandosi dall'assemblea del Dharma, si recano altrove, per esempio in un monastero, in un luogo isolato e tranquillo, in una città, in una comunità, in una borgata o un villaggio, e là espongono, secondo la propria capacità, ciò che hanno udito a beneficio dei genitori e dei parenti, degli amici e dei conoscenti.
E immagina che questi, dopo aver udito, rispondano con gioia e a loro volta si impegnino a trasmettere l'insegnamento ad altri. E che queste altre persone, dopo aver udito, rispondano con gioia e trasmettano l'insegnamento e che la trasmissione continui da uno all'altro fino a raggiungere la cinquantesima persona.
Ajita, adesso ti descriverò i benefici ottenuti da questa cinquantesima persona, uomo o donna devoti, che accetta con gioia: ascolta con attenzione.
[...] Ajita, i benefici ottenuti anche dalla cinquantesima persona che ascolta il Sutra del Loto quando gli viene trasmesso e risponde con gioia assommano a incommensurabili, incalcolabili asamkhya.
Quanto maggiori allora saranno quelli della prima persona che, udendo il sutra nell'assemblea, risponde con gioia!
I suoi benefici sono ancora maggiori, un numero incommensurabile, infinito di asamkhya; in effetti sono impossibili da calcolare. [...]
Oppure immagina che una persona sia seduta nel luogo ove viene esposta la Legge e, quando appare un'altra persona, la inviti a sedere e ad ascoltare, le offra di dividere il suo seggio e la persuada a sedersi.
I meriti ottenuti da questa persona saranno tali che quando rinascerà otterrà il posto dove siede Shakra, dove siede il re Brahma o dove siede un re saggio che mette in moto la ruota. Immagina una persona che si rivolga a un'altra dicendo:
«Conosco un sutra che si chiama Sutra del Loto. Andiamo insieme ad ascoltarlo».
E immagina che l'altra persona, ricevuto l'invito, vada e ascolti il sutra anche per un solo momento.
I meriti della prima persona saranno tali che quando rinascerà si troverà nello stesso luogo dei bodhisattva che hanno ottenuto i dharani
Svilupperà grandi facoltà e saggezza.
Per cento, mille, diecimila ere non sarà muto. La sua bocca non emanerà cattivo odore. La sua lingua non sarà mai malata e neppure la sua bocca. I suoi denti non saranno cariati o anneriti, né gialli o radi, non ne mancheranno, non cadranno né saranno storti o incurvati.
Le sue labbra non saranno cadenti o arricciate, ruvide o screpolate, piagate, deformi o contorte, troppo spesse, troppo grandi, nere o macchiate o sgradevoli per una qualche ragione. Il suo naso non sarà troppo largo, piatto, storto o adunco. Il suo viso non sarà oscuro, né lungo e sottile o incavato e storto.
Non avrà un solo lineamento sgradevole a vedersi.
Le sue labbra, la lingua e i denti saranno ben proporzionati. Il suo naso sarà affilato e alto, il viso rotondo e pieno, le sopracciglia alte e lunghe, la fronte ampia, liscia e ben fatta; egli sarà dotato di tutte le caratteristiche di un essere umano. In ogni esistenza in cui rinascerà vedrà il Budda, udrà la sua Legge e avrà fede nei suoi insegnamenti.
Ajita, osserva!
Tanto grande è il merito che si guadagna anche soltanto incoraggiando una persona ad andare ad ascoltare la Legge.
Quanto maggiori saranno allora i meriti di chi ascolta con mente concentrata, predica, legge e recita il sutra e in una grande assemblea compie distinzioni a beneficio della gente e pratica come insegna il sutra!»
(I benefici di chi risponde con gioia, SDLPE, 337-341).

La Raccolta degli insegnamenti orali

Le pagine dell'Ongi kuden, la Raccolta degli insegnamenti orali,1 hanno il potere di evocare con poche parole immagini che ti attraversano come un laser, benefico e fulmineo, a ricollegare concetti separati ridandogli nuova vita.
In questo caso, analizzando il significato dei "benefici di rispondere con gioia"2 il Daishonin dice: «"Rispondere" significa rispondere e conformarsi alla realtà e al principio», dove "realtà" è il fatto reale che Shakyamuni manifesta in questa vita il suo stato originale di Illuminazione, e "principio" è che anche le persone comuni sono in grado di manifestare il loro stato originale. Dunque «significa rispondere e conformarsi all'intima verità del capitolo Durata della vita del Tathagata», dove si rivela che la Buddità è eterna e originariamente connaturata alla vita. Shakyamuni l'ha manifestata nella vita reale, e anche noi persone comuni la possiamo manifestare.
«In generale, "rispondere" può essere considerato come un altro termine per fede. Rispondere significa semplicemente avere una mente che crede» a quella realtà e a quel principio. «Quando ciò viene fatto, allora sia se stessi che gli altri insieme troveranno gioia».
E questa è una gioia piena, del cuore e della mente: svanisce l'angoscia della ricerca del senso di sé e del proprio posto nel mondo, e ogni separazione tra immanente e trascendente, umano e "divino". Si risolvono le grandi domande in una risposta che soddisfa la speculazione filosofica e anche la tensione esistenziale (altrove3 la Raccolta parla della «grande gioia che si sperimenta quando si comprende per la prima volta che la propria mente fin dal principio è stata il Budda»).
Il sutra, come una madre/padre di cosmiche dimensioni, ci dice che così come siamo andiamo benissimo per questa vita e questo universo, che non ci manca nulla per imparare a vivere felici insieme agli altri, e che l'unica vera illusione è non credere in questa grande utopia perché essa si basa su quella realtà e quel principio, su quella basilare eterna verità. (m. m.)

Note
1) Raccolta delle lezioni di Nichiren Daishonin sui 28 capitoli del Sutra del Loto, consultabile su http://www.sgi-italia.org/approfondimenti/InsegnamentiOrali.php.
2) BS, 118, 50.
3) Capitolo ottavo, Predizione dell'Illuminazione a cinquecento discepoli, BS, 124, 54.

La saggezza del Sutra del Loto

«Sembra che questo capitolo sia stato esposto per noi». Così ne La saggezza del Sutra del Loto il presidente Ikeda inizia il suo commento su I benefici di chi risponde con gioia. «Nel 1952, un anno dopo aver assunto la carica di presidente, Josei Toda proclamò: "Io, nel settecentesimo anniversario della fondazione, dichiaro l'inizio della vasta propagazione del Buddismo del Daishonin"».
«La gioia - scrive ancora Ikeda - è qualcosa che si condivide. La vera felicità consiste nel diventare felici insieme agli altri». Ci si potrebbe chiedere se la gioia diminuisca man mano che si trasmette fino alla cinquantesima persona. «La cinquantesima persona gioisce ascoltando l'insegnamento ma non lo trasmette, eppure riceve immensi benefici. I benefici delle prime persone che non solo rispondono con gioia, ma trasmettono l'insegnamento ad altri, sono incomparabilmente più grandi, "[...] impossibili da calcolare". Il solo pensare "È meraviglioso!" o "Che fortuna averlo incontrato!" è già fonte di enormi benefici».
Il Daishonin commenta: «Le cinquanta persone coinvolte rappresentano tutti gli esseri viventi» (Raccolta degli insegnamenti orali, BS, 125, 50). Questo punto è davvero importante. Significa che ognuno e ognuna di noi, che pratichiamo il Buddismo e proviamo gioia, può far star bene le persone intorno a sé, indipendentemente dal fatto che seguano il nostro stesso insegnamento.
Perché forse questo gioire non è altro che cambiare noi stessi facendo emergere dalla nostra vita una condizione vitale di felicità che non può non abbracciare le persone intorno a noi. Perché è lo stato vitale del Budda.
Questa gioia rende potenti, è un'assunzione di responsabilità.
Attraverso la propagazione di questa gioia da una persona a un'altra, e di seguito fino alla cinquantesima, trasformiamo l'ambiente, la nostra comunità: «I contenuti della democrazia sono l'autonomia, il progresso e la felicità a cui ogni persona ha diritto. Le nostre preghiere e i nostri sforzi per aiutare gli altri a diventare felici sono un contributo alla creazione di una società veramente democratica.
Siamo impegnati a trasmettere gioia da una persona all'altra. Per quanto lunga sia la catena di trasmissione, la quantità di soddisfazione provata da ogni persona non diminuisce. La propagazione della filosofia del Daishonin si sviluppa con la felicità indistruttibile di una persona dopo l'altra. Questa è la nostra via» (SSDL, 3, 24-32).

