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Dopo un’infanzia a suo dire “perfetta”, in cui inizia a manifestare i suoi molteplici talenti – a soli 12 anni ha già all’attivo più di 500 repliche nel musical di Broadway Evita –, Taro si confronta con una grave crisi familiare ed economica. L’incontro con il Buddismo di Nichiren Daishonin, oltre a restituire speranza e gioia di vivere a lui e a sua madre, lo entusiasma al punto che si iscrive, primo studente americano, alla Soka University di Tokyo. Di ritorno a casa in California, cercando un gruppo della SGI a Los Angeles, trova seduta davanti al Gohonzon Tina Turner, la regina del rock, di cui anni prima aveva ammirato in tv la potente energia. Collaboratore da anni dell’artista (sua l’intervista a Tina Turner pubblicata su Buddismo e società n. 190), ha recentemente contribuito come consulente al docufilm Tina appena uscito in Italia.

Sei stato il primo americano a laurearti alla Soka University di Tokyo, hai cofondato due startup nella Silicon Valley, recitato in spettacoli di Broadway, scritto bestseller. Come hai fatto a realizzare tutto questo? Dipende dal tuo ichinen, dalle tue azioni, dalla tua fede?
Praticare il Buddismo di Nichiren Daishonin ha trasformato completamente la mia vita. Sono nato in California, figlio unico di due genitori pieni d’amore che mi hanno mandato in scuole private e portato in giro per il mondo in vacanze incredibili. Ho avuto un’infanzia perfetta. Tuttavia a 13 anni la salute di mio padre cominciò a peggiorare sia fisicamente sia mentalmente e nello stesso periodo mia madre venne spesso ricoverata in ospedale per una polmonite cronica. Tre anni dopo (ne avevo 16) mio padre si uccise cedendo alla depressione. Improvvisamente siamo passati da una vita privilegiata alla disperazione. Finanziariamente eravamo in bancarotta, a un passo dal diventare due senzatetto. Fu in quel periodo che mia madre si unì alla SGI iniziando a recitare Nam-myoho-renge-kyo tre ore al giorno. In poco tempo ho visto la trasformazione della sua forza vitale. È diventata fiduciosa, allegra e piena di speranza. A quel punto ho iniziato a praticare anch’io. Attraverso la nostra fede determinata, la pratica, lo studio e il sostegno spirituale dei nostri amici della SGI abbiamo superato tutti gli ostacoli. Dopo due anni le nostre finanze erano più stabili che mai, mia madre si era del tutto ristabilita e così nel 1988 a 18 anni mi sono trasferito a Tokyo per studiare alla Soka University.

Senza parlare giapponese, suppongo.
Prima d’iscrivermi ho dovuto imparare la lingua. Le guide di Ikeda Sensei ci avevano aiutato a trasformare il veleno in medicina e volevo essere in grado di capire le sue parole con le mie orecchie studiando nella scuola fondata da lui. Molte persone mi dissero che sarebbe stata un’impresa impossibile, ma l’unico posto in cui volevo studiare era quell’università. Dopo un anno e mezzo d’intensa formazione linguistica ho superato gli esami per entrare nella 20ma classe di studenti.

Il tuo nome compare nei titoli di coda del documentario Tina. Come hai conosciuto la signora del rock?
L’ho vista per la prima volta in tv quando avevo 12 anni mentre recitavo nello spettacolo di Broadway Evita. All’epoca non sapevo chi fosse, ma rimasi colpito dalla sua potente energia sul palco. Gioiosa e magnetica. Poi dopo la laurea in Giappone, di ritorno negli Usa, mi sono trasferito nel quartiere di Los Angeles dove Tina ha iniziato a praticare (a casa di Wayne Shorter e sua moglie Ana Maria, n.d.r.). Nel mio capitolo molte persone la conoscevano e alcune lavoravano per lei. Tra il 1996 e il ‘97 mi invitarono a unirmi a loro nel tour “Wildest Dreams” in cui Tina si esibì in molti paesi diversi. Fu divertentissimo!

