Ogni sforzo per comprendere la fede degli altri mi aiuta a crescere nella mia

intervista a Dennis Gira teologo, esperto di Buddismo

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Per lungo tempo vicedirettore dell’Istituto di scienze e teologia delle religioni dell’Institut Catholique di Parigi, Dennis Gira è un esperto di Buddismo e di dialogo interreligioso. Per la Soka Gakkai Internazionale ha curato la supervisione della versione francese degli scritti di Nichiren Daishonin (Les écrits de Nichiren, Herder), pubblicata nel 2012. In queste pagine presentiamo un ampio estratto di una sua intervista uscita sul Seikyo Shimbun nel dicembre 2020. La versione integrale è presente sul sito www.sgi-italia.org.

[…] Lei è un teologo cattolico, ma allo stesso tempo è esperto di Buddismo. Che valore dà al fatto di studiare due religioni contemporaneamente?

Non sono l’unico. In effetti negli ultimi anni molti teologi cattolici hanno iniziato a studiare seriamente il Buddismo. È senza dubbio merito del Concilio Vaticano II, che ha promosso il dialogo interreligioso nell’ambito della riforma e della modernizzazione della Chiesa per adeguarsi alle esigenze attuali. Si noti che i protestanti si dedicano alla stessa ricerca e partecipano allo stesso dialogo.
Se un credente di una certa religione desidera capire la fede di qualcuno che crede in modo diverso da lui e cerca un dialogo, la cosa essenziale è che entrambi siano pronti a spingersi quanto più a fondo possibile nella ricerca del vero significato della propria fede e di quella dell’interlocutore. In tal modo entrambi ritornano allo spirito originario del fondatore della propria tradizione. Nel mio caso è vero che studio due religioni, ma l’unica Via che seguo è quella di Cristo. Ciò che mi aspetto dai miei interlocutori buddisti è che pur studiando due religioni l’unica Via che seguono sia quella del Budda.
La "Via di Cristo” e la "Via del Budda” hanno molto in comune e coloro che percorrono uno dei due sentieri possono condividere una serie di valori e realizzare insieme molte iniziative o scambi senza per questo convertirsi alla religione dell’altro. È chiaro che il buon samaritano,1 per quanto nemico degli ebrei, mediante le sue azioni seguì la strada indicata da Gesù molto più dei sacerdoti, che erano essi stessi ebrei come Gesù. Ogni non cristiano che si comporta come il samaritano, vale a dire va in aiuto dei bisognosi, cammina concretamente su un sentiero vicino a quello che Gesù indica ai suoi discepoli, molto più di un cristiano che in situazioni simili non si comporta come il samaritano.

Lo scrittore francese Albert Camus ha dichiarato: «L’onestà consiste nel giudicare una dottrina dalle sue vette, non dai suoi sottoprodotti». Potrebbe spiegare il significato di questa affermazione?

Se parliamo di Cristianesimo solo in termini di crociate e colonizzazione citiamo solo i sottoprodotti di questa tradizione, che riguardo al Buddismo equivarrebbe a parlare solo di monaci guerrieri o cose del genere. La storia di queste due tradizioni non merita, in tutta onestà, di essere ridotta a questi sottoprodotti.
Se invece si cercano le vette di una religione, dove si trova il suo significato fondamentale, non si mancherà di scoprire la sua vera dimensione spirituale, quella capace di contribuire alla felicità dell’essere umano.
Continuare a fare di tutto per familiarizzarsi con la fede di credenti di altre religioni attraverso un vero dialogo permette di comunicare profondamente, da cuore a cuore. Conoscere la fede delle altre persone ci aiuta ad approfondire la nostra. In questo senso, per una religione che vuole essere aperta al mondo, lo spirito e la pratica del dialogo sono essenziali.
Tale principio si applica non solo alla religione, ma a tutti gli aspetti della vita. Incontri e dialoghi con chi proviene da contesti sociali completamente differenti e ha un sistema di valori diverso dal nostro costituiscono opportunità privilegiate che ci permettono da un lato di scoprire punti comuni e dall’altro di diventare più consapevoli della nostra specificità, dei nostri “talenti” unici, mai uguali a quelli degli altri, nonché dei nostri punti di forza.
Di conseguenza, attraverso il dialogo possiamo svilupparci e diventare persone migliori.

