<h2 class="wp-block-heading">C'è ancora tempo, ma dobbiamo iniziare subito. Non a piccoli passi, ma con un salto da gigante.</h2>



Si tratta del progetto globale proposto dal Club di Roma descritto nel rapporto Una Terra per tutti del 2022, uscito a cinquant'anni dal profetico I limiti dello sviluppo, il primo studio multidisciplinare sullo stato di salute del pianeta. Come fu accolto allora quell'appello? I giornali del tempo raccontano di stupore e scetticismo, quasi fosse un film di fantascienza. E oggi? In una situazione ambientale sempre più a rischio e per molti irreparabile, lo sguardo ottimistico e propositivo del Club di Roma può accendere nuove speranze. Ne parliamo in un'intervista con Sandrine Dixson-Declève, attuale copresidente della storica organizzazione. Nel luglio 1984 veniva inoltre dato alle stampe un libro molto significativo per noi della Soka Gakkai: Campanello d'allarme per il XXI secolo, dialogo tra Daisaku Ikeda e il fondatore del Club di Roma Aurelio Peccei. Nelle prossime pagine il racconto dell'amicizia tra i due protagonisti e i retroscena della genesi di quel testo.

Cara Terra

3 luglio 1984. Così è datata la prefazione di Daisaku Ikeda alla prima edizione di Campanello d’allarme per il XXI secolo, rielabolazione in forma scritta dei suoi incontri con Aurelio Peccei, fondatore del Club di Roma, scomparso qualche mese prima. Sono passati quarant’anni da allora ma questo dialogo, soprattutto per quanto riguarda le idee di fondo che lo attraversano, è quanto mai attuale. All’ordine del giorno questioni come i disastri ambientali, il consumo delle risorse energetiche, i conflitti tra i popoli, la povertà e l’incremento demografico. Ma la cosa che colpisce di più è lo spessore della relazione umana tra i due interlocutori. Fu lo storico Arnold Toynbee, che nei primi anni Settanta lo aveva invitato a dialogare con lui sui grandi temi che l’umanità aveva di fronte, a suggerire a Ikeda di proseguire il dialogo proprio con Peccei, in una sorta di passaggio di testimone tra visionari appassionati all’essere umano, al pianeta e al futuro. «Nei suoi ultimi anni – scrive Ikeda nella prefazione – Aurelio Peccei ha viaggiato infaticabilmente da un paese all’altro del mondo, impegnato nella sua missione tesa al bene futuro dell’umanità. […] Una volta è arrivato a Firenze guidando personalmente l’automobile, al solo scopo di incontrarmi. […] Nonostante fosse assorbito da molteplici affari e impegni, questo dialogo lo entusiasmava. Dopo aver registrato su nastro le sue risposte alle domande che gli avevo formulato, si prendeva la briga di rivedere e ritrascrivere a macchina in forma più estesa e compiuta le sue osservazioni registrate. In apparenza era un uomo sano e vigoroso, tuttavia mi domando se in realtà non presagisse l’approssimarsi della fine, e per questo lavorasse a pieno ritmo per esser certo di vedere il nostro progetto ultimato e ormai dato alle stampe». Il libro è diviso in tre parti: “L’essere umano e la natura”, “L’essere umano e i suoi simili”, “La rivoluzione umana”. E se nelle prime due sezioni si può forse avere la percezione di alcune idee superate, vista l’evoluzione del pensiero in campo sociale e ambientale sia dal punto di vista scientifico sia da quello filosofico, l’ultimo capitolo precorre in maniera formidabile lo stato dell’arte della visione più avanzata ed efficace per l’umanità. «Il concetto di un totale rinnovamento interiore non è puramente utopistico – scrivono gli autori. – Esso risponde in realtà all’esigenza basilare di sopravvivere, di evitare l’autodistruzione». E concludono: «Il mondo ha bisogno di ritrovare la fiducia in se stesso e nella sua capacità di forgiare un futuro migliore. […] Il salto di qualità umana necessario per uscire dal pozzo non è un’utopia ma una prospettiva assolutamente verosimile. Lo è se vogliamo che lo sia» (pp. 155-160).



<figure class="wp-block-image size-large"><img src="https://wp-bs.buddismoesocieta.org/site/wp-content/uploads/2025/03/bs246_speciale_1quando_i_visionari_rivoluzionano_il_futuro_interno-2-1024x768.jpg" alt="" class="wp-image-23680"/></figure>



Due laici a confronto Ikeda-Peccei: Noi autori siamo entrambi laici: l’uno, giapponese, si è dedicato alla diffusione dell’insegnamento e della pratica del Buddismo; l’altro, europeo, si è assunto il compito di migliorare la comprensione pragmatica, secolare, della problematica umana. [...] Siamo consapevoli del divario che caratterizza i nostri punti di vista in alcuni ambiti, come anche delle interpretazioni parzialmente divergenti che forniamo in relazione a determinate situazioni o necessità. Tuttavia condividiamo un terreno comune piuttosto ampio e siamo convinti che un’approfondita analisi delle nostre opinioni qui condivise amplierà e affinerà il nostro pensiero. Per queste ragioni reputiamo utile rendere partecipi gli altri di una parte delle nostre idee. Ed è questo l’intento del libro. Di fronte all’ampiezza e alla complessità dei problemi che le nostre generazioni si trovano ad affrontare, anziché presentare risposte esplicite e dirette preferiamo suggerire più di un possibile approccio e il punto di vista che a nostro giudizio offre maggiori probabilità di condurci a conclusioni pertinenti. (Prefazione, p. X)



I problemi scottanti del nostro tempo appartengono alla sfera umana più intima Ikeda-Peccei: Siamo entrambi del parere che i problemi più scottanti del nostro tempo sono di natura etico-spirituale e che non possano trovare soluzione attraverso il potere scientifico e tecnologico, né grazie a strumenti strettamente economici. Essi appartengono alla sfera umana più intima e profonda: solo se sarà in grado di rivedere i suoi valori e la sua visione della vita ogni singolo essere umano potrà comprenderli e accostarvisi, con la speranza che in virtù del suo rinnovamento interiore non verremo mai sopraffatti. L'incessante necessità di questo risveglio, per noi possibile, e la fede nella rivoluzione umana volta a suscitare una rinnovata consapevolezza di questo tipo ci ha spinti a intitolare il nostro libro Campanello d'allarme per il XXI secolo. (pp. XI-XII)



Il trattamento tirannico che riserviamo alla natura ci condurrà alla rovina Peccei: Le riflessioni sul dimenticato ma fondamentale primato della natura sulle nostre vite, come pure sulla capacità da noi recentemente acquisita di alterare i nostri rapporti con essa, sono così essenziali che il presentarle in una gamma molteplice di forme può arricchire la nostra visione, così come le variazioni su un tema musicale riescono a esaltare la bellezza della composizione. [...] Quand’anche le altre avversità, nelle quali ci troviamo oggi, dovessero mitigarsi, il trattamento tirannico al quale sottoponiamo la natura può comunque condurci alla rovina. (pp. 10-12) Ikeda: La natura elargisce frutti in abbondanza. I rami di un melo recano più frutti del necessario per assicurare la continuazione della specie. Gli uccelli depongono un numero di uova decisamente superiore all’essenziale. Questa sorta di eccesso di produzione tiene contro del forte rischio di mortalità. Fino al giorno in cui si è limitato a essere un normale predatore, preoccupato della propria sopravvivenza, l’uomo non ha causato danni all’equilibrio generale. Quando però ha permesso che in lui prevalesse l’avidità di possesso, ha cominciato a distruggere le risorse viventi e inanimate della Terra a un ritmo più celere di quello impiegato dalla natura per sostituirle. Di conseguenza, siamo già arrivati all’estinzione di alcune specie faunistiche e gran parte del patrimonio minerario terrestre è ormai perduto per sempre. Eppure non si avverte alcun senso di recessione nella distruttiva avidità di ricchezze dell’uomo. (p. 48)



<figure class="wp-block-image size-large"><img src="https://wp-bs.buddismoesocieta.org/site/wp-content/uploads/2025/03/bs246_speciale_1quando_i_visionari_rivoluzionano_il_futuro_interno-1024x768.jpg" alt="" class="wp-image-23681"/></figure>



