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Wayne Shorter

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di Marina Marrazzi e Martin Goins

Anima creativa del leggendario quintetto di Miles Davis degli anni ’60, e insostituibile sax tenore e soprano del quartetto fondato con Herbie Hancock, Wayne Shorter è uno dei sassofonisti jazz più apprezzati nel panorama musicale contemporaneo.
Nato a Newark, nel New Jersey, il 25 agosto 1933, ha cominciato a suonare con il pianista Horace Silver. Al 1959 risale la sua prima tournée con la banda di Maynard Ferguson. Ben presto attira l’attenzione dei critici e del pubblico. Nel 1964 si unisce a Herbie Hancock, Ron Carter e Tony Williams nel secondo grande quintetto di Miles Davis, che segnò nella storia del jazz una tappa straordinariamente innovativa. Nel 1970 entrò nei Weather Report con Joe Zawinul.
Grazie alla sua carriera come solista e all’esperienza maturata insieme a questo famoso gruppo Shorter contribuisce alla definizione di un nuovo ibrido musicale, ispirato a una varietà di forme, dal jazz al rock alla musica classica a quella elettronica.
Al 1974 risale il suo primo grande album dal titolo
Native Dancer, che unisce performance del vocalista brasiliano Milton Nascimento, di Airto e di Herbie Hancock. Incide poi dischi con grandi star del pop come Joni Mitchell e Steely Dan.
Come Shorter fu scoperto da Miles Davies, e ha riconosciuto l’influenza su di lui di grandi come Coleman Hawkins, Lester Young Ben Webster e Charlie Parker, così egli stesso ha contribuito alla affermazione sulla scena artistica di giovani talenti come Jim Beard, Terry Lyne Carrington, Marilyn Mazur.
Bob Blumenthol dei Rolling Stones lo ha definito «il più modesto grande musicista degli ultimi vent’anni. Un fenomenale sassofonista e compositore».

«Ricordate il disastro del Boeing della Twa che precipitò in mare nel 1996? Mia moglie Anna Maria era su quel volo. Dopo circa due mesi mi portarono a casa una busta che conteneva il suo omamori Gohonzon. Era intatto: solo qualche graffio sulla parte esterna dovuto all’esplosione. Da allora lo porto sempre con me».
È la prima cosa che Wayne Shorter ci dice – tastandosi la tasca dei pantaloni – non appena ci sediamo vicino a lui. Pochi preamboli, va dritto al nocciolo delle cose. Questo colpisce immediatamente del grande musicista quasi settantenne, tra i più famosi sassofonisti jazz del mondo.
Siamo andati a trovarlo dopo un concerto: estate romana, caldo torrido, pubblico di giovanissimi, ma non solo, accalcati fin sotto il palco. Sulla scena Wayne Shorter si muove come un ragazzo, agile, grande fiato, ritmo incalzante.
Dopo l’ultimo bis, ci mettiamo in fila per andarlo a incontrare nel backstage, un salottino approntato per gli artisti. Chi gli si avvicina per presentarci ci introduce come membri della Soka Gakkai: in un attimo quel grande, che parla serio sorseggiando vino rosso attorniato dai fans, si alza e sorridendo viene verso di noi per abbracciarci come fossimo della famiglia.
Bello, ci viene da dire, il modo in cui questo artista conosciuto in tutto il mondo sente l’appartenenza alla nostra organizzazione. Così ci sediamo vicini, e chiediamo a Wayne se vuole rispondere ad alcune domande.

Quali sono state le fasi salienti della sua rivoluzione umana?
Una delle più importanti riguarda mia figlia, che ho avuto con mia moglie Anna Maria.
Ho cominciato a praticare per amore di questa figlia, che aveva una malattia al cervello. Ma poi mi sono reso conto che mia figlia, con il suo danno cerebrale, era venuta al mondo per condurre sua madre e suo padre alla Legge fondamentale.
Ho cominciato a praticare a quarant’anni, quando la maggior parte degli uomini vive come dentro un guscio. E di solito non riesce a rompere quel guscio per scoprire qualcosa di nuovo. Adesso ho sessantotto anni (risata). Prima di lasciare gli Stati Uniti ho incontrato Danny Nagashima (il direttore generale della SGI Usa). Mi ha raccontato di aver visto il presidente Ikeda in Giappone, il quale ha oggi settantacinque anni. Sensei gli ha detto: «Mi sento come se avessi diciannove anni» (risata).
Dunque, la cosa fondamentale nella mia rivoluzione umana è stata avere aperto la mia vita all’età di quarant’anni per abbracciare qualcosa di nuovo lasciando da parte la mia arroganza, non credendo a quello che la gente mi diceva sulla vita ma cambiando la vita seguendo me stesso. Di solito non si fa quello che si sceglie o si decide, ma quello che ci viene detto di fare. Le persone combattono fino alla morte o vanno in guerra per un’idea, che però non è la loro idea, è l’idea di qualcun altro.

