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Dopo tanti anni la “prima ballerina assoluta” è tornata al Teatro alla Scala,dove lei stessa aveva mosso i “primi passi”, per trasmettere il suo sapere alle nuove generazioni di danzatori e danzatrici del corpo di ballo, riunito in sala prove per l’occasione. «I solisti con cui ho lavorato hanno capito che devono riflettere prima di eseguire un passo. È la testa che deve funzionare, non solo i piedi»

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In pieno distanziamento sociale Carla Fracci, come sempre vestita di bianco (mascherina compresa), dopo più di 20 anni è tornata al Teatro alla Scala di Milano per incontrare il corpo di ballo impegnato nelle prove di Giselle, il balletto con cui la nostra “prima ballerina assoluta”, citando il New York Times, è entrata nella leggenda.
Lo spettacolo, che apre la stagione scaligera 2021, è al momento trasmesso in streaming (su www.raiplay.it) per il pubblico della rete, come segno di resistenza in attesa della riapertura dei teatri.
Uno sguardo, una stretta di mano, un gesto che racconti stupore ma anche disperazione (Giselle è la storia d’amore, morte e pazzia di una giovane contadina guidata dalla passione per la danza): dettagli che Carla Fracci in qualità di coach è venuta a insegnare alle nuove generazioni di ballerini e ballerine della Scala riuniti in sala prove per l’occasione. E mentre con voce soave e convinzione al titanio si avvicina a Nicoletta Manni, prima ballerina del Teatro alla Scala dal 2014, dicendole «non aver paura, sii più vera, non studiata», i ballerini tutt’intorno la guardano con rispetto e un po’ di esitazione.
Non è facile tradurre in volteggi e reverence (inchini) le intuizioni artistiche di un’étoile internazionale che ha attraversato un’epoca, danzato dal London Festival Ballet all’American Ballet Theatre e diviso il palcoscenico con artisti come Mikhail Baryshnikov e Rudolf Nureyev. Mentre lei assicura: «Il mio futuro è insegnare ai giovani».

Dopo tanti anni è tornata al Teatro alla Scala con due masterclass dedicate al balletto Giselle. Che esperienza è stata?

Un po’ una rivoluzione, ha entusiasmato tutti, dai tecnici all’orchestra, compresi i ballerini naturalmente. Una festa, bella, emozionante. Per me la sensazione di essere tornata a casa, accolta da una grande stima. 

Come le sono sembrati i ragazzi e le ragazze?

Bravi. I solisti con cui ho lavorato hanno capito che devono riflettere prima di eseguire un passo. Nel balletto il gesto sostituisce la parola. È la testa che deve funzionare, non solo i piedi. I piedi e le gambe sono importanti per la tecnica, ma poi c’è ben altro. Diversamente da come a volte ho sentito dire: «Credevo fosse ginnastica!». Io sono stata fortunata perché fin da ragazzina, come allieva della scuola di ballo, sono stata scelta per interpretare grandi eroine da grandi coreografi, come John Cranko in Giulietta e Romeo [al suo debutto all’isola di San Giorgio a Venezia lo scrittore Jean Cocteau le si avvicinò complimentandosi: «Merci mademoiselle… l’anima di Giulietta è ora nelle vostre braccia e nel vostro cuore»] e Anton Dolin appunto con Giselle.
Spiegata la tecnica, poi ci sono il temperamento musicale e i sentimenti. Alcune cose si possono spiegare, non tutte. Insomma bisogna avere anche qualcosa da dire.

C’è una ballerina che considera una sua possibile erede?

Non posso essere io a dirlo, anche se nei lunghi anni d’attività ho spesso sentito dire: «È la nuova Fracci». Per quanto mi riguarda, sono solo felice di avere l’affetto e la stima per quello che è stato il lavoro della mia vita.
Con mio marito Beppe Menegatti [regista di moltissimi dei suoi balletti, sposato nel 1964 e conosciuto 7 anni prima quando, come aiuto regista di Luchino Visconti, selezionava per la Scala le ballerine per il balletto Mario il mago, dal racconto di Thomas Mann] ci siamo prodigati a portare la danza a quante più persone possibili. Non volevo che il mio lavoro fosse relegato a una piccola élite o solo al pubblico dei grandi teatri. Infatti ho ballato nelle piazze e nei tendoni coinvolgendo tanti artisti e portando in giro, oltre al balletto di repertorio, grandi successi culturali e musicali [memorabile un sabato sera della Rai del 1973 in cui si esibì con le gemelle Kessler su musiche di Broadway].

A 10 anni entra nella scuola di ballo della Scala dove si diploma poi a 18. A 20 diventa prima ballerina. Chi considera i suoi maestri?

Ne ho avuti tanti, e in tanti hanno creato balletti su di me, da Béjart, a Butler, a MacMillan. L’ultima insegnante che ho avuto, la signora Esmée Bulnes, che veniva dal Teatro Colón di Buenos Aires dove era stata anche assistente del coreografo russo Fokin, cercava di capire il carattere fisico e artistico di ciascun allievo.  

