Funamori Yasaburo
Funamori Yasaburo
di Alessandra Fornasiero
Il 12 maggio del 1261 Nichiren Daishonin veniva abbandonato come un criminale sulla spiaggia di Kawana, nella penisola di Izu. Solo pochi rematori e alcuni funzionari del governo lo accompagnarono nella traversata. Erano salpati da Kamakura quella mattina stessa, di buon'ora, e avevano navigato tutto il giorno. Quando si trovavano già in vista della baia di Ito, forti correnti avevano deviato la loro rotta sospingendoli verso un villaggio di pescatori sulla costa nord-orientale della penisola, circa cinquanta miglia a ovest di Kamakura.
Iniziava così il primo esilio di Nichiren Daishonin. Le autorità si scagliavano contro di lui per la prima volta in modo diretto e ufficiale in risposta a uno scritto di rimostranza consegnato pochi mesi prima a un uomo molto in vista del governo. Adottare la dottrina corretta per la pace nel paese era il titolo e la sostanza di quel trattato che aveva provocato l'ira dei potenti, sollevando un'onda di ritorno violenta come un drago. Nichiren sapeva di andare incontro a persecuzioni, ma era animato dall'insopprimibile desiderio di alleviare le sofferenze della gente, di salvare la vita alle persone.
La penisola di Izu costituiva all'epoca una roccaforte della scuola Nembutsu. Per questo fu scelta come luogo del suo esilio. Perché si trovasse una buona volta davvero isolato, senza più interlocutori, senza possibilità di aiuto o comprensione da parte di nessuno. Il suo arrivo era stato inoltre preceduto da voci malevole e calunnie striscianti, e in quella costa lontana da Kamakura e dai suoi discepoli nessuno avrebbe levato la propria voce per affermare la verità in sua difesa.
Ora Nichiren si trovava solo su quella spiaggia di cui non conosceva neppure il nome. Le ombre si allungavano a dismisura sulla sabbia baluginante dei riflessi del tramonto. Il vento era sceso e il mare si era finalmente placato.
Nichiren levò lo sguardo e vide la barca con i funzionari del governo scivolare silenziosa sulla rotta del ritorno. La vide tremolare a lungo tra infinite scaglie d'oro, fino ad assottigliarsi e scomparire contro il disco del sole.
Non era che un pescatore, Funamori Yasaburo, e quella sera, come del resto ogni sera, preparava con grande cura le sue reti per uscire in mare. Nulla gli era sfuggito di quel brutale approdo e ora, abbandonate le reti, si affrettava verso lo straniero per prestargli soccorso. Certo si trattava di un uomo buono, che non avrebbe negato il suo aiuto a nessuno. Eppure il ricordo di quella scena sembra riempire il cuore del Daishonin di un inesplicabile stupore: «Quando fui esiliato il 12 maggio, giunsi a una spiaggia di cui non conoscevo ancora il nome. Appena sceso dalla barca soffrendo ancora di mal di mare, ti sei gentilmente preso cura di me. Quale destino ci ha uniti? Sei stato un devoto del Sutra del Loto nel passato e adesso, nell'Ultimo giorno della Legge, sei rinato come il capo-barcaiolo Yasaburo per avere compassione di me? Per te che sei un uomo può essere naturale, ma che anche tua moglie mi abbia trattato premurosamente, mi abbia dato da mangiare e portato l'acqua per lavarmi le mani e i piedi, è una cosa che non posso definire se non come misteriosa. Per quale motivo tu hai creduto nel Sutra del Loto e hai servito Nichiren per oltre trenta giorni?» (L'esilio di Izu, SND, 4, 255).
Yasaburo e sua moglie offrirono rifugio al Daishonin a rischio della propria vita, nutrendolo in segreto e proteggendolo da quell'ambiente ostile. Si fidarono di quanto vedevano con i propri occhi, conquistati dal suo comportamento pieno di rispetto e compassione. Erano persone dal cuore onesto, semplici e coraggiose. Ogni giorno condivisero con il Budda il proprio riso, in un periodo dell'anno in cui il riso scarseggia. Nichiren era consapevole dei loro sforzi silenziosi, e nelle parole che rivolge a Yasaburo si coglie il desiderio intenso di alleviarne la fatica: «Io ero odiato e disprezzato dal signore e dalla popolazione del luogo più di quanto lo fossi a Kamakura [...]. Eppure, benché fossi giunto proprio nel mese di maggio, quando il riso scarseggia, tu mi hai segretamente nutrito. È come se i miei genitori fossero rinati a Kawana presso Ito, nella provincia di Izu» (Ibidem).
