SUPPLEMENTO AL NUMERO 122
di Sabina Guzzanti
di Sabina Guzzanti
Signor sindaco Domenici,
Signor Hiromasa Ikeda,
Signore e Signori,
È difficile dire cosa mi ha insegnato il presidente Ikeda. Io pratico il Buddismo da vent'anni e tutto quello che c'è di bello e di importante nella mia vita è legato al Buddismo. Da vent'anni leggo i discorsi del presidente Ikeda e mi domando se sto mettendo in pratica i suoi insegnamenti. Mi confronto con il suo pensiero, mi commuovo e mi rafforzo grazie al suo esempio e in cuor mio prometto di utilizzare tutto il mio talento, le mie capacità, la mia umanità, il mio tempo per realizzare la pace così come il Buddismo insegna.
È un grande onore per me potergli rendere pubblicamente omaggio in questa occasione, potere ricambiare in piccola parte il debito di gratitudine che ho nei suoi confronti, e una grande responsabilità dare voce a una parte dei pensieri così appassionati che tanti presenti a questa riunione condividono.
Il merito del presidente Ikeda è di avere spiegato il Buddismo nella lingua dei nostri tempi.
Il Buddismo nasce per liberare gli esseri umani dalla sofferenza.
Nasce per liberare gli esseri umani dalla paura e dall'ignoranza.
Per ricordarci che siamo nati per essere felici, che la felicità e la creatività si somigliano molto. Per dire che siamo tutti ugualmente degni di rispetto, che la nostra natura originaria è illuminata. Il Buddismo nasce per ricordarci chi siamo e da dove veniamo.
Daisaku ikeda in ogni suo discorso porta ad esempio uno scrittore, un sociologo, un filosofo, uno scienziato, un poeta. Non esiste un discorso di Ikeda che non abbia questa modalità del dialogo anche immaginario con qualcun altro.
Lo fa per creare legami con altre culture, altre figure, e per invitare chi lo segue a leggere, ad allargare i propri orizzonti continuamente senza fermarsi mai, ad aprirsi. Lo fa per ribadire che parlare serve a creare legami. Che la cultura e la parola devono essere utilizzate a questo scopo. Ci insegna a concentrarci sull'intenzione che c'è dietro le parole e che quella sola conta.
È un modo per ribadire che la cultura è fatta per essere utilizzata, messa in pratica. Non è un oggetto da ammirare, contemplare. Non è uno strumento di potere, non deve servire a sottomettere, intimorire. Non deve servire ad accrescere i propri privilegi.
La cultura e la religione che fa parte della cultura ha questo scopo. Scrive Daisaku Ikeda: «Ogni qual volta la religione rende le persone passive e impotenti merita l'infamante definizione di oppio dei popoli».1
Ultimamente ho scoperto Zygmunt Bauman, uno dei più emeriti sociologi e pensatori al mondo, così recita la quarta di copertina, mi sembra appropriatamente. La sua analisi della società contemporanea è lucidissima e angosciante.
Spiega Bauman2 che tutti noi soffriamo per problemi legati all'identità. Non era così fino a qualche decennio fa quando l'identità era legata all'appartenenza a qualcosa. Oggi i luoghi a cui era affidato il sentimento di appartenenza (famiglia, vicinato, lavoro) non sono più affidabili.
Lo stato ha divorziato dalla società, non è più in grado di garantire i diritti economici, politici e sociali che devono sottostare al pensiero unico del neo liberismo.
Ogni aspetto della nostra esistenza è soggiogato alle regole del consumo, tutto ha una data di scadenza e nasce per essere rimpiazzato. In questa condizione le identità non negoziabili diventano inadatte, la coerenza un intralcio. Chi si lega a un'idea sa che verrà presto gettato via con quella. Non c'è tempo perché il malcontento diffuso si condensi nella richiesta di un mondo migliore.
I privilegiati possono comporre la loro identità scegliendo fra le vaste offerte del mercato. I non privilegiati hanno un'identità, un'etichetta imposta dall'esterno che non si può cambiare. Questa identità è sempre offensiva, umiliante e disumanizzante. Ma anche i pochi "fortunati" rischiano continuamente di non stare al passo, così la gioia di scegliere una nuova identità è guastata dalla paura di fallire e precipitare nell'inferno dei declassati.
Gli intellettuali non sentono più nessun obbligo nei confronti dei più deboli e diventano auto impegnati. Si preoccupano della loro immagine, non mettono bocca nelle questioni politiche se non viene loro espressamente chiesto da chi è al potere.
Si nega che esistano gruppi maggiori della somma delle loro parti e quindi cause più importanti della soddisfazione individuale. Martiri ed eroi battono in ritirata e vengono sostituiti da vittime e celebrità, cioè persone note per la loro notorietà.
Leggevo questi pensieri e riflettevo sulla fortuna di avere incontrato il Buddismo.
Ho cominciato a lavorare nella seconda metà degli anni ottanta all'apice della celebrazione dell'apparenza. Quando cercare un senso in quello che si faceva, pensare a una società migliore era semplicemente ridicolo.