Quali aspetti del suo carattere l’hanno aiutata a esprimere? 

La costanza e l’umiltà. Bisogna lavorare. Niente è venuto dal niente. Me lo sono guadagnato, costruito seguendo con umiltà quel che mi hanno trasmesso i miei maestri.
Vengo da una famiglia modesta: mio padre era tranviere, mia madre lavorava come operaia all’Innocenti. C’era il problema di lasciarmi in mani sicure, specie mentre mio padre era in guerra. Così sono stata con i nonni e con gli zii in campagna, e mia madre veniva a trovarmi appena poteva. Ci scaldavamo nelle stalle con le anatre e le vacche, sono esperienze che non si possono dimenticare. Mi sono rimaste dentro e mi hanno permesso di non fantasticare troppo. Conosco i contadini, la terra e i piedi per terra. 

Ha raccontato che Rudolf Nureyev, suo storico partner, le ha insegnato il coraggio. 

Rudy aveva un carattere che metteva se stesso e gli altri alla prova, gli piaceva la competizione. Questo suo aspetto mi ha fortificato perché mi ha impedito di appoggiarmi sul partner. Ricordo quando mi volle per Lo schiaccianoci. L’anno in cui montò il balletto, era il 1969, non potevo farlo perché ero incinta di Francesco [Carla ha danzato fino al quinto mese di gravidanza, lasciando perdere chi le sconsigliava la maternità, per una ballerina!]. Appena però c’è stata la possibilità di una ripresa Rudy ha detto: «Voglio farlo con Carla!». Peccato che è arrivato cinque giorni prima del debutto, e io gli ho detto: «Rudy non so se posso affrontare questa prova, una coreografia complicatissima, ogni nota un passo, in così poco tempo». Lui non ha neanche risposto, ha mandato il pianista al pianoforte e in due giorni mi ha insegnato tutto il balletto, passo dopo passo. Poi, siccome con il resto del corpo di ballo avevano già fatto le prove l’anno prima, il terzo giorno siamo andati direttamente in prove generali.

Tanto per metterla tranquilla…

(ride) E al quinto giorno c’è stata la recita. Un successo che non le dico. La platea è saltata in piedi. Quando è finito lo spettacolo lui abbracciandomi mi ha detto: «Hai visto che significa avere coraggio?». Era esigente ma giusto: riconobbe il coraggio che avevo avuto nell’affrontare un balletto così difficile, insegnato da lui poi!
La creatività è qualcosa che scatta in scena, o ci si capisce o niente. Ogni sera a seconda del partner vivi il personaggio. Sul palco non si è mai da soli, si è in due. È quell’emozione che passa. È per questo che Rudy voleva danzare con la ballerina e non essere solo il porteur.

C’era stata tensione alle prove, tra di voi?

Tensione? No, io ero forte e stavo in piedi da sola.

Come fa a manifestare uno spirito giovane a oltranza?

Son così (ride). Non che io pensi di essere giovane, lo dice lei e la ringrazio. Quando ho dei momenti di stanchezza, penso a ciò che la mia insegnante diceva di me alle mie colleghe: «Fate come Fracci: lei sa benissimo cosa vuole. I commenti inutili le entrano da un orecchio e le escono dall’altro». 

(Monica Piccini)

 

Una vita per la danza

Carla, dal titolo del film in onda il prossimo autunno su Rai Uno, avrà il viso dell’attrice Alessandra Mastronardi. Sarà il racconto degli esordi artistici della Fracci fino alle esibizioni nei teatri più prestigiosi e alla consacrazione come icona della danza internazionale. Nella vita reale Carla entra alla scuola della Scala per caso, notata mentre frequenta con la famiglia la balera dell’azienda tranviaria milanese. Selezionata per il “bel faccino”, la chiamano “gambe di sedano” ma lei non molla. Si diploma nel ’54, dopo due anni diventa solista, passano ancora due anni ed è prima ballerina. Non prima di aver conosciuto il futuro marito, sempre alla Scala. Complici nel lavoro e nel matrimonio da cui nasce Francesco, di professione architetto, papà di due ragazzi. Da lì in poi il palcoscenico di Carla è il mondo, in compagnie come il London Festival Ballet, lo Stuttgart Ballet e ospite dell’American Ballet Theatre, nei panni delle protagoniste dei balletti di repertorio, a partire dalla più romantica: Giselle. Memorabile nel 1980 la versione in coppia con Rudolf Nureyev al Teatro dell’Opera di Roma, di cui negli ultimi anni l’étoile ha diretto il corpo di ballo insieme a quelli del San Carlo di Napoli e dell’Arena di Verona.
Assessora alla cultura della provincia di Firenze dal 2009 al 2014, “ambasciatrice di buona volontà” della FAO nel 2004, autrice di autobiografie come: Passo dopo passo, La mia storia, Lo spettacolo della mia vita, è tornata a 84 anni, tra riconoscimenti e nipoti, in quel teatro davanti al quale il padre, quando lei era bambina, alla guida del tram 18 scampanellava per salutare quella figlia così speciale.