«Il Daishonin fu sempre protetto dal potere delle persone semplici», scrive Daisaku Ikeda. Anche nei momenti di maggiore difficoltà sapeva conquistare il cuore delle persone. Nelle ore successive a Tatsunokuchi, Nichiren stesso racconta di essersi intrattenuto a lungo con i soldati della scorta che poche ore prima avevano tentato di decapitarlo, offrendo sakè e incoraggiandoli nel loro lavoro. Alcuni di quei soldati lo avevano odiato a morte per anni eppure adesso, profondamente toccati dal suo comportamento, abbandonavano senza difficoltà il Nembutsu per abbracciare il Sutra del Loto.
«Il Buddismo si trasmette agli esseri umani attraverso altri esseri umani - scrive Ikeda. Personalmente non ho avuto fiducia nel presidente Toda solo dopo aver conosciuto l'insegnamento del Daishonin, ma ho creduto nel Buddismo proprio perché ho creduto, innanzitutto, nella persona di Josei Toda» (Gli eterni insegnamenti di Nichiren Daishonin, Esperia, p. 21).
Può darsi che Yasaburo e sua moglie fossero semplicemente persone di buon cuore. Resta comunque straordinario che Nichiren trovasse persone così generose proprio nel luogo dell'esilio. A ciò si deve il suo stupore: «Nel quarto volume del Sutra del Loto si legge: "[Manderò] uomini e donne dal cuore puro per fare offerte al maestro della Legge". Questa frase significa che gli dèi celesti e le divinità benevole assumeranno la forma di uomini e donne e porteranno offerte per aiutare colui che pratica il Sutra del Loto. Non v'è alcun dubbio che tu e tua moglie siete nati come quegli "uomini e donne dal cuore puro" per sostenere il maestro della Legge, Nichiren» (SND, 4, 256).
Il decimo capitolo del Sutra del Loto, Il Maestro della Legge, si riferisce specificamente a Nichiren Daishonin ma, in senso più ampio, si riferisce a tutti i suoi discepoli. Un numero incalcolabile di Budda, bodhisattva e divinità celesti vegliano notte e giorno su coloro che credono fermamente e con tutto il cuore nel Sutra del Loto. Essi assumono svariate forme per proteggerci e le loro funzioni benefiche si esprimono attraverso le azioni delle persone che ci circondano.
«Il Buddismo non è teoria - scrive Ikeda - e anche concetti come l'esistenza e la funzione degli dèi buddisti trovano un'applicazione concreta e immediata nella vita quotidiana. I compagni di fede, ad esempio, fungono da dèi buddisti per noi: ogni qual volta soffriamo [...] essi accorrono per incoraggiarci. E quando abbiamo motivo di gioia si uniscono a noi per festeggiare. Pregano davanti al Gohonzon con noi e sono pronti a dialogare, ad agire insieme a noi. Avere per amici simili persone è certamente una rarissima fortuna: dovremmo farne tesoro e apprezzarli al massimo. In quale altro luogo si può trovare una solidarietà così profonda?» (op. cit., p. 22).
Quando si cambia stato vitale, la visione della realtà si trasforma. Yasaburo e sua moglie appaiono come reincarnazioni di Shakyamuni allo sguardo illuminato del Daishonin: «Il demone che comparve davanti a Sessen Doji era Taishaku sotto diversa forma. [...] Gli occhi del comune mortale non vedono queste cose, ma l'occhio del Budda le vede [...]. Nel cielo e nel mare esistono sentieri [invisibili a noi] su cui viaggiano gli uccelli e i pesci [...]. L'oro di Anirudda fu visto come un coniglio e poi come un cadavere; la sabbia nel palmo di Mahanama diventò oro. Queste cose sono al di là della comprensione umana. Un comune mortale è un Budda, un Budda è un comune mortale. [...] Pertanto può essere che tu e tua moglie siate reincarnazioni del signore Budda Shakyamuni apparsi per aiutare Nichiren» (SND, 4, 257-8).
Alla luce del Gosho siamo tutti entità del "Budda indistruttibile come il diamante", esseri preziosi e nobili che portano avanti l'opera di tutti i Budda e bodhisattva dell'universo. «Dobbiamo assolutamente avere cari i nostri compagni: che il nostro progresso e la nostra fede siano alimentati dalla gratitudine per i profondi e mistici legami che ci uniscono» (D. Ikeda, op. cit., p. 23).