Lei è un grande artista e anche membro della Soka Gakkai. In quanto buddista condivide lo scopo di costruire la pace nel mondo: qual è il ruolo di un artista nella costruzione della pace?
La cosa importante per un artista che si esibisce è aprire la porta fin da subito, in modo che la gente possa decidere di entrare. All’inizio un artista può rappresentare un esempio perché è in grado di cambiare l’ambiente, un esempio soprattutto per le persone che vengono controllate dall’ambiente. La musica è nell’ambiente e l’artista può dimostrare che, influenzando l’ambiente, non si viene più controllati da nessun tipo di ambiente, come il corpo e l’ombra. Abbiamo visto tante volte nella storia che il corpo tende verso l’ombra, per esempio nelle dittature, ma anche semplicemente nelle dinamiche coi compagni di scuola… Un musicista attraverso la sua arte può arrivare alle masse e farle sentire individui che pensano per proprio conto.
Con la musica commerciale, pop, rock and roll, le persone del pubblico sono in accordo le une con le altre, e cercano consenso. Invece, con il tipo di musica che io e Herbie Hancock suoniamo insieme, nessuno cerca una guida nel suo vicino.
Un artista deve stimolare, continuamente stimolare. Ma se non riesce a trovare il modo giusto per diventare stimolante non deve mai allontanarsi dalla realtà per diventare un idolo!

E la pace nel mondo?
L’importante è che le persone pensino con la propria testa, si esercitino a pensare e solo dopo agiscano. Quando nelle interviste mi fanno domande sulla musica chiedo: qual è il significato della musica? Qual è il vero significato di ogni cosa? Allora dico che è importante leggere libri di autori classici, come Victor Hugo, ma anche libri di scienza, narrativa, ogni genere di libri. In quanto artista devo innanzi tutto tentare di aprire e svelare il lato umano e togliere ogni barriera che si erge in tutti quelli che dicono «io non sono un artista». Non è vero, tu sei un artista!
Quando saluto le persone dico: «Ci vediamo, ci vediamo nel film…» e loro rispondono: «Ma dove, quale film?». Quello che intendo io è: ci vediamo nel film della tua vita! Quello di cui sei produttore, regista e attore. Un artista ha molti compiti diversi: per questo non dorme mai!

Quale è il ruolo del maestro Daisaku Ikeda nel suo sviluppo spirituale?
Nel 1963 mi trovavo in Giappone per una tournée, e durante il giorno di riposo andai alla biblioteca del Tanawa Prince Hotel. All’epoca non praticavo. Mentre guardavo i libri, ne notai uno che presi in mano: il titolo era La rivoluzione umana. Dieci anni dopo cominciai a praticare e scoprii che l’autore di quel libro era Daisaku Ikeda. Così scoprii anche Makiguchi e Toda.
Quando diventai davvero consapevole della pratica attraverso Ikeda e Toda, mi resi conto che questa consapevolezza aveva attraversato tutti i dieci mondi. Non solo uno o un altro: quando ci si risveglia sono tutti i dieci mondi che si risvegliano!
All’età di tredici anni facevo un gioco e chiedevo a tutti: «Come ti chiami?». Loro mi rispondevano e io replicavo: «No, come ti chiami veramente? Qual è il tuo vero nome?». La risposta giusta era: Homo sapiens (risata). Adesso so qual è il vero nome: è Nam-myoho-renge-kyo!
Gli esseri umani pensano, parlano, agiscono. Parole, pensieri e azioni sono i mattoni che costruiscono il karma. Secondo la Legge di causa ed effetto, indipendentemente dalla lingua che si sta parlando, dicendo sempre le stesse cose si pongono sempre le stesse cause. E continuando a porre le stesse cause non si possono che ricevere gli stessi effetti. Il punto è che tutto quello che diciamo, pensiamo e facciamo, in qualsiasi parte del mondo, non è altro che una variazione dello stesso tema di fondo, non c’è niente di veramente nuovo.
Ma c’è una frase che le persone non dicono. C’è una causa che viene posta con una frase che le persone non dicono mai. Quando recito Nam-myoho-renge-kyo sto dicendo qualcosa che nessuno dice normalmente: «Dedico la mia vita alla inesplicabile Legge di me stesso, a questa Legge ultima attraverso le parole, i pensieri e le azioni». Dunque le mie parole, pensieri e azioni devono essere nuovi. Così si pongono nuove cause per radicare il cambiamento e cancellare le cose negative create nella vita fino ad allora. È molto interessante!

In Italia ci sono tanti giovani buddisti che la ammirano molto. Quale messaggio vuole inviare?
Leggete libri di ogni genere, scienza, narrativa, qualsiasi cosa. Ampliate voi stessi, andate oltre. Afferrate, andate oltre ed estendete la vostra presa. Estendetevi verso vostra madre, vostro padre, vostra sorella, ampliatevi davvero… Mangiate spinaci! (risata)

(ha collaborato Massimo Mastrorillo)