Avevo 24 anni e mi ero appena trasferito a Livorno per motivi di lavoro. Era il 1985. La prima persona che conobbi fu Gianni, proprietario della birreria di fronte alla mia casa e anche lui originario della Campania. Entrammo presto in confidenza e lui, quasi subito, tenne a farmi sapere che praticava il Buddismo con grande soddisfazione di risultati e di trasformazioni. Stranissimo: si trattava dello stesso Buddismo di cui mi avevano parlato anni fa a Salerno, la mia città, ma all’epoca, nel 1980, ero troppo impegnato nel fare la rivoluzione politica.
Accettai invece subito l’invito di Gianni a partecipare a una riunione e andammo a casa di Fabrizio dove, dopo aver lasciato le scarpe fuori della porta ed essere entrati in una piccola stanza in cui già in diversi erano seduti per terra, rimasi travolto emotivamente da quel vociare all’unisono, profondo e potente, e attratto ipnoticamente da quella pergamena posta nell’altare buddista. Claudio, quello che sembrava guidare la riunione, diede una spiegazione della cerimonia appena conclusa e alcuni dei presenti parlarono di se stessi e dei benefici che trovavano da quando avevano iniziato quella pratica. Rimasi meravigliato di quanto quegli sconosciuti fossero seriamente interessati alla vita nel suo insieme e dalla franchezza e libertà con cui parlavano apertamente dei propri problemi. Fui colpito dagli occhi puliti dei giovani presenti e dalla fermezza rassicurante degli adulti, alcuni dei quali anche in là con gli anni. Fui investito da una sensazione di benessere. Erano tutte persone che emanavano serietà e allegria. Inoltre, e questo faceva la vera differenza, come me volevano cambiare il mondo. Io ho cominciato così: fidandomi del mio istinto sia riguardo a degli sconosciuti sia riguardo alle promesse di una pratica che, per qualche strano motivo, sentivo familiare e che mi parlava di rivoluzione, innanzitutto la mia.
Questo Buddismo, in seguito, non avrebbe mancato di stupirmi. Nel giro di poche settimane non ebbi più la necessità di assumere sostanze stupefacenti pesanti, mie ingombranti compagne di viaggio. Con il passare delle settimane la mia vita divenne stabile, leggera e gioiosa. Certo, io mi impegnavo al massimo delle mie possibilità.
Ero veramente sconcertato dai risultati. Sempre più spesso mi chiedevo se, nel mio nuovo approccio agli accadimenti personali e nella mia rinnovata visione del mondo, non vi fosse una sorta di autoconvincimento. Certo la teoria buddista che studiavo era più che logica e convincente, non vi trovavo “punti deboli”, ma Nam-myoho-renge-kyo era proprio l’unica vera Legge? E perché proprio questa frase? Inoltre, non lo nascondo, avevo difficoltà con l’idea di preghiera per come la conoscevo, e cioè adorare, rendere grazie, presentare richieste. Mi chiedevo, poi, se quanto mi stava accadendo non fosse un caso o dovuto solo alla mia forza di volontà, oppure se avrei potuto ottenere risultati analoghi con un qualsiasi metodo di tipo psicologico.
In realtà, cercando di mettere in pratica al meglio delle mie capacità le indicazioni di Daisaku Ikeda, colui che divenne presto il mio maestro, le risposte, con il tempo, sono venute da sole. Intanto il termine italiano “pregare” non rende giustizia al significato profondo della cerimonia di Gongyo e della pratica di Nam-myoho-renge-kyo. Inoltre, la Legge è mistica nel senso che la sua validità e il suo potere si “percepiscono”, le parole aiutano ma non bastano a darne una spiegazione. Così quello che per me ha fatto la differenza è la prova concreta: con questo Buddismo non solo divento sempre più cosciente e consapevole di come funziono, ma tendo ad assumermi sempre più la responsabilità di me stesso e di come abito il mondo. Sento con la mia vita che il Daimoku mi aiuta a operare dal profondo il cambiamento di volta in volta più adatto a me. Non che io sia arrivato a un qualche capolinea e che questo processo sia terminato. Tutt’altro.
Certo è che dall’aprile del 1986, anno in cui ho deciso di abbracciare il Buddismo di Nichiren, di custodire il Gohonzon di Nam-myoho-renge-kyo, essenza del Sutra del Loto, e di essere discepolo del mio maestro, ho fatto il voto di prendermi cura di me e di partecipare, per la mia parte, al cambiamento globale, nel rispetto di tutti gli esseri viventi. Questo impegno non mi pesa, anzi mi rende sempre più me stesso e sempre più libero. Non è scontato, non è una passeggiata, ma è così. Ed è meravigliosamente appassionante e piacevole.
(Pasquale Dioguardi)