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Daisaku Ikeda, Kevin Clements Verso un secolo di pace, Esperia 2021

Il dialogo tra Daisaku Ikeda e Kevin Clements, uno dei maggiori esperti di risoluzione dei conflitti, è un carotaggio nelle urgenze delle attualità, condotto con una tangibile determinazione a trovare le vie per una società pacifica. Come una freccia il libro attraversa i moltissimi conflitti che si sono succeduti nel tempo (dal re Ashoka del terzo secolo a.c. alla guerra fredda, passando per il lungo conflitto del Vietnam) per approfondire i grandi temi della nonviolenza, necessaria materia di apprendimento se l’umanità intende percorrere la via del miglioramento. «Dobbiamo imparare a reindividualizzare profondamente l’altro, a riumanizzare coloro che abbiamo demonizzato».

Libro intessuto di speranza poliedrica: vi si citano uomini e donne che hanno dato la vita per costruire una società degna, vi si descrivono pratiche educative volte alla collaborazione e non alla competizione, a disinnescare i meccanismi in base ai quali «gli uomini non ricambiano i benefici ricevuti, ma restituiscono le ingiurie». Non c’è pagina che non rafforzi la convinzione che l’empatia sia un percorso vantaggioso per la società, oltre che eticamente meritevole, che ogni vita messa al servizio della pace risplende della stessa lucentezza del suo scopo. Si attraversano anche tanti pensatori, sociologi e umanisti, da Peter Berger a Bryan Wilson, Émile Durkheim e Max Weber, Tsunesaburo Makiguchi e Josei Toda (con le loro intuizioni “attive” per la denuclearizzazione mondiale), per comporre un mosaico di esistenze che, guardate dall’alto, sono una unica grande ode alla dignità della vita. E alla possibilità concreta di costruirla.

L’intervallo di esitazione
Clements: Per prevenire che la violenza degeneri in guerra è essenziale fermarsi e riflettere. Simone Weil lo definiva un “intervallo di esitazione”, un momento di pausa prima di agire. È il momento in cui si cerca di essere veramente empatici e considerare gli effetti delle proprie azioni sui sentimenti e il comportamento dell’altro. È assolutamente cruciale per la risoluzione dei problemi e la costruzione della pace […].
Ikeda: Nell’opera A Strategy for Peace, la dottoressa Sissela Bok cita questo passo in cui Simone Weil parla di «quell’interruzione, quell’intervallo di esitazione in cui sta tutta la considerazione per i nostri fratelli umani» e prosegue dicendo: «È questo intervallo di esitazione, di riflessione, che ci permette di pensare alla dimensione morale di ciò che noi esseri umani facciamo agli altri e per gli altri, di ciò che dobbiamo a noi stessi, ai membri dei nostri gruppi, alla comunità e agli altri, persino ai nostri avversari». (pp. 9-10)

Il valore delle lotte
Clements: […] I maori hanno una forma di saluto che si chiama hongi, nella quale strofinano il naso l’uno contro l’altro. È un atto che simboleggia la nostra comune vulnerabilità. […]
Ikeda: […] Occorre creare un clima di consapevolezza della vulnerabilità di ogni individuo, della sua dignità e del suo prezioso valore […]. Il poeta Thiago De Mello […] ha dedicato la vita a proteggere la dignità e il patrimonio culturale delle popolazioni del bacino dell’Amazzonia. […] Non scorderò mai queste sue parole: «Gli indigeni dell’Amazzonia forse non sapranno sillabare la parola Utopia, ma è fra loro che si può trovare una società bella e democratica, basata sull’amore fraterno. Essi vivono in perfetta armonia con la natura, sono amici del sole e seguono le conversazioni delle stelle». (pp. 161-162)

Per un’etica della convivialità
Clements: […] L’idea di una piattaforma di tutela sociale è essenziale non solo per i diritti umani, ma anche per promuovere la sicurezza a livello internazionale. Fornisce anche un criterio per decidere se uno Stato sta comportandosi in maniera civile e sta prendendosi cura di tutti i suoi cittadini senza fare distinzioni. Sfortunatamente ci sono ancora troppi Stati “predatori” che pensano che il loro ruolo sia creare le condizioni appropriate per la produzione di capitale, per poi scremare una parte di tale ricchezza per il proprio interesse, invece di impiegarla in servizi di pubblica utilità come la sanità, l’istruzione e la previdenza […].
Ikeda: […] Nella mia Proposta di pace del 2014 facevo riferimento al libro del filosofo dell’economia Serge
Latouche, Pour sortir de la société de consommation, in cui egli auspica la creazione di una società più umana, che aiuti a ristabilire la dignità di chi è stato lasciato indietro dalla spietata competizione economica del capitalismo moderno: una società basata su un’etica della convivialità, sul piacere di condividere le gioie degli altri. [E osservavo]: «La visione che dobbiamo porre al centro della società contemporanea è quella in cui, grazie alla condivisione della gioia, possiamo creare un mondo caratterizzato più dalla luce calda della dignità che dal freddo bagliore della ricchezza, un mondo di empatia contraddistinto dal deciso rifiuto di abbandonare coloro che patiscono le sofferenze più profonde». (pp. 179-181)

Educazione come pratica di libertà
Clements: […] L’educatore Paolo Freire, nel suo libro Pedagogia degli oppressi, spiega che l’educazione – specialmente nei paesi in via di sviluppo – è tutt’altro che neutrale. Spesso al servizio degli interessi della classe dirigente e dei potenti, diventa uno strumento di oppressione e non di liberazione. «L’educazione o funziona come uno strumento per facilitare l’integrazione delle nuove generazioni nella logica del sistema attuale al quale si devono conformare, oppure diventa “la pratica della libertà”, il mezzo col quale uomini e donne possono rapportarsi alla realtà in maniera critica e creativa e scoprire come partecipare alla trasformazione del loro mondo» […].
Ikeda: Le idee di Paulo Freire […] hanno molto in comune con la filosofia educativa del presidente Makiguchi e concordo pienamente con lui quando afferma che «la conoscenza scaturisce solo dall’invenzione e dalla reinvenzione, dalla ricerca instancabile, bramosa, continua e piena di speranza che gli esseri umani svolgono nel mondo, con il mondo e con gli altri». […] L’istruzione, nelle nazioni che hanno una struttura sociale oppressiva, tende a soggiogare gli studenti, a sfruttarli per servire i bisogni del sistema sociale, economico e politico, invece di indicare loro la via che conduce alla felicità e alla presa di coscienza delle proprie potenzialità. (pp. 244-246)