Ho lavorato tanto, ho combattuto faticato, sono caduta e mi sono rialzata tante volte. Sono riuscita a operare nella cultura senza spendere un grammo delle mie energie per problemi di immagine, per discorsi sul marketing, per domandarmi come vendermi. Vedo tante persone intorno a me che hanno la stessa determinazione e mi sembra un miracolo.
Riesco a rinnovarmi a inventare sempre cose nuove grazie all'energia della pratica buddista, senza calcoli strumentali e senza calcoli in generale.
Non soffro dei tormenti degli artisti, del timore che la vena creativa si esaurisca, del timore di invecchiare e di essere superata. Al contrario ho paura solo di non fare in tempo a realizzare tutto quello che desidererei.
C'è un nesso profondo fra etica e creatività e fra etica ed estetica, questo per me è l'insegnamento più prezioso di Daisaku Ikeda.
Non basta essere buoni bisogna anche denunciare il male. È un'illusione pensare di poter resistere, è impossibile conservare la purezza senza battersi contro l'ingiustizia, la menzogna. Quelle che comunemente si considerano scelte comode sono in realtà scomodissime. È una gran fatica vivere a testa bassa, è faticosissimo mentire a se stessi, costruirsi identità finte, mantenerle, convincere gli altri a vederci come vorremmo apparire, cercare di guidare le emozioni con la chimica non ne parliamo.
La poesia Il secondo avvento di Yeats, descrivendo uno scenario apocalittico, dice così:
...la torbida marea del sangue dilaga e ogni dove
annega il rito dell'innocenza.
I migliori hanno perso ogni fede, i peggiori
si gonfiano di ardore appassionato.3
La Soka Gakkai, l'organizzazione laica costruita da Makiguchi, Toda e Ikeda, si propone di motivare le persone oneste, di coltivare la parte onesta che tutte le persone hanno. Permette di fare pratica di relazioni umane sane, basate sull'umanità, non sul calcolo e la sopraffazione. Insegna ai buoni a organizzarsi, a restare uniti, a proporre modelli di convivenza e a non nascondersi.
Fa bene il sindaco di Firenze a incoraggiare questo movimento, c'è più gusto credo a fare il sindaco di cittadini pieni di dignità.
Note
1) Daisaku Ikeda, Per il bene della pace, Esperia, p. 81.
2) cfr. Zygmunt Bauman, Intervista sull'identità,Vita liquida, Modernità liquida, Laterza.
3) W. B. Yeats, Poesie, Oscar Mondadori.
di Sabina Guzzanti
di Sabina Guzzanti
Signor sindaco Domenici,
Signor Hiromasa Ikeda,
Signore e Signori,
È difficile dire cosa mi ha insegnato il presidente Ikeda. Io pratico il Buddismo da vent'anni e tutto quello che c'è di bello e di importante nella mia vita è legato al Buddismo. Da vent'anni leggo i discorsi del presidente Ikeda e mi domando se sto mettendo in pratica i suoi insegnamenti. Mi confronto con il suo pensiero, mi commuovo e mi rafforzo grazie al suo esempio e in cuor mio prometto di utilizzare tutto il mio talento, le mie capacità, la mia umanità, il mio tempo per realizzare la pace così come il Buddismo insegna.
È un grande onore per me potergli rendere pubblicamente omaggio in questa occasione, potere ricambiare in piccola parte il debito di gratitudine che ho nei suoi confronti, e una grande responsabilità dare voce a una parte dei pensieri così appassionati che tanti presenti a questa riunione condividono.
Il merito del presidente Ikeda è di avere spiegato il Buddismo nella lingua dei nostri tempi.
Il Buddismo nasce per liberare gli esseri umani dalla sofferenza.
Nasce per liberare gli esseri umani dalla paura e dall'ignoranza.
Per ricordarci che siamo nati per essere felici, che la felicità e la creatività si somigliano molto. Per dire che siamo tutti ugualmente degni di rispetto, che la nostra natura originaria è illuminata. Il Buddismo nasce per ricordarci chi siamo e da dove veniamo.
Daisaku ikeda in ogni suo discorso porta ad esempio uno scrittore, un sociologo, un filosofo, uno scienziato, un poeta. Non esiste un discorso di Ikeda che non abbia questa modalità del dialogo anche immaginario con qualcun altro.
Lo fa per creare legami con altre culture, altre figure, e per invitare chi lo segue a leggere, ad allargare i propri orizzonti continuamente senza fermarsi mai, ad aprirsi. Lo fa per ribadire che parlare serve a creare legami. Che la cultura e la parola devono essere utilizzate a questo scopo. Ci insegna a concentrarci sull'intenzione che c'è dietro le parole e che quella sola conta.
È un modo per ribadire che la cultura è fatta per essere utilizzata, messa in pratica. Non è un oggetto da ammirare, contemplare. Non è uno strumento di potere, non deve servire a sottomettere, intimorire. Non deve servire ad accrescere i propri privilegi.