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Una gioia che diventa realtà

«Vi affido il futuro, conto su di voi per realizzare kosen-rufu». Quel giorno il presidente Toda avrebbe passato il testimone della responsabilità dell'intera Soka Gakkai ai giovani presenti. Era il 16 marzo, una data destinata a diventare il giorno del suo testamento spirituale
(Rielaborato da La rivoluzione umana, vol. 12, cap. "Successori". I brani originali sono in corsivo).

Una visita annunciata
Il primo ministro si sarebbe recato al tempio principale domenica 16 marzo. Toda apprese la notizia con gioia e, nel comunicarla al suo giovane discepolo Shin'ichi, gli propose di utilizzare quell'evento come una straordinaria occasione per invitare i giovani aderenti alla Soka Gakkai di tutto il Giappone. La sua idea era trasformare un semplice, seppur rilevante, incontro formale, in un appuntamento di valore storico per tante ragazze e ragazzi.
Quella domenica sarebbe stato il luogo e il tempo di una grande decisione per una moltitudine di giovani, pronti ad assumersi la missione della realizzazione della pace nella propria vita e nella propria comunità: una sorta di prova generale di kosen-rufu. Il grande desiderio del maestro scaturiva dalla fiducia che egli riponeva nelle nuove generazioni.
Mettendo in atto quella fiducia, Toda incaricò il giovane Shin'ichi dell'intera organizzazione.
La voce di Toda era tranquilla, ma i suoi occhi emanavano uno sguardo intenso, carico di energia e determinazione che arrivò dritta al cuore del discepolo. Sarebbe stato il momento solenne in cui ogni giovane presente avrebbe potuto formulare il proprio voto, il seme della vittoria.
Shin'ichi notò lo sguardo vivo nel corpo stanco del maestro e percepì, in quel momento, che era giunto al culmine del suo tragitto in questa vita. Il 16 marzo era destinato a essere il suo più grande testamento spirituale.
I preparativi furono impegnativi, il numero dei giovani coinvolti sarebbe stato di circa seimila; c'erano da organizzare i trasporti, l'accoglienza e il ricevimento del primo ministro.
La notizia si diffuse in ogni angolo del Giappone in un batter d'occhio I giovani compresero l'opportunità di poter incidere nel cuore la direzione della propria rivoluzione umana, dedicandola alla prosperità della società.
Essi non avevano cercato il benessere materiale né fama o status, al contrario avevano fatto proprio il sincero desiderio di realizzare kosen-rufu. Il fatto di partecipare a un simile evento alla presenza del loro maestro era per ognuno motivo di orgoglio e gioia. Tutti attendevano con impazienza il giorno fatidico.
Toda aveva pensato a una cerimonia che esprimesse il senso della realizzazione di kosen-rufu: i giovani invitati, alla presenza del primo ministro, avrebbero condiviso, con un'unica mente, il grande ideale di un'umanità pacifica.

Un pasto caldo per seimila giovani
Ma il cuore paterno di Sensei Toda desiderava anche far sentire a proprio agio quei ragazzi che sarebbero arrivati, dopo un viaggio stancante, in un'ora presta e fredda della mattina. Ebbe un'idea: offrire loro un pasto caldo. Chiese al giovane Itami di occuparsene; questi si mostrò meravigliato e colpito da una tale iniziativa. Lo commuoveva la sollecitudine con cui Toda aveva riflettuto su un aspetto così semplice, ma anche essenziale: il sostegno che il cibo offre al nostro corpo, palazzo della nona coscienza. Lo stupiva il senso pratico con cui il maestro aveva ordinato di preparare una zuppa per almeno seimila persone, dando l'indicazione di allestire vari punti di distribuzione, per evitare disagi. Certo era un'impresa non da poco e, con una gran risata, il maestro Toda invitò Itami ad allungare la zuppa, se necessario. Ma subito, seriamente, diede a tutti un grande insegnamento: «Le persone non possono esprimere il meglio di sé quando hanno fame. [...] Un leader deve sempre preoccuparsi che le persone abbiano avuto cibo a sufficienza». Pronunciando queste parole sottolineava il valore di questo particolare compito per quella giornata. Il gruppo divenne subito operativo e ai giovani fu data disposizione di portare con sé le bacchette con una tazza, insieme a un pranzo al sacco.
Toda immaginava quel raduno come un grande e gioioso convegno di cavalieri ariosteschi armati di buon cuore e coraggio. Il suo spirito vitale e fiero e le aspettative vigorose non erano però più sostenute dalla salute. Shin'ichi lo affiancava in ogni impresa e osservava con preoccupazione il venir meno della sua forza fisica.
Lo stesso camminare era diventato stentato e faticoso. Shin'ichi desiderava fare tutto quello che era possibile per alleviare le sofferenze di Toda e, a forza di pensare alle possibili soluzioni, gli venne in mente di far allestire una lettiga su cui Toda potesse essere trasportato. Aveva pensato a una sorta di portantina, che poteva essere sollevata a spalla dai giovani.

Per non affaticare il maestro
Il suo desiderio era che il maestro si sentisse come un antico condottiero che, dall'alto del suo carro, spronasse i suoi discepoli alla vittoria nella vita. Per realizzare la lettiga incaricò Sawada. Dopo aver vagliato diverse soluzioni, questi la consegnò il giorno prima del grande appuntamento.
Quando però Shin'ichi mostrò la portantina al maestro, Toda non sembrò apprezzarla. Gli appariva come un piedistallo inutile e ingombrante, inadatto a offrire raccomandazioni e incoraggiamenti ravvicinati, come era il suo stile.
Il gruppo di giovani rimase senza parole alle proteste di Toda e anche Shin'ichi accusò il colpo. Subito però offrì loro parole di incoraggiamento: Sensei Toda avrebbe infine accettato il dono, frutto della sincerità e dell'amore dei discepoli. Shin'ichi aveva colto lo spirito del maestro: offrire l'esempio di uno spirito vivace e battagliero.

L'arrivo alla spicciolata
All'alba del 16 marzo cominciarono ad arrivare numerosi autobus affollati di giovani. Per primi arrivarono i membri di Tokyo che erano partiti fin dalla sera precedente. Il cielo era libero, nonostante il giorno prima avesse piovuto, la primavera era vicina, ma nella zona del monte Fuji l'aria era ancora frizzante. Il respiro dei giovani che scendevano dagli autobus formava nuvolette di condensa.
I ragazzi furono condotti presso una cucina da campo: il profumo del miso riempiva l'aria man mano che la zuppa veniva servita nelle ciotole. Nell'aria fredda dell'alba la zuppa calda diede a tutti un grande sollievo e scaldò i corpi infreddoliti. I ragazzi rimasero stupiti e commossi nel vedere l'infaticabile operosità del gruppo di supporto e nell'apprendere che proprio il maestro Toda aveva pensato di accoglierli con un tale gesto di affetto.
Le luci dell'alba ruppero l'oscurità. Il profilo purpureo del monte Fuji cominciò a stagliarsi a distanza in mezzo a una nebbiolina leggera. Poco dopo la nebbiolina svanì mentre i raggi del sole cominciavano a spuntare e a illuminare la sommità innevata del Fuji. Il cielo era limpido e blu. Nei dintorni del tempio si udivano le voci felici dei giovani che arrivavano a ondate successive. Erano tutti molto poveri e vestivano con abiti modesti, ma i volti erano luminosi, gli occhi ridenti e le guance arrossate dall'aria fredda.