In natura non esistono sistemi super partes Peccei: È utile osservare la natura. Nessun organo o sistema centrale esercita il suo controllo su un organismo vivente, o sull’evoluzione di un oceano o di una foresta, né gestisce i rapporti che intercorrono tra i vari elementi ambientali presenti in una valle. Esiste invece una moltitudine di grandi e piccoli sistemi che s’intreccia a questi organismi biologici e complessi biofisici, mentre fra loro l’equilibrio dinamico viene mantenuto per mezzo di un controllo reciproco. Così agisce la vita. (p. 113) Ikeda: Se la natura umana di base, che sottende a tutte le differenze di lingua, di colore, di costumi, di sesso, viene assunta a criterio fondamentale di pensiero e di azione, è possibile superare e vincere i pregiudizi stessi. Spesso la gente, aprendosi a una verità, svela il valore della natura umana universale. [...] Quanti si rendono conto che tutti gli esseri umani posseggono una loro fondamentale dignità sono tenuti a rispettare i loro simili senza pregiudizi o favoritismi. Una volta raggiunto il profondo grado di comprensione che si rende indispensabile per rimuovere per sempre il pregiudizio, riusciamo in effetti a comprendere, come dice lei, come le differenze siano una fonte di estremo arricchimento spirituale. [...] È questa, d’altronde, la ragione per la quale abbraccio una religione che crede in una rivoluzione umana della nostra natura interiore. (pp. 133-138)



Ci salverà la rivoluzione umana, la piena realizzazione delle nostre capacità innate, un prodigioso tesoro di risorse mai sondate Ikeda: Nel corso della storia moderna, l’essere umano è stato indotto a credere che la chiave della felicità risiedesse nelle riforme applicate all’esterno. Conseguenze di questa enfasi così malriposta e inopportuna sull’elemento esterno sono state la trascuratezza – per non dire il totale oblio – dell’attività interiore della vita umana e l’esigenza di vanificare un certo tipo di azione e dinamismo mentali per incoraggiarne altri. Oggi l’imperativo più pressante che si pone all’individuo è la nobilitazione e la riforma della sua vita spirituale. Questa è ciò che io definisco la rivoluzione umana. (p. 142) Peccei: Oltre a gettar luce sui nostri errori e sulle nostre deficienze, scopriremo che in noi si nasconde un prodigioso tesoro di risorse mai sondate e mai utilizzate. Esiste in ogni singolo individuo un patrimonio di capacità e di qualità rimasto a oggi in letargo, ma che può essere finalmente portato alla luce e sfruttato per correggere il processo di deterioramento della condizione umana. È assai probabile, per non dire certo, che questo potenziale umano così ricco e promettente si riveli in grado di ovviare ai nostri limiti e alle nostre manchevolezze. Può diventare l’asso nella manica capace di capovolgere la situazione. Le innate risorse vitali, l’intrinseca intelligenza propria di ogni essere umano, dal più facoltoso o dotato al più indigente ed emarginato, costituiscono l’ineguagliabile retaggio della nostra specie. Non vi è alcun dubbio che le nostre doti latenti di comprensione, immaginazione, compassione, solidarietà e creatività, la nostra basilare capacità di apprendimento, le nostre abilità o qualità dimenticate o inutilizzate, non meno delle energie morali insite nella nostra sostanza umana, possano essere stimolate, sviluppate e mobilitate per scopi realmente benefici e vantaggiosi. Basta soltanto farvi appello. Questo latente potenziale umano [...] risiede in noi, nei nostri cervelli, racchiuso in miriadi di neuroni, e può essere sottratto al suo attuale stato di abbandono per diventare la più straordinaria delle nostre risorse: una risorsa costantemente spendibile, perpetuamente rinnovabile. La meta primaria della rivoluzione umana, nonché l’esito più importante che dobbiamo attenderci, è la piena realizzazione delle nostre capacità innate. (p. 161)



<figure class="wp-block-image size-large"><img src="https://wp-bs.buddismoesocieta.org/site/wp-content/uploads/2025/03/bs246_speciale_1quando_i_visionari_rivoluzionano_il_futuro_interno-3-1024x768.jpg" alt="" class="wp-image-23679"/></figure>

Quando i visionari rivoluzionano il futuro

L'umanità sta affrontando un momento critico, dovuto a un groviglio di problemi multivarianti che si intersecano tra loro. La prima analisi del futuro del mondo nel rapporto I limiti dello sviluppo



«Mettiamo che tutte le nazioni comincino, da quest’anno, ad aumentare del 20 per cento le loro spese d’investimento destinate a migliorare in tutti i sensi la “qualità della vita” nel mondo. Verso il 1990 si troverebbe più che raddoppiata questa voce mondiale di spesa e contemporaneamente la “qualità della vita” peggiorata al punto da essere due volte più cattiva di quella attuale. Com’è possibile il paradosso?». La spiegazione, prosegue l’articolo, va cercata nel continuo aumento della popolazione e dell’inquinamento, insieme alla allarmante diminuzione delle risorse. E continua: «Ma gettiamo lo sguardo ancora più avanti, spingiamoci, per esempio, fino all’anno 2050: e vedremo che la qualità della vita avrà compiuto un miracoloso balzo verso l’alto raggiungendo vette che non hanno nessun parallelo nella precedente storia umana. La vita, nel 2050, è una specie di nirvana. Da cosa sarà stato causato questo spettacoloso miglioramento? […] La popolazione mondiale, di scatto, si è ridotta a un terzo di quella che era appena mezzo secolo prima. Immani catastrofi, epidemie, guerre causate dal precedente declino della qualità della vita hanno rapidamente decimato la popolazione mondiale. Ridotta a uno sparuto consesso d’uomini, essa, ora, ha cominciato a rifiorire». È quanto scrive il corrispondente da New York del settimanale Il Mondo il 3 gennaio 1971. Sono stati resi pubblici i primi risultati di World3, un modello matematico che simula il futuro del pianeta, elaborati dai potenti computer del Massachusetts Institute of Technology (MIT) sotto la direzione di Jay Forrester, padre della neonata “dinamica dei sistemi”, e dei suoi collaboratori Dennis e Donella Meadows, per un lavoro intitolato “Progetto di studio del momento critico dell’umanità” commissionato dal Club di Roma. Ma cos’è questo nuovo organismo? L’industriale Aurelio Peccei, suo fondatore insieme al chimico Alexander King e a una sessantina di altri scienziati, imprenditori e studiosi di varie discipline, lo descrive come «un gruppo di persone preoccupate delle conseguenze negative delle attuali tendenze della società, siano esse la minaccia di una guerra nucleare, o la possibilità di gravi scompensi dell’equilibrio ecologico, o le conseguenze sociali psicologiche forse addirittura biologiche, della sovrappopolazione».



Il mondo in un computer «Ci siamo cacciati – spiega Peccei – in un groviglio di problemi multivarianti che si intersecano, si condizionano a vicenda, non suscettibili di analisi nei loro termini particolari perché ognuno è influenzato da tutti gli altri. […] Poiché non possono essere affrontati individualmente, occorre cercare di comprenderli nel loro insieme: capire il groviglio, il contesto, il quadro generale». «Alla fine del prossimo giugno – dice in un’intervista di poco successiva per lo stesso giornale – dovremmo avere il primo schema completo di quella che chiamiamo la problematica mondiale [la problematique, come la definisce], ossia di quell’insieme di problemi accelerati dal progresso tecnologico che, interagendo tra di loro, pongono un problema totale di peso superiore ai suoi componenti. È ciò che chiamiamo una sinergia negativa. Il modello avrà un carattere eminentemente orientativo: è il primo che sia mai stato elaborato». E aggiunge: «Non abbiamo idea di quali siano le relazioni più convenienti, o anche le relazioni accettabili, tra l’uomo e la natura che lo sostenta, cioè la biosfera. L’interazione tra aumento della popolazione, aumento dei consumi, contaminazione dell’ambiente, diminuzione delle risorse e qualità della vita è un esempio tipico di sistema di equazioni che può essere affrontato utilmente da un computer. Il compito di combattere l’ignoranza con questi strumenti è al primo posto tra quelli che si è prefisso il nostro gruppo». Arriviamo a marzo 1972, lo studio è concluso, viene presentato il rapporto I limiti dello sviluppo. Lo scenario è quello raccontato all’inizio dell’articolo: l’umanità è posta di fronte a una problematica fino a poco tempo fa impensabile. «Il nostro scopo – afferma Peccei – è forzare la mente umana a compenetrarsi di un problema di dimensioni così catastrofiche che essa, finora, si è rifiutata addirittura di prenderlo in considerazione. Il pericolo è imminente. Si tratta, se vogliamo salvarci, di provocare nell’animo umano una rivoluzione d’ordine copernicano». Purtroppo ai tempi quello studio fu apprezzato da pochi, criticato come troppo pessimistico e anti progresso o ignorato perché lontano dalle problematiche delle classi e dei popoli disagiati, al punto da far dire allo stesso Peccei che «era come se i problemi globali che andavamo ventilando riguardassero un altro pianeta» (La qualità umana, p. 87).



