C’è stato un tempo in cui pensavo che in un’ora ci fossero troppi minuti da riempire. Un tempo in cui lo spazio era occupato dai desideri mancati. Un tempo in cui “io” aveva un significato prepotente. Era l’unica cosa di cui dovevo occuparmi e di cui fossi responsabile. E certe volte mi sembrava anche troppo.
Ora “io” è un continuo compromesso. “Io” è nel tempo che improvvisamente è diventato troppo frettoloso, uno spazio sorprendentemente breve tra un dentino spuntato e un primo passo accennato, mentre cerco di rincorrere i minuti per poterlo fermare tutte le volte che lei ha bisogno di me o penso sia giusto che lei abbia la totalità di me.
Sono sua madre e quello che ho compreso di questo mio nuovo status è nel suo sguardo: io oggi sono terra di conforto, sicurezza, nutrimento. Ma anche esempio, guida, specchio della donna che diventerà.
Viviamo in una società in cui conciliare identità individuale e identità genitoriale è molto difficile. Le forme di sostegno sociale, soprattutto in Italia, sono minime e ci si ritrova da soli con la vita di un nuovo essere umano letteralmente tra le mani senza sapere come fare. Su social, riviste e nella saggistica contemporanea proliferano riflessioni su questo tema dalla prospettiva sia dell’essere padri, privati del diritto di essere genitori a tempo pieno, sia dell’essere madri, obbligate a sentirsi prime detentrici del compito di caregiver e indotte, se non costrette in molti casi, a farne la principale occupazione a discapito della propria carriera e indipendenza economica.
Io ho scelto di non cadere nella trappola del giudizio, neppure quello taciuto che arriva di sottecchi a volte dalle stesse donne o dalla profondità di me stessa, e fin dal primo giorno ho scelto il Gohonzon e il mio voto per kosen-rufu con un grande obiettivo: continuare a praticare per i miei desideri personali e professionali e insieme vivere al massimo dell’intensità il rapporto con mia figlia, mettendo in pratica la prima delle cinque guide eterne della Soka Gakkai: “fede per realizzare una famiglia armoniosa”, da costruire giorno per giorno.
Questa nuova identità di madre e di donna non è un terreno pianeggiante, a cominciare dal mattino quando mi guardo allo specchio e mi vedo in un corpo che non riconosco più. O anche nello svolgere il nuovo ruolo di direttrice creativa dell’agenzia di comunicazione in cui lavoro, arrivato quando mia figlia aveva pochi mesi. Solo il Daimoku mi ha permesso di accettare e portare avanti questa nuova sfida con fiducia superando dubbi e paure di non essere una brava madre o una professionista dedicata.
Con mio marito, che ha saputo starmi accanto con grande sensibilità fin dall’inizio, abbiamo deciso di essere “genitori alla pari” e quindi cerchiamo di dividerci compiti, responsabilità e tempi in presenza. Sembra una conciliazione impossibile, ma poi tutto si incastra, al punto da ricavare spazi sacri, di gioco e coccole, da passare insieme all’inizio e alla fine della giornata.
Non c’è giorno in cui non mi chieda come farò a mantenere questo equilibrio per il resto della nostra vita. Sarò la madre saggia, coraggiosa e compassionevole che desidero essere?
Ma poi penso al mio maestro, alla potenza del Daimoku di cui mi ha insegnato a non dubitare, alla sincerità del mio voto, alla certezza della mia missione e allora, nel suono ritmico di Nam-myoho-renge-kyo, vedo le nostre vite armonizzarsi e fluire con grazia, sfida dopo sfida, come una danza tra le ore e le molteplici figure delle nostre esistenze. E so che non sarò una madre né una donna perfetta, ma sì, sarò una persona felice.
(Francesca Diodati)