La cultura e la religione che fa parte della cultura ha questo scopo. Scrive Daisaku Ikeda: «Ogni qual volta la religione rende le persone passive e impotenti merita l'infamante definizione di oppio dei popoli».1
Ultimamente ho scoperto Zygmunt Bauman, uno dei più emeriti sociologi e pensatori al mondo, così recita la quarta di copertina, mi sembra appropriatamente. La sua analisi della società contemporanea è lucidissima e angosciante.
Spiega Bauman2 che tutti noi soffriamo per problemi legati all'identità. Non era così fino a qualche decennio fa quando l'identità era legata all'appartenenza a qualcosa. Oggi i luoghi a cui era affidato il sentimento di appartenenza (famiglia, vicinato, lavoro) non sono più affidabili.
Lo stato ha divorziato dalla società, non è più in grado di garantire i diritti economici, politici e sociali che devono sottostare al pensiero unico del neo liberismo.
Ogni aspetto della nostra esistenza è soggiogato alle regole del consumo, tutto ha una data di scadenza e nasce per essere rimpiazzato. In questa condizione le identità non negoziabili diventano inadatte, la coerenza un intralcio. Chi si lega a un'idea sa che verrà presto gettato via con quella. Non c'è tempo perché il malcontento diffuso si condensi nella richiesta di un mondo migliore.
I privilegiati possono comporre la loro identità scegliendo fra le vaste offerte del mercato. I non privilegiati hanno un'identità, un'etichetta imposta dall'esterno che non si può cambiare. Questa identità è sempre offensiva, umiliante e disumanizzante. Ma anche i pochi "fortunati" rischiano continuamente di non stare al passo, così la gioia di scegliere una nuova identità è guastata dalla paura di fallire e precipitare nell'inferno dei declassati.
Gli intellettuali non sentono più nessun obbligo nei confronti dei più deboli e diventano auto impegnati. Si preoccupano della loro immagine, non mettono bocca nelle questioni politiche se non viene loro espressamente chiesto da chi è al potere.
Si nega che esistano gruppi maggiori della somma delle loro parti e quindi cause più importanti della soddisfazione individuale. Martiri ed eroi battono in ritirata e vengono sostituiti da vittime e celebrità, cioè persone note per la loro notorietà.
Leggevo questi pensieri e riflettevo sulla fortuna di avere incontrato il Buddismo.
Ho cominciato a lavorare nella seconda metà degli anni ottanta all'apice della celebrazione dell'apparenza. Quando cercare un senso in quello che si faceva, pensare a una società migliore era semplicemente ridicolo.
Ho lavorato tanto, ho combattuto faticato, sono caduta e mi sono rialzata tante volte. Sono riuscita a operare nella cultura senza spendere un grammo delle mie energie per problemi di immagine, per discorsi sul marketing, per domandarmi come vendermi. Vedo tante persone intorno a me che hanno la stessa determinazione e mi sembra un miracolo.
Riesco a rinnovarmi a inventare sempre cose nuove grazie all'energia della pratica buddista, senza calcoli strumentali e senza calcoli in generale.
Non soffro dei tormenti degli artisti, del timore che la vena creativa si esaurisca, del timore di invecchiare e di essere superata. Al contrario ho paura solo di non fare in tempo a realizzare tutto quello che desidererei.
C'è un nesso profondo fra etica e creatività e fra etica ed estetica, questo per me è l'insegnamento più prezioso di Daisaku Ikeda.
Non basta essere buoni bisogna anche denunciare il male. È un'illusione pensare di poter resistere, è impossibile conservare la purezza senza battersi contro l'ingiustizia, la menzogna. Quelle che comunemente si considerano scelte comode sono in realtà scomodissime. È una gran fatica vivere a testa bassa, è faticosissimo mentire a se stessi, costruirsi identità finte, mantenerle, convincere gli altri a vederci come vorremmo apparire, cercare di guidare le emozioni con la chimica non ne parliamo.
La poesia Il secondo avvento di Yeats, descrivendo uno scenario apocalittico, dice così:
...la torbida marea del sangue dilaga e ogni dove
annega il rito dell'innocenza.
I migliori hanno perso ogni fede, i peggiori
si gonfiano di ardore appassionato.3
La Soka Gakkai, l'organizzazione laica costruita da Makiguchi, Toda e Ikeda, si propone di motivare le persone oneste, di coltivare la parte onesta che tutte le persone hanno. Permette di fare pratica di relazioni umane sane, basate sull'umanità, non sul calcolo e la sopraffazione. Insegna ai buoni a organizzarsi, a restare uniti, a proporre modelli di convivenza e a non nascondersi.
Fa bene il sindaco di Firenze a incoraggiare questo movimento, c'è più gusto credo a fare il sindaco di cittadini pieni di dignità.
Note
1) Daisaku Ikeda, Per il bene della pace, Esperia, p. 81.
2) cfr. Zygmunt Bauman, Intervista sull'identità,Vita liquida, Modernità liquida, Laterza.
3) W. B. Yeats, Poesie, Oscar Mondadori.