Un infaticabile uomo d’azione Ma chi è Aurelio Peccei e da dove vengono la sua sensibilità e il suo impegno nel cercare di affrontare i problemi del mondo? Nato a Torino nel 1908, dopo una laurea in economia nel 1930 e borse di studio a Parigi e in Unione Sovietica viene assunto dalla Fiat e lavora in Cina fino a metà del 1939. Rientrato in Italia si unisce al movimento antifascista nelle file di Giustizia e Libertà, svolgendo anche ruoli direttivi, e nel 1944 viene arrestato e torturato. Dopo un anno di carcere si riunisce alla Resistenza e alla fine della guerra il Comitato di liberazione nazionale lo nomina commissario della Fiat, dove si occupa di organizzare la ricostruzione delle unità produttive. Partecipe di numerose iniziative industriali come la fondazione dell’Alitalia, nel 1949 si trasferisce in Argentina sempre per conto della Fiat. Tornato in Italia nel 1957 guida per oltre vent’anni l’Italconsult, un’iniziativa mirata a fornire assistenza ai paesi in via di sviluppo. È in questo periodo che Peccei sente la necessità di ampliare i suoi orizzonti oltre l’attività manageriale. «Ero ben convinto che bonificare un deserto o erigere un’industria […] sono attività indispensabili; ma mi ero reso anche conto che concentrare praticamente ogni sforzo su progetti […] specifici, mentre il contesto più ampio […] si va rapidamente deteriorando, poteva risolversi in pura perdita. Mi pareva che non sarei stato in pace con me stesso se non avessi almeno cercato di dire che bisognava fare ancora qualche cosa di più e di diverso» (Ibidem, p. 30). Verso la metà degli anni Sessanta Peccei incomincia a esprimere pubblicamente le sue preoccupazioni, tenendo conferenze e dialogando con personalità accademiche e politiche, prima solo occidentali e poi anche al di là della Cortina di ferro, superando le barriere della guerra fredda. Fino ad arrivare al 6-7 aprile 1968 in cui vengono invitati all’Accademia dei Lincei di Roma una trentina di scienziati di primo piano per discutere del problema del mondo. La riunione si rivela un fallimento, troppo poco comprensibili e tecnici i testi presentati. Ma a fine conferenza un gruppetto di cinque persone si riunisce a casa Peccei e decide di non gettare la spugna. È l’atto di nascita del Club di Roma, che in pochissimo tempo realizza l’obiettivo prefissato: capire, e mostrare al mondo, cosa succederebbe se…



La qualità umana Ma al di là di tutti i problemi di carattere scientifico, tecnico, economico, Peccei si convince nel tempo che l’elemento chiave per affrontare la problematica mondiale è l’essere umano. Scrive: «Il bene di cui abbiamo bisogno e la forza per compierlo possono essere trovati solo sviluppando la nostra comprensione della nuova condizione umana e di come essa trasforma il mondo, e stimolando la nostra capacità creativa a trovare modi di essere che generino armonie, e non dissonanze, in noi stessi e nel nostro universo» (Ibidem, p. 218). Ultimo tema su cui concentra il suo impegno è la pace nel mondo e la lotta contro la corsa agli armamenti. «La pace – dichiara alla Conferenza del Club di Roma del 1983 a Bogotà – è il primo fattore di cui si deve tener conto quando ciascuno di noi vuole perseguire obiettivi di sviluppo, qualità della vita e autorealizzazione. Ma la pace va intesa nel suo significato più ampio e profondo di nonviolenza, non solo a tutti i livelli e settori della società umana, ma anche nel rapporto fra questa e la natura». Muore a Roma il 13 marzo 1984 all’età di 76 anni lasciandoci in eredità la convinzione che se prima era la coscienza di classe a motivare le lotte sociali e politiche, oggi va fatto ricorso a una «coscienza di specie per rinnovare e riequilibrare la società» (La qualità umana). Preoccupato che il Club di Roma potesse essere percepito come un gruppo di vecchi signori, Peccei era convinto che spettasse ai giovani occuparsi attivamente della problematica mondiale attraverso reti interattive a livello internazionale. Forse non ce la fece a portare a compimento questo progetto ma tanti che erano giovani allora, o nei decenni successivi, stimolati dalla lettura de I limiti dello sviluppo oggi guidano la transizione ecologica a livello mondiale. Di fronte alla nascita di movimenti giovanili per la salvaguardia del pianeta come i Fridays for Future, Daisaku Ikeda scrive: «Mentre assisto a questi fermenti di una nuova epoca, mi tornano alla mente le parole di Aurelio Peccei che nel 1981 scrisse: “Ci sono anche motivi di giustizia e democrazia per i quali le voci dei giovani vanno ascoltate”. Il Club di Roma è famoso perché più di mezzo secolo fa avvertì la comunità internazionale che la Terra e le sue risorse non erano illimitate, stimolando le riflessioni che hanno portato al concetto di sostenibilità. Peccei ebbe in questo processo un ruolo centrale, ripetendo spesso quanto fosse importante offrire ai giovani maggiori opportunità di agire e di esercitare le loro capacità immaginative e di leadership. […] La comparsa oggi di un gran numero di giovani che stanno combattendo coraggiosamente contro la crisi climatica è proprio la manifestazione del potere di questa generazione nella quale Peccei riponeva tante speranze» (Proposta di pace 2020, BS, 200). (Maria Lucia De Luca)



Fonti “Si rifaccia il mondo per il 2050”, Il Mondo, settimanale, 3 gennaio 1971; “Sessanta uomini contro l’apocalisse”, intervista ad Aurelio Peccei, Il Mondo, 14 marzo 1971; “Il 1982 nelle caverne”, Il Mondo, 31 marzo 1972; Pasquale Alferj, “Aurelio Peccei. Il tempo di agire”, Equilibri Magazine, 5 luglio 2023; Gilda Nicolai, “L’archivio di Aurelio Peccei: fragilità e forza di un patrimonio”, Storia e futuro, 28 luglio 2019; Roberto D. Peccei, “Aurelio Peccei e i limiti dello sviluppo”, Enciclopedia Treccani; Aurelio Peccei, La qualità umana, Edizioni Scientifiche e Tecniche Mondadori, Milano, 1976.

1971, sotto esame la complessità del pianeta

Aveva due anni quando fu fondato il Club di Roma, e lesse il rapporto I limiti dello sviluppo all’università. «Nella California negli anni ’70, dove sono cresciuta – racconta Sandrine Dixson-Declève – per noi fin da bambini la condizione dei migranti sudamericani nelle fattorie e il cambiamento climatico erano fatti molto evidenti. Stavamo attraversando la prima crisi petrolifera e una delle più grandi siccità mai avute in California. Ho quindi sentito in età molto giovane la necessità di lavorare nell'ambito delle sfide sociali e ambientali, anche se non sapevo che sarebbe diventato l'obiettivo principale della mia vita. Poi la lettura di quel famoso rapporto ha fatto il resto». In questa intervista ci parla di Earth4All (Earth For All, Una Terra per tutti), il recente rapporto del Club di Roma lanciato a cinquant’anni dal primo, dove vengono evidenziati cinque cambiamenti di rotta, prima di tutto sociali e poi ambientali, essenziali per realizzare quel “salto da gigante” ineludibile per un futuro di prosperità del nostro pianeta.



Cos'è e come nasce Earth4All? Earth4All (Una Terra per tutti) è un rapporto presentato dal Club di Roma nel 2022, in occasione del cinquantesimo anniversario del precedente I limiti dello sviluppo. Mezzo secolo dopo abbiamo ritenuto importante riflettere su dove siamo oggi. Il progetto omonimo è nato per rispondere alle diverse sfide che abbiamo di fronte nel XXI secolo, adottando lo stesso approccio modellistico basato sulla dinamica dei sistemi utilizzato nel 1972. L'accoglienza a Earth4All è andata oltre le nostre più rosee aspettative. Il libro è stato tradotto in dieci lingue e in Germania è entrato subito nella lista dei bestseller.



