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Il dialogo tra Daisaku Ikeda e Stuart Rees, professore emerito di Studi sulla nonviolenza, in uscita per Esperia con il titolo Pace, giustizia e poesia. Conversazioni  sulla via della nonviolenza (ed. originale 2018) raggiunge profondità oceaniche nella radiografia che restituisce di questa società attraversata da epidemie, povertà e guerra. Ribaltando il tavolo delle analisi mediocri, il testo riflette sulla trama tra gli eventi, esplorando con grande lucidità la connessione tra diseguaglianza sociale e guerra, tra pace e rispetto dei diritti umani. Non si tratta di concetti astratti, ma di pratiche che aprono la via a un possibile diverso da questo tempo apocalittico che ci è dato attraversare: «La filosofia e la pratica della nonviolenza – vi si legge – si possono riconoscere nel modo in cui ci prendiamo cura dei bambini, delle persone affette da disturbi mentali, dei senzatetto, degli anziani e dei più fragili, dei richiedenti asilo». La questione è far vincere l’altruismo sull’egoismo, la bellezza sull’orrore, la poesia sulla disperazione. Creare una nuova “cittadinanza globale” si fa un obiettivo a portata di mano se ci si affida alle riflessioni concrete di questi due pensatori che hanno dedicato la vita a cancellare le parole della morte: miseria, infelicità e guerra.

L’ingiustizia sociale e la guerra: un legame demoniaco basato sull’avidità

Rees: Nella sua Proposta di pace del 2009, pubblicata all’indomani di una crisi finanziaria definita dagli esperti come «un evento che si verifica una sola volta in un secolo», lei ha sottolineato che la causa latente del crollo del mercato finanziario è stata l’avidità delle persone al potere e la loro incapacità di prendersi cura degli altri, che ha generato povertà e disoccupazione per molte persone. […] La pace non è solo assenza di guerra. Sebbene una determinata situazione possa sembrare apparentemente pacifica, finché ci sono persone che soffrono a causa di ingiustizie sociali come la povertà o la mancanza di opportunità, tale situazione non merita la definizione di “pace” nel suo senso più autentico. Potrei aggiungere che, sebbene la pace sia un obiettivo nobile e meritevole, la “pace basata sulla giustizia sociale” è senza dubbio più duratura e proficua a livello globale; si tratta quindi di un obiettivo per le persone di qualsiasi estrazione sociale.
Ikeda: Concordo. È un argomento su cui anch’io ho riflettuto a lungo e in modo approfondito. Questo perché l’obiettivo del mio maestro e secondo presidente della Soka Gakkai, Josei Toda, era quello di eliminare le parole “miseria” e “infelicità” dal lessico umano. Nel 1957, l’anno prima di venire a mancare, espresse il desiderio che queste parole non dovessero essere più utilizzate per descrivere il mondo, un paese o un individuo. Esortò noi giovani ad alzarci e agire per realizzare una società pacifica. (pp. 5-6)

La promessa della propria storia personale

Rees: Nel mio libro Achieving Power: Practice and Policy in Social Welfare (Raggiungere il potere: pratica e politica dell’assistenza sociale) ho introdotto il principio, concepito da me, di “promessa della propria storia personale”, un concetto che indica la potenziale creatività che risiede in tutti gli esseri umani. Troppo spesso, però, per motivi di discriminazione razziale o di genere, mancanza di autostima o di opportunità educative di base, quella promessa non si realizza. Una caratteristica essenziale delle future attività sociali potrebbe essere concentrarsi sulla “promessa della storia personale” di ciascun individuo, e in particolare sulle storie di coloro che raramente vengono coinvolti in attività relative alla musica, all’arte e alla politica umanistica.
Ammetto di essere rimasto molto colpito quando i membri della Sgi hanno avuto l’opportunità di raccontare le loro storie in pubblico e, in questo modo, di acquisire più fiducia in sé stessi e maggiore comprensione da parte degli altri.
Ikeda: Toda sottolineava spesso che l’esempio concreto di una persona che ha superato le avversità è la più grande fonte di incoraggiamento per coloro che affrontano gli stessi problemi. Che si tratti delle sofferenze derivanti da una malattia, di un problema in famiglia o sul posto di lavoro, o del dolore per la perdita di una persona cara, se non abbiamo sperimentato in prima persona simili sofferenze, è difficile comprendere il dolore degli altri. […] Superare una difficoltà dopo l’altra attraverso la fede è la dimostrazione del proprio trionfo come individui, e al tempo stesso offre una scintilla di speranza e coraggio a coloro che affrontano problemi simili. (pp. 96-97)

L’inventiva e l’intelligenza di ogni essere umano sono l’impareggiabile patrimonio della nostra specie

Rees: Continuerò con impegno incrollabile a dedicarmi all’empowerment delle persone, in modo che possano assumere il controllo della loro vita. Alla luce del mio vissuto, la trasformazione dall’essere dipendenti al godere dell’indipendenza passa attraverso diverse fasi. La prima riguarda la necessità di superare quel fatalismo che porta a pensare di non poter fare nulla per cambiare. Nella seconda fase si inizia a creare un senso di fiducia tra coloro con cui si lavora. Nella terza si generano risorse e si insegnano competenze che potrebbero iniziare a produrre un cambiamento nella vita delle persone.
Ikeda: Aurelio Peccei condivise il suo pensiero sulle potenzialità illimitate dell’essere umano: «[…] L’inventiva e l’intelligenza di ogni essere umano costituiscono l’impareggiabile patrimonio della nostra specie».
Nella società odierna il cuore delle persone è pericolosamente minato da un senso di impotenza, dalla sensazione che, per quanti sforzi si facciano, non cambierà mai nulla. Non posso fare a meno di pensare che questa sia la causa principale della sofferenza nell’epoca moderna. […]
Ora è il momento di creare una comunità unita di persone di tutto il mondo, un’unione sempre più salda grazie alla quale sfidare e trionfare sulle nostre debolezze, riaffermando la convinzione di essere in grado di superare qualsiasi prova e avversità. (pp. 194-195)