È stata la mia prima folgorante scoperta: lo studio della filosofia buddista, più che una questione di acquisizione di teorie astratte, era un processo di consapevolezza. Si trattava in pratica di leggere il Buddismo attraverso la mia vita, scoprirne i princìpi riconoscendoli nella mia esistenza quotidiana. Per uno come me, studente e appassionato di filosofia, fu una rivoluzione copernicana, una vera e propria bomba.
Le sorprese iniziarono incontrando la teoria dei dieci mondi. Il beneficio immediato della recitazione di Daimoku al Gohonzon consiste infatti in quello che gli scritti buddisti definiscono kanjin, ovvero riconoscere nella propria vita l’alternarsi dei dieci mondi. Mi avevano infatti spiegato che nel corso della nostra giornata possiamo manifestare diversi stati vitali richiamati ciascuno da appropriate cause esterne. Possiamo passare dallo stato di “Inferno” in seguito a una notizia dolorosa, a quello di Collera quando riteniamo ad esempio di aver subìto un’ingiustizia, dalla gioia per un regalo inaspettato alla compassione del bodhisattva se decidiamo di aiutare un amico a superare una sofferenza, e così via per tutte le dieci condizioni vitali.
Mentre un “mondo” si manifesta gli altri rimangono latenti, come se dormissero, anche se noi finiamo quasi sempre per “stazionare” in quello che è lo stato (o tendenza) vitale a noi più congeniale: lo studioso nel mondo di Apprendimento, il pigro in quello di Animalità, l’irascibile nel mondo di Collera, e così via.
Grazie a questa teoria, qui molto semplificata, ho cominciato a osservare la mia vita da una prospettiva nuova, che ora può sembrarmi scontata ma che all’epoca tanto ovvia non era, soprattutto perché conteneva la scintilla della trasformazione e della libertà interiore: non erano gli automobilisti scorretti a trasmettermi la rabbia, né gli insuccessi a riversare sofferenza nella mia vita. Gli eventi semplicemente andavano ad “accendere” i miei “mondi”, anche in relazione alle mie tendenze vitali.
Inizialmente credevo che la teoria dei dieci mondi riguardasse soprattutto l’umore, gli stati d’animo che sperimentavo nella mia vita quotidiana, ma ben presto mi accorsi che c’era molto di più. Cominciai a notare che ogni stato d’animo porta con sé un’espressione del viso, una luce degli occhi, un portamento. Nel mondo di Inferno il viso è triste, il portamento è chiuso in se stesso, le persone sembrano trascinarsi. Nel mondo di Cielo il volto è allegro e si fanno i cosiddetti “salti di gioia”. Ricordo che appena nominato responsabile di un gruppo della Soka Gakkai andai a trovare un ragazzo che attraversava da tempo una forte depressione: viveva con le tapparelle abbassate in una condizione di totale disordine. Associai immediatamente quella situazione al mondo d’Inferno. Compresi che lo stato vitale determina anche l’ambiente fisico in cui viviamo, le nostre relazioni, il nostro “mondo” appunto. Ho sentito spesso dire, e constatato direttamente, che le persone che hanno fede nel Buddismo, che praticano con gioia e passione, diventano più belle.
Poi c’è il discorso della percezione del tempo. Quando viviamo nella sofferenza il tempo non passa mai, ogni secondo dura un’eternità. Credo sia per questo che i testi buddisti parlano dell’inferno di incessante sofferenza. Al contrario nel mondo di Cielo (o di gioia) il tempo vola. E questo vale per ogni condizione vitale. Ancora più interessante è la percezione che abbiamo dei tre tempi di passato, presente e futuro nei diversi stati vitali: quando osserviamo il nostro passato scorrazzando nei mondi più bassi, concludiamo immancabilmente che non abbiamo combinato niente di buono, che il nostro presente è un disastro e che nel futuro non potremo mai realizzare niente.
È sufficiente cambiare stato vitale, magari recitando Daimoku, per “leggere” la nostra vita in maniera diametralmente differente, sentendo sorgere la speranza e l’ottimismo e la voglia di costruire un bellissimo futuro.
È come se ci trovassimo in un palazzo e osservassimo il panorama dalle finestre dei diversi appartamenti. Se mi trovo nella condizione di Inferno sto osservando il mondo dal piano interrato: apro la finestra e vedo solo nero. Ma salendo le scale, il panorama cambia notevolmente. Quello che nel mondo di Inferno era un ostacolo o un problema, visto dalla finestra del decimo piano diventa l’occasione per sistemare la mia vita, un’opportunità per la mia rivoluzione.
L’esempio del palazzo, tuttavia, non è perfettamente calzante perché non tiene conto del “mutuo possesso” dei dieci mondi. In virtù di questa proprietà inerente alla vita, per raggiungere ad esempio l’ultimo piano non è necessario salire tutte le scale. Ogni mondo contiene gli altri e, da qualsiasi stato vitale, posso accedere agli altri nove. In qualsiasi circostanza io mi trovi, qualsiasi stato d’animo stia sperimentando, posso attingere alla Buddità e vivere con speranza e una enorme forza vitale. Come al decimo piano. Ed è proprio lì che voglio vivere, con tutti quelli che riuscirò ad accompagnare.
(Lodovico Prola)