Una spiacevole sorpresa
Mentre ancora fervevano i preparativi giunse a Toda la telefonata del primo ministro che lo avvertiva di non poter recarsi al tempio. Al suo posto avrebbe mandato la moglie e la figlia con il genero. Fu una doccia gelata. Sensei bruciava di collera pensando ai grandi sforzi che tutti quei giovani avevano intrapreso per realizzare al meglio quell'incontro.
Convocò i responsabili e spiegò l'accaduto, dichiarando il suo desiderio di rendere memorabile l'evento. In quella data egli avrebbe lasciato il testimone della responsabilità dell'intera Soka Gakkai ai giovani presenti, incoraggiandoli con tutto se stesso. Grazie a quello sgradevole inconveniente Toda rese concreta la profonda compassione che nutriva per i suoi giovani discepoli.
Verso mezzogiorno arrivarono gli ospiti, i familiari del primo ministro e un funzionario, accolti dalla banda e dagli applausi dei giovani.
Nel frattempo Shin'ichi convinse Toda a utilizzare la portantina, frutto della sincerità e della premura dei discepoli. Fu una scena commovente, uno scambio diretto tra le vite di maestro e discepolo. Il primo attento a dare un esempio di lotta vittoriosa, il secondo desideroso di proteggerlo. Toda sorridendo si lasciò convincere dall'affetto sollecito del discepolo, salì sulla lettiga e da quella incoraggiò la moltitudine di ragazze e ragazzi venuti quella mattina, schierati lungo il viale. Lo sguardo appassionato di Toda penetrava nel cuore dei giovani presenti. Osservando il loro maestro e vedendo il suo sguardo brillare in forte contrasto con il suo corpo indebolito, si sentivano gli occhi velarsi di lacrime.

Vi affido il futuro
Toda percepì l'entusiasmo e l'emozione dei giovani, e quando si affacciò dal terrazzo per pronunciare il suo discorso era, a sua volta, commosso e orgoglioso. Come un padre che osserva i propri figli cresciuti, ormai maturi, e sa che loro saranno il suo avvenire. «Oggi desidero affidare a voi giovani questa missione. Vi affido il futuro, conto su di voi, conto su di voi per realizzare kosen-rufu!». Era un appello che nasceva dal profondo della vita di Toda e che colpì i seimila giovani riuniti come un fulmine a ciel sereno. Per alcuni istanti l'atmosfera fu dominata da un assoluto silenzio. Poi le emozioni vennero sopraffatte da una forte determinazione che proruppe in un grandioso applauso.
Il monte Fuji, che si ergeva in lontananza ed era ammantato di neve, sembrava accogliere in sé tutti quei giovani che ardevano del desiderio di realizzare la loro missione. Osservando la folla davanti a sé, Toda sorrise di soddisfazione. Aveva la sensazione che le sue ultime energie lo stessero abbandonando, ma era una sensazione piacevole.
Guardando la cima del monte Fuji avvolta in un manto di neve candida ricordò la "Canzone dei compagni", nella quale invitava i giovani a radunarsi in gran numero sotto il Fuji promettendo di dedicare la propria vita. E ricordò il suo maestro Tsunesaburo Makiguchi, morto in carcere. Era per realizzare il suo desiderio che, uscito dalla prigione, aveva rifondato la Soka Gakkai. Oggi vedeva che la volontà del suo maestro Makiguchi continuava a pulsare energicamente nella vita dei giovani presenti quel giorno.
Shin'ichi osservò l'espressione di soddisfazione di Toda e se ne rallegrò dolorosamente: capiva che, seppur trionfante, la vita del maestro stava per giungere alla fine.
Con un moto dell'animo, voltandosi verso Toda, Shin'ichi giurò a se stesso: «Sensei! Noi, i suoi discepoli, realizzeremo kosen-rufu. La prego di esserne certo!».
La luce del sole illuminava il monte Fuji che sembrava sorridere lieto al corteo sottostante. Il 16 marzo diventò in quel 1958 "il giorno di kosen-rufu", ovvero il giorno in cui i discepoli rinnovano il loro giuramento volto alla costruzione delle fondamenta eterne e indistruttibili di kosen-rufu.

(A cura di Giovanna Gobattoni).

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Quel 16 marzo 1958

Il significato del 16 marzo sta nella promessa al maestro di realizzare un grande avanzamento nel movimento di kosen-rufu.
Sono passati sessant'anni dal 16 marzo 1958.
Sessant'anni in cui, sotto la guida di Ikeda, una marea montante di giovani ha continuato ad alzarsi in tutto il mondo. Se i giovani si assumono la responsabilità del cambiamento creano una società piena di speranza per il futuro e ricca di vitalità nel presente. La crescita dei giovani è la crescita dell'intera società.
In Italia è stata lanciata la campagna "Io sono Shin'ichi Yamamoto", che coinvolge persone di tutte le età. Qual è il nostro scopo? Lavorare insieme affinché sempre più ragazzi e ragazze abbraccino la missione di kosen-rufu, fino ad arrivare a ventimila e oltre.

Il 16 marzo 2018 e oltre
Quest'anno alla cerimonia del 16 marzo partecipano i giovani in ogni angolo del pianeta. È una riunione mondiale in cui i discepoli si uniscono al maestro, al di là della distanza fisica. È il momento di un nuovo slancio verso il futuro. Trasformare la propria vita e la storia dell'umanità è una decisione che ognuno e ognuna può prendere in un istante. Lo spirito del 16 marzo è lo spirito di quell'istante. Ogni istante è il 16 marzo.
Oggi in tutto il mondo, mirando al 18 novembre, giorno della fondazione della Soka Gakkai e quinto anniversario del completamento del Palazzo del grande voto di kosen-rufu a Tokyo, le persone di ciascun paese si sono unite attorno a importanti scopi concreti, per offrire brillanti realizzazioni personali e per kosen-rufu. Nel messaggio per il nuovo anno Daisaku Ikeda ha rivolto questo appello appassionato: «Quest'anno riversiamo ancora più energie nel far crescere i giovani e aumentare le loro fila. E apriamo senza limiti la strada per il futuro di kosen-rufu mondiale lavorando insieme in salda e gioiosa armonia» (NR, 618, 7).
Le parole e i sentimenti del presidente Ikeda scaldano il cuore e fanno nascere un desiderio rinnovato di sostenere la crescita dei giovani: «Non c'è nulla di più prezioso dei giovani: sono il tesoro della società e la ricchezza del mondo di domani. Minare il loro futuro e derubarli della loro vitalità è come buttare a mare un tesoro. Amo i giovani. Non c'è nulla che mi rallegri di più della loro crescita; mi emoziona vederli diventare persone felici, sagge e che amano la pace. Nutro la speranza di camminare al loro fianco e mantenere uno spirito giovanile finché vivrò. Il mio solo e unico desiderio, e la mia più grande felicità, è che dalle fondamenta che abbiamo costruito emerga un flusso costante di giovani che lavorano per la costruzione della pace mondiale e il fiorire della cultura» (BS, 181, 30).
Il viaggio di kosen-rufu è lungo. L'obiettivo della Soka Gakkai è fare del rispetto della dignità della vita il perno su cui si basa l'intera società, e trasformare il karma dell'umanità. Non è certo un obiettivo che si realizzerà in poche decine di anni. Ma da un altro punto di vista ogni istante è decisivo: kosen-rufu è un flusso fatto di continue vittorie, poiché non ha fine la lotta interiore del cuore umano. In quest'ottica, è evidente che realizzare lo scopo di ventimila giovani membri in Italia rappresenti una tappa del nostro viaggio. Una tappa fondamentale.
Nella strada che porta a questa meta il fulcro è la singola persona. La decisione di risvegliare l'illimitato potere nella propria vita e in quella degli altri può essere presa solo a livello individuale, nessuno può farlo al nostro posto. Secondo il Buddismo, questa è l'azione che conduce al più grande cambiamento che possiamo realizzare. Si tratta della rivoluzione umana, «che contribuirà al cambiamento nel destino di una nazione e condurrà infine a un cambiamento nel destino di tutta l'umanità» (La rivoluzione umana, Esperia, prefazione).
La rivoluzione umana è l'argomento dell'opera definitiva della mia vita, scrive Daisaku Ikeda nella prefazione dell'omonimo romanzo, pubblicato a puntate a partire dal 1993, che racconta fedelmente la storia della Soka Gakkai sotto la guida del terzo presidente. Adesso Ikeda sta scrivendo l'ultimo capitolo dei trenta volumi che la compongono.