Può illustrarci i punti principali del progetto e le sue relazioni con altri modelli recenti come l’economia della ciambella? Esistono diversi tipi di modelli che permettono di realizzare un’economia del benessere. L’obiettivo chiave di Earth4All è muoverci verso un’economia al servizio di persone, pianeta e prosperità contemporaneamente. Attraverso i nostri dati mostriamo che bisogna realizzare almeno cinque cambiamenti chiave per restare dentro “i confini planetari”[ref] I confini planetari (Planetary Boundaries) stabiliti nel 2009 dallo scienziato Johan Rockström sono dei limiti, delle condizioni, entro i quali l’umanità può continuare a svilupparsi e a prosperare. Riguardano 9 aspetti: il cambiamento climatico, la perdita di biodiversità, il ciclo dell’azoto e del fosforo, l’inquinamento da sostanze chimiche, la modifica del sistema agrario, l’utilizzo delle acque dolci, l’acidificazione degli oceani, la riduzione dello strato di ozono, il rilascio di aerosol nell’atmosfera.[/ref] ed evitare di arrivare a punti di non ritorno a livello sociale e ambientale. Siamo giunti a questa conclusione tramite due tipi di indici tra loro correlati: l’indice di benessere medio, che fornisce un’indicazione della qualità della vita delle persone nel tempo e che va oltre il PIL, ancora erroneamente utilizzato per misurare il livello di crescita, e l’indice di tensione sociale, che indica la governabilità di una determinata regione e aumenta quando c’è un declino del benessere, della fiducia o dell’uguaglianza all’interno della società. Ed è chiaro che la tensione sociale è in crescita, perché la disuguaglianza e la povertà stanno aumentando. Gli effetti combinati della crisi climatica e dei cambiamenti ambientali stanno esacerbando la vulnerabilità delle persone, in particolare di quelle più povere, perché sono le più colpite dagli effetti climatici. Riassumendo, in Earth4All parliamo di due scenari alternativi per il futuro. Uno è definito “Too Little, Too Late” (troppo poco, troppo tardi), che è quello verso cui ci stiamo muovendo oggi, nel quale la maggior parte dei paesi fa piccoli progressi frammentari verso la sostenibilità, ignorando però il problema fondamentale della diseguaglianza. Procedendo in questa direzione stiamo causando una “discesa agli inferi” del nostro pianeta e della maggior parte della popolazione mondiale. C’è poi lo scenario del “salto da gigante”, che è come un grande reset prima che il nostro sistema smetta di funzionare. Per passare a questo scenario abbiamo bisogno di cinque “cambiamenti di rotta”: • porre fine alla povertà; • affrontare le crescenti disuguaglianze; • sostenere l’emancipazione femminile; • rendere il sistema alimentare sano sia per le persone sia per gli ecosistemi; • passare all’energia pulita. Abbiamo verificato che applicare i cinque cambiamenti di rotta per realizzare lo scenario del “salto da gigante” costerebbe solo dal 2 al 4% del PIL annuale. Potremmo così raggiungere anche una riduzione delle emissioni dei gas serra e un miglioramento della qualità della vita delle persone. Concludendo, quello che la nostra ricerca ha mostrato – e si tratta di un aspetto fondamentale anche nell’economia della ciambella – è che non riusciremo a rimanere all’interno dei confini planetari se non affronteremo urgentemente la povertà e la diseguaglianza sociale.



La lentezza della transizione ecologica alla quale assistiamo è dovuta solo alla mancanza di volontà politica o anche di conoscenze scientifiche? Come vede il ruolo della tecnologia nell’affrontare le sfide climatiche ed economiche descritte nel modello Earth4all? Noi crediamo che siano necessari tutti i tipi di conoscenza, da quella guidata dalla comunità alla conoscenza indigena, alla scienza e alla conoscenza basata sulla fede. Se vogliamo veramente passare dallo scenario “troppo poco, troppo tardi” a quello del “salto da gigante”, dobbiamo considerare che i processi decisionali basati sull’evidenza sono essenziali. Questi processi implicano il ruolo fondamentale della scienza nell’elaborare le politiche e le raccomandazioni economiche per il cambiamento. Vediamo, per esempio, l’importanza del legame tra le scienze sociali e le scienze esatte. Quindi, se vogliamo veramente raggiungere i nostri obiettivi di Earth4All, dobbiamo ancorare sia la scienza sia la conoscenza a tutto ciò che facciamo. È importante poi pensare a procedimenti che consentano alla scienza di essere veramente orientata allo scopo. Parte del mio impegno, fino a poco tempo fa, è stato lavorare come presidente della Commissione europea sull’impatto economico e sociale della ricerca e innovazione (ESIR) al fine di garantire che tutta la ricerca che facciamo sia veramente indirizzata ad affrontare le sfide che abbiamo di fronte. La tecnologia e l’intelligenza artificiale hanno un ruolo molto importante. Ma, ancora una volta, non possiamo pensare che risolveranno tutti i nostri problemi o che siano una panacea. La tecnologia fa parte del pacchetto di soluzioni che proponiamo, ma abbiamo bisogno di nuovi sistemi di governance, in cui il ruolo dello Stato sia potenziato per servire veramente le persone, il pianeta e la prosperità. Durante il Covid, per esempio, i Paesi si sono concentrati sulla protezione della maggioranza della popolazione. È il tipo di approccio di cui necessitiamo ora, tornare a governare per il bene dei cittadini. E abbiamo bisogno di strumenti economici adeguati per promuovere l'adozione di tecnologie per le rinnovabili e l'efficienza energetica, o nel settore alimentare per adottare tecnologie satellitari che consentano agli agricoltori di rilevare i problemi del suolo, il cambiamento climatico, ecc. Quindi sì, la tecnologia ha un ruolo molto importante, a patto che sia guidata da uno scopo e che si sviluppi insieme a una buona governance. L'ossessione per le nuove tecnologie è un problema. Il costante sguardo al futuro e la volontà di avere tecnologie avveniristiche che ci accompagneranno tra dieci o vent'anni non sono la cosa principale a cui pensare. Dobbiamo concentrarci sull'applicazione delle tecnologie esistenti e sull'abbandono dell'energia fossile, e poi pensare anche a quelle future. L’ultimo punto chiave è la volontà politica. Sappiamo che le industrie dei combustibili fossili e quelle dell'agricoltura, molto potenti, non vogliono il cambiamento. Ma è qui che si trova la maggior parte del potere e del denaro. In Europa le rivolte degli agricoltori sono state spinte anche dagli interessi dell'agricoltura industriale e negli Stati Uniti i produttori di combustibili fossili stanno facendo marcia indietro rispetto alla produzione di energie rinnovabili. Queste potenti forze economiche influenzano i nostri governi e indeboliscono il loro impegno sul cambiamento climatico.



Negli anni scorsi, per la prima volta nella sua storia, il Club di Roma è stato guidato da due donne, lei e la sudafricana Mamphela Ramphele. Che significato ha avuto questo rispetto al pensiero e alle azioni sul pianeta? Siamo state elette nel 2018 in occasione del cinquantesimo anniversario della nascita del Club di Roma, che abbiamo celebrato proprio nella capitale italiana. È stato un momento molto emozionante perché per la prima volta nella storia del Club ci sono state due copresidenti donne. E si è trattato anche di una copresidenza intergenerazionale, perché Mamphela ha 20 anni più di me. Questo dialogo intergenerazionale è stato fondamentale per il nostro modo di guardare il mondo. Inoltre rappresentavamo due continenti. Si è quindi verificato un vero e proprio rinnovamento nella composizione del Club di Roma, passato dall’essere un organismo dominato da uomini dell'Europa occidentale a un gruppo guidato da donne, intergenerazionale e intercontinentale. Questo ha fatto una grande differenza. Ci siamo anche impegnate, da quando siamo diventate copresidenti, ad aumentare il numero di donne all’interno della nostra organizzazione, fino ad allora con una composizione in maggioranza maschile, a ridurre l'età, che era prevalentemente sopra i 60 anni, e a diversificare le culture, con rappresentanze da tutto il mondo. Grazie a questa molteplicità di vedute abbiamo affrontato varie questioni globali, ma anche questioni riguardanti i singoli continenti, lavorando con le nostre sedi di tutto il mondo.