Lei ha contribuito a presentare alla società francese il Buddismo di Nichiren in modo più approfondito, a partire dal suo contributo in qualità di supervisore per la versione francese degli scritti di Nichiren.

Il mio studio del Buddismo di Nichiren e il lavoro di traduzione del Gosho hanno rafforzato la mia convinzione che ogni sforzo per comprendere la fede degli altri mi aiuta, allo stesso tempo, a crescere nella mia.
In questo lavoro volevo sottolineare che l’essenziale per capire Nichiren non sono le voci che circolano su di lui – ciò che si dice di lui – ma l’ascolto attento di ciò che Nichiren stesso voleva trasmettere, quello che lui ha detto di sé – e questo si trova nei suoi scritti (Gosho).
A proposito di questo punto è interessante riflettere sul fatto che esistono persone le quali, basandosi su argomenti molto forti, anche violenti, rifiutano categoricamente Nichiren accusandolo di essere “intollerante”. In realtà non si dovrebbe mai dimenticare che Nichiren visse e insegnò durante l’Ultimo giorno della Legge (Mappo-jidai). Se non teniamo conto del senso profondo che tale condizione gli ha trasmesso sull’urgenza del momento, non potremo comprendere la passione che lo animava nel voler condurre tutti gli esseri all’Illuminazione.
Riflettendo a fondo riguardo a questo scenario ho cominciato a capire che a volte, utilizzando il metodo di shakubuku, Nichiren stava esercitando la più grande compassione concepibile per un buddista, ossia aiutare le persone a raggiungere l’Illuminazione nelle terribili circostanze di Mappo, epoca in cui ciò sarebbe dovuto essere impossibile.
Quando Nichiren si rese conto delle implicazioni che aveva per l’essere umano vivere nel periodo dell’Ultimo giorno della Legge, si mise alla ricerca del “re dei sutra” intraprendendo un lungo viaggio fino a Kyoto, Nara e in altri luoghi di studio. La sua ricerca lo condusse al Sutra del Loto. Questo sutra fornisce due verità fondamentali: la natura intrinseca di tutti gli esseri viventi è la “natura di Budda”; il Budda è eterno e ci accompagna dal lontano passato senza inizio.
[…] [Desidero] sottolineare tre affinità che esistono tra questo testo e la Bibbia.
Innanzitutto il modo in cui questo sutra, come la Bibbia, rivela cose inaudite, fino ad allora nascoste. Nel sedicesimo capitolo, per esempio, viene svelata “la durata della vita del Tathagata”, cioè la verità riguardante il risveglio originale del Budda, e quindi la verità circa la sua vita eterna in qualità di Tathagata. La Bibbia, da parte sua, rivela verità altrettanto inaudite, riguardanti le origini del mondo, la condizione dell’essere umano e, nella figura di Gesù Cristo, il modo di essere di Dio tra gli umani.
La seconda affinità è la portata universale del Sutra del Loto e della Bibbia. Ciò si riflette nell’aspettativa di un’Illuminazione (nel sutra) e di una Salvezza (nella Bibbia) che non esclude nessuno. L’affermazione sostenuta nel Sutra del Loto si basa sulla convinzione che tutti gli esseri viventi possiedono la “natura di Budda”; nella Bibbia si basa sulla certezza della fedeltà di Dio alla sua creazione, sulla sua volontà che tutti gli esseri umani siano salvati e che ogni cosa si compia in Cristo risorto.
La terza affinità è l’ampio uso di parabole da parte del Budda nel Sutra del Loto (e altrove) e di Gesù Cristo nei Vangeli. La parabola dell’uomo ricco nel Sutra del Loto (SDLPE, 134 e seguenti) e quella del figliol prodigo nel Vangelo secondo San Luca (Lc 15, 11-32) parlano rispettivamente, ed eloquentemente, della compassione del Budda e della misericordia di Dio. Sono parabole straordinarie perché riflettono la coerenza interna del Buddismo e del Cristianesimo, mostrandone sia le convergenze sia le divergenze. E ciò crea grande spazio per il dialogo.
Tenendo presenti tali affinità è essenziale rispettare le differenze fondamentali di questi due testi e delle tradizioni che li sostengono, e mettere queste differenze al servizio di una comprensione più giusta di ciascuno di essi, del mistero ineffabile della vita. In questo modo possiamo navigare negli spazi di dialogo che ci vengono offerti senza paura e con la certezza di uscirne arricchiti spiritualmente.