La campagna "Io sono Shin'ichi Yamamoto"
Perché la cavalcata verso i ventimila giovani in Italia viene condotta sotto la bandiera di "Io sono Shin'ichi Yamamoto"? Shin'ichi Yamamoto è il protagonista del romanzo e, naturalmente, corrisponde a Daisaku Ikeda. Tuttavia, non è un caso che Ikeda abbia scelto di usare uno pseudonimo, come è stato ben spiegato: «Shin'ichi è il personaggio modello in cui si condensano le lotte dei discepoli. In altre parole, chiunque può rispecchiarsi e vivere come Shin'ichi Yamamoto. Rivivendo la vita e lo stato d'animo di Shin'ichi Yamamoto, facendo coincidere il nostro pensiero con quello di Sensei, possiamo proseguire la via della lotta condivisa» (Hiromasa Ikeda, BS, 185, 19).
Il presidente Toda affermava: «Esistono molti modi di leggere un libro. Uno è farlo unicamente per il proprio piacere, seguendo semplicemente la trama, e questo è il modo superficiale di leggere. Un altro modo è pensare al motivo per cui l'autore ha scritto il libro, al suo contesto storico, ai personaggi e alle idee che l'autore cerca di esprimere. Un altro modo ancora è cercare di capire che tipo di persona sia l'autore: il suo carattere, le sue idee sulla vita, i suoi ideali. Se non si approfondisce fino a questo punto, non c'è vera lettura» (cfr. Cultura arte natura, Esperia, 42).
In ogni pagina de La nuova rivoluzione umana possiamo trovare limpide guide sulla pratica del Buddismo e su come portare avanti le tante attività Soka; incoraggiamenti preziosi per risolvere i problemi personali più disparati; l'esempio di una profonda lotta per realizzare la pace, che fa splendere la nostra vita. Più di tutto, grazie a La nuova rivoluzione umana possiamo approfondire l'autentico spirito della relazione maestro-discepolo, inciderlo nel cuore e rafforzare sempre di più il voto di kosen-rufu, come «una cosa tinta nell'indaco diventa più blu delle stesse foglie di indaco» (L'inferno è la Terra della Luce Tranquilla, RSND, 1, 404).

La via di maestro e discepolo
La condizione vitale del maestro non è preclusa ai discepoli. Il Buddismo di Nichiren Daishonin è assoluta uguaglianza. Gli sforzi del maestro sono volti alla vittoria dei discepoli. La gratitudine che i discepoli nutrono verso il maestro è senza fine e il desiderio di ripagarla apre la via di maestro e discepolo, la via della rivoluzione umana. Dà l'avvio alla lotta compassionevole per la felicità di tutti. Trasforma il nostro cuore incentrato su noi stessi o sulle poche persone che ci stanno vicino in un cuore che promette la felicità a tutta l'umanità. Questa meravigliosa rivoluzione umana permette alla nostra vita di svilupparsi in modo esponenziale, fa fiorire le preziose qualità e capacità di ognuno, fa emergere da ogni persona la peculiare missione personale che porta alle brillanti realizzazioni della vita. Tutti - uomini, donne, bambini, giovani - possono schiudere il grande io che abbraccia il voto del maestro.
Nelle ultime puntate del romanzo pubblicate negli scorsi mesi, è lo stesso Shin'ichi Yamamoto a fare un appello ai discepoli in diverse occasioni: «Adesso è il momento di infondere forza e incoraggiare i compagni di fede in mia vece dichiarando con fierezza: "Lasci fare a me! Io dimostrerò come lotta un discepolo!". Questa è la relazione maestro e discepolo. Ciascuno di voi è Shin'ichi Yamamoto» (La nuova rivoluzione umana, cap. 2, puntata 20).
«Adesso desidero che ciascuno si impegni a lottare con coraggio come se fosse Shin'ichi Yamamoto. Se in una singola zona si riesce a creare una tradizione invincibile di vittorie che si perpetua nel futuro, la Soka Gakkai potrà prosperare per l'eternità, perché tutti potranno imparare da quel modello» (Ibidem, puntata 37).
La pratica del Buddismo è la pratica di shakubuku, la pratica dei Bodhisattva della Terra che coltivano nel cuore Nam-myoho-renge-kyo, trasmettono a tutti la gioia di praticare e dedicano agli altri le vittorie che hanno conseguito affrontando grandi difficoltà. Come scrive il presidente Ikeda nella lezione sul voto presente in questo numero, «i protagonisti principali di questa impresa sono i giovani: quando formulano un grande voto per la pace, diventando una forza unificante per il cambiamento, è impossibile che i tempi non prendano una direzione positiva. Essi sono la chiave in qualsiasi gruppo o movimento» (p. 55 di questo giornale).
Tutti possiamo far nostro il desiderio di risvegliare ventimila giovani alla pratica della rivoluzione umana. Lo scopo lanciato dalla Soka Gakkai è la crescita dei giovani, collaborando insieme per il bene del futuro; è la creazione di una società armoniosa a partire dal proprio ambiente più prossimo, diffondendo ondate di serenità e rispetto; è la brillante realizzazione personale, grazie a una vasta condizione vitale piena di forza e di speranza.

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60 anni dopo: la realizzazione di un sogno

Assumere con coraggio la missione di kosen-rufu sulle proprie spalle e così sperimentare una gioia immensa: riflessioni ed esperienze sul brano di Daisaku Ikeda che apre questo speciale (pp. 4-5)

Un alleato che crede sempre in me

Ilaria Belbusti, 31 anni

La prima scoperta fu che la natura della vita di tutti è il Budda degno di lode dall'infinito passato all'infinito futuro. Io, la mia vita l'avevo sempre reputata mediocre e trascurabile. Ho imparato che se provo a cambiare partendo dal disprezzo, la determinazione non dura. Il cambiamento può scaturire solo dalla compassione.
L'allenamento quotidiano alla lode, invece che alla denigrazione, mi ha fatto guarire dai disturbi alimentari.
Dal costruire la consapevolezza del mio valore sono passata poi a un'esperienza sul giudizio. Facevo una moltitudine di cose e, mettendo a rischio la mia salute, ho oltrepassato il limite. Un esaurimento mi ha fatto capire che il mio valore non sta in ciò che faccio. Grazie alle guide di Sensei ho capito che la paura di essere giudicata e l'istinto a giudicare gli altri non servivano più. Aprendo le porte alla libertà e al diritto di andare bene così come sono, i legami con le persone sono diventati più autentici e ho iniziato a nutrire profonda considerazione anche per chi era diverso da me e a desiderare sinceramente la felicità degli altri.
La perseveranza mi ha fatto acquisire la resistenza necessaria a rimanere salda di fronte alla malattia e alla morte di mio padre. Ero l'unica a praticare nella mia famiglia e quando iniziai mio padre non mi parlò per mesi perché era contrario. Dopo tre anni, mi chiese di costruire il mio butsudan. Dopo otto anni, fece un sansho con me. Dopo quindici, l'ho visto recitare Gongyo e Daimoku ogni giorno per diverse settimane precedenti alla sua morte. Ho coltivato la speranza e ho potuto sperimentare la veridicità delle parole "gioia nella vita, gioia nella morte".
Grazie agli innumerevoli benefici visibili e invisibili, il mio cuore sa che offrire un desiderio alla causa di kosen-rufu equivale a tenermi al riparo dalla delusione, perché la vittoria è assicurata.
Il maestro Ikeda mi ha insegnato a non fermarmi mai. Ogni volta che ero a un passo dalla disperazione mi ha spinta a lottare ancora. Da quando l'ho scelto, ho sentito di aver guadagnato il più prezioso tra gli alleati, colui che crede sempre in me e che non mi abbandonerà mai. Come in questo estratto: «[In un passo del decimo capitolo del Sutra del Loto, Il maestro della Legge] si dice che il Budda avvolgerà con il suo manto coloro che predicano il Sutra del Loto. Anche se nel contesto di questo passo il "manto" comunica un'idea di protezione, personalmente sento che esprime anche il calore della compassione senza limiti del Budda. È un manto di profonda empatia per chi sta soffrendo, un manto di incoraggiamento che reca il messaggio: "Tu non sei sola", un manto di assoluta pace della mente che nessuno potrà mai portare via» (BS, 165, 50). La gratitudine per tutto questo mi fa promettere solennemente di continuare a dedicarmi ogni giorno, per tutta la vita.