Uno dei timori di Aurelio Peccei era che il Club di Roma diventasse un gruppo di vecchi signori, e forse per un periodo è stato così. Qual è oggi la percentuale di giovani attivi nel Club di Roma e che ruolo hanno? Credo che tutto dipenda da come si definisce la gioventù. Ora l'età media dei membri si sta abbassando, molti hanno tra i 40 e i 50 anni. C'è bisogno di una rappresentanza di tutte le età, dai giovani ad alcuni dei nostri membri originari. Abbiamo un socio novantenne che è stato uno dei primi a lavorare con Peccei. Ma è molto importante che il nostro lavoro sia portato avanti pensando ai giovani. Per questo abbiamo creato uno dei nostri hub chiave, che si chiama “50 Percent”, dove lavoriamo insieme su una serie di argomenti, ma i giovani svolgono anche un lavoro autonomo. Si preparano workshop su vari temi, si pensa a ciò che serve alle nuove generazioni per diventare i leader del futuro e si creano opportunità per discutere sulla complessità delle sfide attuali con scienziati, imprenditori, attivisti e politici. Siamo molto orgogliosi del lavoro che i giovani stanno svolgendo sia per attivare nei coetanei una maggiore resilienza nell’affrontare le sfide di oggi, sia per comprendere quali tipi di leadership sono necessari per servire le persone, il pianeta e la prosperità.



Quale funzione possono svolgere le organizzazioni basate sulla fede come la Soka Gakkai rispetto al futuro del pianeta? È assolutamente fondamentale e parte integrante del nostro pensiero che il Club di Roma e le comunità dei cittadini agiscano in modo orientato ai valori, rispettando quelli fondamentali che attraversano tutte le religioni e tutte le culture. Abbiamo lavorato con la Soka Gakkai, ovviamente, e anche con il Papa. Per noi tutte le organizzazioni basate sulla fede e i diversi orientamenti spirituali sono fondamentali per passare a un'economia del benessere. Penso che in tutti ci sia il desiderio di assicurare il miglioramento dell'umanità, e questo è davvero il ruolo che il Club di Roma vuole svolgere nelle sue discussioni con i gruppi basati sulla fede, come la Soka Gakkai, perché insieme possiamo esplorare i valori che ci accomunano. Possiamo anche cercare di trasmettere l’importanza di questi valori sia ai livelli più alti della politica, sia nelle comunità. Occorre lavorare per creare un movimento che sostenga i valori di Earth4all, al fine di migliorare la vita e il sostentamento delle persone all'interno dei “confini planetari”. Per ricordarci che siamo parte di un ecosistema più grande, in cui il rispetto per tutte le specie e per la natura è un elemento essenziale per diventare nuovamente umani. (Maria Lucia De Luca e Mirko Lugli, con la collaborazione di Daniele Santi)



[box] Leader internazionale nel campo dei sistemi complessi, tra cui clima, energia, sviluppo e finanza sostenibili, Sandrine Dixson-Declève è copresidente del Club di Roma e presidente esecutiva di Earth4All.

Docente associata senior dell’Istituto di Leadership Sulla Sostenibilità dell’Università di Cambridge (Cambridge Institute for Sustainability Leadership), fa parte di diversi Consigli di amministrazione e Comitati consultivi tra cui la portoghese EDP, BMW, Climate KIC, UCL Bartlett School of Environment Energy &amp; Resources, Institute for European Environmental Policy (IEEP), Laudes Foundation. È inoltre ambasciatrice della Energy Transition Commission (ETC) e della Well Being Alliance (WeAll).

Ha presieduto fino a poco tempo fa il gruppo di esperti della Commissione europea sull’impatto economico e sociale della ricerca e Innovazione (ESIR) e ha fatto parte della Piattaforma di finanza sostenibile della Commissione Europea. Nel 2017 ha cofondato il Women Enablers Change Agent Network (WECAN). Recentemente ha pubblicato Quel monde pour demain? Dialogue entre générations (Luc Pire Editions, 2021). È stata riconosciuta da GreenBiz come una delle 30 donne più influenti del mondo che guidano la transizione verso un’economia a basse emissioni di carbonio e promuovono il business verde.[/box]

Una Terra per tutti

<h2 class="wp-block-heading">Una terra per tutti</h2>



Nel 1972, sotto la guida di Aurelio Peccei, il Club di Roma pubblicò il rapporto I limiti dello sviluppo, uno dei primi studi a mettere in guardia contro gli effetti devastanti che la crescita sfrenata avrebbe avuto sul benessere del pianeta e della popolazione mondiale. Nel 2022, cinquant’anni dopo, il Club di Roma ha pubblicato un nuovo rapporto: Earth4All. Questo documento rappresenta una chiamata urgente a ripensare il modello economico globale per affrontare le sfide interconnesse della crisi climatica, della disuguaglianza economica e della sostenibilità ambientale. Earth4All non si limita a identificare i problemi, ma propone una visione trasformativa per un futuro prospero e sostenibile per tutti.



La visione offerta dal rapporto Earth4All Earth4All parte dal presupposto che l’attuale modello economico, basato sulla crescita continua e sul consumo smodato delle risorse, non sia sostenibile nel medio e lungo termine. Il rapporto sottolinea che la ricerca incessante della crescita economica ha portato a una serie di crisi interconnesse: cambiamento climatico, perdita di biodiversità, inquinamento e crescente disuguaglianza. Per affrontare queste sfide, Earth4All propone un “Grande Salto”, un cambiamento radicale che abbraccia vari aspetti della società e dell’economia. Il rapporto evidenzia la necessità di un approccio olistico per affrontare le sfide economiche, sociali e ambientali, considerando le interconnessioni tra i diversi settori e sviluppando soluzioni integrate. Ad esempio, la transizione energetica deve essere collegata al sistema alimentare e all’economia circolare. Le energie rinnovabili sono essenziali per sostenere pratiche agricole sostenibili e processi produttivi che minimizzano i rifiuti. Allo stesso modo, la giustizia sociale è cruciale per garantire che la transizione verso un’economia verde sia equa e inclusiva. La transizione verso il modello proposto da Earth4All non sarà priva di sfide, come la resistenza al cambiamento da parte degli attori economici consolidati, la necessità di ingenti investimenti e il coordinamento a livello globale. Tuttavia, il rapporto insiste sulla necessità di agire con urgenza e determinazione per superare questi ostacoli. Un punto specifico riguarda il ruolo dell’innovazione: tecnologie emergenti come l’Intelligenza Artificiale, l’Internet delle Cose (IoT) e le energie rinnovabili avanzate possono giocare un ruolo chiave nella riduzione dell’impatto ambientale e nell’ottimizzazione delle risorse. Tuttavia, è fondamentale che queste tecnologie siano sviluppate e implementate in modo etico e sostenibile. Bisogna investire nella ricerca evitando di lasciarsi travolgere dalla continua tensione verso l’innovazione tecnologica, utilizzando al meglio gli strumenti già disponibili.



I contenuti del rapporto Earth4All si compone di nove capitoli, di seguito presentiamo un breve prospetto.



<ol class="wp-block-list">
<li>Earth for All. Stabilisce il contesto e l’urgenza del rapporto, correlandolo al suo predecessore “The Limits to Growth”. Il tema centrale è la necessità di un cambiamento radicale per evitare un collasso ecologico e sociale, introducendo il concetto di prosperità condivisa entro i limiti planetari.</li>



<li>Esplorando due scenari. Vengono esplorati due scenari futuri: “Too Little, Too Late” (Troppo poco, troppo tardi) che prevede crisi ecologiche e sociali causati da interventi tardivi e modesti, e “Giant Leap” (Salto da gigante) che propone politiche trasformative per raggiungere la giustizia sociale e ambientale. Per monitorare i progressi verso un’economia sostenibile si presentano l’Indice di Benessere Medio (IBM), più completo di altri indici tradizionali come il PIL, e l’Indice di Tensione Sociale (ITS), che misura il livello di conflitto e tensione all’interno delle società.</li>



<li>Dire addio alla povertà. A partire da questo capitolo e nei successivi quattro vengono presentati cinque grandi svolte necessarie per realizzare il “Grande salto”: il primo è l’eliminazione della povertà estrema. A questo scopo vengono discusse alcune strategie per realizzare il cambiamento di rotta nei paesi a basso reddito, ma che si applicano bene anche ai paesi a reddito medio e alto.</li>



<li>La svolta della disuguaglianza: Si concentra sulla riduzione delle disuguaglianze economiche e sociali, proponendo politiche fiscali più eque, salari dignitosi e sistemi di protezione sociale robusti. Un sistema economico equo non solo migliora la qualità della vita delle persone, ma contribuisce anche alla stabilità sociale e alla coesione comunitaria. Politiche redistributive, accesso universale all’istruzione e alla sanità, e un salario minimo dignitoso sono alcuni degli strumenti proposti per raggiungere questo obiettivo.</li>