Le lettere di Nichiren Daishonin indirizzate a Funamori Yasaburo tradotte in italiano
L'esilio di Izu
Funamori Yasaburo
di Alessandra Fornasiero
Il 12 maggio del 1261 Nichiren Daishonin veniva abbandonato come un criminale sulla spiaggia di Kawana, nella penisola di Izu. Solo pochi rematori e alcuni funzionari del governo lo accompagnarono nella traversata. Erano salpati da Kamakura quella mattina stessa, di buon'ora, e avevano navigato tutto il giorno. Quando si trovavano già in vista della baia di Ito, forti correnti avevano deviato la loro rotta sospingendoli verso un villaggio di pescatori sulla costa nord-orientale della penisola, circa cinquanta miglia a ovest di Kamakura.
Iniziava così il primo esilio di Nichiren Daishonin. Le autorità si scagliavano contro di lui per la prima volta in modo diretto e ufficiale in risposta a uno scritto di rimostranza consegnato pochi mesi prima a un uomo molto in vista del governo. Adottare la dottrina corretta per la pace nel paese era il titolo e la sostanza di quel trattato che aveva provocato l'ira dei potenti, sollevando un'onda di ritorno violenta come un drago. Nichiren sapeva di andare incontro a persecuzioni, ma era animato dall'insopprimibile desiderio di alleviare le sofferenze della gente, di salvare la vita alle persone.
La penisola di Izu costituiva all'epoca una roccaforte della scuola Nembutsu. Per questo fu scelta come luogo del suo esilio. Perché si trovasse una buona volta davvero isolato, senza più interlocutori, senza possibilità di aiuto o comprensione da parte di nessuno. Il suo arrivo era stato inoltre preceduto da voci malevole e calunnie striscianti, e in quella costa lontana da Kamakura e dai suoi discepoli nessuno avrebbe levato la propria voce per affermare la verità in sua difesa.
Ora Nichiren si trovava solo su quella spiaggia di cui non conosceva neppure il nome. Le ombre si allungavano a dismisura sulla sabbia baluginante dei riflessi del tramonto. Il vento era sceso e il mare si era finalmente placato.
Nichiren levò lo sguardo e vide la barca con i funzionari del governo scivolare silenziosa sulla rotta del ritorno. La vide tremolare a lungo tra infinite scaglie d'oro, fino ad assottigliarsi e scomparire contro il disco del sole.
Non era che un pescatore, Funamori Yasaburo, e quella sera, come del resto ogni sera, preparava con grande cura le sue reti per uscire in mare. Nulla gli era sfuggito di quel brutale approdo e ora, abbandonate le reti, si affrettava verso lo straniero per prestargli soccorso. Certo si trattava di un uomo buono, che non avrebbe negato il suo aiuto a nessuno. Eppure il ricordo di quella scena sembra riempire il cuore del Daishonin di un inesplicabile stupore: «Quando fui esiliato il 12 maggio, giunsi a una spiaggia di cui non conoscevo ancora il nome. Appena sceso dalla barca soffrendo ancora di mal di mare, ti sei gentilmente preso cura di me. Quale destino ci ha uniti? Sei stato un devoto del Sutra del Loto nel passato e adesso, nell'Ultimo giorno della Legge, sei rinato come il capo-barcaiolo Yasaburo per avere compassione di me? Per te che sei un uomo può essere naturale, ma che anche tua moglie mi abbia trattato premurosamente, mi abbia dato da mangiare e portato l'acqua per lavarmi le mani e i piedi, è una cosa che non posso definire se non come misteriosa. Per quale motivo tu hai creduto nel Sutra del Loto e hai servito Nichiren per oltre trenta giorni?» (L'esilio di Izu, SND, 4, 255).
Yasaburo e sua moglie offrirono rifugio al Daishonin a rischio della propria vita, nutrendolo in segreto e proteggendolo da quell'ambiente ostile. Si fidarono di quanto vedevano con i propri occhi, conquistati dal suo comportamento pieno di rispetto e compassione. Erano persone dal cuore onesto, semplici e coraggiose. Ogni giorno condivisero con il Budda il proprio riso, in un periodo dell'anno in cui il riso scarseggia. Nichiren era consapevole dei loro sforzi silenziosi, e nelle parole che rivolge a Yasaburo si coglie il desiderio intenso di alleviarne la fatica: «Io ero odiato e disprezzato dal signore e dalla popolazione del luogo più di quanto lo fossi a Kamakura [...]. Eppure, benché fossi giunto proprio nel mese di maggio, quando il riso scarseggia, tu mi hai segretamente nutrito. È come se i miei genitori fossero rinati a Kawana presso Ito, nella provincia di Izu» (Ibidem).