Come posso dirgli di no?

Mauro Menegazzi, 45 anni

Quando ho iniziato a praticare il Buddismo non sapevo cosa volesse dire vivere per la missione di kosen-rufu, e non lo so neanche ora. Dopo un po' ho scoperto che Nichiren aveva un desiderio ben preciso, la felicità di tutta l'umanità, e ho maturato la consapevolezza che continuare a praticare senza cercare di realizzare questo desiderio non aveva nessun senso. Quindi vivere per la missione di kosen-rufu è un qualcosa con cui faccio i conti tutti i giorni. È un grande impegno perché nella società si deve vedere che c'è una persona che si comporta in maniera corretta, che ha rispetto per la vita degli altri e che tira fuori una forza straordinaria nei momenti cruciali. Il Daishonin nel Gosho I tre tipi di tesori scrive: «Vivi in modo che tutte le persone di Kamakura lodino Nakatsukasa Saburo Saemon-no-jo per la devozione al suo signore, al Buddismo e per il suo rispetto e attenzione nei confronti degli altri» (RSND, 1, 755).
Il mio punto debole è la negligenza. Infatti con tanti aspetti della mia vita ho imparato a conviverci, e se fosse solo per me li lascerei stare così come sono. Ma cercare di essere un buon essere umano nella società mi spinge per forza ad affrontare le parti più intime di me stesso. Da questo punto di vista, fare propria la missione di kosen-rufu è una grande occasione.
La gioia di cui parla il presidente Ikeda nell'estratto de La nuova rivoluzione umana (pubblicato a pp. 4-5) è qualcosa che io non riesco neanche a immaginare e quindi neanche la cerco. Per me la gioia è il mondo di Cielo, ma lui probabilmente sta parlando di un altro tipo di gioia e penso che valga la pena trovarla.
Fino a ora il rapporto con il maestro, per me, consisteva nel cercare un incoraggiamento o un punto di riferimento nei momenti di difficoltà, e ho sempre trovato risposta.
Ultimamente invece Sensei sta scrivendo cose che mi hanno veramente scosso.
Sento che mi sta lasciando la mano per farmi camminare da solo, anzi ancora peggio, sta facendo come i leoni che buttano giù dal burrone i propri cuccioli per allevare solo quelli che si salvano: «Come i leoni che sottopongono i propri cuccioli a una prova così dura, desiderando in realtà la loro grande crescita, anche Shin'ichi in quel momento, con la stessa intenzione, vegliava sugli sforzi dei suoi successori» (La nuova rivoluzione umana, vol. 30, cap. 2, puntata 2). Siamo arrivati a un momento cruciale, è come se tutte le strategie utilizzate finora non valgano più, tutto quello che sapevo sul Buddismo non basta più. Probabilmente Sensei mi sta chiedendo di tirare fuori qualcosa che non conosco e non mi posso appoggiare a niente, neanche a lui: «È finita l'epoca in cui il fondatore ci deve trasmettere le sue determinazioni» (Ibidem, puntata 26). È come se mi dicesse: «Tutto quello che dovevo dirti te l'ho detto, adesso tocca a te». Ma quello che mi ha lasciato veramente sconvolto è quando scrive: «Adesso è il momento di infondere forza e incoraggiare i compagni di fede in mia vece dichiarando con fierezza: "Lasci fare a me! Io dimostrerò come lotta un discepolo!" [...] Questo è il grido che proviene dal mio cuore!» (Ibidem, puntata 20).
Quando ho letto questa frase ho pensato: «Scusa Sensei ma non contare su di me». Se non posso realizzare il desiderio del mio maestro che senso ha continuare a praticare? Ho pensato di smettere.
Ma lui me lo sta chiedendo con una forza enorme: «Questo è il grido che proviene dal mio cuore!». Come posso dire: «Non ce la faccio»? Il Buddismo non si trasmette con le scritture ma da essere umano a essere umano, quindi se io ora non faccio funzionare il potere del Gohonzon nella mia vita, alle generazioni future non arriverà niente. La propagazione della Legge mistica si interrompe.
Credo sia arrivato il momento di tirare fuori lo straordinario potere della fede. Probabilmente in questa battaglia c'è la gioia di cui parla il presidente Ikeda e credo che valga la pena andare a vedere di cosa si tratta. Tutto sommato la mia vita così com'è la conosco già, con tutti i suoi equilibri; questo sforzo enorme che mi sta chiedendo Sensei mi incuriosisce di più. È veramente difficile seguire un maestro come il presidente Ikeda, ma è anche un'immensa fortuna.

Siamo tutti supereroi che salvano l'umanità

Sofia Denicolò, 35 anni

Il 16 marzo 2018 segna i dieci anni trascorsi dalla "storica" riunione di Milano per celebrare i 50 anni da quando Toda affidò a Ikeda e a tutti i giovani le sorti di kosen-rufu nel mondo. Allora ero presente, ma non avevo la comprensione esatta di cosa significasse veramente avere un maestro nella vita e decidere di seguirlo, né tantomeno cosa volesse dire dedicarsi alla missione di kosen-rufu.
Mi era chiarissimo però cosa sentivo tutte le volte che pregavo davanti al Gohonzon e quando leggevo una frase di Ikeda o le parole di un Gosho: la speranza tornava a scorrere nelle mie vene, la paura di non farcela diventava una forza motrice positiva, mi sentivo leggera e contemporaneamente solida come un metallo che si poteva piegare ma resisteva a tutti gli urti.
Col passare degli anni ho continuato a pensare che non era tanto importante capire con la mente quanto "mettere in pratica", perché se aspetto di capire ogni cosa del Buddismo, va a finire che "le chiacchiere sono assai e non si quaglia niente!" (come si dice dalle mie parti!).
«Vinciamo insieme, qualsiasi cosa accada»: queste parole mi accompagnano da quel 16 marzo 2008! Non importa quali siano le battaglie di ogni giorno, i momenti in cui tutto sembra remare contro, io continuo in ogni istante a credere nel valore della mia vita, nella bellezza di chi ho di fronte. Soprattutto se mi fa venire il prurito ogni volta che lo incontro e se non ci riesco. Allora mi metto a recitare perché di sicuro posso tirare fuori dalla mia vita qualcosa che mi renderà migliore.
Durante uno zadankai un fratellino del gruppo Futuro, parlando del motivo per cui si era deciso a praticare e a diventare membro, descrisse i membri della Soka Gakkai come dei supereroi con dei poteri incredibili. Mi colpì un sacco perché non avevo mai pensato a come persone comuni risvegliate "semplicemente" alla loro missione di esseri umani, le une a sostegno delle altre, possano essere davvero descritte come tanti supereroi. In questa prospettiva la missione di kosen-rufu non è per niente impossibile!
Nella grandezza del Daimoku possiamo sprigionare tutti i poteri dell'universo e abbracciare ogni persona che incontriamo con il nostro coraggio e la nostra gentilezza, senza perdere l'unicità del nostro potere di base, che può essere anche il prurito che mi viene quando vedo qualcuno che proprio mi sta antipatico!
Decidere di seguire il maestro, di vivere come discepola di Sensei, per me oggi vuol dire smetterla di pensare che devo diventare chissà chi per dare il mio contributo. Che si può ricominciare in ogni istante. Che ho il diritto di migliorare perché solo così la mia vita può brillare sempre di più e posso diventare ancora più felice. E far scoprire a quante più persone possibile che ognuno possiede dentro di sé il proprio unico potere.
Sì, siamo tutti supereroi con il compito di salvare l'umanità proprio lì dove siamo, così come siamo!