Per il Buddismo ognuno è nato con una missione unica da realizzare. Qual è la tua?
Grazie alla pratica e alle esperienze fatte come membro della SGI per 35 anni ho potuto superare innumerevoli e ripetute sfide. Come discepolo di Daisaku Ikeda faccio del mio meglio per vivere con grazia, speranza e imbattibile forza vitale. Ogni giorno prego per essere il miglior discepolo del mio maestro e del Buddismo nella società. Negli ultimi decenni ho affrontato varie avversità, dall’essermi rotto il collo in un incidente d’auto al trovarmi a un passo dal morire di appendicite acuta e sepsi, oltre a vari problemi di lavoro. Ma non importa quali circostanze devo affrontare, quando penso alla mia vita come alla mia missione allora le avversità diventano un’opportunità per creare quante più sfaccettature nella mia vita, come un diamante che diventa più brillante sotto il calore e la pressione.

Qual è il tuo rapporto con Daisaku Ikeda?
Ogni volta che gli sono stato vicino, in varie occasioni private e pubbliche, ho avuto modo di accorgermi quanto sia gentile, stimolante e con un gran senso dell’umorismo. Mentre studiavo all’Università Soka (a cavallo tra gli anni ’80 e ’90) visitava spesso con vari ospiti il nostro ateneo. La prima volta che l’ho incontrato faccia a faccia è stato quando mi sono laureato al programma di lingua, poco prima di entrare nel dipartimento di Economia. Senza dubbio Ikeda è il mio più grande maestro. La sua guida è il motivo per cui sono stato in grado non solo di sopravvivere a grandi sfide, ma anche di ottenere grandi benefici.

Ti è mai capitato di rinunciare a qualcuno dei tuoi sogni?
Certo, a volte mi sono sentito sopraffatto dalle sfide. Quando le cose sembrano cadere a pezzi o quando penso che un sogno sia “impossibile”. La mia mente può giocare brutti scherzi e cercare di convincermi a rinunciare. Ma lo spirito Soka è quello di “non arrendersi mai!”. Diversamente mi è anche capitato di sentire, praticando, che quelli che pensavo fossero “sogni” erano in realtà illusioni. Ma lo sforzo sincero verso la realizzazione degli obiettivi mi porta sempre dritto alla felicità. La cosa più importante è non rinunciare mai ai sogni perché, grazie al potere di Nam-myoho-renge-kyo, in un modo o nell’altro porteranno a ciò di cui il mio cuore ha bisogno per essere veramente felice.

Quali sono le tue più grandi sfide al momento?
Sempre le stesse: espandere la mia capacità. Sognare più in grande, rimuovere tutte le idee di limitazioni, ampliare il senso di ciò che ritengo possibile. Voglio realizzare il mio intero potenziale in questa vita, creare più valore possibile per gli altri e per aiutare a guarire il nostro pianeta.

Il tema di questo Speciale è la libertà. Quando ti senti davvero libero?
Mentre recito Nam-myoho-renge-kyo. È allora che provo la sensazione di essere senza tempo, eterno. In quel momento sento di essere libero e pieno di gioia: un sentimento che ognuno e ognuna di noi può provare. Come dice Nichiren: «Come potrebbe non essere questa la gioia senza limiti della Legge?».

Come fai a esprimere la tua libertà in un’organizzazione composta da tante persone diverse come la SGI?
Come bambino gay cresciuto in un mondo etero ho visto spesso che le libertà e i diritti delle persone LGBTQ sono violati dalla società. Fortunatamente la SGI è stata un’oasi per me. Nella SGI siamo tutti e tutte Bodhisattva della Terra, liberi e libere di essere chi siamo. È proprio perché siamo diversi/e che la nostra unità e i nostri sforzi per la pace sono così significativi. Raggiungere l’unità nella diversità è essenziale per la pace e la felicità: comincia con il rispettare in prima persona le identità degli altri mentre ci si sforza di trovare un terreno comune. Quando ci ricordiamo che siamo tutti membri della stessa famiglia umana, allora l’unità nella diversità non solo è possibile, ma è anche a portata di mano. (Monica Piccini)