«Il Daishonin fu sempre protetto dal potere delle persone semplici», scrive Daisaku Ikeda. Anche nei momenti di maggiore difficoltà sapeva conquistare il cuore delle persone. Nelle ore successive a Tatsunokuchi, Nichiren stesso racconta di essersi intrattenuto a lungo con i soldati della scorta che poche ore prima avevano tentato di decapitarlo, offrendo sakè e incoraggiandoli nel loro lavoro. Alcuni di quei soldati lo avevano odiato a morte per anni eppure adesso, profondamente toccati dal suo comportamento, abbandonavano senza difficoltà il Nembutsu per abbracciare il Sutra del Loto.
«Il Buddismo si trasmette agli esseri umani attraverso altri esseri umani - scrive Ikeda. Personalmente non ho avuto fiducia nel presidente Toda solo dopo aver conosciuto l'insegnamento del Daishonin, ma ho creduto nel Buddismo proprio perché ho creduto, innanzitutto, nella persona di Josei Toda» (Gli eterni insegnamenti di Nichiren Daishonin, Esperia, p. 21).
Può darsi che Yasaburo e sua moglie fossero semplicemente persone di buon cuore. Resta comunque straordinario che Nichiren trovasse persone così generose proprio nel luogo dell'esilio. A ciò si deve il suo stupore: «Nel quarto volume del Sutra del Loto si legge: "[Manderò] uomini e donne dal cuore puro per fare offerte al maestro della Legge". Questa frase significa che gli dèi celesti e le divinità benevole assumeranno la forma di uomini e donne e porteranno offerte per aiutare colui che pratica il Sutra del Loto. Non v'è alcun dubbio che tu e tua moglie siete nati come quegli "uomini e donne dal cuore puro" per sostenere il maestro della Legge, Nichiren» (SND, 4, 256).
Il decimo capitolo del Sutra del Loto, Il Maestro della Legge, si riferisce specificamente a Nichiren Daishonin ma, in senso più ampio, si riferisce a tutti i suoi discepoli. Un numero incalcolabile di Budda, bodhisattva e divinità celesti vegliano notte e giorno su coloro che credono fermamente e con tutto il cuore nel Sutra del Loto. Essi assumono svariate forme per proteggerci e le loro funzioni benefiche si esprimono attraverso le azioni delle persone che ci circondano.
«Il Buddismo non è teoria - scrive Ikeda - e anche concetti come l'esistenza e la funzione degli dèi buddisti trovano un'applicazione concreta e immediata nella vita quotidiana. I compagni di fede, ad esempio, fungono da dèi buddisti per noi: ogni qual volta soffriamo [...] essi accorrono per incoraggiarci. E quando abbiamo motivo di gioia si uniscono a noi per festeggiare. Pregano davanti al Gohonzon con noi e sono pronti a dialogare, ad agire insieme a noi. Avere per amici simili persone è certamente una rarissima fortuna: dovremmo farne tesoro e apprezzarli al massimo. In quale altro luogo si può trovare una solidarietà così profonda?» (op. cit., p. 22).
Quando si cambia stato vitale, la visione della realtà si trasforma. Yasaburo e sua moglie appaiono come reincarnazioni di Shakyamuni allo sguardo illuminato del Daishonin: «Il demone che comparve davanti a Sessen Doji era Taishaku sotto diversa forma. [...] Gli occhi del comune mortale non vedono queste cose, ma l'occhio del Budda le vede [...]. Nel cielo e nel mare esistono sentieri [invisibili a noi] su cui viaggiano gli uccelli e i pesci [...]. L'oro di Anirudda fu visto come un coniglio e poi come un cadavere; la sabbia nel palmo di Mahanama diventò oro. Queste cose sono al di là della comprensione umana. Un comune mortale è un Budda, un Budda è un comune mortale. [...] Pertanto può essere che tu e tua moglie siate reincarnazioni del signore Budda Shakyamuni apparsi per aiutare Nichiren» (SND, 4, 257-8).
Alla luce del Gosho siamo tutti entità del "Budda indistruttibile come il diamante", esseri preziosi e nobili che portano avanti l'opera di tutti i Budda e bodhisattva dell'universo. «Dobbiamo assolutamente avere cari i nostri compagni: che il nostro progresso e la nostra fede siano alimentati dalla gratitudine per i profondi e mistici legami che ci uniscono» (D. Ikeda, op. cit., p. 23).
Le lettere di Nichiren Daishonin indirizzate a Funamori Yasaburo tradotte in italiano
L'esilio di Izu