Gli incontri più belli della mia vita

Matteo Gallesi, 25 anni

Se cerco di mettere a fuoco il cambiamento della mia vita da quando ho deciso di vivere per la missione di kosen-rufu, prima non posso fare a meno di chiedermi cosa significhi kosen-rufu. Come sempre mi vengono in aiuto le parole di Sensei quando scrive: «La diffusione di questa gioia è kosen-rufu»; e poco prima spiega: «Nichiren Daishonin afferma che questa gioia è la fede, e la fede è questa gioia». Quindi in ogni momento in cui, durante la giornata, "diffondo" alle persone che incontro questa gioia che scaturisce dalla fede, sto realizzando kosen-rufu.
Spesso però trovo molto difficile "diffondere" questa gioia agli altri, soprattutto quando sto vivendo delle difficoltà oppure quando la persona che mi trovo di fronte mi mette davanti ai miei limiti, alle mie insicurezze o ai miei pregiudizi.
Allora mi chiedo: perché dovrei sfidarmi a fare questa azione di apertura della vita? Perché, sfidandomi in questo senso, l'incontro con ogni persona diventa un'opportunità per creare un legame con un nuovo buon amico. E avere buoni amici è il dono più bello che ci possiamo fare. Ci fa crescere, perché ci mettiamo in discussione, ci mette a fianco delle persone che ci sostengono e ci incoraggiano e ci fa fare un passo in più verso la creazione di una società in cui si riesca a diffondere il rispetto per la vita dell'altro.
Ogni volta che entrando in contatto con una persona - che sia un parente, uno sconosciuto, un collega di lavoro o un amico - ho pensato agli infiniti incontri che Sensei racconta ne La nuova rivoluzione umana, quella è stata l'occasione che mi ha permesso di fare le conoscenze più belle e importanti della mia vita.
Sensei, Shin'ichi Yamamoto, ha incontrato ogni tipo di persona in tutto il mondo, impegnandosi con cura a entrare in contatto con il cuore di chi aveva di fronte e sforzandosi affinché ogni individuo percepisse tutto il proprio valore. Io cerco di comportarmi allo stesso modo.
Questo è stato il cambiamento più grande che si è manifestato nella mia vita. Quando riesco a fare mia la compassione del maestro non sono più solo al mondo di fronte alle difficoltà, ma circondato da persone che mi incoraggiano e sostengono a loro volta. Questa ricchezza aggiunta alla mia vita è il motore per decidere di rinnovare ogni giorno la determinazione di vivere per la missione di kosen-rufu, come dice Sensei, «attraverso un Daimoku determinato e un atteggiamento attivo», che fanno emergere la gioia di «assumere con coraggio la missione di kosen-rufu sulle proprie spalle».

Ogni debolezza un punto di forza

Valerio Baci, 30 anni

Quando ho iniziato a praticare avevo difficoltà a immaginare obiettivi quotidiani, concreti. Non ho mai avuto un "sogno" particolare, una di quelle passioni per cui lottare tutta la vita, una strada che senti tua fin dall'inizio e che vuoi percorrere con decisione e sicurezza. Ero una persona molto introversa, che aveva difficoltà a riconoscere il valore della vita.
Dal momento in cui ho deciso di iniziare a recitare Nam-myoho-renge-kyo e a dedicare gran parte del mio tempo alle attività della Soka Gakkai, studiando e cercando di imprimere le guide del maestro Ikeda per poterle trasmettere a più giovani possibile, ho iniziato al tempo stesso a riscoprire i miei desideri e a sentire una passione che mai avevo sperimentato prima. Qualcosa di nuovo, ma allo stesso tempo di conosciuto. Si tratta di una gioia di vivere insolita, che mi ha lasciato quasi in imbarazzo pensando al modo che avevo di affrontare la vita.
Gli insegnamenti del Buddismo sono incredibilmente profondi e toccano corde che spesso rimangono celate. La relazione maestro-discepolo è qualcosa di totalmente intimo, quasi indefinibile, che risveglia ogni essere umano - e questa penso sia la cosa più straordinaria - alla propria e unica missione, permettendogli di riscoprire la gioia che nasce dalla fede.
Per me si tratta, ogni giorno, della gioia e della gratitudine che si percepisce quando si riconosce l'infinito valore della vita, nostra e di chi ci sta intorno. La relazione maestro-discepolo mi ha insegnato ad apprezzare la vita, a lodarla ogni giorno - soprattutto quando ne ho meno voglia! - e a riconoscere le infinite potenzialità che in essa esistono.
Grazie a tutto ciò ho iniziato a capire che la nostra identità non è espressa solamente dalle caratteristiche che di volta in volta manifestiamo, ma si esprime anche nello sforzo di migliorare e trasformare costantemente quelle caratteristiche che meno ci piacciono. Ho iniziato ad apprezzare il fatto di essere una persona introversa, perché anche questa può essere una qualità importante se messa al servizio di kosen-rufu. La difficoltà di esprimere i miei pensieri e le mie opinioni, di capire al volo le dinamiche che mi circondano, se illuminata dal desiderio di sostenere la vita degli altri si trasforma nella capacità di ascoltare, di osservare e di pensare continuamente a come poter agire per creare valore.
Una debolezza può trasformarsi in un punto di forza. La relazione maestro-discepolo può trasformare ogni debolezza in un punto di forza. Questo è ciò che penso. È nel fare questo, quotidianamente, che sento una profonda gioia e percepisco che la mia vita è perfetta così com'è, e che tutto questo ha profondamente senso solo se riesco a condividerlo con gli altri.

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Vivere per un grande ideale

Cosa significa essere giovani? Le considerazioni di Lorenzo e Gianna, in un dialogo tra due generazioni

di Lorenzo Di Nardi e Gianna Mazzini

Quando ti senti giovane? Come ti accorgi che stai invecchiando?

L: Essere giovani significa avere un fuoco, una propensione a mettersi alla prova e a tracciare nuovi orizzonti.
Questo fuoco dona un'opportunità unica: la possibilità di stare sul crinale, di vivere su una linea di confine che si sposta continuamente. Un modo di essere inteso non in senso estremo, come muoversi sull'orlo del baratro, ma come sensibilità ai segnali incessanti che attraversano la nostra società. Segnali che generano cambiamenti di ogni tipo, che una persona è in grado di cogliere se disposta a imparare e a rivedere il proprio punto di vista alla luce di esperienze nuove. Sentirsi giovane per me significa uscire di casa e andare incontro alla giornata come se il mondo fosse tutto da scoprire.
Al contrario, svegliarsi pensando alle ore che abbiamo davanti come a una linea retta da seguire, durante le quali non possa accadere nulla che ci stupisca, è un atteggiamento dettato dalla rassegnazione, tipico di una persona priva di slancio vitale.

G: Mi sento giovane quando desidero. Quando cambio e penso che anche chi mi sta intorno può cambiare.
Quando mi accorgo di coltivare il candore e la speranza e riesco a vedere le cose e le persone come se fosse la prima volta.
Quando tremo per la paura. Ma poi mi passa.
Quando comincio qualcosa che non so fare.
Quando rido come una bambina che non ha il segno della delusione negli occhi.
Mi accorgo che invecchio quando non leggo la mia età come un'opportunità che la vita mi offre, e invece la sento come un dato anagrafico. Un numero. Quando cado. In quel momento invecchio in un istante. Invecchio quando credo che la realtà siano le cose che succedono e non come reagisco alle cose che succedono. Mi accade d'improvviso e non me ne accorgo subito. Ma non dura. Perché ho un maestro che vecchio non è stato mai.

Cosa non comprendi dell'altra generazione?

L: A volte le generazioni adulte si rapportano all'ambiente circostante in maniera abitudinaria, non accorgendosi che lo scenario intorno a loro è mutato e che i principi ai quali fanno riferimento hanno perso il loro valore. In questo senso, specie nel rapporto tra genitori e figli, credo sia davvero significativo instaurare un dialogo assiduo tra le parti.
Solamente attraverso uno scambio continuo il figlio e il genitore possono guidarsi in un percorso di continua scoperta l'uno dell'altro, dando vita a un dialogo fertile, segnato da improvvise rivelazioni e punti di incontro inattesi. Tutto ciò è possibile se si pone al centro un forte legame di fiducia, corrisposto da entrambe le parti.