Grazie all’azione di ereditare e trasmettere, attraverso le generazioni, lo spirito aperto espresso dal dialogo interreligioso, le religioni possono manifestare il loro vero valore.

Esatto, sono d’accordo. In ogni religione universale aperta al mondo ci sono sempre giovani delle nuove generazioni che, fedelmente e con forza, accolgono questa eredità e vivono di questa spiritualità e della tradizione nel senso più fondamentale.
Ho visto in diretta la Riunione mondiale dei giovani che la Soka Gakkai ha tenuto il 27 settembre 2020 (in Francia erano le 5:30 del mattino!). Siete riusciti a comunicare e a condividere la sensazione di “stare insieme” trascendendo la distanza fisica. Ho constatato con grande speranza che sono questi giovani, insieme ad altri giovani di tante religioni diverse, che incarnano il futuro dell’umanità. […]
Quando ero giovane come loro fui colpito da un movimento giovanile cristiano il cui motto era: «Meglio accendere una candela che lamentarsi del buio». Quindi, anche quando non si è nella posizione di fare cose di impatto immediato sul mondo, bisogna iniziare facendo una piccola cosa. Guardando questa gioventù mondiale della Soka Gakkai, il ricordo di quel motto mi si è ripresentato con forza.
Anche se la fiamma di una candela è minuscola, quando nel mondo tanti giovani, tutti insieme, iniziano ad accenderne una ciascuno, il risultato finale sarà ovviamente una luce fortissima!
I giovani del movimento Soka lo hanno ripetuto spesso: «Io ho un sogno». Ricordo molto bene come il pastore Martin Luther King avesse ripetuto spesso, durante le vicissitudini della sua vita, l’affermazione: «Io ho un sogno».
Avere un sogno è il privilegio della giovinezza. Significa che si è pronti a impegnarsi con entusiasmo per raccogliere la sfida di cambiare il mondo, sognandolo migliore, e che si vuole dare il proprio contributo per un futuro di giustizia, solidarietà e pace.

 

Dennis Gira è nato nel 1943 a Chicago, negli Stati Uniti, dove ha studiato filosofia e teologia. Dopo aver vissuto alcuni anni in Giappone, nel 1977 si è trasferito in Francia, dove ha conseguito il dottorato in studi sull’Estremo Oriente (specializzandosi in Buddismo) e si è diplomato in Scienze religiose. Dal 1985 al 2007 ha insegnato Buddismo, dialogo interreligioso e religioni giapponesi all’Istituto di scienze e di teologia delle religioni (Istr) dell’Institut Catholique di Parigi, svolgendo la funzione di vicedirettore dal 1986 al 2006; dal 2008 collabora con diverse realtà accademiche francesi, fra cui l’Università cattolica di Lione. È membro del comitato scientifico della rivista Concilium. Tra le sue pubblicazioni in italiano: Le religioni, Queriniana, Brescia 1992; Le grandi religioni. Tradizione ed evoluzione, Rizzoli Larousse, Milano 2004; I cristiani e le grandi religioni, ElleDiCi, Leumann (To), 2000; La scelta che non esclude. Buddhismo o Cristianesimo, Paoline, Milano 2004.
NOTE
  1. 1. Si tratta della parabola del buon samaritano che Gesù racconta a un dottore della Legge che gli aveva chiesto chi fosse il suo prossimo da amare come se stesso. È la storia di un uomo che, caduto nelle mani dei briganti, viene spogliato, picchiato e lasciato mezzo morto per strada. Casualmente un sacerdote scendeva per quella medesima strada, ma quando lo vide passò oltre. Anche un levita, giunto in quel luogo, lo vide e passò oltre. Ma un samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto lo vide e ne ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite versandovi olio e vino; poi, caricatolo sulla sua cavalcatura, lo portò in una locanda e si prese cura di lui. Il giorno seguente, estrasse due denari e li diede all’albergatore, dicendo: «Abbi cura di lui e ciò che spenderai in più, te lo rifonderò al mio ritorno». Gesù chiede quindi al dottore della Legge quale dei tre, secondo lui, fosse il prossimo dell’uomo caduto nelle mani dei briganti. E questi risponde: «Chi ha avuto compassione di lui». Gesù gli dice: «Vai, e fai lo stesso anche tu» (Luca 10, 25-37).

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