<li>La svolta dell’emancipazione. Si sofferma sull’emancipazione delle donne e sull’uguaglianza di genere, proponendo misure per eliminare le discriminazioni di genere.</li>



<li>La svolta alimentare: Si discute la necessità di pratiche agricole che preservino la biodiversità, riducano gli sprechi alimentari e supportino i piccoli agricoltori. Viene promossa una dieta più equilibrata e sostenibile, con un minore impatto ambientale. Un’agricoltura sostenibile non solo protegge l’ambiente, ma migliora anche la sicurezza alimentare e la salute pubblica. Inoltre, la riduzione degli sprechi alimentari potrebbe liberare risorse significative e ridurre l’impatto ambientale della produzione alimentare.</li>



<li>La svolta energetica: Tratta la transizione verso energie rinnovabili, migliorando l’efficienza energetica e investendo in infrastrutture sostenibili.</li>



<li>Dal capitalismo del “chi vince prende tutto” alle economie di Earth4All: Critica il modello economico attuale e propone un nuovo paradigma economico basato sulla sostenibilità e l’equità. Viene discusso di come le economie possano essere ristrutturate per promuovere il benessere collettivo e preservare le risorse naturali. Passare da un modello economico lineare a uno circolare, dove i rifiuti vengono minimizzati e le risorse vengono riutilizzate, è cruciale. Questo richiede un ripensamento dei processi produttivi e del consumo, incentivando il riciclo e il riuso.</li>



<li>Un invito all’azione. Earth4All è soprattutto un appello, un invito a governi, imprese e cittadini a collaborare per realizzare le trasformazioni proposte. Agire subito ci consente di prevenire disastri ecologici e sociali futuri, e il rapporto si offre come una guida per implementare le politiche e le strategie necessarie. Non è semplicemente un’elaborazione di dati ma presenta un modello finalizzato a una diffusa partecipazione pubblica. Coinvolgere i cittadini – così come gli attori economici e industriali, le istituzioni governative e non governative – nei processi decisionali e nelle azioni per la sostenibilità è fondamentale per costruire un consenso sociale e politico e per garantire che le politiche siano effettivamente implementate e sostenute.</li>
</ol>



Earth4All rappresenta un importante contributo alla discussione globale sul futuro della nostra economia e del nostro pianeta. Il “Grande salto” richiede uno sforzo collettivo, ma offre una visione di speranza e possibilità per un mondo migliore. La portata del cambiamento che dobbiamo realizzare è ampia e potrebbe scoraggiare, come se dovessimo spostare un macigno su una montagna. Ma è possibile cambiare punto di vista e immaginare di essere in cima alla montagna, con questo macigno pronto a rotolare in discesa verso il cambiamento che tutti stiamo auspicando. (Mirko Lugli)

Recensione

In natura il concetto di rifiuto non esiste: ogni elemento serve come nutriente per un processo successivo, in un ciclo senza fine. Quando parliamo di tutela dell’ambiente un aspetto cruciale è l’impatto del modello di produzione e consumo oggi dominante, che invece di rifiuti ne genera troppi. In questo articolo descriviamo modelli alternativi e già diffusi, ispirati ai modelli e ai cicli naturali



Immaginiamo di avere un cerchio in cui ogni prodotto, una volta arrivato alla fine del suo ciclo di vita, viene riciclato o riutilizzato per crearne di nuovi, con il risultato di ridurre la necessità di estrarre ulteriori risorse. Parliamo di economia circolare, un modello economico pensato per ridurre lo spreco e massimizzare l’utilizzo delle risorse mantenendole in uso il più a lungo possibile, attraverso il recupero e la rigenerazione di prodotti e materiali. Nel contesto attuale della crisi ambientale globale, la tutela dell’ambiente non è più una scelta opzionale, ma una necessità urgente. È essenziale riflettere sui nostri stili di vita e individuare alternative sostenibili. L’economia circolare rappresenta una di queste, e a essa si sta rivolgendo una porzione sempre più ampia di popolazione, soprattutto tra i giovani.



Un incontro ispiratore Nel solco del modello dell’economia circolare si sviluppa l’approccio ideato da Michael Braungart insieme a William McDonough, racchiuso nell’espressione “dalla culla alla culla”. Figura di spicco nel mondo della sostenibilità e dell’innovazione ambientale, Braungart sta contribuendo a rivoluzionare il modo di pensare alla produzione e al consumo. All’origine del suo impegno c’è un momento preciso: l’incontro con Aurelio Peccei, fondatore del Club di Roma. Era il 1972, anno in cui l'avveniristica organizzazione pubblicò il rapporto I limiti dello sviluppo. Da quel momento Braungart ha trovato l’ispirazione decisiva per proseguire i suoi studi in chimica, con l’obiettivo di dedicarsi all’approfondimento di temi come sostenibilità, innovazione, pianeta, futuro, per migliorare i modelli di produzione esistenti. Nel 1987 ha fondato l’EPEA (in italiano, Agenzia per l’incoraggiamento alla protezione dell’ambiente), con sede ad Amburgo, e nel 2002 ha pubblicato insieme all’architetto McDonough Cradle to cradle: remaking the way we make things, dove viene esposto il concetto “dalla culla alla culla” (cradle to cradle) secondo cui i prodotti sono progettati per essere riutilizzati ciclicamente senza perdere qualità.



L’approccio “dalla culla alla culla” Osservando la natura ci rendiamo conto che il concetto di rifiuto non esiste. È da questa semplice constatazione che la proposta di Braungart e McDonough prende le mosse. Il modello produttivo industriale rispecchia piuttosto una visione che si può definire “dalla culla alla tomba” (cradle to grave), in cui i prodotti sono progettati con un ciclo di vita lineare: produzione, utilizzo e smaltimento, con inevitabile creazione di rifiuti e consumo incessante di risorse naturali. Al contrario, l’approccio “dalla culla alla culla” invita l’industria a imitare e proteggere l’ambiente naturale, considerando i materiali come “nutrienti” tecnici o biologici che, alla fine di un ciclo di vita, possono iniziarne uno nuovo senza perdita di qualità e senza danni per l’ambiente. Essenziale, per garantire l’efficacia di questo modello, è utilizzare energia proveniente da fonti rinnovabili. Altrettanto fondamentale è la valorizzazione della biodiversità e delle diversità culturali e sociali, considerando l’impatto sull’ecosistema e sulle comunità locali fin dalla fase di progettazione dei prodotti. Le aziende inoltre non si limiterebbero più alla sola realizzazione e commercializzazione dei prodotti ma a loro sarebbe affidato anche il compito di reimmetterle in un nuovo ciclo alla fine del loro uso.



Sfide e opportunità dei modelli circolari e alternativi L’implementazione di modelli economici circolari e alternativi porta con sé sfide complesse e il modello “dalla culla alla culla” costituisce un buon esempio per analizzarle. Consideriamo innanzitutto che la transizione ecologica richiede investimenti significativi in ricerca e sviluppo, nonché una collaborazione stretta tra i vari attori della catena del valore. Una delle critiche maggiori avanzate all’approccio “dalla culla alla culla” è che solamente le aziende più grandi e strutturate possono permettersi di adottarlo, poiché per quelle piccole e medie gli investimenti necessari sono difficilmente accessibili. D’altra parte, si può considerare che sono proprio le grandi aziende a essere maggiormente responsabili dell’impatto negativo sull’ambiente. Per superare il modello produttivo odierno basato sullo sfruttamento smodato delle risorse naturali in vista di un profitto immediato occorrono scelte coraggiose e complesse. D’altronde ognuna di esse porta con sé l’opportunità di innovare e compiere un passo avanti nella realizzazione di una società in cui tutti e tutte possano prosperare.