G: Mi sembra che a volte manchi, in chi è giovane, la curiosità e il desiderio di appassionarsi all'esperienza di chi è più grande. Come se non ci fosse un legame fra quello che si è e quello che è stato. Forse perché è più facile, per chi è giovane, pensare alla giovinezza solo come un dato di fatto più che come una condizione vitale.
Mi addolora vedere creature che cominciano ad affacciarsi alla realtà già con i sogni rotti, col cinismo e l'arroganza. Il momento storico che viviamo non aiuta certo. Proprio per questo è necessario usare la nostra vita adulta per dare un segno. Sono molto sensibile a questo aspetto forse perché io da giovane ero così. Più vecchia di ora. La morte di mia madre aveva coinciso con la maggiore età e io ventenne ero delusa, dispiaciuta, arrogante. Una scintilla spenta.
Diventare giovane è una cosa che ho imparato da grande.

Che relazione c'è tra giovinezza e senso di missione?

L: Giovinezza significa non credere mai che non si può, anche quando non si intravede nessuna luce. La giovinezza si contraddistingue anche per la sua purezza, una forma d'ingenuità che porta una persona a vivere esperienze di ogni genere, spesso dolorose. Tuttavia è proprio da queste esperienze che il giovane si confronta con il mondo circostante, costruisce una personalità distinta e si apre la strada. È un periodo intenso e prezioso che costituisce la base dell'individuo e dà una direzione che rimane tutta la vita. Dedicarsi al Buddismo permette di avere una prospettiva di crescita e di felicità senza paragoni. Il legame con il maestro e la condivisione del voto sono dei Big Bang interiori, le fonti da cui attingere un'energia infinita. Rinnovare momento per momento questa missione è la bussola che ci guida nel condurre una vita di valore.

G: Il senso di missione è di per sé giovinezza, per me.
Missione in giapponese si dice shimei che significa "usare la vita". Ho scelto di credere che siamo state messe e messi al mondo per farne un posto migliore. Da una vita mi appassionano le radici delle parole e una delle parole che mi piacerebbe risignificare è "adolescenza". Da adolesco = continuo a nutrirmi. Ecco: vorrei essere adolescente per sempre. Donna adulta che si sforza di non smettere mai di imparare, di nutrirsi.
Avere la consapevolezza del senso di missione è un motore per rimanere giovane.
È il senso di missione di Bodhisattva della Terra che mi tiene accesa. Pensare a un io più grande che non comprende solo me. Desiderare una felicità condivisa.
E agire perché sia possibile.

Qual è il tuo sogno

L: Il mio sogno è diventare una persona di valore. Voglio fare la mia rivoluzione umana senza perdere nemmeno un minuto e scoprire il mio percorso giorno dopo giorno senza paura. So che posso farlo perché accanto a me c'è il presidente Ikeda.
Con i miei amici e compagni di fede stiamo aprendo un varco al fine di trasformare il pianeta in una terra di pace. Condividere con loro questa lotta infonde un significato autentico a ogni attimo della mia esistenza.
«Kosen-rufu è l'apice supremo dell'umanità, l'ideale più nobile e significativo. Ed è anche l'ideale più realistico del quale la società e i governi hanno urgentemente bisogno» (Daisaku Ikeda, BS, 181, 45).
Voglio che il futuro sia un luogo dove la varietà e le possibilità di felicità per una persona possano aumentare e non diminuire, altrimenti sarebbe una sconfitta.

G: Il mio sogno è cambiare il mondo. E mentre lo dico mi attraversa per un attimo un pensiero: «Ma non sarà un po' troppo?».
Sono una discepola di Sensei dunque no, non è troppo.
«Avere fede nel Buddismo di Nichiren Daishonin significa nutrire immense aspirazioni. [...] Non ho il minimo dubbio che ognuno e ognuna di voi ha una missione, e qualsiasi cosa possano dire gli altri io vi rispetterò sempre e crederò sempre in voi» (Daisaku Ikeda, BS, 181, 33).
Voglio un mondo rispettoso delle differenze. E allora che io scriva, faccia immagini, film o lavori alla scuola che ho contribuito a fondare qualche anno fa non è importante. L'importante è che ogni azione sia illuminata dalla preghiera e dalla voglia di trasformare quello che non mi piace. Non mi piace che la realtà tenda a omologare, a livellare, schiacciando le differenze fra noi come fossero sassolini che rallentano la strada.
E invece sono proprio quelli, i sassolini, a fare la strada.

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Non è una questione anagrafica

di Manuela Vigorita

Marcella vive a Formia e pratica da dieci anni. Prendersi cura dei giovani e aiutarli a scoprire il loro potenziale è il suo "rapimento", la sua missione come buddista e come insegnante. La medicina che le ha salvato la vita.

«Mi emoziono sempre parlando di shakubuku perché è l'azione attraverso la quale ho sempre sentito che passa la vita vera e illuminata. E io prima di praticare il Buddismo non riuscivo proprio a sentirla la mia vita. Mi affannavo tanto e inutilmente per essere vista, accettata, amata dagli altri, ma non avevo alcuna percezione di me, né emotivamente né fisicamente.
Chi mi parlò per la prima volta del Buddismo - dieci anni fa - fin da subito mi fece comprendere che l'azione più importante di tutte è proprio aiutare gli altri a cambiare la direzione della propria vita. È parlando di Nam-myoho-renge-kyo alle persone che ho iniziato a percepire la mia esistenza, a sentire che esistevo. E questo mi ha letteralmente salvato la vita».

Come ha fatto questa persona a farti capire subito l'importanza di trasmettere agli altri Nam-myoho-renge-kyo, prima ancora che tu praticassi?
Mi ha letto e regalato una guida di Josei Toda e un brano del Gosho Il Tamburo alla Porta del Tuono. Toda in quello scritto [vedi in fondo all'articolo] parla a persone con grandi difficoltà e senza via di uscita, come ero io. Gli promette che, se non salteranno mai Gongyo mattina e sera e faranno shakubuku portando almeno una persona ogni due mesi ad abbracciare il Gohonzon, qualsiasi cosa, qualsiasi impresa potrà essere realizzata nella loro vita. Se non avessero trovato soluzione in questo modo, lui era pronto a dare la sua vita.
Mentre ascoltavo, sentivo come se Toda stesse parlando a me, ho creduto subito e pienamente alle sue parole. E ho promesso di sperimentare con la mia vita che quello che affermava era vero, ho fatto il mio voto.
Così, ho cambiato la direzione della mia esistenza. Come una ruota che gira in un verso e poi, giorno dopo giorno, comincia a girare al contrario. Il mio karma era come la ruota di un mulino che, facendo Gongyo e shakubuku ogni giorno, ho fatto girare nella direzione opposta. È come se Toda mi avesse dato il via, mi avesse svelato come fare. E facendo shakubuku ho potuto sentire, nel buco nero della mia esistenza, nascere qualcosa che assomigliava alla gioia.

Perché dici di aver vissuto senza avere percezione di te stessa?
Il mio dolore nasce da un abuso infantile da parte di una persona di cui mi fidavo, a cui mi affidavo ciecamente e che mai avrei pensato potesse farmi del male. Il dolore di essere stata abusata da una persona che amavo fortemente è stato talmente disintegrante nella mia mente e nel mio corpo, talmente deflagrante, che per sopravvivere ho dovuto addormentare me stessa, non sentire più la mia vita, perché provavo soltanto dolore. Crescendo poi, come infliggendomi una sorta di punizione per essermi fidata, per non aver neppure gridato aiuto, non ho fatto che ripetere quello che era successo, proprio come una ruota che gira sempre nello stesso verso. Ho continuato ad affidarmi a persone sbagliate e a non sentire nulla del male che mi facevano.

Come hai fatto a superare questo trauma?
Ho fatto tanti percorsi di analisi, psicoterapia, con gruppi di sostegno, ma la ruota del mio destino ha cominciato a girare diversamente solo quando ho incontrato Nam-myoho-renge-kyo e ho deciso di fare come diceva Toda: due persone al mese da portare al Gohonzon e Gongyo sempre, con la convinzione assoluta che tutte le colpe commesse nel passato, anche quella di accettare che gli uomini mi facessero del male, sono come erba secca. Certa che, proprio come era scritto nel Gosho Il Tamburo alla Porta del Tuono, il carattere myo è come una fiammella: «Con il fuoco della saggezza del singolo carattere myo non solo tutte le colpe svaniranno, ma si trasformeranno in cause di benefici».
Questa, posso dire oggi, è la felicità.

