Il Buddismo vede la relazione di tutte le cose nell'universo non come un'immagine statica ma come il pulsare dinamico della vita creativa.
Le persone, le comunità, le nazioni non possono esistere in isolamento. Esse hanno bisogno del reciproco aiuto.
Per costruire una comunità mondiale, una civiltà globale basata sulla giustizia, la compassione e la speranza, occorre anzitutto abbandonare l'etica della competizione basata sul principio di "mangiare o essere mangiato", per coltivare al suo posto un'etica condivisa di cooperazione e interdipendenza, che di fatto si avvicina maggiormente al significato originale della parola "competizione".
Ma come può questa consapevolezza globale manifestarsi nel modo in cui un singolo individuo conduce i propri affari?
Mi è sempre piaciuto quel proverbio che dice: «Controlla i tuoi affari; non permettere che siano loro a controllare te». Il mondo degli affari, per sua stessa natura, è governato dall'efficienza economica e dalla ricerca del profitto. Un uomo d'affari che lavora unicamente per gli interessi della propria azienda e di nessun'altra penserà soltanto in termini di utili. Una prospettiva così ristretta ha dato origine in varie occasioni a una concorrenza talmente sfrenata da sfociare nel conflitto armato.
Affinché le attività commerciali possano contribuire agli sforzi verso la pace, la logica del capitale deve essere mitigata dalla logica dell'umanità. Ma come? In giapponese esiste la parola kosei, che si potrebbe tradurre con spirito di equità. Significa anche eguaglianza, imparzialità e giustizia. Una persona dotata di equità riconosce la contraddizione intrinseca nell'attività economica che rende i ricchi sempre più ricchi e i poveri ancora più poveri sia a livello individuale che nazionale, e l'insidiosa minaccia insita in una crescita economica che prospera a spese dell'ambiente globale e del delicato equilibrio dell'ecosistema. L'esportazione di inquinamento in paesi dotati di regolamentazioni meno severe - tanto per fare un esempio - sarebbe un anatema per chi volesse mettere al primo posto la giustizia e l'eguaglianza.
Lo spirito di equità e giustizia non è una condizione a priori. È superando dure prove che lo spirito di equità si trasforma da etica di un popolo in principio universale.
Un vero senso di equitàdeve essere la conseguenza di uno spirito universale che si manifesti su un piano più alto. Nel mondo degli affari, un simile atteggiamento universale porterebbe a non preoccuparsi meramente del bene della propria impresa o della propria nazione ma a valutare sempre in maniera imparziale gli interessi più vasti e olistici dell'intero pianeta, di tutta l'umanità, anche quando ciò dovesse implicare il sacrificio dei propri. Un simile spirito permetterebbe di andare oltre il guadagno personale e la logica del profitto.
Nella cultura dell'Asia orientale esiste un modo di vedere il mondo, ereditato dal Confucianesimo e condiviso da tutti i popoli della regione, che potremmo chiamare "etica della simbiosi". È una maniera di pensare che predilige l'armonia all'opposizione, l'unità alla divisione, il noi all'io. È l'idea che gli esseri umani dovrebbero vivere in armonia fra loro e con la natura e che, con il sostegno reciproco, l'intera comunità prospererà.
Trovare e seguire una Via universale è uno degli scopi principali della civiltà nel nuovo secolo.
(tratto da Per il bene della pace, Esperia, 2003; già pubblicato su BS, 94, 43-44).
Le persone, le comunità, le nazioni non possono esistere in isolamento. Esse hanno bisogno del reciproco aiuto.
Per costruire una comunità mondiale, una civiltà globale basata sulla giustizia, la compassione e la speranza, occorre anzitutto abbandonare l'etica della competizione basata sul principio di "mangiare o essere mangiato", per coltivare al suo posto un'etica condivisa di cooperazione e interdipendenza, che di fatto si avvicina maggiormente al significato originale della parola "competizione".
Ma come può questa consapevolezza globale manifestarsi nel modo in cui un singolo individuo conduce i propri affari?
Mi è sempre piaciuto quel proverbio che dice: «Controlla i tuoi affari; non permettere che siano loro a controllare te». Il mondo degli affari, per sua stessa natura, è governato dall'efficienza economica e dalla ricerca del profitto. Un uomo d'affari che lavora unicamente per gli interessi della propria azienda e di nessun'altra penserà soltanto in termini di utili. Una prospettiva così ristretta ha dato origine in varie occasioni a una concorrenza talmente sfrenata da sfociare nel conflitto armato.
Affinché le attività commerciali possano contribuire agli sforzi verso la pace, la logica del capitale deve essere mitigata dalla logica dell'umanità. Ma come? In giapponese esiste la parola kosei, che si potrebbe tradurre con spirito di equità. Significa anche eguaglianza, imparzialità e giustizia. Una persona dotata di equità riconosce la contraddizione intrinseca nell'attività economica che rende i ricchi sempre più ricchi e i poveri ancora più poveri sia a livello individuale che nazionale, e l'insidiosa minaccia insita in una crescita economica che prospera a spese dell'ambiente globale e del delicato equilibrio dell'ecosistema. L'esportazione di inquinamento in paesi dotati di regolamentazioni meno severe - tanto per fare un esempio - sarebbe un anatema per chi volesse mettere al primo posto la giustizia e l'eguaglianza.
Lo spirito di equità e giustizia non è una condizione a priori. È superando dure prove che lo spirito di equità si trasforma da etica di un popolo in principio universale.
Un vero senso di equitàdeve essere la conseguenza di uno spirito universale che si manifesti su un piano più alto. Nel mondo degli affari, un simile atteggiamento universale porterebbe a non preoccuparsi meramente del bene della propria impresa o della propria nazione ma a valutare sempre in maniera imparziale gli interessi più vasti e olistici dell'intero pianeta, di tutta l'umanità, anche quando ciò dovesse implicare il sacrificio dei propri. Un simile spirito permetterebbe di andare oltre il guadagno personale e la logica del profitto.
Nella cultura dell'Asia orientale esiste un modo di vedere il mondo, ereditato dal Confucianesimo e condiviso da tutti i popoli della regione, che potremmo chiamare "etica della simbiosi". È una maniera di pensare che predilige l'armonia all'opposizione, l'unità alla divisione, il noi all'io. È l'idea che gli esseri umani dovrebbero vivere in armonia fra loro e con la natura e che, con il sostegno reciproco, l'intera comunità prospererà.
Trovare e seguire una Via universale è uno degli scopi principali della civiltà nel nuovo secolo.
(tratto da Per il bene della pace, Esperia, 2003; già pubblicato su BS, 94, 43-44).