Altre proposte Fra i modelli alternativi di particolare interesse vi è quello di Muhammad Yunus, pioniere del microcredito e premio Nobel per la pace nel 2006, che propone di realizzare un mondo “a tre zeri”: zero emissioni, zero povertà, zero disoccupazione (vedi BS, 192). Secondo Yunus è fondamentale riconoscere i limiti del capitalismo classico, prendendo parte alla realizzazione di un nuovo sistema economico non più incentrato sul profitto e sull’interesse personale ma su risorse come la generosità e l'altruismo. Un’altra proposta di economia sostenibile proviene da Kate Raworth, economista ideatrice della “teoria della ciambella” (doghnut economy). Attingendo a scienze ecologiche, teorie femministe ed economia comportamentale, Raworth indica sette passaggi chiave per emanciparsi dal mito della crescita economica, riprogettando il denaro e la finanza per metterli al servizio delle persone. In tal modo diviene possibile redistribuire le risorse, garantendo agli abitanti del pianeta una vita dignitosa in uno spazio sicuro ed equo (vedi BS, 198). Proposte come quelle di Braungart, Yunus e Raworth puntano a un impatto sociale positivo, con la creazione di nuove opportunità, sviluppo di nuove competenze, miglioramento delle condizioni di lavoro, aumento della responsabilità sociale delle aziende e della collaborazione tra imprese, università, istituti di ricerca e organizzazioni non governative.



Esempi pratici di economia circolare Esistono realtà che stanno adottando questo approccio e che si stanno diffondendo esponenzialmente. Tra le tante che operano in Italia si possono presentare a mo’ di esempio: Remade in Italy. Questa iniziativa promuove l’uso di materiali riciclati nel settore della moda e del design, certificando prodotti realizzati con almeno il 95% di materiali riciclati. Capannori. Si tratta di un comune in Toscana pioniere dell’economia circolare in Italia, che ha implementato una serie di iniziative per ridurre i rifiuti promuovendo il compostaggio domestico, il riuso e il riciclo, con l’obiettivo di diventare un comune a rifiuti zero. Capannori è il più virtuoso dei comuni “zero-waste”: in Italia ce ne sono 332, per un totale di oltre sette milioni di abitanti. Mercato Circolare. È una piattaforma digitale che mette in contatto produttori e consumatori di beni e servizi circolari, promuovendo la condivisione, il riuso e il riciclo.



Una visione positiva della vita genera azioni positive nell’ambiente Parlare di economia circolare è un modo di offrire alternative esistenti e già diffuse a livello nazionale e internazionale per alimentare la convinzione che sì, un altro mondo è possibile. È certamente vero che siamo di fronte a uno scenario critico e che la narrazione a cui siamo sottoposti assottiglia il margine di speranza che cerchiamo di conquistarci. Tuttavia, iniziare a coltivare una visione positiva della vita – o continuare a farlo – si traduce in azioni positive nell’ambiente. Facendo nostra la prospettiva che Daisaku Ikeda delinea nella sua Proposta di pace del 2020, possiamo mettere in luce le potenzialità che questo momento storico porta con sé: «Proprio perché la sfida del cambiamento climatico è così complessa e richiede un approccio multiforme, possiamo considerarla un’occasione unica per gli esseri umani di esprimere in modo diversificato il loro potenziale illimitato» (BS, 200).



<div class="wp-block-group has-custom-light-grey-background-color has-background" style="border-radius:30px;padding-top:var(--wp--preset--spacing--20);padding-right:var(--wp--preset--spacing--20);padding-bottom:var(--wp--preset--spacing--20);padding-left:var(--wp--preset--spacing--20)">
QUANTO È IMPORTANTE RICICLARE CORRETTAMENTE L'UMIDO



Il riciclo dell’umido, ossia degli scarti organici, è un aspetto significativo nel modello dell’energia circolare, per garantire che questo tipo di rifiuti possa essere trasformato in risorse utili. Tramite il compostaggio, l’umido può essere interamente riutilizzato per ricavare il compost, nutriente per la terra; oppure, grazie al processo di digestione anaerobica si può produrre biogas, una fonte di energia rinnovabile. Un appunto importante richiama il nostro senso di responsabilità: quando effettuiamo la raccolta differenziata è fondamentale non commettere errori e non inserire nell’umido rifiuti non organici, poiché la contaminazione riduce drasticamente l’efficacia del riciclo.



Alcuni dati interessanti. Secondo la Banca Mondiale e il Programma delle Nazioni Unite per l'Ambiente (UNEP), la percentuale di rifiuti organici sulla totalità dei rifiuti, sia urbani sia industriali, si attesta intorno al 30-40%. A livello nazionale, l'Italia ha fatto progressi significativi nel riciclaggio dei rifiuti organici. Secondo i dati dell'ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale), nel 2020 circa il 40% dei rifiuti urbani era costituito da rifiuti organici e questa percentuale è aumentata costantemente negli ultimi anni, superando il 60% in molte regioni. Il Nord Italia è generalmente più virtuoso nella raccolta differenziata, con regioni come il Veneto e la Lombardia che presentano percentuali di raccolta dell'umido rispettivamente del 76,1% e del 73,3%. La contaminazione dei rifiuti organici con materiali non organici è relativamente bassa, stimata intorno al 5-10%. Le regioni del Centro Italia mostrano una performance di raccolta differenziata dell'umido leggermente inferiore rispetto al Nord. L'Umbria, ad esempio, ha una percentuale di raccolta del 66,2%, mentre il Lazio si attesta al 52%. La contaminazione è un problema maggiore rispetto al Nord, con stime che indicano una contaminazione del 10-15%. Il Sud Italia, sebbene stia migliorando, presenta le percentuali più basse di raccolta differenziata dell'umido. La Sicilia, con una percentuale del 42,3%, e la Calabria, con il 48,1%, mostrano tassi di raccolta inferiori rispetto al resto del paese. La contaminazione è significativamente più alta, spesso superando il 20% dei rifiuti raccolti come umido (Fonti: Sky TG24; Re Soil Foundation). Per contribuire a migliorare questi dati è fondamentale seguire le indicazioni del proprio comune relative alla raccolta differenziata e diffondere consapevolezza e senso di responsabilità.
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<div class="wp-block-group has-custom-light-grey-background-color has-background" style="border-radius:30px;padding-top:var(--wp--preset--spacing--20);padding-right:var(--wp--preset--spacing--20);padding-bottom:var(--wp--preset--spacing--20);padding-left:var(--wp--preset--spacing--20)">
QUAL È IL MIO IMPATTO SULLA TERRA?



Il sito Global Footprint Network (footprintnetwork.org) è dedicato alla promozione della sostenibilità ambientale attraverso il concetto di "impronta ecologica" – ossia l’impatto delle attività umane sull'ambiente – calcolata come l'area di terra e acqua necessaria per produrre le risorse consumate e assorbire i rifiuti generati. Essa valuta la quantità di risorse naturali utilizzate e confronta questo utilizzo con la capacità della Terra di rigenerarle.



Global Footprint Network fornisce dati, strumenti e approfondimenti per misurare e gestire l'impatto umano sulle risorse naturali del pianeta. L'iniziativa vuole coinvolgere individui, aziende, organizzazioni, governi e istituzioni internazionali per creare soluzioni sostenibili, evidenziando l'importanza di ridurre l'uso eccessivo delle risorse e vivere entro i limiti ecologici della Terra. Global Footprint Network promuove anche il concetto di Overshoot Day, o Giorno del sovrasfruttamento della Terra: è la data in cui l'umanità esaurisce le risorse naturali che il pianeta è in grado di rigenerare in un anno. Da quel giorno in poi, utilizziamo più risorse di quelle che il pianeta può sostenere a lungo termine, entrando in un “debito ecologico”. Sul sito di Global Footprint Network, oltre a trovare risorse educative e rapporti annuali, ogni persona può fare un test per calcolare la propria impronta ecologica. Lo scopo è sensibilizzare sull'uso eccessivo delle risorse e sulla necessità di adottare pratiche più sostenibili per ridurre il nostro impatto ambientale. 