Quante persone a cui hai parlato del Buddismo hanno deciso di praticare?
Quaranta persone hanno deciso di ricevere il Gohonzon. Ma ne ho seguite personalmente tante altre nella loro pratica buddista, anche se non io per prima gliene avevo parlato.

Come si fa shakubuku?
Recitando Daimoku con questo desiderio, con il desiderio di incontrare persone pronte, che cercano, che sono in attesa come ero in attesa io.
Ho chiesto di incontrare tante persone con problemi e sofferenze e di poterle aiutare a sentire la loro vita come io ho imparato a sentire la mia, aiutarle a percepire davvero che la vita è Myoho-renge-kyo. E quindi sacra, degna di rispetto, unica e preziosa.
Tutta quella energia che ho impiegato nel passato per attirare uomini che si rivelavano poi violenti, uomini che cercavo per riempire il vuoto della mia esistenza, ho deciso di riversarla nel parlare ad altre persone invitandole a sperimentare come me attraverso la fede. Ho imparato a vivere sentendo ogni giorno che io sono inviolabile e meravigliosa come la Torre preziosa di Nam-myoho-renge-kyo. E ogni giorno faccio Gongyo e Daimoku per percepire la mia vita così: illuminata e capace di chiamare e illuminare la vita di chi mi sta di fronte.
Io mi riconosco in Nam-myoho-renge-kyo e riconosco nell'altro Nam-myoho-renge-kyo, e desidero e agisco affinché anche lui o lei senta questa gioia infinita.

Molte persone a cui hai parlato della pratica sono giovani, o giovanissimi...
Sì, loro sono il mio "rapimento". È un termine che prendo in prestito da Alessandro D'Avenia, un docente che scrive saggi e romanzi.
Il rapimento è per me, come anche lui spiega con altre parole, un momento di Illuminazione in cui non è nessuno a rapirti, ma tu rapisci te stesso mettendo in contatto il tuo vero io con la destinazione a cui chiami la tua vita.
Noi la chiamiamo missione. Lui dice che solo questo rapimento rende possibili le trasformazioni dell'esistenza.
Prendermi cura dei giovani, aiutarli a scoprire il loro potenziale, è il mio rapimento. È per me il modo di far rivivere quella bambina che non è riuscita a vivere, a chiedere aiuto, a ribellarsi, e riscattarla, darle ogni volta una nuova possibilità. Io non ho mai incontrato adulti che mi aiutassero a trovare una via d'uscita, ma per i miei alunni io ci sono, e finché potrò aiuterò loro e me stessa.

Da quanto tempo insegni?
Insegno nelle classi dal '96. E da quando ho cominciato a praticare è cambiato anche il mio lavoro. Poter parlare ai giovani di Nam-myoho-renge-kyo è stato per me un mezzo eccezionale per renderli autonomi e capaci di trovare in se stessi le risposte.
Noi dobbiamo rendere gli alunni capaci di riconoscere le infinite potenzialità della loro vita in se stessi, questo è, secondo me, il compito di noi insegnanti.
Ho sempre parlato della pratica ai miei alunni, non ho mai pensato di frenarmi, sento di doverli aiutare a proteggersi e a trovare la loro strada e il loro rapimento.
Parlando di Daisaku Ikeda, dei miei maestri, della visione buddista del mondo e della vita, offro a loro gli spunti che cercano per guardare la propria vita e cambiarla, per avere il coraggio necessario.

Come si fa a parlare con i giovani? Non è sempre facile, non sempre ascoltano, non sempre si riesce a trovare le parole giuste...
Bisogna credere in loro, nei loro occhi pieni di speranza, che fortemente cercano la speranza. Se non hai fiducia in loro non riesci a parlarci, se non vedi in loro il seme della sopravvivenza dell'umanità. Io li guardo così e li guardo con reverenza, perché so che sono il tesoro più prezioso che possediamo. Un tesoro che non ha consapevolezza del proprio valore.
Mai come in questo momento storico noi adulti stiamo, secondo me, alimentando la loro inconsapevolezza del valore che possiedono, della loro ricchezza e delle potenzialità che possono sviluppare per il bene del loro e del nostro futuro. Con loro, con i giovani, io parlo senza pudore e senza vergogna della mia decisione di vivere la vita mettendo al centro un voto, una promessa, ne parlo in modo naturale, franco.
Metto al centro della mia vita ogni mattina una promessa: fare di tutto perché i giovani possano risvegliarsi al proprio potere. Che pratichino o no, io questo desidero.

Ma... i tuoi allievi praticano tutti?
Non c'è stato un solo giovane a cui io non abbia parlato di Nam-myoho-renge-kyo. Certo, con il permesso e la fiducia dei genitori, perché spesso sono minorenni. Ho accompagnato tutti, uno per uno, davanti al Gohonzon o a un meeting, una volta portai una intera classe a zadankai. Poi, a casa, recito Daimoku perché rafforzino il legame con il Gohonzon. Alcuni continuano e altri no, ma io non smetto di credere che, finché riesco a mantenere vivo questo desiderio, loro prima o poi riceveranno il Gohonzon e condivideranno la promessa che io per prima ho fatto seguendo Toda. Ovviamente, crescono e continuano a incontrare persone che praticano il Buddismo, e comunque molti hanno fatto girare la ruota del loro destino in senso contrario, pur non continuando a praticare.

Ne ricordi qualcuno in particolare?
Sì. C'è un ragazzo che oggi ha circa 22 anni e ogni tanto lo incontro. Non pratica ancora, ma quando ci vediamo mi ringrazia sempre perché dice di aver cambiato la sua vita, dice che se non avesse incontrato me sarebbe stato come i suoi fratelli, un delinquente perso per la strada.

Come è la tua vita oggi? Cosa ti aspetti dal futuro?
Oggi sto combattendo contro una malattia rara. Non potrei sopravviverle o viverla in maniera serena e profonda se non avessi fatto in questi anni un percorso simile.
Continuo a fare shakubuku non tanto per me, io sto sulla strada della felicità assoluta. Quello che rinsaldo, che cerco ogni giorno di mantenere pulito, è il desiderio di continuare a sentire veramente che la mia vita può sperimentare in questa esistenza l'eternità. Vivere vivendo l'infinito.
Il vuoto di un tempo, la mancanza di percezione di me stessa oggi sono sostituiti dal desiderio di continuare a sperimentare l'eternità nella promessa di trasmettere la Legge, trasmettere Nam-myoho-renge-kyo. L'eternità della vita, in fondo, è la trasmissione della Legge.

«Toda affermò: "Voglio fare una promessa a tutti voi che oggi siete qui riuniti. Decidete con grande fermezza di fare Gongyo mattina e sera, senza saltarlo mai, e di fare shakubuku (con Gohonzon) a una persona ogni due mesi. Chi di voi ha un problema o una sofferenza faccia un voto. Il Buddismo è una lotta all'ultimo sangue. Se non riuscite a risolvere i vostri problemi pur praticando in questo modo, darò la mia stessa vita"» (La nuova rivoluzione umana, vol. 25, cap. 1, 29 puntata).

«Una donna che abbraccia il re leone del Sutra del Loto non deve temere le belve dell'inferno o del regno degli spiriti affamati e degli animali. Tutte le colpe commesse da una donna nella sua vita sono come erba secca; il carattere myo del Sutra del Loto è come una fiammella. Quando si accosta una fiammella a una distesa d'erba, non solo tutta l'erba, ma anche grandi alberi e grandi pietre saranno consumati dalle fiamme. Con il fuoco della saggezza del singolo carattere myo, non solo tutte le colpe svaniranno, ma si trasformeranno in cause di benefici» (Il Tamburo alla Porta del Tuono, RSND, 1, 843).

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Una promessa che salva la vita

L'immensa gioia di udire, abbracciare e accettare il Sutra del Loto

Che gioia!

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