Inquadrando il QR Code è possibile fare il test per calcolare la propria impronta ecologica:



<figure class="wp-block-image size-full"><img src="https://wp-bs.buddismoesocieta.org/site/wp-content/uploads/2025/01/qrcode-un-altro-mondo-e-possibile.png" alt="" class="wp-image-23197"/></figure>
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Un altro mondo è possibile

Che cosa succede se osserviamo con attenzione un ecosistema ed evitiamo di agire immediatamente pensando di essere i padroni di tutto? Se operiamo guardando come si comporta la natura cercando di replicarne i modelli, magari accelerandoli ma non falsandoli completamente? È ciò che si fa in permacultura, un approccio globale che promette di sapersi prendere cura delle persone e del pianeta senza sacrificare nessuno



Alimenti sostenibili e benefici per la salute, filiere efficaci a favore dell’economia locale, salvaguardia della biodiversità, condivisione di risorse e conoscenze in seno alle comunità: questa è la visione – quasi paradisiaca – che anima la permacultura, una sorta di “filosofia applicata” che parte dall'idea di sviluppare un'agricoltura sostenibile, efficiente dal punto di vista energetico, rispettosa di tutti gli esseri viventi e delle loro relazioni, lasciando allo stesso tempo alla natura “selvaggia” quanto più spazio possibile. Secondo i suoi promotori vanta una grande capacità di resilienza, realizzando sistemi ecologicamente equilibrati in grado di soddisfare le esigenze delle persone imitando le strategie della natura. Pur se solo di recente se ne comincia a parlare diffusamente, la sua teoria fu sviluppata negli anni Settanta da due australiani, Bill Mollison (1928-2016, biologo e naturalista) e David Holmgren (1955, ecologo, agronomo ed educatore), entrambi fortemente ispirati dal rapporto I limiti dello sviluppo. A loro si deve il termine permacultura, contrazione di permanent agriculture e permanent culture essendo l’aspetto sociale, culturale, sua parte integrante. Si basa su conoscenze scientifiche moderne riguardo agli ecosistemi, ma anche su saperi ancestrali tramandati di generazione in generazione e sul senso comune, con soluzioni semplici, efficaci, e soprattutto dalle conseguenze controllabili. Il suo principio chiave è osservare la natura e imitarla. Questo implica essere pazienti, procedere a passi lenti e su piccola scala. Secondo Mollison chi si affida ai princìpi della permacultura progetta o ri-progetta le fondamenta di una società in modo tale che questa possa soddisfare i propri bisogni e quelli degli altri senza degradare l’ambiente naturale ma anzi, quando è possibile, rigenerandolo. Un'impresa che, seguendo semplici istruzioni, può iniziare anche dal balcone di casa dentro una città. Le nuove generazioni sono quelle più sensibili e ricettive al caos climatico. In Inghilterra, ad esempio, c'è un programma che si chiama Permayouth realizzato da adolescenti tra gli 11 e i 17 anni con il desiderio di scambiare idee ed esperienze su questa nuova frontiera. Sempre in Inghilterra Lobby Mcnamara, designer, insegnante e autrice di libri, ha creato modelli di "permacultura sociale" in cui la figura del permacultore è una sorta di facilitatore di comunità che viene chiamato in gruppi famigliari o comunitari come esperto di relazioni, capace di rendere il sistema più resiliente, sostenibile, efficace.



[box]ESEMPI DI PERMACULTURA IN ITALIA

Azienda Agricola Ragas: situata in provincia di Bologna, segue i principi della permacultura avendo creato un insieme di bosco e giardino, al cui interno animali e piante si aiutano a vicenda, e dove il frutteto è anche orto. Vi è un sistema alimentare per anatre e oche al pascolo, e ogni angolo è piantumato con essenze adatte alla morfologia dei terreni.

L'Asino e la Luna: questo progetto di agroforesta a Cerveteri, nel Lazio, è un esempio di foresta commestibile in piena salute. Manuela Bocchino e Denia Franco stanno rigenerando i suoli e piantando centinaia di alberi, creando un sistema equilibrato che integra animali e microorganismi.

Permarancia: progetto fondato da Giuseppe e Angelo Branca a Centuripe, in Sicilia, nel 2018. Nei due agrumeti ai piedi dell'Etna vige la biodiversità di piante e animali, che protegge le colture riequilibrando l'ecosistema.

Bosco di Ogigia: si estende su un quarto di ettaro a Montepulciano (Siena). Si focalizza sulla creazione di food forest e include diverse iniziative educative e sociali legate alla permacultura. Promuove la condivisione delle conoscenze e l'applicazione pratica dei princìpi della permacultura in vari contesti.

Istituto Italiano di Permacultura: azienda agricola in provincia di Cuneo, funge da centro educativo e sperimentale anche riguardo all’autosufficienza e la stabilità economica familiare. Organizza corsi e seminari e collabora con enti locali per promuovere la sostenibilità e il riassetto ecologico del territorio.

Accademia Italiana di Permacultura: associazione senza scopi di lucro, ha la funzione di rete di supporto per chi ha frequentato il corso di Progettazione in Permacultura. Permette agli studenti certificati di entrare in un percorso attivo, di diplomarsi in Italia e lavorare in collegamento con altre esperienze di permacultura nel mondo.

ALCUNI PROGETTI RIVOLTI AI GIOVANI

Corpo Europeo di Solidarietà: questo programma offre ai giovani tra i 18 e i 30 anni l'opportunità di partecipare a progetti di solidarietà e volontariato in tutta Europa, anche espressamente dedicati alla permacultura, permettendo loro di acquisire competenze ed esperienze pratiche. Finanzia iniziative nei settori del cambiamento climatico, transizione verde, inclusione sociale, e altro ancora.

Progetti della Regione Puglia: la Regione Puglia ha attivato programmi di politiche giovanili locali che promuovono percorsi di animazione socioeducativa, volontariato e mobilità all'estero. Questi progetti, basati sull'apprendimento non formale e informale, sono ideali per coinvolgere i giovani nello sviluppo sostenibile e nella permacultura, favorendo autonomia e senso di responsabilità.

Istituto Italiano di Permacultura: l'istituto offre ai giovani corsi di permacultura espressamente a loro dedicati, inclusi moduli specialistici sulla food forest e la gestione delle acque e del suolo, con una forte componente pratica. Questi corsi sono progettati per essere flessibili e accessibili, cosa che permette ai giovani di partecipare senza richiedere lunghi periodi di assenza e di applicare subito quanto appreso. [/box]

Quando la cultura imita la natura

IL CLIMA È UNA SCELTA: SALVIAMOIL FUTURO



<blockquote class="wp-block-quote">
«Potremmo dire che l'universo stesso ha dato all'umanità la missione di proteggere il complesso sistema ecologico della Terra e di contribuire alla creazione di valore nella biosfera. Di conseguenza, se il senso di questa alta missione orientasse la ricerca tecnologica e scientifica, i sistemi sociali, la politica e l'economia, scopriremmo il modo più sinceramente umano per risolvere i nostri problemi ambientali».



Daisaku Ikeda
</blockquote>



Un’azione, anche piccola, ripetuta milioni di volte diventa gigantesca. È questo il messaggio della campagna "Cambio io cambia il mondo" e della mostra L'eredità della vita promosse dalla Soka Gakkai italiana



La prima cosa da fare è partire da sé, dal proprio cambiamento interiore. Di fronte a una sfida così colossale e all’apparenza così lontana dalle proprie forze come è la crisi climatica, il primo atto di coraggio è guardare la gravità della situazione e trovare la determinazione per trasformare la preoccupazione e il dolore in determinazione ad agire con speranza e ottimismo. Sapendo che la crisi climatica è determinata dalle attività degli esseri umani, in massima parte dall’uso dei combustibili fossili, e che quindi può essere risolta dagli esseri umani. Questo è il cuore di "Cambio io cambia il mondo – pensare globalmente, cambiare interiormente, agire localmente", la campagna promossa dall’Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai, all’interno della quale è stata realizzata la mostra L’eredità della vita, il clima è una scelta: salviamo il futuro, che sta continuando il suo viaggio in Italia per incoraggiare ogni persona ad affrontare la crisi climatica con le proprie azioni partendo dalla propria trasformazione personale. L’importante è scegliere di agire lì dove si è, nella propria comunità, nella propria rete di relazioni, nella quotidianità. Cominciando da ciò che ci viene più semplice. Per alcuni può essere parlarne per diffondere consapevolezza, per altri passare all’energia rinnovabile o ridurre lo spreco alimentare o curare spazi verdi o consumare meno carne. L’importante è mettersi nella direzione giusta, non lasciarsi sopraffare dal senso di impotenza e dall’eco-ansia, fare anche un solo piccolo passo per uscire dal circolo della distruzione ed entrare in quello della rigenerazione. È il fare azioni che alimenta la speranza, è il camminare che crea il sentiero fin qui poco battuto. Ogni azione conta.

Ogni azione conta

C'è ancora tempo, ma dobbiamo iniziare subito. Non a piccoli passi, ma con un salto da gigante. È il nuovo progetto globale proposto dal Club di Roma, “Una Terra per tutti”, uscito nel 2022 a cinquant'anni dal profetico “I limiti dello sviluppo”, il primo studio multidisciplinare sullo stato di salute del pianeta. In una situazione ambientale sempre più a rischio e per molti irreparabile, lo sguardo propositivo del Club di Roma può accendere nuove speranze. 


Cara terra

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